di Luc Boltanski
Un discorso che si voglia critico è necessariamente sollecitato dal tema della difesa del popolo oppresso dai potenti. L’intelligenza politica d’estrema destra ha però saputo rimodellare nel corso del tempo il tema classico dello sfruttamento, che era servito di base al movimento operaio e soprattutto ai comunisti, riorientandolo in riferimento a un’altra figura, dall’apparenza meno tinta di marxismo e più «democratica», cioè quella della rappresentazione.
In questa chiave, il popolo non soffre soltanto la disoccupazione e la miseria ma, prima di ogni altra cosa, lamenta un deficit di rappresentazione, un termine usato con un’accezione vaga che va dalla rappresentazione politica in senso stretto alla rappresentazione mediatica e attraverso le forme culturali presentate, in questa prospettiva, come «dominanti»: teatro, cinema, letteratura, ma anche filosofia o scienze sociali. Questo permetteva di opporre tra loro due popoli.
Va notato che la figura dei due popoli – il buono e il cattivo – è lungi dal costituire una novità. Elaborata soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, periodo in cui ha ispirato numerose opere letterarie, è stata ampiamente utilizzata tra le due guerre dalla Destra rivoluzionaria che aveva la pretesa di creare una «terza forza» per lottare allo stesso tempo contro la «plutocrazia» e contro i movimenti socialisti o anarchici. Ma, in questa prima versione, essa opponeva soprattutto il popolo antico e rurale, quello dei contadini, degli artigiani, dei pescatori, dei marinai e dei soldati, fatto di vere persone rimaste valorose e autentiche, al popolo dei grandi agglomerati industriali – ovvero la classe operaia – ridotto allo stato di folla gregaria, imbastardito da uno stile di vita depravato e confuso da idee moderniste.
Se c’è oggi una novità rispetto a questo quadro essa risiede non tanto nel ricorso a questa opposizione tra due idee di popolo quanto piuttosto nel rinnovamento dei gruppi e dei personaggi ideali che le rappresentano, e ciò per adattare tale opposizione a una congiuntura sociale profondamente modificata dai cambiamenti economici intervenuti negli ultimi decenni.
La drastica riduzione del numero di agricoltori in attività non permette più di ravvisare nel mondo rurale in declino una base sociale sufficientemente ampia da sostenere ambizioni politiche di grande portata. Ne consegue uno spostamento della figura dei due popoli. Il mondo operaio, che un tempo quando sembrava potente, e quindi pericoloso, era oggetto di anatema, dopo i colpi inflittigli dalle recenti trasformazioni del capitalismo può occupare oggi la posizione di «popolo buono» o di «popolo» tout court. Ma non per questo non c’è più un «popolo cattivo». Esso è rappresentato, nel discorso di destra che lo attacca, da un’altra forma stereotipata di popolo la cui composizione immaginaria è particolarmente impressionante.
Infatti, esso si distingue in quanto è formato, da una parte, in modo generico da lavoratori, da precari, in generale giovani, appartenenti a un contesto urbano, con un livello d’istruzione piuttosto alto e spesso dediti ad attività che potremmo definire – semplificando – culturali, la cui importanza economica da vent’anni a questa parte non smette di crescere con il conseguente emergere di nuove forme di sfruttamento. D’altra parte, in questo popolo si troverebbero persone o gruppi presentati come «marginali», se non addirittura come «delinquenti» ma capaci di captare tutta l’attenzione della «sinistra benpensante» a discapito del «vero» popolo.
In questo modo, i pensatori di destra riattivano senza problemi la figura dei due popoli con, da una parte, il popolo cattivo in primo piano – fatto di gente che vive di forme d’assistenza sociale, di froci, lesbiche, intellettuali precari, arabi, neri, sans-papiers, di gente di periferia, puttane, femministe e donne col velo – e dall’altra parte, il popolo buono a cui appartengono, per esempio, gli «uomini di quarant’anni, bianchi, eterosessuali, sposati, con figli, residenti in regioni in declino, minacciati dalla disoccupazione», insomma «gente normale».
Di fronte alla finta sinistra, che si arroga il diritto di difendere il falso popolo falsamente sfruttato, fornendone ogni sorta di rappresentazione, sarebbe quindi urgente consolidare una vera opzione né-di-destra-né-di-sinistra, capace finalmente di dare ai Francesi di Francia tutto lo spazio che meritano. In questo modo, attraverso grandi divagazioni filosofiche che rileggono in modo ardito i grandi pensatori politici, da Locke a Marx, si finisce per concludere in forma allo stesso tempo di negazione e di ovvietà: bisogna dare sostegno alle posizioni del Front National, certo, preferibilmente, senza appoggiare il partito in sé ma anche, se necessario, appoggiandolo.
Questo genere di acquiescenza tacita e imbarazzata non solo alle tesi del Front National, ma alla sua stessa ascesa, è così tanto pregnante da manifestarsi fin nei discorsi pubblici, per esempio delle nuove vedette del giornalismo che fingono di spaventarsi e di analizzare il fenomeno per opporvisi. Poiché, presentandosi come se fossero animati dalla volontà sincera di «capire», finiscono per indirizzare le proprie critiche non tanto verso lo stesso Front National e le sue strategie politiche, quanto piuttosto verso le condizioni sociali e politiche – soprattutto se imputabili alla sinistra – che secondo loro sarebbero all’origine della crescente adesione popolare al Front National.
I commenti sul Front National sono dunque soprattutto, in tali casi, occasione per spingere sempre più in là la critica nei confronti di tutto ciò che non è Front National. Più o meno come quando, dopo la sconfitta del 1940, c’era chi si difendeva dall’accusa di essere stato un sostenitore di Vichy dicendo che il regime di Vichy era la punizione meritata per le derive e le perversioni democratiche del decennio precedente, conferendogli in questo modo una dimensione redentrice sia sul piano politico sia sul piano morale e del morale della Nazione.
Questo è un estratto dal pamphlet, inedito in italiano, Vers l’extrême: extension des domaines de la droite (Dehors 2014) in cui i sociologi Luc Boltanski e Arnaud Esquerre analizzano il dilagare in Francia e nel resto d’Europa della destra nazionalista e xenofoba, capace di intercettare crescenti consensi da parte di classi popolari che nel passato si schieravano a sinistra. Questo processo si manifesta e si alimenta anche attraverso discorsi pubblici e mediatici che attribuiscono nuove connotazioni politiche a termini quali «sistema», «identità», «territorio», «cultura», «morale» e «popolo», concetto su cui verte la riflessione qui proposta e intitolata Il popolo visto da destra.
Il testo sintetizza alcuni dei temi che Boltanski ed Esquerre hanno discusso venerdì all’Unione culturale Franco Antonicelli di Torino in occasione di una loro conferenza dal titolo Liberarsi dai nazionalismi. L’estensione del dominio delle destre in Europa. A partire dalla situazione francese e dai successi del Front National di Marine Le Pen, si è trattato della crescita degli estremismi come spia di una crisi profonda della politica a cui urge rispondere. La serata, a cura dell’Unione culturale Franco Antonicelli, è stata realizzata nell’ambito del progetto Liberazioni, per il Polo del ’900.
Luc Boltanski, allievo di Pierre Bourdieu, direttore di ricerca onorario all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, fondatore del Groupe de sociologie politique et morale, è una delle menti più originali della teoria critica contemporanea. Tra le sue opere:La production de l’idéologie dominante (con P. Bourdieu), Les cadres. La formation d’un groupe social, De la justification. Les économies de la grandeur (con L. Thévenot), Rendre la réalité inacceptable, Énigmes et complots. Une enquête à propos d’enquêtes. In italiano: Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica (Cortina 2000), Stati di pace. Una sociologia dell’amore (Vita e pensiero 2005), La condizione fetale. Una sociologia della generazione e dell’aborto (Feltrinelli 2007), Della critica. Compendio di sociologia dell’emancipazione (Rosenberg & Sellier 2014), Il nuovo spirito del capitalismo (con È. Chiapello, Mimesis 2014).
Arnaud Esquerre. sociologo ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique (LESC, Nanterre) e autore di La manipulation mentale. Sociologie des sectes en France (2009),Les os, les cendres et l’Etat (2011), Prédire. L’astrologie au XXIe siècle en France (2013).
Traduzione di Silvia Nugara
Fonte: Alfabeta2
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