La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 5 ottobre 2015

Sintomatologia di un’epoca

di Tommaso Gennaro
Venne accordata «piena fiducia ai gruppi di specialisti che stavano nella macchina dello Stato cosicché si andò a dormire come in un vagone letto e ci si svegliò solo nell’istante dello schianto». Lo schianto, qui, è quello avvenuto nel 1914: la Grande Guerra; e a raccontarlo, a pochissimi anni di distanza, è Rober Musil. A ridosso della catastrofe bellica, lo scrittore austriaco elaborò due saggi, Das hilflose Europa – oder Reise vom Hundertsten ins Tausendste (L’Europa inerme: ovvero viaggio di palo in frasca, 1922, da cui è tratta la citazione) e Der deutsche Mensch als Symptom (L’uomo tedesco come sintomo, scritto incompiuto del 1923 che Pendragon propone nella prima versione italiana integrale), accomunati anzitutto da una visione problematicamente sintomatica che viene esposta sin da subito al lettore (nell’un caso dall’incipit, nell’altro dal titolo): e iniziare da un sintomo è, scrive Adone Brandalise, la «non elusione del fatto che “non ci si capisce niente”».
Il tentativo di com-prensione anima le narrazioni musiliane e tornerà preminente nell’Uomo senza qualità: a compromettere lo sguardo dell’osservatore, vincolandolo a una visione decentrata e parziale, è la complessità di un mondo poliedrico straripante che elude ogni sforzo di contenimento e si caratterizza come presente inconfigurabile.
Per Musil, in una straordinaria similitudine dell’Uomo tedesco come sintomo, «il cammino della storia non è quello di una palla da biliardo che, una volta data la stoccata, corre lungo una traiettoria determinabile, bensì somiglia al cammino delle nuvole, che certamente procede anche secondo le leggi della fisica, e però tramite queste subisce altrettanto bene l’influsso di qualcosa che si può designare soltanto come un incontro di fatti»; è dunque frutto di «circostanze» che, «anche quando risultano calcolabili [...] sono propriamente fatti e non leggi». Ed è lungo la traiettoria della storia che si giunge a quei circa quarant’anni di miracolosa pace europea che prelusero alla Prima guerra mondiale, ovvero, per Musil, al «bisogno di una “bancarotta metafisica”» (zu metaphysichem Krach), «bisogno chiaramente umano di tanto in tanto di lacerare l’esistenza e di gettarla in aria, per vedere dove va a finire» (L’Europa inerme). E la guerra, non solo come «immane esperimento di massa» o «istituzione periodica» ma propriamente come «constatazione della «bancarotta metafisica», non fu il tracollo di questa o quell’altra ideologia» ma, come dice Francesco Valagussa, «fu il tracollo del nesso tra vita e ideologia».
All’indomani della conflitto mondiale, dunque, Musil si trova a scrivere dell’Europa e dei suoi abitanti. In particolare il soggetto del saggio del 1923 è l’uomo tedesco: «cerchiamo l’uomo tedesco e non lo troviamo», dichiara, e il suo connotato è l’eterogeneità; ma «non si obietti che per gli Inglesi non è necessario cercare l’uomo inglese e per i Francesi l’uomo francese: che ciò sia necessario per noi è un salto in avanti»; «noi siamo eterogenei». Per Musil «l’eterogeneità è esattamente una qualità del futuro», pronta ad aprirsi all’Europa.
L’analisi prosegue talvolta asistematica in questo saggio che, come il suo grande capolavoro, resta incompiuto, concentrandosi su eventi e svincoli decisivi del Novecento, come quel grandioso ordinamento spirituale che per Musil fu il capitalismo, ovvero, chiosa ancora Valagussa, un’« organizzazione dell’egoismo al ribasso, che gerarchizza gli uomini secondo la loro capacità di fare denaro». L’importanza della pubblicazione di questo saggio, seppure incompleto, è certificata oltretutto dall’eccellente apparato di note del curatore che lo accompagna, utile a mostrare diacronicamente gli sviluppi che il pensiero musiliano affronterà nella redazione di scritti coevi o successivi (ma anche in rapporto con testi precedenti): si evidenziano così i numerosi punti di contatto, anche testuale, fra le varie opere dello scrittore austriaco (su tutte con L’uomo senza qualità), documentando in questo modo non solo la permeabilità dei testi di Musil a idee dominanti ma propriamente l’evoluzione di certe linee di pensiero problematiche che caratterizzarono l’intero corso della sua attività letteraria.
Oggetto prediletto delle analisi è l’uomo nel suo tempo. «Oggigiorno con la denominazione professionale e qualche aggiunta si può dire l’essenziale su un individuo»: con questi semplici dati «si conosce la maggior parte di ciò che si può conoscere in generale di un uomo del nostro tempo». Musil è stato senza dubbio anche un grande antropologo: le sue analisi sull’individuo moderno e la sua identità, espresse tanto finemente nei romanzi quanto articolatamente negli scritti teorici, rivelano intuizioni penetranti, maturate fra gli anni Venti e Trenta del Novecento, su una società dinamica ancora indefinita ma letta con straordinario acume e lungimiranza. «Noi facciamo ciò che facciamo sempre nelle forme del nostro tempo», e «l’uomo esiste soltanto in forme, che gli sono tramandate da fuori»: «egli si comprime nel suo stampo»; proprio come farà, qualche anno dopo, Ulrich nell’Uomo senza qualità (membro di una generazione che all’Apollo del Belvedere preferisce di gran lunga la vista di un turboalternatore) quando, tradotto in questura, esperirà sulla sua pelle il «disincantamento statistico della persona» vedendosi scomposto dai meccanismi «freddi» della macchina burocratica in un corpo che non riconosce più. Eppure l’uomo senza qualità e il suo inventore, uomini del loro tempo, ci parlano ancora oggi in una lingua perfettamente comprensibile.

Robert Musil
traduzione e saggio introduttivo di Francesco Valagussa
Pendragon, 2014, 116 p., € 14

testo originale a fronte, traduzione di Francesco Valagussa, con riflessioni di Vincenzo Vitiello, Francesco Valagussa e Adone Brandalise
Moretti&Vitali, 2015, 130 pp., € 14

Fonte: Alfabeta2

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