La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 8 dicembre 2016

Renzi non scordi l’abbraccio ad Al Sisi

di Tommaso Di Francesco 
Renzi nel fantasma di direzione Pd, tra le elencazioni trionfanti, ha aggiunto un ringraziamento alla famiglia Regeni e alla procura egiziana perché- «ha detto che Giulio Regeni era testimone di pace». Lo ha dovuto fare sia perché aveva dimenticato l’argomento nel racconto di «realizzazioni» fatto nelle dimissioni in tv; sia per le importanti notizie che arrivano, ma che purtroppo confermano che ancora una volta siamo insieme più vicini ma sostanzialmente più lontani dalla verità sul sequestro e sulla morte atroce, dopo giorni di torture, di Giulio Regeni avvenuta quasi undici mesi fa al Cairo.
Eppure sul caso Regeni, Renzi dovrebbe perlomeno ricordare la sua grave responsabilità: quella di essere stato il leader occidentale ad avere sdoganato Al Sisi.
Appena un anno dopo il suo sanguinoso colpo di stato, definito dallo scrittore Orhan Pamuk «come quello di Pinochet». Renzi con passione prima andò nell’agosto 2014 al Cairo, intessendo una fitta rete di affari, e poi tre mesi dopo accolse in Italia il dittatore con tutti gli onori come «il leader emergente del Medio Oriente» la cui battaglia «era quella dell’Italia». Accreditandolo inoltre come eroe della «lotta al terrorismo». Il sostegno di Matteo Renzi è stato a dir poco connivente e criminale.
Per un regime nel quale, denunciano le organizzazioni dei diritti umani, il caso Regeni non era e non è l’eccezione ma la regola, dove le sparizioni forzate e la tortura sono all’ordine del giorno, dove gli oppositori egiziani sono in galera (solo ieri è stata arrestata un’altra attivista), dove i diritti umani sono violati, È stata una legittimazione che è all’origine di tutte le ambiguità. Dopo l’uccisione di Giulio Regeni infatti, solo la pressione dell’opinione pubblica e dopo molto tempo, ha portato al «richiamo per consultazioni» del nostro ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari testimone diretto della vicenda Regeni. Una sorta di «sospensione» diplomatica così limitata e ambigua che probabilmente nasconde ulteriori ombre.
Così l’Egitto non è mai stato dichiarato «paese non sicuro» come ha sempre chiesto, esplicitamente e con speranza, la famiglia Regeni. Del resto come può farlo un paese come l’Italia che non ha una legge che punisce la tortura.
Ora la procura egiziana dice che «continuerà le indagini fino all’arresto dei responsabili della morte di Giulio Regeni», e ammette che sul ricercatore italiano le indagini, dopo un file aperto e chiuso su di lui, erano continuate, come i «resoconti» dell’«informatore-sindacalista» Abdallah, e ora sarebbero stati indentificati i nomi dei poliziotti coinvolti. Prime ammissioni e forse svolte. Ma dopo tanti devastanti, vergognosi depistaggi e bugie, messe in scena macabre con l’uccisione dei presunti rapitori: tutte prove inventate che chiamano direttamente in causa il governo egiziano e lo stesso Al Sisi. Restiamo dunque, purtroppo, lontani dalla verità che non è possibile delegare alle sole procure, come invece ha fatto il governo Renzi. Perché esiste invece una verità politica che punta il dito sulle dirette responsabilità del regime di Al Sisi che Matteo Renzi ha legittimato.

Fonte: il manifesto 

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