di Jessica Concas
Come tutti ormai sanno, uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il Decreto Legislativo 81/2015 ha modificato l’articolo 2103 del codice civile. Riforma importantissima, gravemente peggiorativa per i lavoratori. Ma cosa diceva e cosa dice l’articolo 2103 del codice civile e perché è così importante? È la norma sulle mansioni. Intanto l’obbligo del datore di lavoro di inquadrare il lavoratore sulla base delle mansioni svolte o sulla base di quelle superiori successivamente acquisite. Fin qui nessuna modifica.
La prima vera questione riguarda la possibilità di mutamenti orizzontali di mansioni: il testo previgente prevedeva l’obbligo di attribuire al lavoratore mansioni equivalenti; nel nuovo testo le mansioni non devono più essere equivalenti, ma riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento. Sembra una modifica da nulla, ma non lo è.
La giurisprudenza era granitica: l’equivalenza riguardava, oltre che il livello di inquadramento, anche la possibile perdita del bagaglio professionale, la possibilità di progressione in carriera. Quindi il possibile danno alla professionalità poteva verificarsi al di là dell’inserimento delle mansioni nello stesso livello di inquadramento. La nuova formulazione azzera completamente questa possibilità: il giudice potrà solo verificare se formalmente le due mansioni sono previste dal CCNL all’interno dello stesso livello di inquadramento. Se così sarà, indipendentemente dalla lesione della professionalità, il mutamento di mansioni sarà legittimo.
La giurisprudenza era granitica: l’equivalenza riguardava, oltre che il livello di inquadramento, anche la possibile perdita del bagaglio professionale, la possibilità di progressione in carriera. Quindi il possibile danno alla professionalità poteva verificarsi al di là dell’inserimento delle mansioni nello stesso livello di inquadramento. La nuova formulazione azzera completamente questa possibilità: il giudice potrà solo verificare se formalmente le due mansioni sono previste dal CCNL all’interno dello stesso livello di inquadramento. Se così sarà, indipendentemente dalla lesione della professionalità, il mutamento di mansioni sarà legittimo.
Seconda importante questione: l’assegnazione a mansioni inferiori, anche a parità di retribuzione, era vietata e anche l’accordo di demansionamento tra il datore di lavoro e il lavoratore era nullo. Le uniche ragioni per le quali era consentito un accordo per il demansionamento erano: che questa fose l’unica strada per salvare il posto di lavoro, quindi che fosse l’unica alternativa al licenziamento per soppressione del posto di lavoro in assenza di mansioni equivalenti; l’inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, anche qui in assenza di posizioni equivalenti compatibili con lo stato di salute del lavoratore; lo stato di maternità della lavoratrice incompatibile con le mansioni svolte o con mansioni equivalenti (in questo caso il mutamento era solo temporaneo). La nuova norma consente l’assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (sarebbe interessante capire cosa significa) che incidano sulla posizione del lavoratore.
Insomma un bel colpo ad uno dei capisaldi dei diritti dei lavoratori. Non è prevista una disciplina transitoria per le situazioni a cavallo tra le due normative.
Vale a dire cosa succede nel caso in cui un demansionamento o una dequalificazione siano iniziati prima del 25 giugno 2015 e continuati successivamente? La questione è molto rilevante, perché atti illegittimi vigente la vecchia normativa sono oggi perfettamente legittimi.
Il buon senso direbbe che si applica la norma vigente al tempo del demansionamento, quindi la vecchia disciplina.
Leggendo le prime sentenze dei Tribunali sulla questione ci si accorge che non è così scontato. E così in attesa che prima o poi si pronunci anche la Corte di Cassazione ci si confronta con due sentenze emanate lo stesso giorno, il 30 settembre 2015, una dal Tribunale di Ravenna e una dal Tribunale di Roma.
Il Tribunale di Ravenna racconta ciò che ci si aspetta: la norma non è retroattiva, si fa riferimento al provvedimento di demansionamento e si applica la vecchia disciplina a tutto il periodo, anche quello successivo al 25 giugno 2015.
Il Tribunale di Roma ci stupisce con effetti speciali: il demansionamento è un illecito permanente, che si rinnova giorno per giorno. Così giorno per giorno bisogna verificare la legge applicabile. Per il periodo precedente al 25 giugno il vecchio articolo 2103, per il periodo successivo il nuovo articolo 2103, con la conseguenza che il demansionamento potrebbe essere dichiarato illegittimo fino al 25 giugno 2015, data a partire dal quale diventa legittimo.
Ora, è chiaro che un datore di lavoro che decidesse di demansionare un lavoratore con la nuova normativa, potrebbe farlo, alle condizioni previste dalla legge, in modo assolutamente legittimo. Ciò che sorprende è che da un certo momento in poi venga considerato legittimo il comportamento di un datore di lavoro che, consapevole di commettere un illecito ha demansionato un lavoratore. E vista la durata media dei demansionamenti (a volte molti anni) e la velocità con cui cambiano le norme sul lavoro, potremmo trovarci con un unico demansionamento a cui si applicano tre o quattro norme diverse. Non certo un modo per semplificare e nemmeno per ridurre il contenzioso che, grazie anche all’indeterminatezza della formulazione della norma (cosa sono gli assetti organizzativi aziendali?), potrebbe finire, invece, per aumentare.
Fonte: controlacrisi.org
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