di Guido Caldiron
Paradossi italiani. Proprio Silvio Berlusconi che nel lontano novembre del 1993, pronunciandosi a favore di Gianfranco Fini in occasione di altre delicate consultazioni capitoline, diede il via a quell’opera di sdoganamento dell’allora Msi che avrebbe portato gli eredi politici del Ventennio e di Salò al governo del paese, oggi spiega che i leghisti di Roma che si oppongono alla candidatura di Bertolaso, «sono tutti fascisti». Mentre Fini, che alla “discesa in campo” del Cavaliere deve gran parte della carriera e ora appoggia in tandem con l’ex sindaco Alemanno la corsa di Storace, denuncia come intorno a Meloni e Salvini stia nascendo un «blocco lepenista» anche nel nostro paese, dimenticando come anche i suoi ritrovati compagni di strada non vedrebbero l’ora di essere scelti come interlocutori dalla leader del Front national.
Apparentemente incomprensibili, le baruffe chiozzotte della destra italiana scaturite dalla ricerca di un candidato unitario per il Campidoglio, ma c’è chi dice originate anche dalla volontà berlusconiana di non ostacolare troppo il Pd, e quindi l’esecutivo, per garantire gli interessi delle imprese di famiglia, mettono però in evidenza quello che è un processo reale e per certi versi inevitabile.
E’ infatti vero che nel nostro paese sta prendendo forma intorno alla Lega Nord e al suo segretario, cui si affiancano sempre più spesso i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, una forza che si ispira in modo esplicito all’estrema destra francese e che questo pone in una prospettiva sempre più ravvicinata una serie di interrogativi quanto alla tenuta della coalizione berlusconiana e alla sua stessa leadership. La “destra plurale” creata dal Cavaliere oltre vent’anni fa potrà trasformarsi in senso radicale, sostituendo ad un’appeal almeno in apparenza più moderato la retorica della ruspa senza andare in pezzi? Se si dovesse guardare alla “costituzione materiale” della destra italiana, ad esempio al modo in cui si affrontano temi come l’immigrazione o la presenza dei rom nelle grandi città, si sarebbe portati a pensare che il più è fatto, e quello che manca è ormai solo il passaggio del testimone tra il fondatore e un suo possibile erede. Ma qui, come è noto, si entra nel campo del tipo di leadership senza successori costruita fin qui dal Cavaliere.
Nel frattempo, il processo di avvicinamento della Lega alle nuove destre europee continua però senza sosta. Proprio nei giorni scorsi, mentre volavano gli stracci tra gli alleati del cosiddetto centrodestra, Marion Marechal Le Pen, “l’altra” Le Pen, nipote del fondatore del partito, più giovane deputata del parlamento transalpino e che incarna la continuità più assoluta con il passato del Front national, era in Italia per una serie di incontri organizzati da Noi con Salvini, il movimento cui è demandata l’espansione leghista nel centro-sud e verso il quale si sono già volti numerosi reduci di Alleanza nazionale, del sindacato d’area Ugl e degli ambienti della destra sociale come di quelli tout-court neofascisti. Prima a Roma e quindi a Milano, Le Pen ha lodato la strategia di conquista di Salvini e ribadito la benedizione all’operazione che arriva da Parigi.
Solo pochi mesi fa, quando la Lega aveva riunito proprio nel capoluogo lombardo gli stati generali della neodestra internazionale guidata da Marine Le Pen, le stesse testate di centrodestra che ieri hanno fatto eco agli attacchi di Berlusconi alla Lega – Il Giornale ha definto “sfascisti” la coppia Meloni-Salvini – celebravano l’esponente del Fn come l’unica in grado di cacciare la sinistra dall’Eliseo. Se la scelta in Europa è tra Le Pen e Merkel, la destra italiana sembra sapere già da che parte stare.
Fonte: il manifesto
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