di Riccardo Chiari
Ottanta milioni di euro pubblici a due colossi dell’energia – la tedesca E.On e la nostrana Iren – come rimborso statale per il ridotto utilizzo nel 2015 di un impianto privato. Già questo potrebbe bastare per gridare allo scandalo. Se poi l’impianto in questione è il contestatissimo rigassificatore off-shore Olt, costruito al largo della costa pisano-livornese nonostante una robusta opposizione popolare, il cerchio si chiude.
Arriva da Medicina Democratica la denuncia di un caso da manuale di come gli interessi privati possono essere molto persuasivi nei confronti dei decisori pubblici. “Niente di nuovo sotto il sole? – si chiede retoricamente l’associazione – No, questa è una novità, questo tipo di ‘incentivo’ era inedito, e non ancora praticato da nessuno”. Tranne che da E.On e Iren, già destinatari di 45 milioni usciti dalla casse statali nel biennio 2013-14.
Per capire il patologico meccanismo che permette alla multinazionale tedesca, e alla spa italiana delle ex municipalizzate di Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio Emilia, di incassare senza colpo ferire 125 milioni in un triennio, ci sono due termini chiave: “peak shaving” (“picchi di consumo”), e “fattore di garanzia”. L’allora viceministro allo sviluppo economico Claudio De Vincenti li utilizzò entrambi, per rispondere nel 2014 alle prime polemiche, quando divenne chiaro che c’erano dei costi in bolletta per il riconoscimento a Olt di una tariffa garantita anche in caso di ridotto utilizzo del terminal.
De Vincenti fu chiaro: per il governo Renzi il rigassificatore offshore era una struttura strategica per la sicurezza energetica italiana. “In virtù del servizio di peak shaving, che rende possibile in caso di punte di fabbisogno una immissione immediata di 10 milioni di metri cubi di gas al giorno, l’apporto del rigassificatore Olt permette di non far gravare sul sistema il costo della interrompibilità del gas, pari a 70 milioni l’anno, e quello del mantenimento in stand by di centrali ad olio, pari ad altri 90 milioni. Nel complesso per gli italiani si tratta di un risparmio in bolletta di 160 milioni. Circa il doppio del costo massimo del fattore di garanzia riconosciuto ad Olt”.
Per i tanti critici della grande opera, che la consideravano inutile fin dall’avvio della progettazione (poi la crisi ha fatto il resto), la decisione politica di riconoscere comunque a Olt una tariffa sicura, anche qualora i serbatoi non fossero utilizzati a pieno regime, era la prova provata del fallimento dell’iniziativa commerciale. Un fallimento di mercato, conclamato lo scorso anno, a giudicare dalla richiesta di E.On e Iren di accedere al “costo massimo del fattore di garanzia”, per dirla come De Vincenti. Tradotto vuol dire 80 milioni, incassati dopo il nulla osta a fine febbraio da parte dell’Autorità dell’energia elettrica e il gas.
Medicina Democratica tira le somme: “Dato che Olt ha dichiarato di aver investito circa 900 milioni, questa rendita, ottenuta senza fare niente, ammonta a quasi il 10% dell’investimento. Una rendita che neanche le banche più speculative riescono ad ottenere. Sono i miracoli dell’era Renzi-Merkel, dove si toglie drasticamente ai poveri e ai diritti sociali per dare ai ricchi e alla speculazione”.
Difficile dar torto all’associazione, che con il suo circolo costiero fu in prima linea, con il Prc toscano e le realtà antagoniste e di movimento delle province di Livorno e di Pisa, nell’opposizione al rigassificatore Olt. Una Olt che poi, come “compensazioni” al territorio, elemosina cinque milioni alle amministrazioni locali per i lavori a un canale che consentirà la navigabilità dal porto di Marina di Pisa a quello di Livorno. Mentre l’altro big player dell’energia Edison, visto come vanno le cose, sta provando a fare un suo rigassificatore a Rosignano.
Fonte: il manifesto
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