di Rossella Muroni
Il 17 aprile gli italiani saranno chiamati al voto per un referendum che riguarda le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, più precisamente nelle acque territoriali italiane entro le dodici miglia dalla costa. Ma questo referendum va ben oltre il tema delle trivellazioni. Questo voto, ostacolato dai tempi imposti dal governo e dalla complessità del quesito, è anche una straordinaria occasione per mettere finalmente al centro del dibattito pubblico il tema energetico e ambientale. Un’occasione per ricordare al nostro governo l’urgenza e l’importanza di dotare questo paese di una strategia energetica nazionale all’altezza delle sfide attuali in linea con gli impegni presi a livello internazionale, a partire dalla Cop 21.
C’è infatti una cosa che Renzi non ci ha ancora detto dopo aver sottoscritto gli accordi di Parigi: come intende portare il Paese fuori dall’era dei fossili e verso un futuro 100% rinnovabile? Dopo i proclami quali sono le politiche concrete che intende adottare?
Sì, perché il tema energetico, e quello ambientale più in generale, sono ormai questioni centrali nella guida di un paese e rimandano direttamente alle dimensioni dello sviluppo economico e occupazionale.
Sì, perché il tema energetico, e quello ambientale più in generale, sono ormai questioni centrali nella guida di un paese e rimandano direttamente alle dimensioni dello sviluppo economico e occupazionale.
Ci sono due fantasmi che in questi giorni i detrattori del referendum stanno agitando: uno è quello della perdita dei posti di lavoro, l’altro è l’indipendenza energetica del Paese. E allora vale la pena sfatare subito il primo di questi miti: il 17 aprile, una vittoria del Sì non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. A rischio sono invece i 3 milioni e 350mila posto di lavoro che i comparti di turismo e pesca garantiscono all’Italia: non c’è compatibilità infatti tra attività inquinanti e a rischio e sviluppo territoriale. Speravamo, ormai, che i casi come l’Ilva di Taranto lo avessero dimostrato. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso. Infatti, prima che il Parlamento introducesse la norma dello SbloccaItalia sulla quale gli italiani sono chiamati alle urne, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione.
Con lo SbloccaItalia è stato introdotto un meccanismo unico al mondo: la possibilità di estrarre fino ad esaurimento di un giacimento con una concessione senza fine. Ed è proprio a questo che gli italiani dovranno porre rimedio votando Sì e chiedendo l’abrogazione di questa norma.
L’altro tema caldo è quello dell’indipendenza energetica del Paese: non è estraendo in casa irrisorie quantità di fossili che saremo indipendenti dalle dinamiche geopolitiche e dei mercati internazionali. Solo liberandoci dalla dipendenza dei fossili e puntando verso l’efficienza energetica, il risparmio, l’autoproduzione distribuita e democratica, la produzione da fonti rinnovabili, noi potremo essere liberi dalle tensioni dei mercati internazionali e soprattutto mettere fine al nostro «contributo da consumatori» alle guerre del petrolio che devastano ormai ampie zone del nostro pianeta.
Va aggiunto che il gas e il petrolio estratto nei nostri mari sono di proprietà delle compagnie petrolifere estrattrici, la maggior parte dalle quali straniere, che scelgono il nostro paese perché qui, di nuovo, ci sono condizioni economiche uniche al mondo: sono diversi gli aiuti indiretti e gli sconti applicati a coloro che sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. A partire proprio dalle royalties irrisorie – pari al 10% per la terraferma e il 7% per il petrolio in mare. Inoltre in base alle leggi italiane, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare. Addirittura gratis, cioè esentate dal pagamento di qualsiasi aliquota, le produzioni in regime di permesso di ricerca.
Insomma estrarre petrolio a noi italiani non conviene e mette a rischio l’ecosistema marino-costiero e un sistema economico fatto di territorio, qualità e ambiente. La nostra sfida, quella di vincere il referendum del 17 aprile, è paragonabile a quella di Davide contro Golia. Ma ce la metteremo tutta anche per dimostrare che non è passando sopra la testa delle comunità locali e delle istanze territoriali che si può governare un Paese.
Fonte: il manifesto
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