di Chiara Cruciati
Patrimonio Unesco, centro economico della Siria, città più popolosa del paese, capitale culturale del mondo islamico. Cinquemila anni di storia svelati da moschee, chiese, sinagoghe, fabbriche di sapone, bagni turchi, cavanserragli. Oggi quello che resta sono macerie, la città è un campo di battaglia: Aleppo non trova pace, preda di tutti i giocatori del risiko siriano e modello della guerra civile in corso nel paese.
Ad Aleppo ci sono tutti: c’è il governo che controlla ancora la zona ovest insieme ai combattenti libanesi di Hezbollah e alle milizie sciite a guida iraniana; c’è quel poco che resta dell’Esercito Libero Siriano, arroccato a est, accanto ad al-Nusra e ai gruppi di ispirazione qaedista; e ora c’è lo Stato Islamico, pericolosamente vicino. Chi non c’è più sono i civili. Decine di migliaia sono morti nei combattimenti, centinaia di migliaia sono fuggiti dalla città divisa tra i due fronti dal luglio del 2012. L’ultima ondata di scontri e i raid russi, nelle settimane appena trascorse, hanno provocato la fuga di altri 70mila civili.
La città è semivuota, ridotta in macerie insieme alle sue bellezze e al suo prospero commercio.
La città è semivuota, ridotta in macerie insieme alle sue bellezze e al suo prospero commercio.
Chi è rimasto vive ostaggio del conflitto: l’ultima conquista dello Stato Islamico che ha occupato la strada principale a sud est, uno degli ingressi alla città, ha frenato la controffensiva del governo di Damasco ma soprattutto ha ridotto la quantità di prodotti alimentari in arrivo. Il prezzo dei beni che ancora si trovano nei mercati è salito alle stelle: «Un chilo di pomodori oggi va dalle 900 alle 1000 lire siriane [circa 2.5 euro] – racconta all’Afp Salaheddin, 45 anni – Sette volte più di prima. È difficile trovare frutta e verdura in città e non ci sono più auto in giro perché le stazioni di benzina sono chiuse, vuote». Non c’è benzina né per le automobili, né per i generatori: tra poco le notti di Aleppo potrebbero essere avvolte in un buio surreale.
Già prima di prodotti ne arrivano pochi: da tempo le opposizioni hanno chiuso la superstrada Aleppo-Damasco e solo lo scorso anno il governo ha aperto una via alternativa tra le comunità di Safireh e Khanasser, oggi occupata dallo Stato Islamico. L’avanzata dei jihadisti preoccupa: finora non si erano mai spinti fino a qui, seppur il leader al-Baghdadi non abbia nascosto l’intenzione di dar vita ad un califfato che andasse da Aleppo a Diyala, provincia orientale irachena.
Preoccupa perché giunge in concomitanza con la tentata controffensiva del governo siriano, coperto dai raid dell’aviazione russa. I primi bombardamenti, all’inizio di ottobre, avevano permesso alle truppe di terra di Assad e ai miliziani sciiti libanesi e iraniani di avvicinarsi significativamente ad Aleppo, da sud, strappando ai qaedisti di al-Nusra una serie di villaggi e colline strategiche. Ma l’operazione è durata poco: le ultime due settimane hanno visto un arretramento del governo che ha perso alcune delle aree riconquistate. Non certo a favore delle opposizioni moderate, l’Esercito Libero Siriano, che ormai non riceve quasi più armi e munizioni né dall’Occidente né dal Golfo: «Non ci mandano armi nuove – ha lamentato il colonnello Othman, comandante delle brigate Sultan Murad, affiliate all’Els, al sito al-Monitor – Abbiamo ricevuto armi normali, come quelle dei mesi passati».
Mancano missili anti-aereo, gli unici in grado di reagire alla forza di fuoco russa, e armi pesanti per rispondere alle truppe di terra governative. Gli Stati uniti, da parte loro, lo avevano già annunciato: buona parte del denaro investito nella guerra civile siriana andranno ora alla neonata alleanza kurdo-araba Forze Democratiche Siriane, che proprio ieri ha annunciato il via alla controffensiva anti-Isis per la ripresa della provincia settentrionale di Hasakah.Aleppo resta, però, la battaglia decisiva. Lo è sul piano militare, perché via di collegamento tra il nord e il confine con la Turchia, l’ovest e la costa a maggioranza alawita e il sud, ovvero la capitale Damasco. Lo è per la presenza di tutti gli attori del conflitto, sia locali che regionali. E lo è, infine, sul piano simbolico: la città più ricca del paese, se ripresa dal governo darebbe nuova spinta alla controffensiva di Damasco sul campo di battaglia e a quella russa nelle stanze della diplomazia mondiale.
L’importanza di Aleppo è data anche dai numeri sui soldati iraniani morti in combattimento. Seppur Teheran continui a negare di aver spedito propri uomini sul campo di battaglia, ma di aver inviato soltanto consiglieri militari (per lo più pasdaran), una significativa parte dei 200 iraniani morti in Siria – secondo i media del paese – sono caduti nei pressi di Aleppo.
Fonte: il manifesto
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