La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 1 novembre 2015

L’Italia aumenta le truppe in Afghanistan

di Giuliano Battiston
Riti­rare le truppe ita­liane dall’Afghanistan? Nean­che a pen­sarci: il governo intende aumen­tarle. Così ha soste­nuto il sot­to­se­gre­ta­rio alla Difesa Dome­nico Rossi, che ieri alla Camera ha rispo­sto a un’interrogazione urgente di Mas­simo Artini, depu­tato del gruppo Misto-Alternativa Libera. «Il governo — ha dichia­rato Rossi — ha deciso di rimo­du­lare la pia­ni­fi­ca­zione di rien­tro di alcune capa­cità del con­tin­gente ita­liano e di aumen­tarne la con­si­stenza nume­rica nell’ultimo tri­me­stre del 2015, in una misura rite­nuta ido­nea a com­pen­sare il rien­tro di quella parte del con­tin­gente spa­gnolo che era dedi­cato alla Force Pro­tec­tion». In sol­doni: i sol­dati spa­gnoli tor­nano a casa, quelli ita­liani pro­lun­gano l’impegno in Afghanistan.
Dopo 13 anni di mis­sione mili­tare, la Spa­gna que­sta set­ti­mana ha infatti com­ple­tato il ritiro dei 450 uomini rima­sti nel paese cen­troa­sia­tico. Il governo ita­liano, invece, va in dire­zione oppo­sta: restare e aumen­tare il numero dei sol­dati (attual­mente, 750).
Le ragioni le ha spie­gate pro­prio il sot­to­se­gre­ta­rio Rossi: per “com­pen­sare” il ritiro spa­gnolo, ma anche per­ché le forze di sicu­rezza afghane «hanno ancora dei limiti per una piena ed effi­cace azione auto­noma», al con­tra­rio di quanto ipo­tiz­zato dai ver­tici della Nato e come dimo­stra la recente, prov­vi­so­ria con­qui­sta da parte tale­bana della città di Kun­duz. C’è poi, ancora più cen­trale, la que­stione della subal­ter­nità ita­liana all’alleato ame­ri­cano. «Obama ha già dichia­rato la volontà degli Stati Uniti di pro­lun­gare la pre­senza in Afgha­ni­stan, anche nel pros­simo anno», ha ricor­dato Dome­nico Rossi, e l’Italia non può tirarsi indietro.
La pensa così il pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi, il più veloce, tra gli “alleati”, a met­tersi sull’attenti: gio­vedì 15 otto­bre Obama ha annun­ciato che gli attuali 9.800 sol­dati sta­tu­ni­tensi che ope­rano in Afgha­ni­stan non rien­tre­ranno in patria alla fine di quest’anno, come pro­messo, ma reste­ranno per gran parte del 2016, e che ver­ranno gra­dual­mente ridotti a 5.500 a par­tire dal 2017, per adde­strare le forze di sicu­rezza afghane, che anche Obama con­si­dera «non ancora solide quanto dovreb­bero», e soste­nere le ope­ra­zioni di con­tro­ter­ro­ri­smo «con­tro ciò che rimane di al-Qaeda». Il giorno suc­ces­sivo da Vene­zia è arri­vata, pun­tuale, la replica di Renzi, per il quale «se l’impegno ame­ri­cano in Afgha­ni­stan pro­se­gue, penso sia giu­sto anche da parte nostra ci sia un impegno».
Ieri, infine, le parole del sot­to­se­gre­ta­rio Rossi, che annun­ciano per­fino un aumento delle truppe ita­liane. Un cam­bio di pro­gramma sostan­ziale, rispetto a quanto pro­messo dallo stesso Renzi all’inizio di giu­gno, quando pro­prio a Herat, nella base mili­tare ita­liana, chie­deva un «ulte­riore pic­colo sforzo» ai sol­dati ita­liani. Un cam­bia­mento che i bizan­ti­ni­smi usati ieri dal sot­to­se­gre­ta­rio Rossi – che ha par­lato di veri­fi­che tec­ni­che, di deci­sioni prese ma ancora da pren­dere – non rie­scono a nascon­dere. E che deve ora pas­sare per il Parlamento.

Fonte: il manifesto

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