di Francesco Martone
Nel giorno del processo a Tsipras l’Europarlamento ha votato il
Rapporto Lange. Così l’Europa della cittadinanza cede il passo
all’austerity, all’ordoliberismo e agli interessi dei mercati
Per
un paradosso o una significativa coincidenza lo stesso giorno nel quale
processava Alexis Tsipras, il Parlamento Europeo avrebbe votato il rapporto Lange sul Transatlantic Trade and Invest- ment Partnership (Ttip).
Raffigurazioni plastiche ed evidenti di come il progetto europeo di
spazio di cittadinanza comune abbia ceduto il passo a quello elitario
dell’austerity, e dell’ordoliberismo a tutti i costi, e agli interessi
delle imprese e dei mercati anche a costo della sopravvivenza di uomini e
donne in carne ed ossa.
Il tema centrale del rapporto Lange riguardava la cosiddetta «Investor to State Dispute Settlement» (Isds).
La sua approvazione è stata giustamente condannata dagli attivisti
delle campagne internazionali contro il Ttip essendo potenzialmente
lesiva dei diritti umani, dell’ambiente e del lavoro: è infatti un
meccanismo che — seppur nelle correzioni addotte come compromesso al
ribasso dal gruppo socialista — subordina tuttora il «corpus» dei
diritti umani alla prevalenza degli interessi delle imprese e del
mercato.
Insomma con quella norma si crea uno stato di eccezione che
può essere di volta in volta invocato dalle imprese per far valere i
propri diritti rispetto a normative ritenute pregiudizievoli. Una
progressiva erosione della sovranità e del diritto
all’autodeterminazione.
A parte la casualità dettata dall’agenda
e dagli eventi, esiste un filo rosso che lega il dibattito mattutino a
quello pomeridiano, ed è quello dei diritti umani.
A suo tempo
il relatore speciale dell’Onu sulla promozione di un ordine
internazionale equo e democratico, Alfred de Zayas puntò il dito contro
la segretezza ed antidemocraticità con la quale viene negoziato il
Ttip e contro la clausola Isds.
Ai primi di giugno De Zayas
assieme ad altri relatori speciali dell’Alto Commissario Onu sui Diritti
Umani aveva pubblicato un appello pubblico nel quale si denunciava di
nuovo la mancanza di trasparenza dei negoziati, e l’impatto «negativo
che questi trattati potranno avere sul godimento dei diritti umani,
definiti in accordi internazionali vincolanti, che siano diritti civili,
culturali, economici, politici o sociali, quali il diritto alla vita,
al cibo, all’acqua, alla salute, alla casa, alla cultura, i diritti dei
lavoratori». La clausola Isds inoltre è considerata «anomala» nel
senso di assicurare protezione agli investitori ma non agli stati ed
alle popolazioni, «permettendo agli investitori di portare in giudizio
gli stati e non viceversa». I relatori speciali inoltre denunciano i
rischi derivanti dai trattati internazionali sugli investimenti rispetto
alla capacità dei paesi indebitati di poter rinegoziare il proprio
debito estero.
Non a caso tra i firmatari figura anche Juan
Bohoslavsky, esperto indipendente delle Nazioni Unite sugli effetti del
debito estero sui diritti umani, in particolare i diritti economici,
sociali e culturali.
Bohoslavsky, che ha svolto missioni in
Grecia ed in Islanda, sta lavorando ad una serie di dossier importanti
sul debito estero, seguendo le tracce del suo predecessore che stilò le
linee guida sul debito estero ed i diritti umani approvate a suo tempo
dal Consiglio Onu sui diritti umani, con l’astensione dell’Italia. A
quel tempo c’era il governo Monti. Tra le raccomandazioni quella di
riconoscere il diritto al default ed alla rinegoziazione del debito da
parte dei governi, qualora il pagamento del debito comportasse la
violazione dei diritti umani fondamentali dei propri cittadini e
cittadine.
Né più e né meno di ciò che chiede la Commissione
di Audit del debito promossa dal Parlamento greco nel suo rapporto
preliminare pubblicato di recente. Ora Bohoslavsky, sulla scorta del
caso legale che sta contrapponendo l’Argentina ed un fondo avvoltoio di
proprietà di un tale Paul Singer — primo finanziatore dei repubblicani
Usa e che già partecipò a processi di ristrutturazione del debito
greco — sta elaborando una proposta di procedura indipendente di
arbitrato sul debito che permetta a creditori e debitori di sedere al
tavolo negoziale a pari diritto. E che consenta appunto di capovolgere
la piramide mettendo al centro i diritti rispetto agli imperativi della
finanza.
Nel loro appello sul Ttip i relatori speciali si
riferiscono poi alle norme Onu sulle imprese ed i diritti umani secondo
le quali gli Stati hanno l’obbligo di assicurare il rispetto dei diritti
dei propri cittadini. Dà da pensare che proprio nella stessa sede
delle Nazioni Unite a Ginevra di lì a poco si sarebbe discussa la
proposta avanzata dall’Ecuador e da altri stati per un accordo
vincolante per le imprese transnazionali ed i diritti umani.
Questa
tappa del negoziato ha portato ad un importante passo in avanti verso
un regime vincolante di responsabilizzazione delle imprese
multinazionali, invocato anche da dozzine di movimenti sociali di tutto
il mondo attraverso l’elaborazione e la proposta di un trattato dei
popoli sulle imprese multinazionali ed i diritti.
Ebbene, proprio
mentre la Commissione si sta adoperando per addolcire la pillola amara
dell’Isds, dall’altra decide di disertare quel consesso. Dopo aver
tentato invano di contestare l’oggetto del negoziato, adducendo il
pretesto — seppur legittimo — che tale trattato dovesse essere
vincolante per tutte le imprese non solo quelle multinazionali, a fronte
della resistenza di alcuni paesi, il rappresentante Ue decise di
abbandonare la seduta. Disertare la discussione sui diritti umani e
sugli obblighi delle imprese va di pari passo con la determinazione con
la quale la stessa Commissione spinge sull’acceleratore del negoziato
Ttip, e con la quale impone alla Grecia misure draconiane che rischiano
di aggravare ulteriormente la situazione dei diritti del popolo greco.
Un
segnale ulteriore della crisi dell’Europa che si compie lungo le sue
frontiere, da quella atlantica, a quella del suo Sud, dal Mediterraneo,
all’Ucraina.
Fonte: sbilanciamoci.info
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