di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli
Matteo Renzi ha fatto della meritocrazia una dei suoi slogan preferiti. Ma cos’è veramente la meritocrazia? La parola venne coniata da Michael Young, sociologo e politico britannico, che nel 1958 scrisse un saggio di fantapolitica (oltre che di fantasociologia e fantaeconomia) dal titolo The Rise of Meritocracy. La meritocrazia è vista in questo libro non come un’utopia ma in luce negativa, in chiave distopica.
Vi si descrive la società dell'anno 2033, in cui “l’egualitarismo sentimentale” del passato è stato volutamente messo da parte a favore di rigidi meccanismi meritocratici. Il risultato è una società fortemente divisa tra classi alte di presunti “meritevoli” e una plebaglia di subalterni “non-meritevoli”.
Il saggio di Young (pubblicato recentemente in traduzione italiana da Edizioni di Comunità) ha svariati target polemici, e contiene molti spunti interessanti che andrebbero discussi con attenzione. Ma qui vogliamo ricordare che Young ebbe difficoltà a pubblicare il libro, e che quando uscì nessuno ne parlò.
Ciononostante, la parola “meritocrazia” venne immediatamente adottata in senso positivo, fino a diventare estremamente popolare nel Regno Unito degli anni ‘90.
Ciononostante, la parola “meritocrazia” venne immediatamente adottata in senso positivo, fino a diventare estremamente popolare nel Regno Unito degli anni ‘90.
In un articolo del 2001, scritto per il Guardian pochi mesi prima della morte, Young commenta il successo della parola da lui coniata. Si dice triste e addolorato dall’uso che ne fanno gli apologeti del merito. In particolare, chiede a Tony Blair che smetta di usare il termine. Blair era al tempo premier britannico e leader del Labour, il partito di cui Young aveva fatto parte.
Nell'articolo Young non nasconde il fastidio profondo che prova per la retorica meritocratica di cui Blair (come oggi Renzi) faceva abbondante uso. E Young fa anche notare che il governo a guida laburista per il quale aveva lavorato, il governo Attlee, conteneva tanti ministri di umili origini, provenienti da famiglie povere, e quindi con esperienza diretta delle difficoltà che la gente comune si trova ad affrontare ogni giorno.
Eletto alla fine della seconda guerra mondiale e succeduto al governo di Winston Churchill, il governo di Clement Attlee mise in atto molte fondamentali riforme a favore della gente comune. Basti citare Nye Bevan, figlio di un minatore e di una sarta, Ministro della Salute di quel governo. Bevan diede vita al National Health Service, il primo servizio sanitario nazionale al mondo, un sistema che tra l’altro Blair ha contribuito ad indebolire (così come Renzi sta cercando di indebolire la sanità pubblica in Italia...).
Il contrasto tracciato da Young mette in luce un problema fondamentale dell’attuale idolatria per la meritocrazia. La retorica meritocratica tende a favorire chi ha accesso a grandi risorse. Si tratta di risorse economiche, ma anche di opportunità di tipo sociale: che tipo di persone si conoscono, a quali network sociali si ha accesso, che tipo di viaggi o di tirocini ci si può permettere, ecc.
Chi ha di più in partenza riesce a ottenere di più al punto di arrivo, e soprattutto ad apparire più meritevole agli occhi di chi conta. Questo è un problema che gli apologeti della meritocrazia o non menzionano affatto o cercano di risolvere facendo appello alle pari opportunità (alle equal opportunities). Ma in un mondo in cui le pari opportunità non esistono – e per come è organizzato non possono esistere – l’idolatria per la meritocrazia porta più disuguaglianza. E quindi genera una maggiore concentrazione di ricchezze, prestigio e potere nelle mani di pochi.
La distribuzione ineguale di alcuni incentivi può talvolta essere utile per il buon funzionamento di una società che vuole produrre ricchezza e innovazioni di cui tutti dovrebbero (almeno in teoria) poter beneficiare. Ma la retorica meritocratica si spinge ben oltre questa semplice constatazione. È una retorica congegnata per fare accettare a tanti quei meccanismi che permettono a pochi di vincere la competizione sociale. Il messaggio è: la vostra posizione di subalternità vi sembra ingiusta, ma invece ve la meritate, e quindi mettetevi l’anima in pace, chinate il capo, accettate in silenzio e cercate di imparare da chi ha più successo di voi.
Negli ultimi decenni, la retorica meritocratica ha avuto grande successo, infettando anche tutti i partiti di centro-sinistra occidentali, inclusi quelli italiani. E ha contribuito a rendere le nostre società più diseguali e più ingiuste.
Fonte: MicroMega online
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