La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 5 ottobre 2015

Dal Tpp al Ttip. Fatto un patto se ne fa un altro?

di Tiziana Barillà
Tre milioni di cittadini europei hanno firmato per dire “stop” all’accordo di libero scambio e investimenti tra Unione Europea e Stati Uniti: il Transatlantic trade and investment partnership, il Ttip. Ma anche al trattato di libero scambio e investimenti tra Canada e Unione Europea. Intanto Obama porta a casa l’altro super-trattato commerciale, quello transpacifico, che vale da solo il 40% dell’economia mondiale. Per liberalizzare un altro 50% del Pil mondiale (naturalmente Usa e Canada sono conteggiati in entrambi i casi), il ponte da fare è quello sull’Atlantico, quello con l’Unione europea, il Ttip appunto. E una volta incassato il successo, ci sono serie possibilità che gli States decidano di dedicarsi anima e corpo.
Barack Obama – questa mattina, 5 ottobre – ha portato a casa l’intesa di libero commercio del Pacifico, quella che coinvolge i suoi Stati Uniti e altri undici Paesi: Giappone, Australia, Brunei, Canada, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Il Trans-Pacific Partnership Tpp, Trattato di libero commercio e investimenti transpacifico.
Dopo anni di negoziati, quindi, è giunta a termine l’intesa che riguarda il 40% dell’economia mondiale. Una vittoria per Obama, che aveva messo questo trattato al centro del suo secondo mandato. Manca solo un piccolissimo passo, il vaglio del Congresso, dopo di che gli Stati Uniti potranno il più grande accordo commerciale concluso dai tempi del Nafta, l’area di scambio del Nordamerica entrata in vigore nel 1994.
La mobilitazione. Dal 10 al 17 ottobre, la Settimana europea
Se i Grandi procedono, gli oppositori incalzano. All’indomani delle tre milioni di firme raccolte – la campagna è chiusa ufficialmente il 6 ottobre – l’Iniziativa autorganizzata dei Cittadini Europei rilancia e indice, in tutta Europa, la Settimana europea di mobilitazione: dal 10 al 17 ottobre. Sabato 10 sarà una giornata di eventi delocalizzati in gran parte dell’Unione, la più grande delle manifestazioni è attesa a Berlino. Anche in Italia si terranno numerose iniziative e il calendario è in continuo aggiornamento. Dal 15 al 17 ottobre a Bruxelles – in occasione del Vertice europeo – scenderanno in piazza i movimenti che si battono contro il Ttip e quelli contro l’austerità. Anche negli Stati Uniti si protesterà, il 14 ottobre con una giornata d’azione sull’impatto dei cambiamenti climatici.

Fonte: Left.it
Originale: http://www.left.it/2015/10/05/tpp-ttip-ue-usa-pacifico/

Approfondimento: Obama firma il Tpp
di Geraldina Colotti

E’ stato fir­mato ad Atlanta il Trans-Pacific Part­ner­ship (Tpp). Il più grande accordo di libero scam­bio della sto­ria recente riguarda gli Stati uniti e altri 11 paesi del Paci­fico: oltre a Europa e Giap­pone, vi par­te­ci­pano Austra­lia, Bru­nei, Canada, Cile, Mala­sia, Mes­sico, Nuova Zelanda, Perù, Sin­ga­pore e Viet­nam. Il più ambi­zioso accordo com­mer­ciale mai rea­liz­zato, pre­pa­rato nel corso di otto anni, include il 40% dell’economia mon­diale. Un grande risul­tato di Obama, che spo­sta gli inte­ressi Usa nel Paci­fico e mira a con­tra­stare l’avanzata della Cina. Manca la rati­fica del Con­gresso degli Stati uniti, ma si potrebbe seguire una pro­ce­dura acce­le­rata. A giu­gno, con 60 voti a favore e 30 con­trari, il Senato ha auto­riz­zato que­sta pro­ce­dura per i trat­tati com­mer­ciali inter­na­zio­nali che con­sen­tono a Obama di rea­liz­zare l’agenda pre­vi­sta. Anche gli altri governi fir­ma­tari dovranno sot­to­porre l’accordo all’approvazione dei sin­goli par­la­menti e far fronte all’opposizione cre­scente dei movi­menti popolari.
Il discorso uffi­ciale esalta le mera­vi­glie del Tpp per l’abbattimento delle bar­riere com­mer­ciali, per l’aumento delle pos­si­bi­lità di lavoro e degli stan­dard ambien­tali tra le nazioni. Un docu­mento pub­bli­cato a gen­naio dal sito Wiki­leaks sin­te­tizza invece la natura neo­li­be­ri­sta dell’accordo e i suoi bene­fi­ciari: in primo luogo le mul­ti­na­zio­nali che avranno campo libero per nuovi mer­cati e potranno elu­dere le nor­ma­tive nazio­nali rivol­gen­dosi a più bene­voli tri­bu­nali di arbi­trag­gio inter­na­zio­nale. Il modello da espor­tare sarà sem­pre più quello delle maqui­las mes­si­cane — le fab­bri­che ad altis­simo sfrut­ta­mento in cui i diritti dei lavo­ra­tori sono pari a zero.
I due grandi tron­coni del Tpp riguar­dano l’Europa (Ttip) e alcune eco­no­mie forti vicine a Washing­ton in Ame­rica latina. Il 20 luglio è già entrato in vigore l’accordo che isti­tui­sce l’Alleanza del Paci­fico, fir­mato da Colom­bia, Cile, Perù e Mes­sico. Un pro­getto messo in moto nel 2012: con l’evidente ten­ta­tivo di con­tra­stare le nuove alleanze soli­dali che fun­zio­nano in quell’America latina che ha scelto «il socia­li­smo del XXI secolo» come pro­pria cor­nice d’insieme. Di tutt’altro tenore sono infatti le rela­zioni poli­ti­che, eco­no­mi­che e sociali messe in campo dall’Alba, l’Alleanza boli­va­riana per i popoli della nostra Ame­rica. Un orga­ni­smo ideato da Cuba e Vene­zuela nel 2004 per con­tra­stare i piani neo­li­be­ri­sti dell’Alca (l’Accordo di libero com­mer­cio per le Ame­ri­che) voluto da Washing­ton allora. All’interno dell’Alba fun­zio­nano pro­grammi e scambi all’insegna della soli­da­rietà, del disarmo e dello svi­luppo real­mente soste­ni­bile in base alla ridi­stri­bu­zione delle risorse a favore delle fasce meno favo­rite. Il petro­lio del Vene­zuela viene ven­duto a basso costo in cam­bio di pro­dotti e tec­no­lo­gia anche all’arco dei paesi in via di svi­luppo nei Caraibi, attra­verso l’alleanza Petro­ca­ribe. Nella pro­spet­tiva del Tpp e a fronte della dra­stica ridu­zione del prezzo del petro­lio che col­pi­sce il Vene­zuela, ad aprile Obama si è recato appunto in Gia­maica: per pro­porre a Petro­ca­ribe di abban­do­nare il Vene­zuela per un più pro­met­tente Messico.
Al con­tempo, è aumen­tata la pres­sione sul Bra­sile, com­plice la debo­lezza del governo Rous­seff. I paesi pro­gres­si­sti cer­cano di imporre un mag­gior segno soli­dale anche a orga­ni­smi più ampi come il Mer­co­sur, il Mer­cato comune dell’America meri­dio­nale a cui par­te­ci­pano anche i due grandi del Lati­noa­me­rica, Argen­tina e Bra­sile. Gli altri mem­bri sono Para­guay, Uru­guay e Vene­zuela. Sono inol­tre Stati asso­ciati la Boli­via e il Cile (dal 1996), il Perù (dal 2003), la Colom­bia e l’Ecuador (dal 2004). Il Vene­zuela è entrato a pieno titolo solo dopo sei anni, il 31 luglio 2012. E, nei recenti incon­tri per defi­nire un trat­tato di libero com­mer­cio con l’Europa, è stato l’unico mem­bro effet­tivo a opporsi, accom­pa­gnato dalla Bolivia.
Il Grande mer­cato tran­sa­tlan­tico è stato pre­pa­rato in que­sti anni in tutta segre­tezza: ma non abba­stanza da non sca­te­nare una ferma e cre­scente mobi­li­ta­zione popo­lare e anche isti­tu­zio­nale, come spie­gano Amé­lie Canonne e Johan Tysz­ler su Le Monde diplo­ma­ti­que, in uscita con il mani­fe­sto il 15 otto­bre. Mobi­li­ta­zioni che, in Uru­guay, hanno spinto il governo di Tabaré Vaz­quez a rece­dere dalla firma del Tisa, un accordo di pri­va­tiz­za­zione dei ser­vizi già pronto per essere applicato.

Fonte: il manifesto 

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