La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 1 novembre 2015

Turchia al voto, sfida al Sultano atlantico

di Fazila Mat
Gior­nata di voto oggi in Tur­chia. Un voto segnato dalla stan­chezza degli elet­tori, chia­mati per la seconda volta in cin­que mesi a rin­no­vare la com­po­si­zione del par­la­mento, ma non per que­sto meno cru­ciale per il futuro del Paese.
Una sfida, soprat­tutto, che riguarda il sug­gel­la­mento del «sistema pre­si­den­ziale di fatto» del capo di Stato Recep Tayyip Erdo­gan, i cui esiti sono tutt’altro che scon­tati. Molto dipende dalla pos­si­bi­lità o meno dell’Akp (Par­tito della giu­sti­zia e dello svi­luppo) di otte­nere la mag­gio­ranza (276 su 550 seggi) neces­sa­ria per gover­nare da solo.
Lo scorso 7 giu­gno il par­tito, che ha otte­nuto il 40,8% regi­strando la per­cen­tuale più bassa della sua «para­bola ascen­dente», non è più riu­scito, per la prima volta in 13 anni, a for­mare un governo monocolore.
La «scon­fitta» del’Akp, ha fatto anche in modo che il pro­getto pre­si­den­zia­li­sta di Erdo­gan, per l’approvazione del quale sareb­bero stati neces­sari almeno 330 depu­tati, venisse messo nel cassetto.
Ciò tut­ta­via, non ha impe­dito al capo di Stato di dichia­rare che in Tur­chia il sistema era diven­tato «pre­si­den­zia­li­sta di fatto», dal momento che lui era il primo pre­si­dente eletto a suf­fra­gio uni­ver­sale. Per que­sto motivo, secondo molti ana­li­sti, una pos­si­bile vit­to­ria dell’Akp, cree­rebbe un avval­la­mento di que­sta situa­zione, ossia del rico­no­sci­mento della con­cen­tra­zione di tutti i poteri nelle mani di un solo uomo.
Nei mesi scorsi l’Akp, gra­zie agli inter­venti del pre­si­dente Erdo­gan e alle discor­danze emerse tra gli altri tre par­titi par­la­men­tari, è riu­scito a evi­tare la for­ma­zione di una coa­li­zione. In tal modo è stato messo in piedi un governo ad inte­rim, che ha con­ti­nuato a tenere in mano le redini del Paese. Pochi mesi in cui sono rico­min­ciati (dopo oltre due anni di tre­gua) gli scon­tri armati tra il Pkk (Par­tito dei lavo­ra­tori del Kur­di­stan) e l’esercito turco e si sono veri­fi­cati gli atten­tati più san­gui­nosi della sto­ria turca (Suruc e Ankara). Inol­tre, soprat­tutto nel sudest a mag­gio­ranza curda, si sono ripre­sen­tate situa­zioni dove i copri­fuoco, misure straor­di­na­rie di sicu­rezza e morti quo­ti­diane sono tor­nate all’ordine del giorno
Tut­ta­via, seb­bene il pre­si­dente Erdo­gan si sia da subito dichia­rato a favore di ele­zioni anti­ci­pate e del ritorno di «un par­tito unico» per «dare seguito alla sta­bi­lità» nel Paese, tutti gli ultimi son­daggi indi­cano un risul­tato molto simile a quello già regi­strato nelle ele­zioni del 7 giu­gno scorso.
I son­daggi danno ormai quasi per certo che il Par­tito filo-curdo demo­cra­tico dei popoli (Hdp), prin­ci­pale respon­sa­bile della «scon­fitta» dell’Akp nelle ele­zioni pre­ce­denti, ripe­terà il suc­cesso ripor­tato a giu­gno, dove è riu­scito per la prima volta a supe­rare lo sbar­ra­mento elet­to­rale del 10%, regi­strando un sonoro 13%.
Una «vit­to­ria» che ha cau­sato all’Hdp costanti attac­chi da parte dei diri­genti Akp. La cam­pa­gna elet­to­rale dell’Hdp ha dovuto fare i conti con con­ti­nua man­canza di fondi, nume­rosi attac­chi alle sedi di par­tito, e il bando da diversi canali televisivi.
Ma la man­canza di fondi e la limi­tata pre­senza tele­vi­siva ha carat­te­riz­zato anche gli altri par­titi d’opposizione, come il Chp, (Par­tito repub­bli­cano del popolo) prin­ci­pale par­tito d’opposizione che ha ripor­tato il 25% nelle ele­zioni pre­ce­denti, e che secondo gli stessi son­daggi potrebbe aumen­tare di qual­che punto per­cen­tuale i suoi voti. I «lupi grigi» del Par­tito di azione nazio­na­li­sta (Mhp), che la scorsa volta ha avuto il 16% delle pre­fe­renze, potreb­bero dal loro canto per­dere qual­che punto, a favore dell’Akp.
Una pro­ba­bile con­se­guenza del «con­ge­la­mento» da parte del governo Akp delle trat­ta­tive di pace con i curdi, aspi­ra­zione, quest’ultima, fon­da­men­tale per il Mhp che con­ce­pi­sce la riso­lu­zione del pro­blema curdo solo in ter­mini militaristici.
Ma per l’opinione pub­blica, pro­fon­da­mente pro­vata dallo stato di ten­sione isti­tu­zio­nale e sociale, non­ché dalle cre­scenti pres­sioni sulla libertà dei media e di espres­sione, la ripe­ti­zione del risul­tato elet­to­rale potrebbe tra­sfor­marsi in uno stato di ulte­riore inde­fi­ni­tezza. Se alcuni osser­va­tori auspi­cano la for­ma­zione di una grande coa­li­zione tra l’Akp e il Chp, altri sot­to­li­neano che que­sta opzione risulta inve­ro­si­mile, per­ché il Chp insi­ste affin­ché venga ria­perto il fasci­colo di cor­ru­zione, che ha coin­volto diversi nomi illu­stri dell’Akp nel 2013, per poi essere «archi­viato». La stessa con­di­zione è posta anche dal Mhp, che però è indi­cato da molti, come il can­di­dato numero uno per una coa­li­zione for­mata dall’Akp, per l’affinità socio-culturale degli elet­tori delle due formazioni.
Un’altra pos­si­bi­lità, accen­nata negli ultimi giorni, sarebbe una «scis­sione» interna all’Akp, dove si uni­reb­bero le voci cri­ti­che alla nuova linea «intran­si­gente» del par­tito (e del pre­si­dente Erdo­gan). Un ven­ta­glio com­po­sto da figure come l’ex capo di Stato Abdul­lah Gül, l’ex vice mini­stro Bülent Arinç e l’ex mini­stro dell’economia Ali Baba­can che for­me­reb­bero un nuovo par­tito, allo stesso modo in cui nel 2001 si formò lo stesso Akp, stac­can­dosi dal par­tito isla­mi­sta Refah.
«Non trovo con­vin­centi simili tesi», com­menta l’ipotesi Kür­sat Bumin docente alla Uni­ver­sità Bilgi, «l’Akp ha rag­giunto il potere che pos­siede oggi appro­prian­dosi di tutti i qua­dri dello Stato. Dalla buro­cra­zia all’esercito, dalla poli­zia alla magi­stra­tura e al Con­si­glio supe­riore della magi­stra­tura, tutte le isti­tu­zioni stanno con Erdo­gan. Un Akp così adden­tro allo Stato, non può dare ori­gine ad un nuovo Akp».
Seb­bene il pre­mier Davu­to­glu tende ad esclu­derlo – senza troppa con­vin­zione – l’opinione pub­blica si chiede se in caso di man­cato rag­giun­gi­mento di una mag­gio­ranza gover­na­tiva il pre­si­dente Erdo­gan, insi­ste­rebbe per andare ad una terza tor­nata elet­to­rale. Una situa­zione di inde­fi­ni­tezza che nume­rosi ana­li­sti defi­ni­scono vele­nosa per il Paese. Il 2 novem­bre si vedrà quali di que­sti sce­nari pren­de­ranno forma.

Fonte: il manifesto 

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