La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 6 ottobre 2015

Crescita modesta, con molti precari. Ed esplodono i voucher

di Marta Fana
Gli ultimi dati sull’occupazione pub­bli­cati nei giorni scorsi dall’Istat con­ti­nuano a mostrare una debole ripresa del mer­cato del lavoro ad ago­sto. Gli occu­pati, rispetto al mese di luglio aumen­tano di 69 mila unità, men­tre dimi­nui­scono i disoc­cu­pati di 11 mila.
Nel con­fronto più ampio in ter­mini tem­po­rali, si nota che rispetto a un anno fa ci sono 325 mila occu­pati in più, di cui il 99,9% sono lavo­ra­tori dipen­denti, men­tre la restante parte riguarda gli indi­pen­denti. C’è chi, come il pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi, ha voluto tem­pe­sti­va­mente attri­buire que­sto aumento al Jobs Act, nono­stante l’evidente scol­la­mento tra la realtà e i fatti. Come sap­piamo il Jobs Act, al netto della riforma Poletti appro­vata nel mag­gio scorso, entra in vigore solo a marzo di quest’anno, pre­ce­duta dall’introduzione degli sgravi con­tri­bu­tivi sul costo del lavoro a gen­naio. Ciò implica che, dei nuovi 188 mila lavo­ra­tori a tempo inde­ter­mi­nato in più in un anno, i 76 mila assunti tra ago­sto e fine dicem­bre 2014, cioè il 40% del totale, non riguar­dano in alcun modo le riforme del governo. Inol­tre, a guar­dare i dati da gen­naio 2015, il con­tri­buto dei lavo­ra­tori a tempo “inde­ter­mi­nato” all’aumento dell’occupazione si ferma al 42%, men­tre quello degli occu­pati a ter­mine è del 58%.
In ter­mini per­cen­tuali, que­ste varia­zioni si tra­du­cono in un aumento dell’occupazione a ter­mine del 6,79% e dello 0,77% per quella “per­ma­nente” nei primi otto mesi del 2015. Se in ter­mini ana­gra­fici vince la Riforma For­nero, sul tipo di con­tratto potremmo dire che il decreto Poletti supera in effi­ca­cia le tutele cre­scenti e gli sgravi. Ma la que­stione è più complessa.
Innan­zi­tutto, è un dato ine­lu­di­bile che la ripresa dell’occupazione è il risul­tato di un feno­meno di ciclo eco­no­mico, che inve­ste, come mostra l’Eurostat, quasi tutti i paesi dell’eurozona.
Gli entu­sia­smi e i pro­clami del governo ser­vono solo a giu­sti­fi­care la spesa soste­nuta per gli incen­tivi alle imprese sul costo del lavoro, che di fronte ai dati euro­pei appare se non super­flua, al limite dell’accettabile. In Ita­lia, per gua­da­gnare qual­che irri­so­rio deci­male sul tasso di occu­pa­zione si met­tono a bilan­cio 15 miliardi di euro nel trien­nio, pagati con tagli tra­sver­sali della spesa per i diritti essen­ziali, come la disa­bi­lità, scuola e la sanità.
Nono­stante gli sgravi, il tasso di crea­zione di posti di lavoro da parte delle imprese rimane ben al di sotto della media euro­pea, rispet­ti­va­mente 0,7 con­tro 1,7. Un’ulteriore con­ferma delle carat­te­ri­sti­che di que­sta ripresa dell’occupazione, che si sostan­zia in ter­mini di ore lavo­rate dal calo della cassa inte­gra­zione e non di un’espansione vera e pro­pria dei set­tori pro­dut­tivi. A riguardo, ricorda l’Istat, il tasso di inve­sti­mento delle imprese ita­liane rimane sta­bile a un esi­guo 19% del valore aggiunto, in aumento di appena lo 0,1% rispetto a un anno fa.
Tor­nando ai dati sull’occupazione, sarebbe oppor­tuno sof­fer­marsi sulla note­vole espan­sione degli occu­pati a tempo “inde­ter­mi­nato” che viene dai con­tratti di som­mi­ni­stra­zione, cioè quei con­tratti avviati tra agen­zie inte­ri­nali e lavo­ra­tori, che svol­gono le pre­sta­zioni lavo­ra­tive presso le aziende oppure baste­rebbe guar­dare ai dati sui vou­cher per ren­dersi conto che forse il nostro mer­cato del lavoro non gode di ottima salute. Un dato che il governo tende a disco­no­scere, nono­stante i sol­le­citi del pre­si­dente dell’Inps Boeri di fronte a un aumento nella ven­dita dei buoni lavoro del 73% nei primi 7 mesi del 2015 rispetto a un anno fa.
Appare chiaro quanto allar­mante che l’esplosione dei vou­cher sia accom­pa­gnata da uno stra­vol­gi­mento della loro stessa fun­zione: nati per rego­lare rap­porti di lavoro occa­sio­nali, sem­brano essere oggi uti­liz­zati per lavori veri e pro­pri che nulla hanno a che vedere con l’occasionalità delle prestazioni.
Pro­prio il Jobs Act ha ulte­rior­mente libe­ra­liz­zato l’istituto dei vou­cher aumen­tando i mas­si­mali di red­dito per­ce­pi­bili tra­mite buoni lavoro, di con­se­guenza, quando si parla di valu­ta­zione della riforma del lavoro biso­gne­rebbe tenere den­tro tutti i pezzi che la com­pon­gono non sol­tanto quelli che fanno comodo alla pro­pa­ganda di governo, nono­stante venga costan­te­mente smentita.

Fonte: il manifesto 

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