di Benedetto Vecchi
La Commissione europea alla concorrenza ha messo a tacere tutte le indiscrezioni che da giorni rimbalzavano nella Rete di nodo in nodo. Per il commissario Margrethe Vestager va aperta una procedura di indagine su Google per «abuso di posizione dominante» negli smartphone. L’accusa è di imporre, a chi usa il «suo» sistema operativo Android, alcune applicazioni (Maps, Search e Gmail) in dotazione della società di Mountain View.
La vicenda potrebbe essere liquidata come esempio dell’attivismo dell’Unione Europea contro i monopoli che si sono formati sulla Rete. Nel mirino di Bruxelles è infatti già finito un altro colosso dell’information technology, la Microsoft, condannata alcuni anni fa a una multa di oltre 500 milioni di dollari. Android è però il sistema operativo più usato nel mondo per quanto riguarda gli smartphone (le percentuali parlano del 60 per cento di dispositivi in giro per il mondo «montano» Android).
La possibile multa che colpirebbe Google è, per consuetudine, stimata nel dieci per cento del fatturato 2015 di Google, che ammonta a 7,45 miliardi di dollari nel 2015. In caso di condanna, Google dovrebbe quindi versare nelle casse della Ue 745 milioni di dollari, la multa più alta nella storia dell’high-tech. Oltre al piccolo salasso monetario, il danno di immagine e di credibilità sarebbe molto più grande. Quello economico è incalcolabile, visto che gli smartphone sono ormai il dispositivo tecnologico più usato per stare in Rete.
La possibile multa che colpirebbe Google è, per consuetudine, stimata nel dieci per cento del fatturato 2015 di Google, che ammonta a 7,45 miliardi di dollari nel 2015. In caso di condanna, Google dovrebbe quindi versare nelle casse della Ue 745 milioni di dollari, la multa più alta nella storia dell’high-tech. Oltre al piccolo salasso monetario, il danno di immagine e di credibilità sarebbe molto più grande. Quello economico è incalcolabile, visto che gli smartphone sono ormai il dispositivo tecnologico più usato per stare in Rete.
Colpisce la durezza della presa di posizione di Margrethe Vestager, che punta l’indice e alza la voce contro il monopolio di fatto di Google e per i metodi usati per imporre l’uso delle sue «app», cioè quell’accordo «anti-frammentazione» di Android che impedisce libertà di scelta da parte dei consumatori di usare applicazioni «non gradite» a Mountain View.
Ma dure sono state anche le reazioni di Google. Nei giorni scorsi, il responsabile per l’Europa aveva usato il «Financial Times» per stigmatizzare il pregiudizio dell’Unione europea nei confronti della società di Mountain View, sostenendo che gli accordi stabiliti da Google e i produttori di smartphone rispettano la libertà di scelta di quest’ultimo.
Il mercato europeo è tuttavia vitale per Google. Se in Asia, Africa e America latina Android non conosce di fatto rivali, il vecchio continente vede la società di Mountain View leader indiscussa per il motore di ricerca, per la gestione della posta elettronica, anche se gli europei hanno sempre mostrato una predilezione per i cellulari e i tablet della Apple. Inoltre, il modello di business di Google prevede l’uso «gratuito» di software, in cambio tuttavia della cessione della proprietà dei propri dati personali, la vera miniera d’oro per Mountain View: i big data, variamente elaborati, servono a vendere spazi pubblicitari attraverso sofisticati processi di personalizzazione. Ogni navigazione serve a Google per accumulare dati per poi venderli come materia prima per strategie di marketing sia «di massa» che «personalizzate». Una condanna per monopolio metterebbe Google in forte difficoltà in Europa, riducendo nel medio periodo la sua quota di mercato. Da qui le reazioni immediate e aggressive dallo stato maggiore della società fondata da Sergej Brin e Larry Page.
Nel Googleplex non si deve respirare un clima sereno. D’altronde per una impresa che si è presentata con lo slogan «don’t be evil» (non essere cattivo, malvagio), ritrovarsi sul tavolo degli imputati come un monopolista non deve certo far piacere. Ma di segnali che l’aura di simpatia nei confronti di Google era svanita Brin e Page ne hanno avuti molti in questi ultimi anni. Hanno però continuato a comportarsi al modo di un arrogante «padrone del silicio» che traeva il suo potere dal libero mercato. Non potevano immaginare che sarebbero stati messi all’indice per pratica monopolistica proprio in nome del libero mercato e della concorrenza.
Fonte: il manifesto
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