di Paolo Rizzi
Il 27 settembre si sono svolte le elezioni per il Parlamento della Catalogna, la seconda regione spagnole per popolazione e la prima per ricchezza prodotta. Il primo risultato da notare è l’affluenza salita al 77,44%, marcando un +9,68% rispetto alle consultazioni del 2012. Si tratta dall’affluenza più alta della storia per il Parlamento catalano: dopo la fine del franchismo, le elezioni si erano attestate su una partecipazione tra il 55% e il 65%.
La lista vincente è stata Uniti per il Si (JpS) col 39,54% dei voti e 62 seggi su 134. JpS è la lista unitaria formata apposta per le elezioni anticipate volute dal presidente uscente Artur Mas, lista formata dall’alleanza tra i liberali di Convergenza Democratica di Catalogna (CDC) e i socialdemocratici della Sinistra Repubblicana di Catalogna (ECR), dopo la rottura di Mas con l’Unione Democratica di Catalogna (UDC) [1].
Rispetto alle elezioni del 2012, JpS guadagna poche migliaia di voti rispetto alla somma di ECR e di Convergenza e Unione (la lista che sommava CDC e UDC), mentre perde quasi il 5% in termini percentuali. Correndo da sola, l’UDC si è fermata al 2,51% ed è sparita dal Parlamento.
Al secondo posto si sono piazzati i Ciudadanos (Cs), con il 17,92% dei voti e 25 seggi (+10,35% e +16 seggi rispetto al 2012). Al terzo il Partito Socialista con il 12,73%, in perdita dell’1,7%, e 16 seggi.
Quarta forza è “Catalogna Si Che Si Può” (CSQEP), la lista di “unità popolare” sostenuta da Sinistra Unita Alternativa (EUiA), Podemos, da Iniziativa per Catalogna Verdi (ICV) e da altre forze. La CSQEP ha ottenuto l’8,94% dei voti e 11 seggi, cioè quasi l’1% in meno e due seggi in meno rispetto alla classica coalizione di sinistra EUiA-ICV.
Il Partito Popolare (PP) continua a essere in crisi nera, scendendo dal 12,98% all’8,5%. La sesta lista a ottenere rappresentanza nel Parlamento catalano è quella della Candidatura di Unità Popolare (CUP) che passa dal 3,48% all’8,21%, da 3 a 10 seggi.
L’indipendentismo alla prova delle elezioni
Dopo la Dichiarazione di Sovranità assunta dal Parlamento della Catalogna nel 2013 e il rifiuto da parte del governo centrale spagnolo di riconoscere il referendum del 2014, Mas ha voluto dimostrare la propria forza con delle elezioni in cui l’indipendentismo, cioè la creazione di uno stato indipendente della Catalogna, è stata l’argomento unico o quasi. Per la parte liberale di JpS se entro diciotto mesi il governo centrale non avrà concesso l’indipendenza, allora il Parlamento catalano la dichiarerà in maniera unilaterale. Per i socialdemocratici e le piccole organizzazioni di sinistra confluite nel listone indipendentista, il termine deve essere ancora più stringente, entro un anno.
Sotto questo punto di vista, la lista di JpS è arrivata prima, ma non è riuscita a ottenere la vittoria completa. In Parlamento gli indipendentisti (JpS e CUP) hanno una maggioranza di 72 seggi, ma nelle urne si sono fermati a poco meno del 48%. L’opzione della dichiarazione unilaterale di indipendenza non ha quindi la maggioranza dei voti. Ai partiti indipendentisti si affiancano quelli favorevoli al “diritto a decidere”: CSQEP, Socialisti e, pur fuori dal Parlamento, UDC. Questi partiti rimangono favorevoli all’opzione di un referendum vincolante, anche se con varie sfumature a ambiguità sul quesito referendario: più autonomia da Madrid o uno stato indipendente per la Catalogna?
A difendere il no assoluto all’indipendenza sono rimasti il Partito Popolare e i Ciudadanos. Questi ultimi sono nati proprio come lista locale in Catalogna, per poi affermarsi a livello nazionale come sostituti del vecchio PP, rivendicando onestà e un programma politico essenzialmente di destra liberale.
Per il capo del governo del PP, Mariano Rajoy, le trattative possono avvenire solo all’interno delle leggi e delle istituzioni esistenti. Una “apertura al dialogo” che suona ancora beffarda, considerata l’incriminazione di Artur Mas da parte del Tribunale Supremo per aver portato avanti il referendum consultivo contro gli ordini della Corte Costituzionale.
L’indipendentismo alla prova del governo
Il sistema elettorale catalano prevede che il Parlamento voti il Presidente del governo regionale. Alla prima votazione è necessaria la maggioranza assoluta dei seggi, alla seconda basta la maggioranza relativa.
Alcuni media, specialmente quelli italiani, hanno dato per scontata la formazione di un governo indipendentista JpS+CUP che potrebbe vantare una maggioranza assoluta. L’opzione era in realtà poco credibile ed è stata esclusa nel giro di poche ore dal candidato presidente della CUP, Antonio Baños. Se le elezioni sono state monopolizzate dall’indipendentismo, assumere un ruolo di governo significherebbe condividere l’intero programma della “grande coalizione dell’indipendentismo”, incluse le politiche economiche liberali, appena mitigate dalla presenza dei socialdemocratici di ECR. Tra le fila della sinistra indipendentista non sono pochi a pensare che Mas si sia buttato sulla battaglia dell’indipendenza per salvare una carriera politica personale messa a rischio da scandali di corruzione e dal calo di consensi dopo le privatizzazioni e i tagli ai servizi pubblici, senza credere davvero di portare fino in fondo le promesse più radicali.
La CUP ha una storia che affonda nella tradizione anarchica e anticapitalista libertaria della regione, ha una pratica politica molto legata ai movimenti più radicali e all’assemblearismo. La stessa concezione d’indipendenza nazionale della CUP è molto diversa da quella della “grande coalizione”. Per Mas l’obiettivo è la formazione di un nuovo stato membro dell’Unione Europea, per Baños e la CUP, è la formazione di uno stato socialista al di fuori dell’Unione. Dopo le elezioni, la CUP punta a trattare con tutte le forze politiche per trovare un presidente alternativo a Mas che abbandoni le politiche di austerità e porti avanti il processo d’indipendenza.
La formazione di un nuovo governo catalano è, in ogni caso, un processo lungo. Secondo la versione più accreditata, il Parlamento Catalano si riunirà per votare il nuovo presidente il 9 novembre, a un anno esatto dal referendum consultivo sull’indipendenza.
La sinistra tra indipendentismo, diritto a decidere e unità popolare
Esiste per la verità un’ultima proposta per la formazione di una maggioranza di sinistra. Ad avanzarla è il leader di Podemos,Pablo Iglesias, per cui è possibile formare un governo che includa la CUP, gli eletti di CSQEP, i socialisti e gli eletti di sinistra all’interno di JpS. Si tratterebbe della stessa maggioranza che governa Barcellona dopo la vittoria di Barcelona En Comú dello scorso maggio.
Ovviamente, la situazione sarebbe molto diversa da quella di Barcellona, socialisti e anticapitalisti hanno già dichiarato l’impossibilità di far convergere i propri programmi e l’opzione di un governo regionale che sposti la priorità dalla questione nazionale a quella sociale è destinata a rimanere pura teoria.
L’area della sinistra “radicale” è passata dal 13,38% del 2012 al 17,12%, ma ad avvantaggiarsi è stata la formazione che si è più nettamente schierata a favore dell’indipendenza: la CUP. Il tentativo di CSQEP, invece, si è fermato sotto le attese. Alle scorse elezioni europee EUiA-ICV aveva guadagnato il 9,8% e Podemos il 4,7%. Dopo alcuni sondaggi che assegnavano circa il 20%, la lista è scesa inesorabilmente fino all’8,9% delle urne. Pensare che potesse essere ripetuto l’exploit delle comunali, ripetendo in tutte le provincie un’esperienza fortemente legata alla dimensione della grande metropoli, era ingenuo. La lista però è andata sotto ai risultati ottenuti dalla sola EUiA-ICV alle regionali precedenti.
Alberto Garzon (Partito Comunista Spagnolo, leader diIzquierda Unida/Sinistra Unita) riconosce il risultato negativo e si complimenta con Baños e la CUP, mantiene però le differenze tra le formazioni. Per il giovane leader comunista il problema è che la sovranità non può esistere se è guidata da una piccola oligarchia, sia essa spagnola, tedesca o catalana. Per Garzon la strada da seguire è quella dell’unità popolare per guadagnare la democrazia economica e la polarizzazione sulla questione nazionale ha impedito alla sinistra di giocare il ruolo che dovrà avere nelle elezioni politiche di dicembre. Per Izquierda Unida e per EUiA-ICV la maniera di affrontare la questione nazionale catalana rimane quella di dare al popolo il diritto di decidere, cioè indire un referendum legalmente vincolante all’interno della prospettiva di una Terza Repubblica Spagnola, come stato federale con fortissime autonomie.
Le elezioni in Catalogna erano un test importante per la proposta di una candidatura unitaria della sinistra alle elezioni politiche di dicembre. Izquierda Unida sta partecipando alla piattaforma nazionale Ahora En Comun, insieme agli ecologisti di Equo e ad altri movimenti e forze locali. Podemos, invece, è restia a partecipare. In una consultazione interna a luglio, gli iscritti hanno scelto di partecipare a coalizioni di sinistra solo a livello regionale e a patto che il nome della coalizione comprendesse la parola “Podemos”. Questa posizione è stata smentita proprio dalla partecipazione a “Catalogna Si Che Si Può”, anche a causa della debolezza del calo nei sondaggi e della debolezza della formazione di Pablo Iglesias di fronte alla questione nazionale catalana. I magri risultati, però, ridanno fiato alle voci interne a Podemos che considerano le altre forze di sinistra un peso morto di cui liberarsi per poter veramente provare a vincere le elezioni.
Fonte: La Città futura
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