La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 5 ottobre 2015

Povertà educativa e servizi inesistenti: la scuola italiana non è per nulla “buona”

di Carmine Gazzanni
Marta ha 14 anni, vive a Bari e da meno di un mese ha cominciato le scuole superiori. Fino ad ora farla studiare è stata una vera e propria impresa per la sua famiglia. Il padre fa il rottamaio, come dice nel video realizzato da Save The Children in esclusiva per Linkiesta. Un guadagno troppo basso («10, 20 euro… massimo 30 euro», racconta il padre) anche solo per comprare libri o per far sì che Marta possa andare in gita con gli amici o frequentare corsi extrascolastici.
Nella «buona scuola» di Matteo Renzi e Stefania Giannini, al di là degli annunci, c’è anche questo. Perché fare scuola, significa, soprattutto oggi, garantire a bambini e ragazzi quelle «competenze cognitive indispensabili per farsi strada in un mondo sempre più caratterizzato dall’economia della conoscenza, dalla rapidità delle innovazioni, dalla velocità delle connessioni», come ci dicono direttamente dall’associazione umanitaria che, a riguardo, ha stilato un dettagliato dossier.
Parliamo di «povertà educativa», ovvero della privazione delle competenze necessarie ai bambini e agli adolescenti per crescere e vivere.
Un dettaglio non da poco, se è vero che l’educazione è la chiave per poter comprendere e interpretare la realtà in cui viviamo.


La situazione in Italia
Secondo i test Pisa (Programme for International Student Assessment, il programma internazionale promosso dall’Ocse che permette di valutare la capacità degli studenti di applicare alla vita di tutti i giorni ciò che apprendono dietro i banchi di scuola), in Italia il 24,7% degli alunni di 15 anni non supera il livello minimo di competenze in matematica e il 19,5% in lettura.
In altre parole, un bambino su 4 «non è in grado di ragionare in modo matematico, utilizzare formule, procedure e dati, per descrivere, spiegare e prevedere fenomeni», mentre un bambino su 5 non è in grado di «analizzare e comprendere il significato di ciò che hanno appena letto». Un risultato tutto fuorché encomiabile, considerando che il nostro Paese si colloca al ventiquattresimo posto su 34 Paesi Ocse nella classifica che misura il livello di competenze minime di bambini e ragazzi. In Europa va ancora peggio, dato che ci posizioniamo solo prima di Portogallo, Svezia e Grecia.

Percentuale degli alunni italiani di 15 anni che non raggiungono le competenze minime di lettura
Interessante il raffronto, poi, per aree geografiche. Al Sud, infatti, le stime raccolte da Save The Children peggiorano inesorabilmente. Se al Nord e nel Centro Italia la percentuale di adolescenti che non raggiungono le competenze minime in matematica si attesta tra il 23,2 (Liguria) ed il 13 per cento (Friuli), al Sud e nelle Isole saliamo fino a raggiungere il 46 per cento della Calabria e il 37 della Sicilia. Situazione analoga per i livelli minimi in lettura: al Nord-Ovest il 22 per cento dei minori è in povertà educativa, al Sud si viaggia su una media di oltre il 30%.
Ma non è finita qui. Altro dato su cui bisognerebbe riflettere è relativo alle disuguaglianze di genere associate al contesto geografico. Ancora una volta, il Sud non esce bene dal confronto. Le ragazze meridionali sono maggiormente svantaggiate, sia in matematica che in lettura, rispetto alle loro coetanee settentrionali.
Prendiamo le competenze in matematica. La percentuale delle ragazze che non raggiungono la soglia minima è del 32 per cento al Sud, esattamente il doppio delle regioni settentrionali (16 per cento) e assai di più che al Centro (20%). E i ragazzi? Stesso discorso: il 28 per cento di loro non raggiunge le competenze minime in matematica. E anche qui parliamo esattamente del doppio del dato registrato al Nord (14%).
Status socio-economico e origine migrante
La storia di Marta, raccontata nel video, è eloquente. Specie perché, esattamente come nel suo caso, lo status socio-economico della famiglia è spesso causa di povertà cognitiva. Basti pensare che circa un terzo dei minori di 15 anni che vivono in famiglie con un più basso livello socio-economico e culturale (appartenendo al primo quinto o 20% delle famiglie più disagiate), non raggiunge i livelli minimi di competenza in matematica e lettura.
Ma non basta. Le differenze di reddito dei genitori incidono anche sulla possibilità di fruire di diversi stimoli ricreativi e culturali. I minori che non accedono ad attività ricreative, sportive, formative o culturali toccano quota 64%. Un numero altissimo, che diventa impressionante in Campania (84%), Sicilia (79%) e Calabria (78%). In particolare, il 48,4% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro nell’anno precedente, il 69,4% non ha visitato un sito archeologico e il 55,2% un museo, mentre il 45,5% non ha svolto alcuna attività sportiva.

Percentuale di minori tra 6 e 17 anni che non hanno svolto attività ricreative per livello di risorse economiche
La nostra analisi, però, non finisce qui. Stando ai dati, un altro fattore determinante per la povertà cognitiva è l’origine migrante dei genitori. I ragazzi di 15 anni figli di migranti soffrono maggiormente questo fenomeno. In particolare, ben il 41% dei minori figli di genitori migranti e non nati in Italia (migranti di prima generazione) non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica e lettura. Tale percentuale scende al 31% in matematica e al 29% in lettura per i cosiddetti ragazzi di seconda generazione nati in Italia da genitori stranieri, e si dimezza ulteriormente per i quindicenni non migranti (il 19% in matematica e il 15% in lettura).
In sintesi, conclude Save The Children, «i bambini e gli adolescenti nati in famiglie svantaggiate hanno minori probabilità di raggiungere le competenze minime necessarie per crescere e lavorare nel mondo di oggi e hanno anche meno possibilità di arricchirsi attraverso la cultura e lo sport».
Scuola italiana: bocciata
Una situazione, dunque, profondamente problematica e per la quale occorrerebbe una pronta soluzione. L’ingiustizia della diseguaglianza, infatti, sta proprio «nel lasciare che il futuro dei ragazzi sia determinato da una ‘lotteria sociale’: dalla provenienza sociale, geografica, migratoria, spesso anche di genere». Ed è esattamente a questo compito che la scuola italiana da troppo tempo rinuncia.
Partiamo dagli asili nido. Se l’obiettivo Ue per il 2020 parla di una soglia minima da raggiungere per i servizi dedicati ai bambini tra 0 e 2 anni fissata al 33% per Paese, l’Italia è ancora molto indietro, dato che si attesta al 13,5%. Le differenze per regioni sono abissali: se nel caso dell’Emilia Romagna e della Valle d’Aosta il target del 33% entro il 2020 è a portata di mano (sono oggi al 27%), in regioni quali Calabria, Campania e Puglia non può che essere un miraggio, dato che la presa in carico non supera il 5%. Stesso discorso anche per “insospettabili” regioni come Veneto e Piemonte, ferme al 15%.

Percentuale di classi senza tempo pieno nella scuola primaria
Saliamo con l’età e arriviamo alla scuola elementare. «L’offerta educativa di qualità nella scuola – dicono ancora da Save The Children – si misura innanzitutto attraverso il numero di classi che garantiscono il tempo pieno», intendendolo sia in riferimento al numero di ore per le attività didattiche, sia a quello per le attività extra-curricolari (musica, teatro, sport e via dicendo), e per il sostegno ai bisogni educativi speciali.
Anche in questo caso, il dato è desolante: in media circa il 70% delle classi della scuola primaria non offre il tempo pieno. Solo la Basilicata vanta un’offerta di poco superiore al 50%, mentre in Molise, Sicilia, Campania, Abruzzo e Puglia più dell’80% delle classi non garantisce l’orario lungo. Stesso discorso anche al Nord, con il Veneto che tocca quota 74% e la Liguria il 60. Andrà meglio con la scuola media? Niente affatto. Anzi, il saldo negativo è addirittura maggiore dato che il tempo pieno è un miraggio nell’80% delle classi italiane. Clamoroso il dato molisano: il 99% delle scuole non lo assicura.
Mense, biblioteche, Internet: miraggi e nulla più
E per quanto riguarda i servizi? Peggio che peggio. Nell’era digitale, come detto d’altronde dagli stessi Renzi e Giannini a più riprese, è essenziale preparare sin da piccoli gli studenti alle nuove tecnologie. Peccato però che in diverse regioni italiane da Sud a Nord la percentuale di aule didattiche disconnesse superi il 30% (Basilicata, Piemonte, Veneto, Lazio e Friuli), mentre in Calabria sfiora il 40%.

Percentuale di aule didattiche senza connessione Internet

Per lo meno ci sono i buon vecchi libri cartacei, si penserà. E invece no. Anche per quanto riguarda le biblioteche non brilliamo, dato che, nella stragrande maggioranza dei casi, il servizio è sottodimensionato o poco accessibile. Per non parlare, infine, delle mense. Da un lato, troviamo regioni dove il servizio è assente in quasi un terzo delle istituzioni scolastiche, tra cui Liguria (29%), Lombardia (27%) e Piemonte (27%); dall’altro abbiamo regioni nelle quali il servizio non è presente in circa metà degli istituti, come capita in Sicilia (49%), Campania (51%) e Puglia (53%). Insomma, così messa, tra povertà educativa e dis-servizi, la scuola oggi tanto “buona” non è.

Fonte: Linkiesta.it 

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