di Enrico Parisio
Sicuramente apprezzabile il lavoro di Sbilanciamoci!, che ancora una
volta smaschera la retorica autoritaria vestita malamente da innovazione
portata avanti dalla “sinistra di governo”. Rimane però qualche
perplessità su alcuni punti, a mio avviso non secondari: l’innovazione e
il lavoro autonomo.
Esiste una parte del mondo del lavoro del
nostro Paese che non vive di contratti di lavoro. Una parte sempre più
ampia, che non è solo il frutto del capitalismo “on demand”, ma è una
caratteristica peculiare del sistema produttivo italiano. Il lavoro
autonomo rappresenta il 23% degli occupati in Italia, con una media
europea del 14%. L’atteggiamento dei sindacati nei confronti di questo
bel pezzo di Italia, è sempre stato lo “smascheramento”, cioè il
tentativo di ricondurre forme di lavoro free lance a rapporti di lavoro
subordinati. Forse solo in questo caso si potrebbero difendere i diritti
di questi lavoratori da parte dei sindacati, viceversa, se
pervicacemente non si accetta la subordinazione, si è sostanzialmente
lasciati soli, alla faccia dei diritti di tutti i lavoratori.
Con questo
non si vuole dire che non esistano le finte partite IVA, o in taluni
casi di monocommittenza sarebbero auspicabili rapporti di lavoro
subordinati (quindi tutelati), ma la questione non cambia: il lavoro
indipendente in quanto tale non è degno di alcuna politica o
vertenzialità da parte dei sindacati (dei lavoratori? Non di tutti…).
Significativo
dell’impostazione ideologica è il passo relativo al salario minimo, che
si dice sarebbe efficace per il Quinto Stato, ma l’attenzione non è per
questo, bensì per le conseguenze che potrebbe determinare nei confronti
del lavoro subordinato, nell’efficacia dei Ccnl, nell’indebolimento del
sindacato, che evidentemente non tutela affatto il Quinto Stato …
Perché si parla solo di partite iva in monocommitenza e non anche di
quelle in pluricommitenza? Forse avere più clienti è una ragione per non
avere tutele (malattia, previdenza, disoccupazione…)?
Il lavoro
autonomo, tradizionalmente composto da artigiani, commercianti,
imprenditori, vede negli ultimi 10 anni una flessione di queste figure e
un aumento del numero dei professionisti autonomi, in decisa
controtendenza rispetto alle altre voci, compreso il lavoro dipendente.
Il
lavoro professionale è sempre più composto non solo dalle cosiddette
nuove professioni legate alla rete, ma anche dai professionisti della
legge 4, e dagli ordinisti, esplosi come numero e sempre meno tutelati
dal corporativismo elitario degli ordini professionali. Non so se siano
un blocco sociale, una classe o un ceto, so di certo che si raggiunge un
livello di tassazione che supera il 60%, a fronte di un reddito medio
di 20mila euro per gli uomini e 15mila per le donne… Sicuramente
parliamo di donne e uomini che ogni mese devono trovarsi più lavori, che
il lavoro se lo inventano, che non hanno garanzie di essere pagati per
le loro prestazioni, che non hanno alcuna protezione sociale…Capisco che
lo schema capitalista/operaio è più semplice da interpretare, ma lo
sforzo che fanno gli indipendenti per arrivare a fine mese credo
meriterebbe un’analisi quantomeno più approfondita (e tralasciamo gli
indipendenti con basse qualifiche professionali… sostanzialmente i nuovi
schiavi).
Per quanto riguarda il Capitolo 5 “Un nuovo mondo di
lavoratori usa e getta?”, direi che la sharing economy non può essere
ridotta alle aziende trasnazionali che tramite piattaforma esplorano
nuove frontiere di business “social”… forse sarebbe necessario
approfondire l’argomento… per esempio andare a vedere la funzione
sociale che esercitano le reti di coworking e fab lab, uniche
“istituzioni di prossimità” autorganizzate per il lavoro autonomo e free
lance. Perché non ho mai incontrato un sindacalista in un coworking?
Evidentemente hanno cose più importanti da fare…
Per quanto
riguarda i “piani per creare occupazione”, c’è una buona notizia: le
“attività produttrici di valori socialmente utili” ci sono già, le fanno
(autonomamente) i gruppi, più o meno formalizzati (imprese,
associazioni, start up), che si occupano di sharing economy: dal basso,
creando relazioni sociali, redditi, economie sostenibili. Per tutto il
resto, complimenti!!!!
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