di Marco Bascetta e Sandro Mezzadra
La forma in cui si è svolta la presentazione di DiEM 25 (Democracy in Europe Movement 2025) si è rivelata senz’altro di forte impatto. Entrata in scena da grande attore dell’anfitrione Yanis Varoufakis, solo sul palco della Volksbühne per circa una mezz’ora, pubblico foltissimo, attento per più di tre ore e molto partecipe. Al microfono si alternano esponenti politici, di partito e indipendenti, amministratori locali, attivisti dei movimenti, sindacalisti e nomi di grande risonanza come Brian Eno e, in video, Julien Assange, Ada Colau, la ex ministra della giustizia francese Christiane Toubira, Slavoj Zizek e l’economista americano James Galbraith. Molto significativa la presenza tedesca, con la segretaria della Linke Katja Kipping, il dirigente del sindacato metalmeccanico IG Metall Hans-Jürgen Urban e un’attivista della rete di movimento “Blockupy”.
Ma non sono mancati interventi dall’Inghilterra, dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Irlanda e da altri Paesi europei, con un forte protagonismo femminile che è stato uno dei segni più visibili ed efficaci del meeting. Colpiva però l’assenza di voci provenienti dall’Italia, rimasta ai margini dei nuovi processi politici europei.
Ma non sono mancati interventi dall’Inghilterra, dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Irlanda e da altri Paesi europei, con un forte protagonismo femminile che è stato uno dei segni più visibili ed efficaci del meeting. Colpiva però l’assenza di voci provenienti dall’Italia, rimasta ai margini dei nuovi processi politici europei.
L’impostazione comunicativa scelta si presta certo a numerose obiezioni e critiche. Nel complesso la serata è stata dominata dalla personalità di Varoufakis, attorno a cui ruota per il momento l’intero progetto di DiEM 25. Può destare perplessità anche la prevalenza di esponenti politici, sia pure spesso indipendenti, rispetto all’insieme eterogeneo dei soggetti a cui l’iniziativa dichiara di volersi rivolgere. Ne è derivata una certa ridondanza degli interventi, spesso rimasti all’interno di quella dimensione politica istituzionale che il progetto pan-europeista di Varoufakis si propone di eccedere. Nel suo impatto mediatico e spettacolare, poi, l’evento non può essere facilmente riprodotto. E rimane inoltre indefinito il modo in cui l’iniziativa possa articolarsi e consolidarsi nel tempo. Nondimeno, valutando la giornata del 9 febbraio nel suo insieme e nelle sue potenzialità, l’elemento dell’apertura e della proiezione in avanti ci sembra prevalere.
Si tratterà in ogni caso di sviluppare positivamente questa apertura dando consistenza agli obiettivi che l’iniziativa si propone e cominciando ad affrontare alcuni problemi che lo stesso testo del Manifesto ci consegna come irrisolti.
Questo vale in primo luogo per l’insistito riferimento alla democrazia, alla sua crisi e alla sua necessaria reinvenzione. Di tanto in tanto sembra emergere la tentazione di dare una soluzione semplice a queste difficoltà, immaginando una restaurazione delle forme classiche della democrazia rappresentativa e una loro semplice proiezione sul livello europeo. Anche se lo stesso Varoufakis ha sottolineato a più riprese che la democrazia «non è uno stato ma un processo» e che il deficit democratico delle istituzioni europee ha la sua origine nel progressivo svuotamento della rappresentanza negli Stati che continuano a essere gli attori principali nell’architettura dell’Unione: tanto più dopo l’impatto combinato della crisi dei debiti sovrani e di quella che viene definita dei migranti.
A noi pare che la crisi della rappresentanza abbia radici strutturali tanto nei contesti nazionali quando in quello europeo. La sfida di fronte a cui si trova un’iniziativa come quella di DiEM 25 è precisamente quella di reagire a questa situazione con uno sforzo di immaginazione e innovazione politica. L’Europa può essere lo spazio in cui sperimentare l’azione combinata di movimenti sociali, articolazioni istituzionali, veri e propri contropoteri capaci di contrastare le politiche di sfruttamento (dumping salariale, limitazioni dell’accesso al Welfare, politiche di gestione dei confini e delle migrazioni, per fare qualche esempio) che si avvalgono della frammentazione sociale della forza lavoro e della stessa competizione fra i Paesi membri dell’Unione. Questa azione combinata, non meramente resistenziale, deve essere sperimentata su una molteplicità di livelli: la reinvenzione della democrazia in Europa, in altri termini, non può essere confinata in un’astratta dimensione istituzionale o simbolica (pensata secondo il modello di uno Stato nazione allargato su scala continentale), ma prende corpo nelle esperienze conflittuali che crescono in specifiche vertenze e in specifici luoghi – ad esempio nelle “città ribelli” rappresentate sul palco della Volksbühne dalle esperienze di Barcellona e La Coruña.
Queste esperienze situate devono però trovare la loro espressione in una forza politica transnazionale. Di quest’ultima abbiamo tuttavia pochi esempi, e tutti scarsamente utilizzabili, per quanto le molte esperienze di costruzione di reti a livello europeo rappresentino comunque una base di riferimento essenziale. Registrando l’insufficienza dell’articolazione nazionale della forma partito, ma anche del sindacato e dei movimenti, l’iniziativa di DiEM 25 pone quantomeno l’urgenza di superare questa impasse. E invita a tenere insieme proprio le dimensioni tradizionalmente separate della politica, dell’azione sindacale e dei movimenti sociali. Si tratta insomma di mettere a tema i limiti di un internazionalismo fondato su basi di mera solidarietà o affinità ideologica, e contemporaneamente di lavorare al superamento di quella “divisione del lavoro” che affida la trasformazione sociale all’intervento separato di diversi soggetti, ciascuno con una specifica competenza. Un “partito” transnazionale, a cui pure qualcuno accenna, non può semplicemente riprodurre su scala allargata la forma partito così come ci è stata tramandata ma deve essere appunto espressione della convergenza (e anche degli attriti) tra questi diversi soggetti. Il punto non è, evidentemente, pensare a un lineare superamento della distinzione tra partiti, sindacati e movimenti, ma dare positiva espressione al moltiplicarsi dei punti di intersezione tra la loro azione.
La questione della reinvenzione della democrazia si incrocia qui necessariamente con quella delle trasformazioni del capitalismo, del lavoro e delle stesse forme di vita in Europa. È un tema di cui non si è parlato molto durante l’evento berlinese, se non per denunciare l’immiserimento materiale e politico di settori sempre più ampi di popolazione. Considerare i soggetti sociali semplicemente come vittime dell’austerity (o delle politiche di controllo dei confini nel caso dei migranti) finisce per riproporre la delega a una forza politica incaricata di riscattare questi soggetti dalla miseria e dalla subordinazione. Altra ci sembra che dovrebbe e potrebbe essere l’ambizione di un progetto come quello di DiEM 25: legare cioè in modo diretto la questione della democrazia al ruolo che una nuova costellazione di forze materiali svolge nella produzione della ricchezza sociale. Tutt’altro che marginali o sprovvedute, queste figure produttive – per le quali la libertà di movimento è un esercizio imprescindibile – costituiscono con le loro pratiche e con le loro lotte la base fondamentale su cui può essere oggi impiantata una democrazia non racchiusa nei confini nazionali.
Fonte: il manifesto
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