di Ivan Cavicchi
Viviamo negli anni della medicina amministrata, temine oggi entrato a far parte del linguaggio comune della sanità. Ma sono passati ben 16 anni da quando la coniai per la prima volta per riferirmi all’intenzione soprattutto di certa sinistra scientista che, negli anni compresi tra il primo governo Prodi e il secondo governo D’Alema (1996/2000) al grido “viva l’appropriatezza”, pensava di ridurre i consumi eccessivi di medicina imponendo ai medici vincoli, procedure, standard.
Da sinistra, quindi, stavano prendendo forma visioni sospinte da idee di moralizzazione e di razionalizzazione e tutte immancabilmente di stampo economicistico. A costoro della medicina poco importava a parte il fatto che fosse acccountable, effective, efficient.Ciò culminava con l’approvazione della riforma della ministra Bindi(1999), che in nome dell’evidenza scientifica tentava, per l’appunto, di amministrare gli atti clinici dei medici per fare economicità, rendendo obbligatoria, l’appropriatezza al punto di prevederne se disattesa la sanzionabilità.
La medicina amministrata rientra nel filone culturale del behavorismo vale a dire della gestione condizionata dei comportamenti medici Essa invoca le evidenze scientifiche per “fare giustizia” ancor prima che salute, sanità “appropriata” ancor prima di medicina adeguata. Per essa si tratta di abbinare scienza e morale in modo da guidare la clinica con le linee guida, i precetti ,le raccomandazioni, gli standard per cui le evidenze sono allo stesso tempo dei parametri scientifici e dei giudizi morali forti al punto da poter indirizzare l’azione pratica del medico.
La principale aporia di questa idea è il non rendersi conto che l’evidenza scientifica per funzionare deve per forza esemplificarsi in un “comando” quindi in un pensiero fondamentalista che però è quanto di più contraddittorio esiste nei confronti della complessità ontologica clinica e sociale del malato. Le procedure che regolano i comportamenti dei medici dedotte dalle evidenze scientifiche non assicurano a tutti i malati lo stesso trattamento quindi sono intrinsecamente immorali
La medicina amministrata in questo modo di fatto scade in un paradosso: per essere appropriata rispetto alla regola che la amministra accetta il rischio di essere inadeguata nei confronti del malato. Quindi inefficace. Questo paradosso “dell’appropriatezza inadeguata” apre la strada all’altro della “diseguaglianza clinica”. In soldoni il rischio è di curare le persone negando loro il principio di eguaglianza cioè l’art. 32 della Costituzione, cioè di curare in modo tanto appropriato che adeguato solo le persone che hanno la fortuna di rientrare in uno standard, in un precetto o in una linea guida. Questa particolare violazione dell’art. 32 pone la questione morale e politica di come curare persone diverse garantendo almeno una accettabile equivalente probabilità di risultato.
Bisogna rammentarsi che ogni malato è un individuo singolare, specifico, che la clinica per definizione è una collezione di casi individuali, che i casi sono praticamente illimitati .L’evidenza scientifica alla quale la medicina amministrata si ispira prescinde per principio dalla complessità ontologica del malato per cui ogni malato tende inevitabilmente a falsificarla ,cioè a smentirla e a contraddirla perché ogni malato è per sua natura standard resistente ed ha le sue verità.
Oggi, dopo 16 anni, con il crescere dei problemi finanziari della sanità ,la medicina amministrata sostenuta da una propaganda subdola si sta allargando a macchia d’olio. In tanti modi diversi. Questa propaganda oggi veste i panni della choosing wilesy un’idea pensata negli Usa con l’accordo di alcune società medico scientifiche per ridurre i consumi eccessivi di medicina. Choosing wilesy si propone da una parte come una medicina democraticamente amministrata dal medico e dal malato ,ma dall’altra come una medicina subdolamente autoritaria volta ad applicare precetti . Su choosing wilesy si è buttata a pesce slow medicine da sempre idolatra delle evidenze e delle linee guida e che oggi la propone addirittura come una rivoluzione.
Di recente i massimi vertici dell’Aifa (agenzia italiana farmaco) riprendendo le solite riviste inglesi (British Medical Journal. New England Journal of Medicine) hanno anche loro riproposto lo slogan less is more dal quale nasce quello di slow medicine «fare di più non vuol dire fare meglio» (QS 15 aprile 20016).
Ma della saggezza dei behavioristi preoccupati solo di far quadrare i conti, non mi fido. Per loro la scelta clinica è fatta comunque sulla base di decisioni pre-scelte. Persiste quindi una mentalità che parte a priori con un atto di sfiducia nei confronti del medico considerato per principio inaffidabile e inemendabile, che antepone alla complessità della clinica il semplicismo delle procedure economicamente appropriate, e che punta ad amministrare relazione o non relazioni comunque le condotte professionali ridimensionandone l’autonomia.
Il vero danno morale di tutte le forme di medicina amministrata è deontologico quindi al dovere del medico che deve poter scegliere per il suo malato la cosa migliore sulla base delle sue reali necessità. L’art 4 del codice deontologico dei medici esprime non a caso questo dovere con i principi di «libertà indipendenza autonomia e responsabilità» e significativamente sancisce l’obbligo del medico di non «sottostare a interessi imposizioni, condizionamenti di qualsiasi natura». Quando i medici violano le procedure e gli standard è perché hanno il dovere non solo deontologico ma costituzionale di farlo.
I medici ancora non si rendono conto dei rischi che corrono con l’avanzare della medicina amministrata . Molti di essi addirittura sono pronti a farsi amministrare convinti di essere loro ad amministrare delle scelte comunque decise altrove per loro conto. Non si rendono conto che se delegano le responsabilità delle scelte alle procedure essi saranno sempre più amministrabili perché la loro autonomia avrà sempre meno senso. Nello stesso tempo sono dentro un paradigma scientifico ormai logoro, che non ce la fa a reggere lo scontro con la complessità del nostro tempo e che risale alla fine dell’800 cioè alla definizione di “medicina sperimentale”.
Innegabilmente le improprietà e gli eccessi in sanità sono tanti e la medicina amministrata riduce sicuramente le diseconomie ma sono convinto che a lungo andare si metterà seriamente in pericolo l’idea stessa di medicina ippocratica . E questo mi preoccupa perché, medici a parte, chi ci rimetterà sarà il malato.
Fonte: il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.