di Anna Maria Merlo
Il faccia a faccia continua, tra i sindacati contestatori (Cgt e Force ouvrière in testa, senza la Cfdt) da un lato e il governo dall’altro, come due eserciti schierati nel campo di battaglia in una guerra di logoramento. Con un comunicato, i sette sindacati in lotta chiamano ad «ampliare la mobilitazione» e promettono, riprendendo il linguaggio della Nuit Debout, «tempi forti di convergenza delle lotte intercategoriali nei prossimi giorni», in vista della «giornata nazionale» con una grande manifestazione a Parigi il 14 giugno, giorno previsto per l’inizio della discussione della Loi Travail al Senato. Questa manifestazione sarà seguita da un altro «momento forte» nella seconda metà di giugno. François Hollande, dal Giappone (dove partecipa al G7), assicura: «Non demordo», perché la Loi Travail «è una buona riforma». Il presidente mette in guardia chi protesta dal «non mettere a rischio l’economia che riparte».
Il premier Valls conferma la strategia che mira a far pesare sulle spalle dei sindacati contestatori la responsabilità della tensione in corso: «Bloccare il paese è inaccettabile», ripete. Ieri però i 56 deputati che avevano presentato una mozione di censura di sinistra contro il ricordo all’articolo 49.3 della Costituzione per blindare il percorso parlamentare della legge, hanno inviato una lettera aperta a Hollande nella quale chiedono di «tenere in conto le aspirazioni del popolo» e in sostanza di abbandonare le riforme che dividono inutilmente la sinistra».
Il premier Valls conferma la strategia che mira a far pesare sulle spalle dei sindacati contestatori la responsabilità della tensione in corso: «Bloccare il paese è inaccettabile», ripete. Ieri però i 56 deputati che avevano presentato una mozione di censura di sinistra contro il ricordo all’articolo 49.3 della Costituzione per blindare il percorso parlamentare della legge, hanno inviato una lettera aperta a Hollande nella quale chiedono di «tenere in conto le aspirazioni del popolo» e in sostanza di abbandonare le riforme che dividono inutilmente la sinistra».
Dopo la giornata di manifestazioni del 26 maggio – tra 153mila e 300mila persone in piazza, secondo le fonti, polizia o sindacati – ieri è stato confermato lo sciopero del terminal petrolifero di Le Havre, 6 raffinerie su 8 restano bloccate, a Donges è stato dichiarato uno sciopero illimitato. Sabato Valls riunisce a Matignon i rappresentanti del settore. Bloccato il porto de La Rochelle e anche la strada per l’aeroporto di Nantes. I depositi di carburante sono stati tutti evacuati, salvo quello di Gargenville. Ma ieri solo il 10-15% dei benzinai era a secco, una situazione migliore dei giorni precedenti. In 10 centrali nucleari su 19 la produzione è calata. Da lunedì i sindacati raccoglieranno le firme per un referendum, nelle imprese, nelle amministrazioni e in licei e università, una «votazione cittadina» per rifiutare la Loi Travail. Hollande avverte la Cgt, avversario numero uno (mentre ci sono tentativi di spaccare il fronte, con contati con Force ouvrière): «Se il dialogo è sempre possibile, non è mai fondato su ultimatum, non si può accettare che ci sia una centrale sindacale, che ha la sua storia, che dice cosa è legge e cosa non lo è». Per Hollande, la legge andrà al Senato e poi tornerà all’Assemblea, «è in questo quadro che le discussioni devono aver luogo e da nessun’altra parte».
Guerra di posizione tra i due fronti. Il governo punta all’esasperazione della popolazione, all’effetto negativo che accompagna le manifestazioni (a Parigi ci sono stati 32 fermi, 77 in tutta la Francia, nella capitale c’è stato un manifestante ferito, 15 poliziotti feriti in tutto il paese). È l’opinione pubblica ad avere in mano la carta per condizionare l’esito dello scontro. Per il momento, la contestazione ha la meglio: il 69% dei francesi, secondo un ultimo sondaggio, restano ostili alle Loi Travail e ne chiedono il ritiro, il 59% ritiene che i responsabili della situazione di blocco siano presidente e governo.
Il governo ha poche carte in mano. La principale è una possibile mediazione, con una modifica del famigerato articolo 2 – quello dell’ «inversione della gerarchia delle norme», che dà la priorità agli accordi aziendali su quelli di categoria – senza però toccare «la filosofia» della riforma, ha avvertito Valls. Il governo punta anche all’effetto che può avere la discussione del testo di legge al Senato, dove domina la destra: nei programmi elettorali dei candidati alle primarie, le proposte sono molto più radicali della Loi Travail in discussione, corretta dalla Cfdt e da circa 8mila emendamenti accettati dal governo. Tra un anno ci sono le presidenziali e le legislative, quelli che vengono ormai designati nei cortei come «social-traditori» ricordano a chi protesta che con la destra sarà peggio. Ma questa strategia è rischiosa, ormai la spaccatura a sinistra è più che consumata.
Fonte: il manifesto
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