La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 5 ottobre 2015

Portogallo: l'austerity logora poco, ma cresce la sinistra

di Marcello Sacco
Nel saggio La strada di Wigan Pier, George Orwell si chiede perché, se il Socialismo è un bene per gran parte dell’umanità, gran parte dell’umanità non sia socialista. Le elezioni legislative di domenica scorsa, in Portogallo, sollevano il risvolto di quel dubbio, una domanda simile ma già meno ambiziosa: se un governo di fatto commissariato dalla troika Fmi-Ue-Bce per tre anni su quattro del proprio mandato ha governato contro gran parte della popolazione, perché quella stessa popolazione non lo spedisce democraticamente a casa quattro anni dopo? La risposta forse contraddice uno slogan caro a movimenti come Occupy Wall Street. Saremo anche il 99% della popolazione mondiale contro l’1%, però quella massa maggioritaria informe è tutt’altro che compatta, lasciatevelo dire dai portoghesi. Ma procediamo per ordine.
Il governo dei socialdemocratici del premier Passos Coelho e dei democristiani del Cds-Pp, del vicepremier Paulo Portas, negli ultimi quattro anni ha tagliato la spesa pubblica in settori fondamentali per la coesione sociale come pensioni, sussidi, sanità, istruzione, servizi; ha privatizzato tutto il privatizzabile anche in settori strategici, dall’energia ai trasporti passando per le telecomunicazioni; ha tagliato salari già tra i più bassi d’Europa e, quando la Corte costituzionale ha posto freno a un accanimento rivolto quasi esclusivamente alla pubblica amministrazione, ha aumentato le tasse a tutti i lavoratori dipendenti, mentre a quelli del commercio aumentava l’Iva eliminando l’aliquota intermedia. 
Forse nessun architetto dell’austerità avrebbe mai previsto che un governo in queste condizioni superasse una prova elettorale. Quando l’anno scorso il Partito socialista portoghese, sotto la guida di António José Seguro, vinse solo di misura le elezioni europee contro la stessa coalizione (con un nome diverso), il sindaco di Lisbona António Costa si fece avanti con una novità assoluta nel sistema politico portoghese (piuttosto conservatore, si è capito): le elezioni primarie, perché pareva inaccettabile che il Ps vincesse di misura. E invece mai come in questa campagna elettorale si è dimostrato che il potere logora chi non ce l’ha.
La coalizione è partita scegliendosi un nome (Portugal à Frente: il Portogallo avanti, o il Portogallo innanzitutto) sufficientemente post-ideologico e patriottico che, riassunto in una sigla, diventava un simpatico nomignolo da Supergulp (Pàf) e ha impostato una campagna elettorale tutta all’insegna della vaghezza. Noi vi abbiamo portato fuori dal tunnel del piano finanziario della troika, noi vi manterremo in Europa senza avventurismi di tipo greco. Niente facce note di odiati ministri nella cartellonistica stradale, niente dettagli su un piano di riforma della previdenza sociale già consegnato a Bruxelles. Ma non erano stati loro a scandalizzarsi del fatto che l’ex premier José Sócrates (ora agli arresti domiciliari, per aggravare l’imbarazzo di Costa, suo ex ministro) aveva presentato la manovra passata alla storia come Pec IV ad Angela Merkel prima che al Parlamento nazionale?
Costa invece arrivava all’appuntamento elettorale con una bella commissione di esperti economisti e presentava un piano di riduzione delle imposte che avrebbe dovuto far crescere l’economia e i posti di lavoro. Paradossalmente il più liberale era il socialista. E paradossalmente, presentandosi con i compitini fatti, si è trovato a dover dare più spiegazioni in accesissimi dibattiti televisivi, che ancora una volta scalzavano futebol e telenovelas dal top degli indici d’ascolto, rivelando che qualche taglio alle pensioni non contributive lo prevedevano anche gli economisti socialisti. Così anche Costa come Sócrates, quando nel 2011 il suo governo cadde, finiva sotto il fuoco incrociato della destra e della sinistra. Il risultato è il Pàf al 38% circa e il Ps al 32,4%. La destra perde voti (nel 2011 il Psd da solo aveva fatto la stessa percentuale), ma fa finta di niente, mentre la ferita socialista sanguina a sinistra.
Se infatti il Partito comunista portoghese (8,3%) conferma il suo zoccolo duro (circa mezzo milione di elettori su un totale di nove milioni e mezzo, con una percentuale che sale e scende a seconda dell’astensionismo, quest’anno oltre il 43%), la grande sorpresa della notte elettorale è certamente il Bloco de Esqueda (Blocco di Sinistra), che supera il 10%. Al contrario di alcuni recenti movimenti che, un po’ come le marche taroccate a imitare il logo delle grandi firme, sono stati improvvisati sull’onda di Syriza e Podemos, il BE è nato negli anni ’90, è entrato in Parlamento nel ’99 e lo stesso Syriza potrebbe essere considerato una sua imitazione. Riunisce diversi gruppi della sinistra extraparlamentare, fino allora piuttosto velleitaria, stavolta guidati da una leadership di tutto rispetto fatta di giornalisti come il compianto Miguel Portas (eurodeputato e fratello del vicepremier democristiano), economisti come Francisco Louçã e storici come Fernando Rosas. 
Si tratta di un pugno di intellettuali che non si sente a proprio agio all’interno di un Partito comunista che, ben prima della troika, faceva fatica a digerire la Perestroika. Sognano una sinistra moderna, ma non per questo meno radicale o intransigente. Per coglierne le differenze basterebbe sfogliare il giornale comunista Avante, che ogni settimana sembra un ciclostile scongelato dei tempi in cui veniva eroicamente distribuito nella clandestinità, e il sito http://www.esquerda.net/, che invece è oggi una fonte utile anche per quei giornalisti che vogliono capire meglio che cosa sta succedendo in Portogallo, condividano o meno tutte le posizioni del Bloco.
Il BE era caduto in una profonda crisi con la fine del governo Sócrates, di cui si era reso attivamente responsabile col suo voto di sfiducia. Ad aggravare le tensioni interne si erano aggiunti lutti (come quello di Portas) e scissioni (come quelle di Rui Tavares e Ana Drago, fondatori della lista Livre-Tempo de Avançar, che non ha ottenuto nessun deputato, o della psicologa Joana Amaral Dias, tra le prime animatrici del Podemos portoghese, poi della lista Agir, poi finita a posare nuda per un paio di riviste patinate, in piena campagna elettorale). Il BE si è ritrovato a essere guidato da una coppia di “ragazzine” su cui all’inizio nessun umorista risparmiava battute: l’ex attice teatrale quarantenne Catarina Martins e la deputata trentenne Mariana Mortágua, che a 27 anni aveva dovuto sospendere un dottorato a Londra per venire a occupare il posto del suo mentore dimissionario, Louçã. Partite entrambe con la timidezza di chi si ritrova all’improvviso catapultato sul boccascena, ostracizzate anche internamente (Martins ufficialmente è solo la portavoce di una direzione bi-tri-tetracefala del partito) l’economista e l’ex attrice si sono rivelate tra i personaggi più competenti e perfino telegenici dell’attualità politica portoghese. Doti che soprattutto a destra tutti riconoscono con scoperto compiacimento.
L’exploit della sinistra radicale getta infatti i socialisti nella solita indecisione epocale cui assistiamo dappertutto e lascia il Paese in una situazione di stallo istituzionale. La maggioranza è zoppa e non ha i voti sufficienti in Parlamento. Nella storia portoghese non sono rari i casi di governi minoritari, ma le prese di posizione contro l’austerità obbligherebbero un segretario come Costa a ingoiare rospi troppo grossi per allearsi in un grande centro con questa destra, a scapito della propria credibilità politica. La grande coalizione sarebbe la soluzione preferita da questo presidente della Repubblica, il socialdemocratico Cavaco Silva, che termina il mandato a gennaio. A causa delle elezioni presidenziali prossime, il nuovo Parlamento non potrà essere sciolto e non si potrà tornare alle urne prima di giugno, quindi urge una soluzione anche solo transitoria, che traghetti il Paese fin nel 2016 senza troppi scossoni. Qualcuno parla di soluzione “all’italiana”, con un governo di iniziativa presidenziale, alla Monti. Ma dall’interno del Ps, dove l’ala fedele a Seguro non ha mai deposto veramente le armi, potrebbe venire la stoccata finale alla leadership ormai fragile dell’ex sindaco di Lisbona. La frattura rischia di essere definitiva per un partito pilastro della democrazia portoghese. Ma cosa non si fa per non dialogare, soprattutto di questi tempi, a sinistra?

Fonte: MicroMega online 

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