di Alberto Rotondo
Non conosco Milano, anche se ogni tanto la frequento, lì vive infatti una parte importante della mia famiglia.
Anzi devo proprio confessare una certa diffidenza , sicuramente ingenerosa ma altrettanto inevitabile , per una città che è anche uno stile di vita assai lontano da quello a cui siamo abituati noi pazienti abitanti del profondo sud.
Una diffidenza che spesso, per un malato di siculitudine come me, sconfina nel disprezzo per la tanto decantata buona borghesia milanese, sempre pronta a mettersi sul pulpito con le sue presunte virtù civiche salvo poi constatare che esse hanno generato le peggiori culture politiche della storia unitaria : dal fascismo alla Milano da bere di Pillitteri e Craxi, dal berlusconismo al fascioleghismo padano.
Non sono la persona più adatta, quindi, per esprimere giudizi sulla qualità della vita sociale e politica di quella che è stata definita “la capitale morale di Italia”, ma allo stesso tempo so bene che molte volte Milano è stata l’incubatrice di esperienze e trasformazioni che hanno segnato la storia politica di Italia e per questo motivo ritengo che si debba prestare la massima attenzione a quanto accade in riva ai Navigli.
Qualche mese fa mi capitò di parlarne con un professore bocconiano, incontrato ad un corso di specializzazione. Un napoletano simpatico e gentile, ma sin troppo orgoglioso per i tre quarti di nobiltà che gli attribuiva la milanesità e il titolo accademico acquisito. Uno dei tanti esempi del provincialismo meneghino, insomma.
Durante la pausa caffè gli chiesi cosa ne pensasse della giunta Pisapia. Lui mi rispose che in realtà non sapeva esprimere un giudizio, dal suo punto di vista Pisapia non aveva fatto nulla, stava raccogliendo semplicemente i frutti dell’amministrazione Moratti.
Premetto che non condivido affatto il suo pensiero e ritengo che la giunta Pisapia possa aver espresso qui e là qualche esempio di buona amministrazione, non era difficile peraltro dopo un ventennio di giunte di destra. E’ troppo vivo nella mente il ricordo delle vergognose ronde padane, per non riconoscere gli sforzi di tanti milanesi, nelle istituzioni come nel mondo del volantariato, per rendere meno indegna l’accoglienza ai migranti in transito nella città.
Sono però convinto che nella battuta del professore bocconiano vi sia un fondo di verità . Dispiace che vi sia qualcuno a sinistra che sembra non accorgersene, cosa di cui invece si sono accorti benissimo nelle sedi che contano.
Ieri il consiglio di amministrazione dell’ ISPI ( l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), che dal mese di aprile è presieduto da Giorgio Napolitano, ha assegnato a Letizia Moratti, Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala un premio speciale “per l’impegno nell’ideazione, realizzazione e gestione di Expo 2015”.
L’Ispi è il parente povero della Foreign Policy Association di New York e appartiene a quella misteriosa categoria di istituzioni che la neolingua della globalizzazione chiama Think Tank e che chi ha letto Gallino riconosce come “gli organi informali di governo del finanzcapitalismo” .
Non penso che il premio sia arrivato per caso, nel pieno del dibattito sulle recenti scelte di Renzi e del suo governo, che ha parlato per la capitale di modello Expo, dopo aver nominato il prefetto di Milano commissario del comune di Roma.
Il riconoscimento si preoccupa di rendere manifesto a tutti noi il pensiero prevalente della buona borghesia milanese, bocconiana e non: l’esperienza della giunta Pisapia è collegata a quella di Letizia Moratti e l’anello di congiunzione è rappresentato da Giuseppe Sala, direttore generale a Palazzo Marino nell’era Moratti e celebrato commissario straordinario dell’Expo dei “miracoli” ai giorni nostri.
L’uomo giusto da candidare a sindaco della città.
Ho seguito con un certo distacco le solite polemiche a sinistra sulle alleanze, perché ritengo che il compito di elaborare programmi e alleanze in sede locale deve restare di esclusiva pertinenza dei territori.
Sarebbe assurdo oltre che antidemocratico imporre dall’alto delle scelte, che devono vivere poi nelle gambe e nei cuori di chi quelle scelte li deve interpretare nella concretezza di una campagna elettorale e successivamente nelle istituzioni.
Proprio per questo mi permetto soltanto di suggerire ai compagni milanesi che hanno sostenuto e partecipato all’esperienza di governo di Pisapia e che pensano di darle continuità, di riflettere sulla vera continuità che stanno preparando le classi dirigenti per il futuro della loro città.
Una continuità che ha un nome Giuseppe Sala , un mentore Matteo Renzi e un gran cerimoniere Giorgio Napolitano, nelle sue attuali vesti di presidente onorario dell’Istituto di Studi Politici Internazionali.
Fonte: Esseblog
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