La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 4 novembre 2015

Su Democrazia anno zero di Pablo Iglesias

di Jacopo Rosatelli
L’apparenza rischia di ingan­nare: di fronte a Demo­cra­zia anno zero di Pablo Igle­sias Tur­rión (tra­du­zione di Dario Di Nepi, Edi­zioni Ale­gre, pp. 192, euro 15) qual­cuno potrebbe cre­dere che il lea­der di Pode­mos abbia scritto un pam­phlet sulla «Spa­gna che vor­rei» ad uso della cam­pa­gna elet­to­rale per il voto del 20 dicem­bre. For­tu­na­ta­mente non è così: il libro – la cui edi­zione ita­liana si deve alla cura dei gior­na­li­sti Mat­teo Puc­cia­relli e Gia­como Russo Spena – non appar­tiene a quel genere let­te­ra­rio di dub­bio valore a cui spesso si dedi­cano aspi­ranti primi mini­stri. È, invece, un docu­mento pre­zioso per capire il baga­glio teo­rico con il quale Igle­sias, insieme a un drap­pello di altri stu­diosi, ha tra­sfor­mato in realtà ciò che fino a due anni fa era una sem­plice intui­zione, un’ipotesi di un gruppo di irre­quieti intel­let­tuali di sini­stra, quasi tutti sotto i 40 anni. Se l’edizione ori­gi­nale (di cui ha scritto sul mani­fe­sto del 14/2 Beppe Cac­cia) aveva una pre­fa­zione di Ale­xis Tsi­pras, que­sta è arric­chita da un’intervista dei cura­tori a Mau­ri­zio Lan­dini, utile a defi­nire le somi­glianze e (soprat­tutto) le dif­fe­renze fra la Coa­li­zione sociale pro­mossa dal segre­ta­rio Fiom (per il momento archi­viata in attesa di tempi migliori) e il gio­vane par­tito spagnolo.
Ciò che Igle­sias chiama un «insieme di appunti a fine divul­ga­tivo», scritto in buona misura prima che il «fenomeno-Podemos» esplo­desse, è un’opera di peda­go­gia poli­tica pen­sata innan­zi­tutto per il varie­gato arci­pe­lago di atti­vi­sti nati e cre­sciuti con il movi­mento degli indi­gna­dos. Un testo con­ce­pito per raf­for­zare ideo­lo­gi­ca­mente, ma senza gergo da ini­ziati, quella mol­ti­tu­dine che si era ritro­vata la prima volta il 15 mag­gio 2011 alla madri­lena Puerta del Sol, diven­tando in breve tempo il nuovo pro­ta­go­ni­sta col­let­tivo della poli­tica spa­gnola ed euro­pea. Un attore non pre­vi­sto dal copione del potere, che scon­volse gli ana­li­sti per la sua vastità e capa­cità di creare con­senso attorno a sé. Ma che rischiava di abban­do­nare la scena, nell’inevitabile riflusso, con un amaro senso di scon­fitta, se non avesse gene­rato qual­che tan­gi­bile segno di rot­tura del qua­dro politico-sociale esi­stente. Come, ad esem­pio, la nascita e l’affermazione di Podemos.
Se il gruppo di Igle­sias ha potuto, fino ad ora, far sal­tare gli schemi dell’asfittico bipar­ti­ti­smo spa­gnolo è innan­zi­tutto gra­zie a un’idea della poli­tica – e della lotta poli­tica – figlia della grande tra­di­zione del rea­li­smo, da Machia­velli a Lenin, che inse­gna che «le ragioni senza la forza non sono niente». Quel rea­li­smo che impone a chiun­que voglia dav­vero per­se­guire una poli­tica radi­cale di rifug­gire tanto dagli estre­mi­smi infan­tili dei «movi­men­ti­sti» che urlano slo­gan rivo­lu­zio­nari e si con­su­mano in incon­clu­denti e inter­mi­na­bili assem­blee, quanto dalle malat­tie senili che afflig­gono i par­ti­tini di sini­stra pre­oc­cu­pati solo da «cospi­ra­zioni, liste, patti, chiac­chiere da cor­ri­doio e chia­mate tele­fo­ni­che che allon­ta­nano i mili­tanti dalla società», e che si sen­tono «a pro­prio agio sol­tanto in minoranza».
È il rea­li­smo che ha gui­dato Syriza ai suoi suc­cessi elet­to­rali, dovuti non al fatto che i greci siano improv­vi­sa­mente diven­tati di sini­stra radi­cale, ma alla capa­cità della for­ma­zione di Tsi­pras di «diven­tare un’alternativa reale per gover­nare il paese». Che è ciò che si pro­pone Pode­mos, e che spiega il suo rifiuto di col­lo­carsi lungo l’asse destra-sinistra come forza «a sini­stra del Psoe».
Vin­cere le ele­zioni, tut­ta­via, «non signi­fica, nean­che lon­ta­na­mente pren­dere il potere»: Igle­sias lo sa per­fet­ta­mente, cosciente del fatto che il ter­reno di gioco è quello scelto dagli avver­sari. La lezione di Gram­sci è viva: per l’autore biso­gna costruire ege­mo­nia nella società, sapendo ela­bo­rare e poi imporre, attra­verso un uso sapiente dei media (un elemento-chiave), il pro­prio lin­guag­gio al ser­vi­zio di una let­tura auto­noma del mondo. E biso­gna legarsi a movi­menti, intel­let­tuali, strin­gere alleanze (quelle utili) con altre forze, senza l’arroganza di chi si sente auto­suf­fi­ciente – ciò che, se mai ce ne fosse ancora biso­gno, mostra una delle dif­fe­renze di fondo fra Pode­mos e Movi­mento 5 Stelle.
Esempi molto chiari di cosa signi­fi­chi avere un’interpretazione auto­noma della realtà sono offerti dai tre capi­toli del libro dedi­cati rispet­ti­va­mente alla sto­ria spa­gnola dalla Restau­ra­zione bor­bo­nica (1875) all’avvento dell’attuale sistema (1978), alla crisi eco­no­mica, e alla «crisi di regime» della Spa­gna di oggi. La parte sto­rica (quasi un libro nel libro) serve a mostrare ai desti­na­tari ori­gi­nari del volume, i gio­vani mili­tanti «indi­gnati», che la lotta per la demo­cra­zia ha «un cuore antico», e che sapersi eredi di sta­gioni anche molto lon­tane aiuta a costruire la neces­sa­ria coscienza di sé – a con­di­zione, aggiun­giamo noi, che non si assuma il modo di con­si­de­rare il pas­sato che Nie­tzsche defi­niva «anti­qua­rio», che para­lizza l’azione. La suc­ces­siva ana­lisi della crisi eco­no­mica è una sin­tesi effi­cace delle moda­lità e dei risul­tati della lotta di classe com­bat­tuta dai ric­chi orga­niz­zati nel «par­tito trans­na­zio­nale di Wall Street», men­tre le pagine sulla crisi isti­tu­zio­nale spa­gnola mostrano il valore pie­na­mente poli­tico del tema della cor­ru­zione, che l’autore affronta per denun­ciare l’intreccio fra poli­tica ed eco­no­mia gra­zie al quale le oli­gar­chie pos­sono «gover­nare senza pre­sen­tarsi alle ele­zioni». Almeno fin­ché qual­cuno, pie­na­mente cosciente delle dif­fi­coltà dell’impresa, non decide di sfi­darle sul serio.

Fonte: il manifesto 

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