La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 1 novembre 2015

Aleppo, simbolo della Siria e della sua guerra

di Chiara Cruciati
Patri­mo­nio Une­sco, cen­tro eco­no­mico della Siria, città più popo­losa del paese, capi­tale cul­tu­rale del mondo isla­mico. Cin­que­mila anni di sto­ria sve­lati da moschee, chiese, sina­go­ghe, fab­bri­che di sapone, bagni tur­chi, cavan­ser­ra­gli. Oggi quello che resta sono mace­rie, la città è un campo di bat­ta­glia: Aleppo non trova pace, preda di tutti i gio­ca­tori del risiko siriano e modello della guerra civile in corso nel paese.
Ad Aleppo ci sono tutti: c’è il governo che con­trolla ancora la zona ovest insieme ai com­bat­tenti liba­nesi di Hez­bol­lah e alle mili­zie sciite a guida ira­niana; c’è quel poco che resta dell’Esercito Libero Siriano, arroc­cato a est, accanto ad al-Nusra e ai gruppi di ispi­ra­zione qae­di­sta; e ora c’è lo Stato Isla­mico, peri­co­lo­sa­mente vicino. Chi non c’è più sono i civili. Decine di migliaia sono morti nei com­bat­ti­menti, cen­ti­naia di migliaia sono fug­giti dalla città divisa tra i due fronti dal luglio del 2012. L’ultima ondata di scon­tri e i raid russi, nelle set­ti­mane appena tra­scorse, hanno pro­vo­cato la fuga di altri 70mila civili.
La città è semi­vuota, ridotta in mace­rie insieme alle sue bel­lezze e al suo pro­spero commercio.
Chi è rima­sto vive ostag­gio del con­flitto: l’ultima con­qui­sta dello Stato Isla­mico che ha occu­pato la strada prin­ci­pale a sud est, uno degli ingressi alla città, ha fre­nato la con­trof­fen­siva del governo di Dama­sco ma soprat­tutto ha ridotto la quan­tità di pro­dotti ali­men­tari in arrivo. Il prezzo dei beni che ancora si tro­vano nei mer­cati è salito alle stelle: «Un chilo di pomo­dori oggi va dalle 900 alle 1000 lire siriane [circa 2.5 euro] – rac­conta all’Afp Sala­hed­din, 45 anni – Sette volte più di prima. È dif­fi­cile tro­vare frutta e ver­dura in città e non ci sono più auto in giro per­ché le sta­zioni di ben­zina sono chiuse, vuote». Non c’è ben­zina né per le auto­mo­bili, né per i gene­ra­tori: tra poco le notti di Aleppo potreb­bero essere avvolte in un buio surreale.
Già prima di pro­dotti ne arri­vano pochi: da tempo le oppo­si­zioni hanno chiuso la super­strada Aleppo-Damasco e solo lo scorso anno il governo ha aperto una via alter­na­tiva tra le comu­nità di Safi­reh e Kha­nas­ser, oggi occu­pata dallo Stato Isla­mico. L’avanzata dei jiha­di­sti pre­oc­cupa: finora non si erano mai spinti fino a qui, sep­pur il lea­der al-Baghdadi non abbia nasco­sto l’intenzione di dar vita ad un calif­fato che andasse da Aleppo a Diyala, pro­vin­cia orien­tale irachena.
Pre­oc­cupa per­ché giunge in con­co­mi­tanza con la ten­tata con­trof­fen­siva del governo siriano, coperto dai raid dell’aviazione russa. I primi bom­bar­da­menti, all’inizio di otto­bre, ave­vano per­messo alle truppe di terra di Assad e ai mili­ziani sciiti liba­nesi e ira­niani di avvi­ci­narsi signi­fi­ca­ti­va­mente ad Aleppo, da sud, strap­pando ai qae­di­sti di al-Nusra una serie di vil­laggi e col­line stra­te­gi­che. Ma l’operazione è durata poco: le ultime due set­ti­mane hanno visto un arre­tra­mento del governo che ha perso alcune delle aree ricon­qui­state. Non certo a favore delle oppo­si­zioni mode­rate, l’Esercito Libero Siriano, che ormai non riceve quasi più armi e muni­zioni né dall’Occidente né dal Golfo: «Non ci man­dano armi nuove – ha lamen­tato il colon­nello Oth­man, coman­dante delle bri­gate Sul­tan Murad, affi­liate all’Els, al sito al-Monitor – Abbiamo rice­vuto armi nor­mali, come quelle dei mesi passati».
Man­cano mis­sili anti-aereo, gli unici in grado di rea­gire alla forza di fuoco russa, e armi pesanti per rispon­dere alle truppe di terra gover­na­tive. Gli Stati uniti, da parte loro, lo ave­vano già annun­ciato: buona parte del denaro inve­stito nella guerra civile siriana andranno ora alla neo­nata alleanza kurdo-araba Forze Demo­cra­ti­che Siriane, che pro­prio ieri ha annun­ciato il via alla con­trof­fen­siva anti-Isis per la ripresa della pro­vin­cia set­ten­trio­nale di Hasakah.Aleppo resta, però, la bat­ta­glia deci­siva. Lo è sul piano mili­tare, per­ché via di col­le­ga­mento tra il nord e il con­fine con la Tur­chia, l’ovest e la costa a mag­gio­ranza ala­wita e il sud, ovvero la capi­tale Dama­sco. Lo è per la pre­senza di tutti gli attori del con­flitto, sia locali che regio­nali. E lo è, infine, sul piano sim­bo­lico: la città più ricca del paese, se ripresa dal governo darebbe nuova spinta alla con­trof­fen­siva di Dama­sco sul campo di bat­ta­glia e a quella russa nelle stanze della diplo­ma­zia mondiale.
L’importanza di Aleppo è data anche dai numeri sui sol­dati ira­niani morti in com­bat­ti­mento. Sep­pur Tehe­ran con­ti­nui a negare di aver spe­dito pro­pri uomini sul campo di bat­ta­glia, ma di aver inviato sol­tanto con­si­glieri mili­tari (per lo più pasda­ran), una signi­fi­ca­tiva parte dei 200 ira­niani morti in Siria – secondo i media del paese – sono caduti nei pressi di Aleppo.

Fonte: il manifesto 

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