di Mauro Trotta
A un anno e un mese esatti dall’uscita del precedente romanzo, puntuale, è arrivata in libreria la terza e conclusiva parte della triliogia di Valerio Evangelisti intitolata Il sole dell’avvenire. Ancora una volta, così, in questo Nella notte ci guidano le stelle, verso di una delle più famose canzoni partigiane (Mondadori, pp. 512, euro 22) l’autore riprende le fila del racconto delle vicende che vedono protagonisti gli esponenti delle famiglie allargate dei Verardi e dei Minguzzi, gettando uno sguardo che dalla natìa Romagna si allarga all’intera Italia e all’Europa.
Gli anni narrati questa volta spaziano dal novembre del 1920 al novembre del 1950 ed è significativo notare come la scena iniziale e la scena finale del libro si svolgano, quasi a sottolineare il carattere conchiuso e conclusivo dell’opera, sulla stessa scena: la tomba di Canzio Verardi. Qui, all’inizio, si riuniscono i parenti per il funerale e sempre qui, alla fine, i superstiti si riuniranno di nuovo per il trentesimo anniversario della sua morte, quasi a suggellare un patto di unità e di speranza per l’avvenire.
Anche questo libro, come i precedenti, ha una struttura tripartita: tre sezioni, ognuna dedicata a un esponente della «tribù» romagnola e a un determinato segmento temporale del periodo storico preso in considerazione. La prima, dedicata a Tito Verardi, vede l’imporsi del fascismo e arriva fino alla marcia su Roma e alla presa del potere da parte di Mussolini. La seconda, con Destino Minguzzi principale protagonista, narra del consolidamento del regime, delle resistenze che sopravvivono, della guerra di Spagna e arriva, attraversando la caduta di Mussolini, la nascita della repubblica di Salò e della Resistenza, fino al marzo del 1944. La terza, dedicata a Soviettina «Tina» Merighi affronta l’imporsi della lotta partigiana e il dopoguerra con le elezioni del 1948 fino, appunto, al novembre del 1950.
Personalità eccentrica
La narrazione nelle tre parti, pur mantenendosi in terza persona grazie all’utilizzo del narratore esterno, privilegia il punto di vista del personaggio a cui è intitolata la sezione. Questo non implica una parzialità intesa come il rinunciare a misurarsi con la storia, ma esprime anzi la scelta, ponderata ed efficace, di un punto di vista dal basso che, proprio perché in qualche modo parziale, riesce a restituire in maniera vivida e coinvolgente non soltanto il succedersi ma anche e soprattutto il senso degli accadimenti che compongono la Storia con la «S» maiuscola. Insomma, al di là del valore letterario dell’opera, comunque elevatissimo, l’intera saga di Evangelisti rappresenta appieno un tentativo riuscito di affrontare i grandi eventi storici attraverso il coagularsi, il sovrapporsi, armonizzandosi o confliggendo, di varie piccole storie che, nel succedersi delle loro dinamiche a prima vista periferiche o secondarie, riescono a comporre in maniera ineguagliabile il grande affresco storico.
Anche i personaggi scelti per prestare il proprio punto di vista alla narrazione rispondono perfettamente e in modo originale a tale proposito. Non si tratta, infatti, di tipici esponenti del gruppo sociale di appartenenza. Appaiono innanzi tutto come persone con una propria personalità – esposta magistralmente dall’autore – pieni di contraddizioni e di dubbi, spesso eccentrici rispetto al «ruolo» che si trovano ad impersonare. Così Tito, lo squadrista fascista, violento, subdolo, infiltrato tra le fila degli oppositori, pronto a tradire tutti in nome del suo ideale, si scopre sempre più confuso rispetto proprio a quell’idea in nome della quale combatte.
Ex-legionario fiumano, dannunziano convinto rimane sorpreso non soltanto dalla reazione praticamente nulla delle strutture organizzate del movimento operaio e contadino, ma dall’evoluzione che sta prendendo il movimento fascista che via via rinuncia all’ideale repubblicano originario, accetta i finanziamenti da quei «signori», agrari e industriali, che dichiarava di voler combattere, arrivando alla conclusione che «il fascismo era cosa fumosa senza lame, randelli e pistole».
Questo non lo rende assolutamente un personaggio positivo ma lo rende una sorta di catalizzatore perfetto per far emergere elementi quali la strategia della violenza adottata dai fascisti, le varie anime del movimento mussoliniano, la collusione di magistratura e forze dell’ordine, le divisioni della sinistra e la sua incapacità a valutare gli eventi in atto, i tentativi di resistenza significativi come quelli attuati dagli Arditi del popolo. Allo stesso modo, le figure di Destino e Tina appaiono non convenzionali. Anche in questo caso, infatti, non si tratta di militanti da sempre convinti e consapevoli, anzi.
Il primo si troverà quasi per caso a combattere in Spagna dalla parte degli anarchici, la seconda diventerà staffetta partigiani quasi soltanto per amore. Eppure, seguendo i loro percorsi e le loro scelte emergeranno in maniera davvero appassionante e vivida tutti gli eventi e le situazioni di quel periodo.
Dagli ambienti e dall’attività della rete clandestina in Italia e dei rifugiati in Francia, alla cupezza e alla corruzione imperante nel regime fascista: «Se a livello nazionale il fascismo aveva un suo profili politico, piacesse o no, su scala locale vedeva un proliferare di caporioni famelici, interessati solo a riempirsi le tasche, ad accapararsi incarichi ben retribuiti e a sistemare amici e parenti». E ancora dalle divisioni e alle contrapposizioni che vedranno confliggere anarchici e comunisti e socialisti e poi stalinisti e trotzkisti al peso che le scelte politiche possono avere su tutto anche sull’amore. E poi dall’entusiasmo che si può provare all’interno di un momento rivoluzionario come quello spagnolo o all’interno di una lotta di liberazione alla paura, ai massacri e alle crudeltà di nazisti e fascisti. Fino alle speranze di un cambiamento davvero radicale e all’amaro rendersi conto che, dopo la vittoria, non si è tornati, per braccianti e operai, alle condizioni strappate nel corso del biennio rosso.
La speranza che non muore
Tanti sono gli spunti e le riflessioni che terzo volume di Il sole dell’avvenire suscita, come del resto gli altri della trilogia, rispetto all’attualità. E il problema atavico delle divisioni della sinistra – divisioni che spesso sembrano attraversare più i gruppi dirigenti che la base – è quello che emerge con più forza. Eppure al di là di questo e della dichiarazione dello stesso Evangelisti a conclusione della sua nota finale in cui il magister afferma di non voler scrivere seguiti dell’opera perché: «La cupezza ha un limite e io, malgrado la foto della quarta di copertina, sono di indole allegra». Il romanzo si chiude tuttavia con una forte scena di speranza. 21 novembre 1950, i sopravvissuti si riuniscono davanti alla tomba di Canzio Verardi, parte un canto rivoluzionario, tutti alzano il pugno chiuso, anche la più piccola, Stella, tra le braccia della madre lo fa. Il padre lo nota. «Il sole dell’avvenire non si vede ancora, commentò. Chissà che non sia una stella a guidarlo fuori dalla nebbia. Tutto è rimandato di una generazione. O di due, a essere pessimisti».
Fonte: il manifesto
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