Intervista a Cristoforos Papadopoulos di Matteo Pucciarelli
A parlare l’esponente del “movimento dei 53”, l’opposizione interna a Syriza dopo la scissione di Unità Popolare. Critiche a Tsipras e alla mancanza di democrazia interna al partito ma anche la convinzione che il nuovo governo greco riuscirà ad attuare politiche a favore delle fasce più deboli, malgrado il memorandum. Il piano B? “No al ritorno alla moneta nazionale. Serve un coordinamento in tutta Europa della sinistra e dei movimenti sociali”.
La loro corrente dentro Syriza si chiama “movimento dei 53”. Erano i filo-Tsipras più critici quando c’erano gli anti-Tsipras di Panagiotis Lafazanis. Dopo la scissione sono diventati la nuova minoranza di sinistra dentro il partito al governo. I principali esponenti del correntone sono due: Euclid Tsakalotos, riconfermato ministro delle Finanze; e il deputato Cristoforos Papadopoulos. Spigoloso, diffidente, eppure rigoroso. «Come partito e realtà organizzata abbiamo riaperto la questione del socialismo», dice. Piegare il memorandum alla questione di classe – assicura Papadopoulos – è possibile.
Come si fa adesso ad applicare “da sinistra” il memorandum, secondo lei? Con quali provvedimenti? Quali idee?
«La sua domanda potrebbe essere formulata in modo da non riguardare solamente la Grecia, ma tutto il sovraindebitato sud e, secondo me, tutta l’Europa. Da questo punto di vista io la formulerei così: “In condizioni di crisi capitalista e di ristrutturazione a carico del lavoro e degli strati popolari, con una superiorità schiacciante dei rapporti di forza del capitalismo globalizzato, vi è possibilità di applicare una politica di sinistra?”. La mia risposta è un sonoro sì. Non lascio da parte il fatto che, nel caso della Grecia, l’esercizio della politica viene fatto in un regime di imposizione continua, di un ricatto economico e di un colpo di Stato da parte delle istituzioni dell’Ue, con una supervisione e un Memorandum, avendo come conseguenza un’ulteriore difficoltà dell’impresa. Le pensioni sono un buon esempio, il sistema assicurativo greco sta crollando a causa dell’enorme disoccupazione, dell’evasione dei contributi del precariato e dell’haircut dei fondi delle casse assicurative. La ricetta del Fmi e della troika è: tagliate le pensioni, allungate l’età pensionabile, applicate l’assicurazione privata. Il nostro piano è diverso: un afflusso di contributi per le casse assicurative attraverso la crescita dell’occupazione, la lotta contro il lavoro non assicurato e contro l’evasione dei contributi, di economie su scala con l’unificazione operativa dei sistemi, e risorse sociali per ricreare le riserve. È quasi certo che il nostro piano non provocherà l’entusiasmo nei creditori e neanche, naturalmente, nei datori di lavoro e nelle compagnie di assicurazione. Sappiamo che la nostra politica richiede degli scontri, delle tensioni e un rinegoziare continuo, ma solo così possiamo essere utili al mondo del lavoro».
Sulle pensioni, ad esempio, cosa avete in mente di fare? Che tipo di riforma imposterete?
«Syriza e il suo governo non dovrà superare, e non lo farà, il limite della parzialità di classe, cioè fare una politica – in condizioni sfavorevoli – a favore dell’impiego salariato e degli strati popolari, in altre parole delle politiche di ridistribuzione dei redditi e dei diritti a favore di “chi sta sotto” nella piramide sociale. Non abbiamo illusioni, il Memorandum non è un piano solamente per restituire ai creditori i loro soldi, ma è contemporaneamente un piano di svalutazione interna del lavoro salariato, di distruzione degli strati medi e di degradazione dello Stato sociale. Perciò li troveremo sempre davanti a noi in ogni legge, in ogni misura che avrà un positivo segno distintivo di classe, lo sappiamo e siamo preparati, abbiamo preso un impegno con gli strati popolari che rappresentiamo, i quali ci hanno sostenuto in modo decisivo anche in queste elezioni».
È contento del mancato raggiungimento del quorum da parte di Unità popolare?
«Sono dispiaciuto per l’allontanamento dei compagni e delle compagne che hanno formato il gruppo, abbiamo fatto molte e importanti lotte insieme per molti anni, ci mancano, e mancheranno anche alla lotta parlamentare. L’essere esclusi dal parlamento era d’aspettarsi ed era indipendente dal nostro desiderio, noi semplicemente abbiamo cercato accuratamente durante il periodo preelettorale di non provocare la lotta intestina ed un vecchio, molto vecchio “cannibalismo” di persone che il giorno prima erano compagni e lottavano insieme a noi. Non posso dire che sia successa la stessa cosa anche dall’altra parte, anzi».
Cosa non ha funzionato nella precedente esperienza di governo di Tsipras?
«Molte cose non hanno funzionato ma sono state smentite anche delle ipotesi strategiche legate al negoziato. La strategia del negoziato con le istituzioni dell’Ue e il Fmi si basava su tre ipotesi di lavoro: che fino un certo punto la sovranità nazionale e la volontà popolare delle elezioni di gennaio sarebbero state rispettate dagli organi istituzionali dell’Ue; che il fragile equilibrio geopolitico della zona in cui si inserisce il paese non avrebbe permesso delle politiche da cacciatori di fortuna da parte dell’Europa e degli Usa; che la possibilità di un Grexit fosse indesiderata da parte di tutti, perché avrebbe messo in prova i mercati finanziari e avrebbe creato un effetto domino per tutte le economie del sud europeo, e di conseguenza la minaccia dell’uscita dall’euro fosse la condizione per un onesto compromesso.
In poche parole abbiamo sottovalutato la mutazione autoritaria dell’Europa, le cui elites dominanti non esitano davanti a delle soluzioni da colpo di stato per riuscire ad affermare il proprio piano. Naturalmente non possono accorgersi, a causa della propria arroganza, delle conseguenze. Il grido “this is a cup” di milioni di persone in tutto il mondo, l’ondata di contestazione che ha creato, non erano cose che potevano percepire e calcolare. Noi possiamo. Non ci siamo accorti in tempo della svolta, e cioè che per molti paesi del Nord con dei surplus il Grexit non fosse una minaccia ma un augurio, dal momento in cui avrebbe dato il via all’applicazione del piano dell’euro di 2 velocità, all’esclusione dei “falliti” e degli indisciplinati e alla mutazione oligarchica dell’Europa sotto l’egemonia tedesca. Anche sul fronte interno abbiamo commesso degli errori, abbiamo tardato nel fare dei cambiamenti profondi nello Stato e nell’economia, non abbiamo messo mano in tempo sui sistemi e gli ipo-sistemi di potere che infestano lo stato e il pubblico interesse, non siamo stati abbastanza coraggiosi, specialmente nei primi mesi del governo, in modo da procedere a delle azioni unilaterali sulle questioni del lavoro e delle banche, e, in poche parole, se da una parte abbiamo fatto capire cosa significa governo di sinistra, non siamo riusciti a portare questo risultato come un’ulteriore arma al negoziato».
Quella del 20 settembre scorso è stata una vittoria di Tsipras oppure di Syriza?
«Capisco la necessità che un giornalista parli secondo i termini del proprio pubblico, cioè dell’ideologia dominante, delle persone, delle capacità dei leader ecc., però mi permetta di rispondere secondo i termini della sinistra, cioè sui credo collettivi e le capacità collettive. In questo senso il successo elettorale di Syriza è il risultato dello sforzo collettivo del partito, dei suoi militanti, sia di quelli che lavorano nel quartiere che di quelli che lavorano al governo. Naturalmente le capacità dei leader colorano lo sforzo, in particolare Alexis Tsipras è un personaggio emblematico non solo per la sinistra radicale nel mio paese, ma anche per la sinistra in Europa.
Secondo lei bisogna comunque lavorare a un piano B, se i rapporti con l’Europa (e le richieste dell’Europa) dovessero nuovamente precipitare?
«Se come Plan B si intende il ritorno alla moneta nazionale e al “tepore” dello stato-nazione, rispondo in modo categorico di no. Non credo al ritorno di un keynsianesimo impossibile, e per giunta in tempi di crisi capitalistica mondiale. È assurdo credere che, nel momento in cui si sta svolgendo davanti a noi la crisi del capitalismo in tutte e tre le sue dimensioni, cioè come una crisi di sovraccumulazione, che tra l’altro comporta delle guerre monetarie, delle rivalità geopolitiche per l’energia, il cambiamento del clima e una crisi umanitaria dovuta alle ondate migratorie e di profughi, noi possiamo credere di rimanere sicuri e intatti nella nostra casa. È ancora più assurdo quando il capitalismo diventa più che mai aggressivo, cercando di riprendersi delle conquiste di secoli; veda il Ttip che tenta di deregolamentare ogni provvedimento statale per favorire le società multinazionali o la dicotomia del mercato del lavoro e la riduzione dello stato sociale che minaccia ogni società europea, con memorandum o senza, con l’euro o con una moneta nazionale. Se come Plan B si intende un coordinamento in tutta Europa della sinistra e dei movimenti sociali per cambiare l’Europa, siamo d’accordo e lo perseguiremo; lo facciamo già e abbiamo un riscontro importante non solo dai partiti della sinistra europea, ma anche da parti della socialdemocrazia, con il sostegno di sindacati e di movimenti sociali».
Syriza andrà a congresso? Se sì, quando?
«I nostri piani parlano di un Congresso alla fine del 2015, inizi del 16, fino ad allora abbiamo molto da fare, dobbiamo riorganizzare il partito, che è stato ferito tanto dalla sconfitta del negoziato quanto dalla smentita delle nostre aspettative per un’immediata ripresa sociale ed economica, dalla scissione, ma anche dall’allontanamento di una parte dei nostri militanti più attivi ed energici. Contemporaneamente dobbiamo muovere il discorso tanto sugli obiettivi strategici riguardo al cambiamento in Europa, quanto su quelli politici, riguardo allo sganciamento dai Memorandum, alla trasformazione dell’economia, della società e dello Stato».
Rimproverate un gap di democrazia interna a Tsipras?
«Credo che la questione della democrazia interna e della partecipazione sia un obiettivo perenne per ogni formazione politica, e ancora di più quando si parla di partiti della sinistra. Penso che, perfino quando funziona perfettamente lo Statuto e la parte formale delle procedure, persiste il problema della democrazia, e persisterà finché i nostri partiti saranno istituiti come macchine da guerra della lotta di classe. Nelle società odierne dobbiamo procedere in modo coraggioso al cambiamento del paradigma, a delle formazioni meno legate alla gerarchia, a delle strutture più assembleari, a delle spesse alternanze e a dei provvedimenti riguardo al genere. Syriza ha molte lacune nelle questioni di democrazia interna, alcune dai tempi della sua fondazione, visto che sia stato creato come una federazione di partiti e di organizzazioni e la sua unificazione non sia stata capace di cancellare alcune procedure di sostituzione della democrazia dalle correnti.
I problemi di democrazia sono peggiorati durante il periodo di governo e del negoziato, quando il partito seguiva incantato il negoziato, il governo faceva lo stesso e gli organi si lamentavano o commentavano senza partecipare. Le responsabilità appartengono a tutti e, certamente, per una parte maggiore alla direzione del partito e allo stesso Alexis Tsipras».
Syriza è ancora una forza politica rivoluzionaria o è ormai nel solco del riformismo?
«Lei mi pone con il linguaggio del secolo scorso la domanda classica della rivoluzione o della riforma. Ho paura che non si tratti di terminologia, ma di una modo diverso di comprendere la fase del capitalismo. La crisi del capitalismo non permette dei consensi con il mondo del lavoro, al contrario abolisce i contratti sociali del grande periodo precedente, ristruttura l’economia, lo Stato e la società, rafforza i meccanismi di imposizione con il potere dei meccanismi di repressione, di frammentazione e infine con la biopolitica, in modo da rendere impossibile qualsiasi negoziato e inaccettabile e indesiderato ogni compromesso.
Per noi, l’atto di pensare e ripensare l’impresa della trasformazione sociale è alla ricerca di nuove strade, lontano dalle teorie dell’attesa e della grande rottura. Siamo alla ricerca di strade per ricostruire il sociale e il collettivo, l’esempio e la partecipazione, in ultima analisi, la sostanza della stessa democrazia. Nello stesso momento siamo sicuri che la questione del potere deve essere posta nel presente e non dopo un lungo periodo di preparazione con un finale ignoto. Abbiamo visto che il nostro esempio di governo della sinistra ha mobilizzato in modo dinamico e ha riportato aspettative e processi unitari in molti paesi dell’Europa e del mondo e, in ultima analisi, ha rigenerato la questione del socialismo anche là dove nessuno se lo aspettava».
Fonte: MicroMega online
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