di Arianna Gravina
Azar Nafisi: la donna che sogna un futuro migliore per tutte le altre donne.
È così che viene presentata da Loredana Lipperini[1] al pubblico de “I dialoghi di Trani”, festival letterario giunto alla XIV edizione, che quest’anno porta il titolo “Generare dialoghi”.
Ho conosciuto la professoressa Nafisi grazie ad una amica che mi ha fatto il più bel regalo che si possa mai desiderare: mi ha consigliato di leggere Leggere Lolita a Teheran (Adelphi, 2004), il diario-romanzo-saggio incentrato sui protagonisti di quattro grandi romanzi e frammisto di cenni autobiografici, in cui si raccontano gli anni passati a tenere seminari clandestini di letteratura angloamericana alle sue 7 migliori studentesse.
È un libro che mi ha cambiata, come lettrice e come persona, ed è per questo che non ho perso l’occasione di incontrarla e ringraziarla per averlo scritto.
Nel suo nuovo libro, La Repubblica dell’immaginazione. Una vita e i suoi libri (trad.ne di Mariagrazia Gini, Adelphi 2015) la Nafisi ci invita a riflettere e a fare attenzione, perché quando si parla di “Letteratura” bisogna stare in guardia anche in un Paese come l’America: “anche lì deve essere difesa, studiata e diffusa come antidoto speciale alla pigrizia dell’intelletto”. Perché nelle democrazie il nemico da combattere è la tendenza sempre più forte verso il conformismo, la comodità e la compiacenza.
L’idea del libro le è venuta nel 2004 a Roma, dove era stata invitata a partecipare al Festival internazionale delle Letterature e per cui scrisse e lesse uno testo dal titolo Atteggiamento sospetto: il potere sovversivo dell’immaginazione, poi pubblicato sul Book World, il supplemento del Washington Post.
Il libro è stato ispirato dalla conversazione con un giovane iraniano, appena trasferitosi negli Stati Uniti, che la Nafisi ha incontrato durante una presentazione a Seattle.
Per Ramin (nome di fantasia) “libertà” e “diritti fondamentali” non erano semplici parole. Lui aveva sperimentato la loro mancanza ed “era stato costretto a leggere libri, ascoltare musica, ballare e tenere per mano la sua ragazza di nascosto, come un criminale”. E proprio come un criminale, una volta scoperto, era stato punito.
Ma “le società totalitarie e quelle democratiche sono specchi distorcenti che si riflettono a vicenda e predicono i rispettivi potenziali e pericoli nascosti”. Le società totalitarie riconoscono un fortissimo potere alla letteratura e agli scrittori, in qualche modo li temono, li tengono in altissima considerazione – a proposito di ciò Azar Nafisi ricorda l’incontro con Salman Rushdie, al quale fece notare che con la fatwa il regima gli aveva conferito la più alta onorificenza[2]. Nelle società democratiche, invece, stiamo affrontando una crisi non solo politica ed economica ma una crisi di visione: una riforma scolastica che elimina quasi del tutto le materie umanistiche a favore dell’ingegneria, della matematica e dell’informatica, perché si ritiene che la letteratura, la musica, l’arte non siano utili per il mondo del lavoro.
Tra il primo giro di presentazioni, nel 2003 e il successivo, nel 2009[3], molti posti che aveva visitato, da Philadelphia a Milwaukee, e la stessa Washington – città in cui vive – cambiarono notevolmente o scomparvero del tutto prima le librerie indipendenti, e poi le grandi catene, per non parlare di biblioteche, musei, teatri, centri per le arti dello spettacolo etc. Tutti questi luoghi stavano diventando, a poco a poco, delle specie a rischio d’estinzione.
La Repubblica dell’immaginazione è “un mondo parallelo a quello reale, i cui abitanti non hanno bisogno di passaporto né documenti. Gli unici requisiti per l’ingresso sono una mente aperta, un incessante desiderio di conoscere e un indefinibile bisogno di fuggire dall’ordinario”.
Un posto non molto lontano da noi, dal quale possiamo tornare e guardare il mondo con occhi diversi.
Non è un saggio di critica letteraria ma attraverso i tre protagonisti, i tre “eroi piccoli e miti” – usando le parole di Dorothy in risposta al Mago di Oz – la letteratura diventa un pretesto per raccontare i nostri giorni. I protagonisti dei tre grandi classici per eccellenza sono: “Huckleberry Finn” di Twain (“il padre di tutti i personaggi che verranno dopo nella letteratura americana”), “Babbitt” di Sinclair Lewis (“l’antitesi di Huck”) e “Il cuore è un cacciatore solitario” di Carson McCullers. Tre grandi idee di letteratura, i cui protagonisti sono assolutamente moderni e che vanno ad intrecciarsi con i ricordi dell’autrice dell’infanzia a Teheran, degli anni in cui era studentessa alla University of Oklaoma, e del suo diventare cittadina americana nel 2008.
Il libro si chiude con le parole di Francis Scott Fitzgerald:”Spingi la sedia sull’orlo del precipizio e ti racconterò una storia”.
Abbiamo bisogno di storie: la letteratura è il ritorno alla realtà, ci consente di vedere il mondo attraverso gli occhi delle altre persone. Conoscere le storie degli altri perché abbiamo bisogno di connetterci agli altri.
Dovremmo fermarci a pensare al perché persone come Malala o Ramin rischino quotidianamente la propria vita per difendere l’integrità individuale, il loro accesso al libero pensiero e alla libera istruzione. E noi cosa siamo disposti a perdere?
Forse scopriremo il reale valore della letteratura e dell’immaginazione solo quando le avremo perse definitivamente, un po’ come accade al protagonista di “Balzac e la Piccola Sarta Cinese” di Dai Sijie.
Le illustrazioni sono di Peter Sìs che “ha donato una forma fisica alla nostra Repubblica dell’Immaginazione” con i suoi “messaggeri alati che legano la nostra esistenza terrena ai cieli”.
Ho avuto modo di accompagnare la professoressa Nafisi nella sua visita ad una biblioteca a cui sono molto legata e che sta vivendo un profondo periodo di crisi, la “Giovanni Bovio” di Trani: con oltre 140 anni di storia, più di 100.000 volumi e punto di riferimento per tutta la cittadinanza. Questa Biblioteca, da qualche mese, lotta con tutte le sue forze contro il rischio di una terribile chiusura.
Dopo averle mostrato alcuni tra i pezzi più preziosi, nel salutarla le ho detto “grazie per aver scritto: il tuo libro mi ha cambiata come persona e come lettrice”; lei con un sorriso pieno di entusiasmo e dolcezza mi ha risposto che gli scrittori hanno bisogno dei lettori e che anche noi contribuiamo al loro cambiamento.
Durante la conferenza ci ha ricordato che la vita è piena di gioie ma allo stesso tempo ricca di angosce – anche ricordando il suo periodo a Teheran – e ci ha esortati a non aver paura: “la vita è andare dove non sei mai stato”, ci ha detto.
Il nostro saluto a fine giornata è stato “see you in the library”, e credo sarà così: ci incontreremo ancora nei libri e nelle biblioteche, in quelle in cui lavorerò e in quelle in cui lei si recherà per le ricerche o per i più svariati motivi. Magari si ricorderà della bibliotecaria dai capelli verdi!
Note:
Note:
[1] Giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica italiana
[2] Salman Rushdie fu colpito nel 1989 per I versetti satanici da una fatwa di Khomeini che ne decretò la condanna a morte.
[3] Nel 2003 per la promozione di Leggere Lolita a Teheran e nel 2009 per Le cose che non ho detto (è un magnifico ritratto del padre, sindaco di Teheran all’epoca dello scià, e della madre, fra le prime donne entrate al Parlamento iraniano. E la storia dei tradimenti di lui, del mondo fantastico in cui lei a poco a poco trasforma la realtà insopportabile che la circonda, e della forzata, dolorosa connivenza dell’autrice con il padre. Ma anche e soprattutto la rivelazione di come a volte le dittature sembrino riprodurre i silenzi, i ricatti, le doppie verità su cui si regge il primo, e più perfetto, sistema totalitario: la famiglia). In Italia entrambi editi da Adelphi.
Fonte: Siderlandia
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