di Maria Laura Di Tommaso e Daniela Piazzalunga
Sul blocco dei salari nel settore pubblico si è scritto molto, senza tuttavia prendere in considerazione tutte le conseguenze di una simile manovra. Introdotto nel 2010 come misura di austerità, è stato rinnovato fino a giugno 2015, quando la misura è stata giudicata illegittima dalla Corte Costituzionale. Si è calcolato quanto ha perso un lavoratore pubblico in termini di salario, si è stimato quanto ha risparmiato lo Stato e quanto costerà lo sblocco, ma nessuno ha preso in considerazione gli effetti di genere della manovra. Eppure, il 35% delle donne che lavouano è impiegata nel settore pubblico, rispetto al 24% degli uomini. Secondo i risultati di una nostra recente ricerca[1], il blocco dei salari è stato una delle principali cause dell’aumento del differenziale salariale di genere in Italia durante gli anni della crisi.
Il differenziale salariale in Italia è più basso che nel resto d’Europa: nel 2013, il gender pay gapera di circa 7.3%, rispetto alla media europea del 16.4% (Eurostat, 2015)[2]. Tuttavia, mentre il gap in Europa si è ridotto di circa un punto percentuale dal 2008 al 2013, nello stesso periodo in Italia è aumentato dal 4.9% al 7.3%[3].
Alcune delle possibili cause suggerite non sono confermate dall’analisi dei dati. Se è vero che più uomini che donne hanno perso il lavoro negli anni della crisi, questo non sembra aver inciso sulle caratteristiche medie dei lavoratori, né sulla distribuzione del salario degli uomini. Emerge invece una diminuzione della percentuale di donne che percepiscono un salario medio-alto. Ciò contraddice l’ipotesi che a causare l’aumento del gap sia stato il fenomeno dellavoratore aggiunto o l’aumento dell’occupazione nei servizi alla persona (settore prevalentemente femminile con bassi salari).
Analizzando l’andamento del divario lungo tutta la distribuzione dei salari, si può notare un aumento del gap per tutte le fasce di reddito tra il 2008 e il 2010. Tra il 2010 e il 2012, invece, il gap è aumentato fortemente soprattutto nella parte medio-alta della distribuzione, come si può vedere nella figura 1. Si tratta, cioè, di un aumento del differenziale salariale tra donne e uomini che guadagnano più della mediana. Tale aumento non è però dovuto a variazioni nelle caratteristiche di uomini e donne che lavorano[4].
Figura 1: Differenziale salariale per quantili in Italia, 2008, 2010, 2012
Fonte: Piazzalunga e Di Tommaso (2015)
Questo trend suggerisce che l’aumento del gender page gap riguardi proprio quelle donne che lavorano nel settore pubblico, in media più istruite e con salari più alti delle altre.
Il 2010 è, infatti, l’anno in cui è stato introdotto il blocco dei salari nel settore pubblico, con la legge 122/2010, effettiva da gennaio 2011. Il crollo del rendimento associato a lavorare nel settore pubblico nel 2011 e nel 2012 è marcato, come schematizzato dalla figura 2[5]. In media, una donna impiegata nel settore pubblico guadagnava circa il 20% in più di una donna occupata nel settore privato, a parità delle altre caratteristiche. Questo rendimento è sceso al 15% nel 2011, e al 13% nel 2012. Per un uomo, il rendimento è passato dal 10% al 7% tra il 2010 e il 2011.
Figura 2: Rendimento associato a lavorare nel settore pubblico, 2004-2012
Fonte: Piazzalunga e Di Tommaso (2015)
Ci siamo successivamente concentrate sul confronto tra il 2009 e il 2011, l’anno prima e quello dopo il blocco dei salari. Utilizzando il 2009 e il 2011 si riducono al minimo le possibili variazioni dovute ad altri aspetti. Attraverso una simulazione, stimiamo il gender pay gap nel 2011 in assenza del blocco dei salari. I risultati ci dicono che, in assenza del blocco dei salari, il differenziale salariale non sarebbe aumentato, anzi sarebbe leggermente diminuito. Questi risultati sono confermati dalla simulazione simmetrica, con cui stimiamo il differenziale salariale nel 2009, con il rendimento associato a lavorare nel settore pubblico del 2011. Secondo le nostre stime, oltre il 100% dell’aumento del differenziale salariale tra il 2009 e il 2011 è dovuto al crollo del rendimento nel settore pubblico.
Questo si è verificato perché più donne che uomini sono impiegate nel pubblico, ma non solo. Infatti anche all’interno del settore pubblico il gender pay gap è aumentato. Storicamente più basso che nel privato, il differenziale salariale nel pubblico era pari a 0 dal 2006. Tuttavia, sebbene siano stati congelati i salari sia delle donne sia degli uomini, nel 2011 il gap nel settore pubblico aumenta, raggiungendo oltre il 5%. Tale dato sembra essere una conseguenza del crollo dei rendimenti maggiore nel settore dell’istruzione, settore per il quale il blocco dei salari è stato ancora più severo, e dove il 75% degli occupati è donna. Tuttavia mancano dati sufficientemente dettagliati per trarre maggiori conclusioni in merito.
Questi risultati mostrano alcune delle conseguenze impreviste delle misure di austerità, che hanno avuto ripercussioni più severe sulle donne, e mettono in luce l’impellente necessità di tenere in considerazione aspetti di genere nell’attuazione delle politiche pubbliche anche nel nostro paese.
NOTE
[1] Piazzalunga D., Di Tommaso M. L., 2015, “The increase of the gender wage gap in Italy during the 2008-2012 economic crisis”, Carlo Alberto Notebook426/2015
[2] È risaputo, però, che il differenziale salariale in Italia è più basso che altrove a causa della bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Le donne che lavorano sono un gruppo fortemente selezionato, con un alto livello di istruzione e un forte attaccamento al mercato del lavoro. Se in Italia aumentasse la percentuale di donne nel mondo del lavoro, il differenziale salariale sarebbe molto più alto.
[3] Guardando ai dati dell’indagine “Reddito e condizioni di vita”, utilizzati nella nostra ricerca, l’aumento è ancora più marcato, dal 4% nel 2008, all’8% nel 2012.
[4] Evidenziato sia dalla quantile decompositions, sia da un’estensione della scomposizione di Oaxaca.
[5] Coefficiente associato a lavorare nel settore pubblico, controllando per età, esperienza lavorativa, istruzione, settore, posizione, part-time. Il coefficiente è robusto anche alla specificazione che corregge per la selezione nel mercato del lavoro.
Fonte: ingenere.it
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