di Alex Doherty
“La politica è l’arte del possibile” dice il doloroso inno dei centristi. Ebbene, quello che viene fuori è che ciò che è politicamente possibile nel 2015 è molto diverso da ciò che era concepibile nel 2005 o nel 1995. Gli anti –capitalisti possono prendere il governo della Grecia, la Scozia può arrivare al punto di uscire dal Regno Unito per ticket anti-austerità, e un gruppo di persone di sinistra spagnole possono passare dall’occupare le piazze nelle città a diventare un probabile partito di governo in meno di un anno. Nel frattempo, negli Stati Uniti un uomo che si autodefinisce socialista può distruggere l’incoronazione di Hilary Clinton a candidata democratica, e in Gran Bretagna un uomo che mette nella lista dei suoi hobby il rovesciamento del capitalismo, può diventare il cancelliere ombra. Come ha fatto notare Aaron Bastani in una recente intervista, le certezze arroganti dei commentatori riguardo all’inevitabilità che Corbyn sovraintenda a un disastro elettorale, non dovrebbero essere prese sul serio. Nessuno sa che cosa accadrà, meno di tutti coloro che pensavano che Corbyn non ce l’avrebbe fatta neanche a vincere l’elezione a presidente del Partito Laburista, non parliamo poi di tutto il resto.
Arrivederci ai lunghi anni’90
Proprio come la crisi economica della metà degli anni ’70 portò a un terribile declino dell’egemonia dell’economia di tipo keynesiano, la crisi attuale sta erodendo il potere del “buon senso neoliberale” e sta espandendo gli orizzonti di quello che è politicamente possibile nel nord globale. Sebbene i governi occidentali in linea di massima riescono a stabilizzare il sistema economico dopo il crollo del 2008, la crescita resta anemica e i salari frenati. La prospettiva di un nuovo crollo finanziario rimane forte. I salvataggi e gli alleggerimenti quantitativi forse hanno salvato il sistema la prima volta, ma con livelli di debito ancora alti, i governi avranno pochi strumenti a disposizione se verrà innescato un nuovo crollo.
Fondamentalmente, il compromesso neoliberale – dare a palate la ricchezza a chi è ai primi posti dell’1% mentre ci si compra l’accettazione del resto della popolazione per mezzo di facile credito – è finito. Come negli anni ’70, l’attuale regime di accumulo di capitale non è più sostenibile e proprio come negli anni ’70 le elite fino a ora non sono state in grado di esporre un piano B. Come dice il teorico della cultura, Jeremy Gilbert, “i lunghi anni ’90 sono finiti”.
La morbida svolta a sinistra della sinistra
Presumibilmente molti nella sinistra moderata del Partito Laburista hanno reagito alla schiacciante vittoria elettorale di Corbyn con capricci e condanne. Ci sono tuttavia state notevoli eccezioni. Molti si sono sorpresi quando Neal Lawson, presidente del gruppo di esperti della sinistra moderata di Londra, Compass, si è dichiarato a sostegno di Corbyn, affermando che:
“L’ondata Corbyn è una finestra in quello che è possibile. La sua energia sta sgretolando il suolo gelato che per 30 anni è stato troppo duro perché i nostri sogni potessero crescervi.”
Bryan Gould, in precedenza membro del gabinetto ombra laburista con Neil Kinnock (lui stesso critico esplicito di Corbyn), ha scritto sul London Progressive Journal:
“L’appello di Corbyn agli elettori finora è la prova migliore che l’egemonia del “libero mercato” che ha tenuto tutti noi – e non ultimi i politici laburisti – alla sua mercé per così tanto tempo, è ora in declino.
Senza dubbio in alcuni casi il cambio di corso potrebbe essere poco più che opportunismo quando i venti politici iniziano a soffiare in una direzione diversa. Ma potrebbe essere che una frazione significativa della sinistra moderata possa essere convertita a un programma più radicale se sembra che tale programma abbia una possibilità realista di assicurare un mandato democratico.
Rivendicare la modernità
Una delle linee fondamentali di attacco degli oppositori di Corbyn è stata di descriverlo come la personificazione di una politica fuori moda. Il neoliberalismo è dipeso per molto tempo dal mantenere l’opinione che la dottrina rappresenta la modernità e che i suoi oppositori di sinistra sono sostenitori di un tribalismo che cerca di riportare indietro l’orologio alla metà degli anni ’70. Tuttavia nel 2008 la sinistra ha l’opportunità di cambiare le cose. Questo comunque può avvenire se le politiche della sinistra in primo piano, come la democratizzazione dei servizi pubblici, l’adottare la tecnologia dell’informazione per responsabilizzare il pubblico tramite l’uso nel bilancio partecipativo e la promozione di nuove forme di controllo democratico che fanno a meno sia della marchetizzazione che del paternalismo della democrazia sociale del dopoguerra. Le proposte che annunciano un progetto di sinistra di modernità è necessario che vengano ripetute con forza dal campo di Corbyn dato che i media faranno tutto il possibile per evitare di riferire questo aspetto del programma. Al riguardo, dare le cariche di governo più prestigiose agli uomini, fare pettegolezzi sulla riapertura delle miniere di carbone e cantare Bandiera Rossa con Billy Bragg non è esattamente un aiuto.
La sinistra in ascesa o il centro che crolla?
Comunicamdo una nota di avvertimento a coloro che sono trascinati via dall’ondata Corbyn, i redattori della nuova rivista Salvage, avvertono:
“Il nostro pessimismo…è storicamente fondato. E’ basato su una valutazione realistica dei limiti del potere istituzionale, sociale e organizzativo della sinistra, dell’erosione e della distruzione dei luoghi del potere della classe operaia…Questi fattori non sono spariti, anche se sono oscurati dalla rilevanza della vittoria di Corbyn.”
In larga misura, Corbyn è stato capace di riuscire non per la forza della sinistra, ma piuttosto per la vacuità ideologica dei centristi del Partito Laburista. Come ho scritto in precedenza, la triangolazione Clintoniana in una strategia elettorale adatta agli anni ’90, non fattibile nel 2015. Sul New York Times Paul Krugman osserva che il successo di Corbyn è più attribuibile ai moderati laburisti che hanno lasciato libero il ruolo di opposizione politica, che al potere crescente della sinistra.
Krugman e i redattori di Savage hanno ragione a osservare che non è sorto nulla di paragonabile alle istituzioni di una volta della classe operaia che lotta. Ciononostante, come fa notare Adam Ramsey, la forza istituzionale della sinistra è considerevolmente aumentata rispetto al punto in cui si trovava nel periodo immediatamente successivo al crollo finanziario del 2008. Rimane un problema aperto se la sinistra possa costruire una nuova base istituzionale al punto dove può diventare una forza in grado di spingere sulla difensiva i neoliberali.
Prima o poi l’elite globale comincerà a formulare una replica ideologicamente coerente all’attuale crisi strutturale. Cominceranno a emergere le linee di un nuovo sistema di accumulazione che difenderanno il mantenimento dei privilegi dell’élite e assicureranno un ritorno a una relativa stabilità e a una crescita economica. Quel nuovo regime potrebbe risultare anche più brutto della variante neoliberale del capitalismo.
Come suggerisce David Kotz, un possibile sviluppo potrebbe essere quello che chiama “Business Regulated Capitalism”, cioè la creazione di un regime di accumulo di capitale che vedrebbe intervenire lo stato per moderare il potere del capitale finanziario, ma questo sarebbe accoppiato con l’autoritarismo sociale e con il nazionalismo revanscista.
Negli anni ’70, la sinistra si dimostrò impari al compito di avanzare oltre la democrazia sociale e di superare il capitalismo Fordista. Quel fallimento ha portato direttamente alle camere della tortura create da Pinochet in Cile, alla devastazione del sud globale con il consenso neoliberale di Washington e alla decimazione dei sindacati e di altre forme di potere della classe operaia. Davanti alla prospettiva di un catastrofico cambiamento del clima, la posta in gioco è anche più alta di quanto fosse nel 1975. I Corbyniani e i loro fratelli internazionali è necessario che si diano da fare e in fretta.
Alex Doherty è cofondatore del New Left Project ed è dottorando presso il Dipartimento di Studi sulla guerra al King’s College di Londra. Ha scritto per Z Magazine and per Open Democracy, e per altre pubblicazioni. Lo potete seguire su twitter @alexdoherty7
Pubblicato su www.znetitaly.org
Originale: TeleSUR English
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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