La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 3 novembre 2015

Il messianesimo della povertà

di Antonello Santagata
Sono pas­sati solo due anni e mezzo da quando papa Fran­ce­sco ha aperto il suo «can­tiere eccle­siale» e il cre­scente con­senso nella comu­nità dei fedeli sem­bra dare ragione al pro­cesso di riforma. In tempi di crisi il discorso del papa tocca le corde sen­si­bili, parla a tutti e diventa un punto di rife­ri­mento per la società. L’antologia dei discorsi pub­bli­cata da Jaca Book (Pasto­rale sociale) è dun­que uno stru­mento pre­zioso per riper­cor­rere la genea­lo­gia del lin­guag­gio di Ber­go­glio e stu­diarne l’evoluzione dalla seconda metà degli anni Set­tanta. Per una let­tura cri­tica di que­sti testi si può fare rife­ri­mento a altre due pub­bli­ca­zioni recenti: l’agile volume di Diego Fares, Papa Fran­ce­sco è come un bambù (La Civiltà Cat­to­lica), e la Le Monde selon Fra­nçois di Ber­na­dette Sau­va­get, opi­nio­ni­sta di Libe­ra­tion, pub­bli­cata per le Édi­tions du Cerf.
Merito prin­ci­pale della pub­bli­ca­zione di Sau­va­get è aver resti­tuito alla sto­ria le cate­go­rie papali di «cul­tura dell’incontro» e «pietà popo­lare»: è la sto­ria dello scon­tro nell’ordine dei gesuiti tra i set­tori filo-marxisti e i fian­cheg­gia­tori del regime di Videla e, soprat­tutto, è quella di Ber­go­glio, chia­mato come Pro­vin­ciale per restau­rare la con­cor­dia nella Com­pa­gnia argen­tina. Siamo negli anni del governo di Arrupe, che guida i gesuiti verso l’impegno politico-sociale, ma i rife­ri­menti teo­lo­gici del gesuita Ber­go­glio più che i teo­logi della rivo­lu­zione sono Hans Urs von Bal­tha­sar e Romano Guar­dini, a cui dedi­cherà i suoi studi di dot­to­rato in Ger­ma­nia. Secondo Fares, nasce da qui l’«antropologia poli­tica» di Ber­go­glio, dalla con­ce­zione guar­di­niana della «pros­si­mità» ai poveri e della «con­tem­pla­zione» del Cri­sto negli ultimi. Nello stesso tempo – un punto cen­trale – la ten­sione all’unità assume fin dai primi inter­venti un valore poli­tico di stampo organicista.
L’unità prima di tutto
Nella visione della «teo­lo­gia del popolo» di Lucio Gera e Juan Car­los Scan­none, mae­stri di Ber­go­glio e voci tutt’altro che ina­scol­tate anche a sini­stra, il mito nazional-cattolico si declina nell’idea che il tutto sia sem­pre supe­riore alla parte: un prin­ci­pio que­sto par­ti­co­lar­mente caro anche all’attuale pon­te­fice. Scan­none insi­ste più sul signi­fi­cato teo­lo­gico del popolo stesso che sulla sua libe­ra­zione poli­tica e eco­no­mica. Anche se que­sti signi­fi­cati non sono esclusi, c’è un’importante dif­fe­renza di accento con la teo­lo­gia della libe­ra­zione. La stessa che ritro­viamo nella for­mula uti­liz­zata da Ber­go­glio nel discorso di aper­tura della Con­gre­ga­zione gene­rale del 1974 e poi ripresa nella Lau­dato si’: «L’unità è supe­riore al con­flitto; il tutto è supe­riore alla parte; il tempo è supe­riore allo spazio».
Un’altra for­mula ricor­data da Fares riguarda il «rico­no­sci­mento del senso di riserva reli­giosa che il popolo pos­siede», impie­gata per la prima volta in un arti­colo del 1979, lo stesso anno della con­fe­renza eccle­siale con­ti­nen­tale di Pue­bla in cui Gio­vanni Paolo II attacca le teo­lo­gie della libe­ra­zione. In que­sto caso, si tratta di un’affermazione che ha soprat­tutto un valore erme­neu­tico, dal momento che nell’impostazione di Ber­go­glio, mutuata dal Den­zin­ger, il popolo fedele è «infal­li­bile nel cre­dere». Nella lezione del Vati­cano II il «popolo di Dio» è però anche il pro­ta­go­ni­sta della sto­ria della sal­vezza e per­tanto il com­pito della Chiesa deve «limi­tarsi» all’evangelizzazione delle dif­fe­renti cul­ture popo­lari, cia­scuna delle quali «esige che il Cri­sto venga annun­ciato e accolto in modi differenti».
La parola chiave è dun­que «incul­tu­ra­zione», cate­go­ria al cen­tro dello scon­tro del 1988 sul decreto IV della XXXII Con­gre­ga­zione gene­rale della Com­pa­gnia, dedi­cato alla rea­liz­za­zione con­creta dell’«opzione pre­fe­ren­ziale per i poveri» rac­co­man­data dal Con­ci­lio. Sulla rivi­sta «Stro­mata» Ber­go­glio prende le distanze dallo «spi­ri­tua­li­smo disin­car­nato dei con­ser­va­tori e dall’attivismo seco­la­riz­zato dei filo-marxisti». L’anno seguente sulla mede­sima rivi­sta lan­cia la que­stione della rifon­da­zione del «poli­tico» con­tro il neo-liberalismo e la subor­di­na­zione della demo­cra­zia alla tec­nica e alla finanza.
Gli osser­va­tori più attenti alla sto­ria della Chiesa hanno osser­vato la per­ma­nenza nella rifles­sione di papa Fran­ce­sco sull’economia poli­tica di alcuni ele­menti tipici della men­ta­lità anti-moderna. Gli attac­chi al «mes­sia­ni­smo pro­fano» e alla poli­tica «degli uomini gno­stici» face­vano già parte del lin­guag­gio di Woj­tyla e Ratzin­ger. La dif­fe­renza con i pre­de­ces­sori la fanno i toni (deci­sa­mente più radi­cali), la cen­tra­lità dei subal­terni nella pasto­rale del pon­te­fice e il con­te­sto in cui i discorsi ven­gono pro­nun­ciati, dagli anni Due­mila nell’Argentina deva­stata dal sac­cheg­gio neo-liberista alla crisi dell’ordine eco­no­mico occi­den­tale dei nostri giorni. Tra i discorsi poli­tici pro­po­sti nell’antologia ce n’è uno del 2004 in cui il pri­mate della Chiesa argen­tina ritorna sulle frat­ture della società nazio­nale come causa prima della sua deca­denza e accusa la classe diri­gente di aver per­duto la sua capa­cità di media­zione e di essersi sven­duta agli inte­ressi della finanza. Nel 2007 le linee guida della «Chiesa mis­sio­na­ria» e dell’«opzione pre­fe­ren­ziale per i poveri» sono state riprese nel Docu­mento di Apa­re­cida, in cui i ver­tici della Chiesa lati­noa­me­ri­cana hanno ele­vato al livello pro­gram­ma­tico gli orien­ta­menti della teo­lo­gia del popolo.
Gesti pro­fe­tici
Da papa, infine, Ber­go­glio è tor­nato in mol­te­plici occa­sioni a tuo­nare con­tro le delo­ca­liz­za­zioni e la «glo­ba­liz­za­zione dell’indifferenza» alter­nando con grande sapienza comu­ni­ca­tiva la parola al gesto «pro­fe­tico»: dalla visita a Lam­pe­dusa alla pre­ghiera davanti al Muro di sepa­ra­zione a Betlemme. Va notato, inol­tre, che in occa­sione dei due incon­tri con i movi­menti popo­lari (a Roma e a Santa Cruz) Fran­ce­sco non ha esi­tato a soste­nere la lotta dei poveri, ripren­dendo nuo­va­mente la sua rifles­sione sul popolo come agente pro­gres­sivo. La cate­go­ria del con­flitto sociale è quindi pre­sente, ma da una valu­ta­zione com­ples­siva del discorso di Ber­go­glio emerge una sostan­ziale coe­renza nel ragio­na­mento che porta il pon­te­fice a riba­dire nell’ultima enci­clica che «l’unità è (sem­pre) supe­riore al conflitto».
Fran­ce­sco non è un mar­xi­sta e nep­pure può essere ascritto alla sini­stra post-conciliare, ma in maniera coe­rente con il suo per­corso teo­lo­gico e pasto­rale rilan­cia con suc­cesso la pro­po­sta cat­to­lica per­ché torna a par­lare del mondo e delle sue con­trad­di­zioni in modo pun­tuale e cre­di­bile. La forza comu­ni­ca­tiva di que­sta pro­po­sta ci dice molto non solo della Chiesa di oggi, ma anche dei carat­teri della società post-moderna, della crisi della sini­stra e sulla tra­sfor­ma­zioni dell’immaginario collettivo.

Fonte: il manifesto

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