di Vincenzo Comito
È noto come nell’ultimo periodo pezzi molto importanti del nostro apparato imprenditoriale siano caduti in mani straniere senza che si potesse registrare anche, parallelamente, una tendenza opposta, quella di vedere cioè altrettante società straniere venire acquisite da dei capitalisti nostrani. Abbiamo spesso deprecato in passato, anche su questo giornale, tale stato di cose e questo quasi ogni volta che si manifestava qualche importante caso di perdita di nostre imprese qualificate; che finissero in mani francesi, statunitensi, arabe, giapponesi, tedesche, o cinesi non era poi molto importante.
E’ ancora di questi giorni la notizia della acquisizione della Grom, produttrice di gelati, da parte della Unilever; l’operazione non è tanto importante per le tutto sommato ridotte dimensioni dell’affare, ma per il suo valore in questo caso molto simbolico di un made in Italy qualificato.
Aspettiamo comunque trepidanti il prossimo caso, che, siamo sicuri, si verificherà immancabilmente a breve termine.
Per altro verso, sono in corso da tempo delle grandi manovre su Telecom Italia e nessuno sembra ancora una volta preoccuparsene.
Per altro verso, sono in corso da tempo delle grandi manovre su Telecom Italia e nessuno sembra ancora una volta preoccuparsene.
Abbiamo regolarmente stigmatizzato in passato lo spirito ormai rinunciatario del nostro sistema industriale – ovvero, come direbbe il grande storico Fernand Braudel, l’ennesimo tradimento della borghesia nazionale — e l’apparente e palese indifferenza del governo, in questo come in altri casi, ufficialmente almeno, in nome di un neoliberismo d’accatto.
Ebbene, confessiamo che appena si è cominciato a parlare della possibile acquisizione della Rcs libri da parte della Mondadori, circa sette mesi fa, abbiamo invece vanamente sperato che, in assenza evidente di qualche altro editore nostrano che avesse i soldi e la voglia di rischiare, qualche azienda straniera si facesse avanti rilanciando la posta e vincendo alla fine la preda.
Ma nessuno si è mostrato all’orizzonte; l’accordo era probabilmente già da tempo stato siglato nelle segrete stanze dell’economia e della politica e non vogliamo neanche immaginare le contropartite che sono state messe a punto sottobanco per il via libera all’operazione. Ed ora a conclusione della partita siamo anche obbligati ad assistere al ghigno trionfante di Marina Berlusconi.
Non ci sembra molto plausibile, come fa anche qualcuno tra i nostri intellettuali, sperare ora in un intervento dell’antitrust romano–uno dei tanti enti inutili, ma di quelli che certamente Renzi non abolirà. L’aria che si respira nella capitale è da un pezzo abbastanza mefitica per sperare in una decisione adeguata dell’ente. Ma magari ci stiamo sbagliando.
Quasi nessuno si è dunque veramente acceso per l’episodio, al contrario di quanto sarebbe successo solo qualche anno fa. D’altro canto, si dimostra ancora una volta come queste cose non interessino molto da noi – la cultura non fornisce da mangiare, come diceva Tremonti, né influenza in maniera significativa un’opinione pubblica ormai peraltro devitalizzata.
Mica si trattava in ogni caso dell’acquisizione dei giornali della stessa Rizzoli, della Gazzetta dello sport o del Corriere della sera; quelli non sono certamente in vendita.
L’unico premio di consolazione a cui abbiamo avuto diritto è stato quello di vedere che almeno la Adelphi, al contrario dei marchi Rizzoli, Bompiani, Marsilio, Fabbri, sia stata esclusa dalla partita e che essa stia ritornando, a quanto sembra, nelle mani del suo fondatore e primo proprietario.
Ci auguriamo almeno che ora una fetta consistente degli autori che pubblicavano con la vecchia Rizzoli cambino casacca e comincino a pubblicare da qualche altra parte, consci peraltro che probabilmente perderanno in forza mediatica e in copie vendute. Vedremo in quanti ne avranno la voglia e il coraggio.
Del resto molti autori Bompiani, oggi tra i marchi ceduti, avevano in una lettera aperta di molti mesi fa dichiarato il loro allarme per la possibile operazione; essa avrebbe, in effetti, visto il nuovo gruppo controllare una quota del 40% del mercato librario, cosa inaudita in altri paesi civili –nel 2014 il fatturato congiunto è stato di 460 milioni di euro. Con tale operazione, ricordavano gli autori, si sarebbe conquistato un potere quasi monopolistico nei confronti di autori e librerie, essendo poi tale nuovo gruppo anche in grado di mettere in difficoltà le piccole case editrici, non tutelate in alcun modo da noi, al contrario che in altri paesi europei. Ad esempio, in Francia non è possibile vendere i libri sotto al prezzo di copertina.
Ci resterebbe da capire perché la Rizzoli, e dietro di essa i gruppi industriali e finanziari che la governano, abbia dato forfait. Il punto è che l’azienda si trovava piena di debiti, in un mercato in piena mutazione, toccato dalla crisi, ma anche e forse soprattutto da Internet e da fenomeni come Amazon. Gli spazi di movimento si restringono e forse solo un’azienda come la Mondadori, che fa parte di un gruppo con una forte e vasta esposizione sul fronte dei media, nonché guidata da una persona che riesce a usare in maniera molto spregiudicata le leve del potere, può sperare di sopravvivere.
E’ facile immaginare che fra qualche tempo fioccheranno i licenziamenti e i prepensionamenti. Dopo di che, forse, anche la Mondazzoli, come già viene chiamato il nuovo monstrum editoriale, verrà ceduta all’estero al miglior offerente.
Fonte: il manifesto
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