Quello che ha detto Putin a New York in occasione del settantesimo anniversario delle Nazioni Unite non ha certo preso di sorpresa gli osservatori che hanno seguito gli avvenimenti che si sono succeduti in Nord Africa, Siria, Iraq negli ultimi anni. In molti si sono trovati d’accordo con Putin quando ha dichiarato che le cosiddette rivoluzioni democratiche in Libia e in Siria «invece di portare riforme» hanno portato, attraverso l’interferenza dell’Occidente, non al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, ma alla violenza, alla povertà e al disastro sociale, le cui conseguenze ricadono soprattutto sull’Europa. «Non posso non chiedere a coloro che hanno causato questa situazione: vi rendete conto di ciò che avete fatto?».
Naturalmente il presidente Obama non poteva dare ragione a Putin, soprattutto quando la Russia si mette a capo di un’alleanza antiterrorismo, e si è accontentato di dichiarare che lui guida l’esercito più potente che il mondo abbia mai visto. Allo stesso tempo si è detto disposto a collaborare con la Russia e l’Iran per combattere l’ISIS, a patto però che il dittatore siriano Bashar al-Assad se ne vada via subito. Questo naturalmente non avverrà, perché se questo fosse stato possibile non si capisce perché non sia ancora successo in Siria quello che è successo a Saddam Hussein in Iraq e a Gheddafi in Libia (e alle loro famiglie).
Per gli Stati Uniti e i suoi più stretti alleati – soprattutto Francia e Inghilterra, che hanno spinto Obama alla disgraziata avventura libica – si tratta ora solo di salvare mediaticamente la faccia. Il premier inglese Cameron ha già dichiarato, dopo essere stato per mesi inflessibile – Assad must go! –, che ora è disposto ad accettare per un breve periodo di transizione che Assad resti in sella. Ma naturalmente tutti sanno che il “breve periodo di transizione” potrebbe durare anni. Putin non metterà certo a rischio la vita di soldati russi per poi vedere subito cacciato Assad, il suo alleato a Damasco.
Naturalmente, come tutti sanno, Putin non ha aspettato il discorso all’ONU o la eventuale risoluzione del Consiglio di sicurezza che dovrebbe consentire di coordinare tutte le azioni delle forze che contrastano l’ISIS, per preparare la sua controffensiva contro il gruppo armato a fianco dell’esercito governativo di Assad, a cui sono state fornite armi moderne, caccia, missili e, secondo l’Independent di Londra, anche i modernissimi carri armati T-90. È da mesi, con la scusa che questo è previsto dai contratti di fornitura delle armi, che i russi stanno addestrando e aiutando l’esercito siriano per un’offensiva contro l’ISIS. Il 30 settembre, poi, il ministro della Difesa russo ha annunciato ufficialmente che aerei russi, con l’aiuto dell’intelligence siriana e irachena, sono entrati in azione bombardando alcune postazioni strategiche dell’ISIS (secondo il Pentagono hanno bombardato anche le forze sunnite ribelli finanziate dagli americani).
Il primo obiettivo dei russi è probabilmente la riconquista della città romana di Palmira, che potrebbe avvenire nel giro di qualche settimana. La riconquista di Palmira, caduta nelle mani dell’ISIS nello scorso maggio, e possibilmente il salvataggio dei suoi monumenti, avrebbe un valore simbolico enorme agli occhi di tutti i leader del Medio Oriente e non solo. L’Europa stessa, ora assente dai tavoli dove si decide (con, per di più la Francia che ha iniziato incomprensibili e inutili bombardamenti), nonostante sia la più interessata a far terminare la guerra civile in Siria e in Libia, dovrebbe gioirne tutta.
Fonte: Eunews Oneuro
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