La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 20 novembre 2016

Quei giorni di fuga terribili e favolosi. Ecco i Weather Underground

di Bill Ayers
Aspetta un attimo. Questo non può accadere adesso. Aspetta. La miccia è già accesa, piccole scintille brillano in una danza disperata e mortale. Le lancette metalliche del grosso orologio avanzano inesorabilmente, mentre il mondo gira veloce e fuori controllo. La mia stessa vita sta per esplodere. In pochi minuti mi ritroverò a camminare da solo in piena notte lungo una strada polverosa, sconvolto e tremante, mentre tutto sembra crollarmi addosso. Ma tutto ciò non posso saperlo ora, non ancora. Tutti i dettagli e i punti di riferimento, i dubbi, le paure sono stati spazzati via dalla mia mente, e ora sto seduto qui a guardare come uno scemo questa cabina telefonica vuota, chiedendomi per la terza sera consecutiva all’addensarsi del crepuscolo se questo maledetto telefono squillerà mai.
Tutto mi sarebbe crollato addosso di lì a un minuto, ma non era ancora il momento. Sessanta secondi al caos.
La scritta di un blu scolorito non attira l’attenzione né ispira fiducia: telefono pubblico, annuncia inquietante. L’apparecchio funziona – ho controllato e ricontrollato centinaia di volte – benché la vernice rossa lungo i bordi sia diventata di un rosa sbiadito, la luce discontinua e opaca del neon lampeggi in modo frenetico, e il cavo nero si trascini incerto verso la linea telefonica principale.
Anche il viaggiatore più disperato, purché minimamente coscienzioso, avrebbe scelto, speravo, un luogo più allettante; qui non c’è da mangiare, né benzina, né un bagno, assolutamente nulla all’infuori di una sudicia, isolata cabina telefonica e di un tavolino da picnic semidistrutto.
Per adesso è la mia linea telefonica privata, proprio come la volevo io.
Avevo soprannominato questo posto Palazzo del Ragno, dal titolo di un libro per bambini che conoscevo da tempo; ed è proprio così, i grossi ragni neri qui vivono alla grande, collezionano insetti luminosi nelle loro delicate ma inavvicinabili ragnatele.
Diana e gli altri hanno il mio numero. – Sarò al Palazzo del Ragno alle otto – avevo detto loro alcuni giorni prima e, sincronizzati i nostri orologi, ci eravamo lasciati, ognuno in direzioni diverse; adesso sono qui che aspetto, dalle otto precise.
La cabina telefonica puzza di piscio stantio, che immagino cuocere ogni giorno in questo involontario forno solare.
– Chi penserebbe di pisciare in un posto come questo? – mi chiedo ad alta voce, mentre guardo in lontananza l’orizzonte, ampio come il portale di una chiesa. Forse la vista di una cabina telefonica abbandonata è un po’ come il suono dei campanelli per i cani di Pavlov.
I miei pensieri cominciano a spaziare in tutte le direzioni. Dove sono gli altri? Mi lamento da solo nella sera. Sono le otto e cinque.
Aspetto ancora fino alle otto e un quarto, penso, non oltre. Mi alzo dal tavolino e faccio due passi; raccolgo una manciata di sassi e li lancio uno alla volta verso un desolato cancello di legno dall’altra parte della strada.
Due sere, nessuna telefonata. E se anche questa volta non succede niente? Ritornerò al Palazzo del Ragno alle otto domani sera, e poi la sera successiva e poi quella dopo, forse per sempre.
Negli ultimi mesi il mio coraggio e la mia sicurezza sono stati un po’ vacillanti, e così mi aggrappo a questa cosa, così semplice e difficile: la disciplina.
Dovevo farmi trovare qui alle otto in punto a cominciare da sabato e così eccomi qui, puntuale come sempre. È come una morsa mortale, tra me e questa cabina telefonica. Non
posso mollare. Comincia a far freddo e un brivido leggero mi attraversa il corpo.
– Forza, dài, chiamate, per favore! – dico ad alta voce rompendo nuovamente il silenzio, infreddolito e sconsolato.
Una berlina scura appare in lontananza come un puntino minuscolo illuminando con i fari la strada buia e, sfrecciandomi accanto, scompare subito dopo in lontananza come un miraggio.
Improvvisamente il telefono prende vita, rompe il silenzio con due forti squilli, come gli spari di una doppietta; mi lancio per afferrare la cornetta come se fosse un giubbotto di salvataggio a bordo di una nave che affonda.
– Ehi… – dice una voce amichevole,
che però non è quella di Diana. C’è qualcosa che non va, il suo tono è quello intimo e sfuggente della disperazione. – Tutto Ok? – mi chiede. – Sei solo?

Sono le primissime pagine, il preludio di Fugitive Days. Memorie dai Weather Underground, libro di Bill Ayers appena uscito per DeriveApprodi.
"Quella che do qui è solo una versione dei fatti – è un libro di memorie piuttosto che una trascrizione, una sorta di resoconto senza alcuna pretesa di ufficialità. C’è in quest’opera una certa incompiutezza, un nascondere fatti e offuscare dettagli, che in parte è il risultato di quei giorni di fuga e di quei tempi terribili e favolosi. La maggior parte dei nomi e dei luoghi sono stati cambiati, molte identità alterate, e le impronte cancellate. È questa dunque la verità? Non esattamente, benché a me sembri del tutto sincera."
Fugitive Days è la storia del Weather Underground, movimento rivoluzionario clandestino, di cui Ayers è tra i fondatori, che agì negli Stati Uniti tra gli anni Sessanta e Settanta, in parallelo al movimento studentesco e a quello per i diritti dei neri. Anni di fermento politico e sociale: anche gli anni della guerra in Vietnam. E proprio su questo si concentravano gli Weathermen: portare la guerra del Vietnam negli Stati Uniti.
La loro attività clandestina consisteva nel colpire i simboli del potere americano, ma senza ferire o uccidere persone. Usciti dal movimento studentesco ed entrati nella clandestinità agli inizi nel 1970 fecero saltare alcuni uffici della centrale di polizia di New York; poi tra il ’71 e il ’75 colpirono il Campidoglio; «bombardarono» il Pentagono, in risposta all’attacco aereo di Hanoi; portarono a termine un attentato contro la multinazionale I:T:T., per la parte avuta nel colpo di stato in Cile; fecero saltare l’ufficio del procuratore generale della California e alcuni uffici del Dipartimento di Stato.
Alternando vissuto personale e consapevolezza politica, Bill Ayers racconta la nascita di una lotta per i diritti che vedeva impegnati fianco a fianco gruppi eterogenei, con la sensazione che la possibilità del cambiamento fosse reale. Racconti di azioni che lasciano senza fiato, la clandestinità vissuta ogni giorno, la riflessione ex post sull’accaduto. Forte testimonianza di un’epoca di cambiamento, Fugitive Days è una lettura che non lascia indifferenti. Ayers e Bernardine Dhorn sono in Italia per presentare il volume. 

Fonte: popoffquotidiano.it 

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