La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 1 agosto 2015

È la disoccupazione, bellezza

di Marta Fana
Sostiene l’Istat che il primo seme­stre 2015 si è chiuso con un anda­mento del mer­cato del lavoro per nulla posi­tivo: a giu­gno il tasso di disoc­cu­pa­zione per l’intera popo­la­zione è tor­nato al 12.7% e quello gio­va­nile rag­giunge il 44.2%. Il numero di occu­pati con­ti­nua a dimi­nuire a giu­gno di 22 mila unità in un mese, dopo il calo di mag­gio di 74 mila unità. Dimi­nui­sce anche il tasso di inat­ti­vità, spie­gato dalle con­di­zioni dram­ma­ti­che in cui ver­sano le fami­glie e non dalla fidu­cia ritro­vata (che pro­prio a giu­gno mostra un calo signi­fi­ca­tivo), come invece vuole farci cre­dere il governo.

L'orizzonte europeo è la vera sfida della sinistra

di Felice Roberto Pizzuti
Nelle ultime set­ti­mane, la que­stione greca ha avuto svi­luppi impor­tanti non solo per le con­di­zioni imme­diate e il futuro di quel paese ma, soprat­tutto, per le pro­spet­tive della costru­zione euro­pea. Per la rile­vanza sto­rica di que­sto pro­cesso, gli effetti sul suo esito costi­tui­scono un rife­ri­mento obbli­gato per valu­tare le posi­zioni delle forze che chia­miamo di sini­stra, sia quelle già strut­tu­rate sia quelle in tras-formazione, anche in Ita­lia, come sol­le­cita l’apertura di dibat­tito di Norma Ran­geri sul mani­fe­sto.
Nelle trat­ta­tive con la Troika (o come la si vuol chia­mare), l’improvvisa deci­sione di indire il refe­ren­dum e la suc­ces­siva vit­to­ria del No sem­bra­vano poter raf­for­zare le posi­zioni del governo elle­nico e – più ancora — favo­rire una riqua­li­fi­ca­zione posi­tiva del pro­getto uni­ta­rio euro­peo; invece, gli eventi suc­ces­sivi hanno smen­tito quelle speranze.

16 miliardi alle imprese, nessun nuovo posto di lavoro. Ecco il Jobs Act...

di Roberto Ciccarelli
Dopo lo Svimez, anche l’Istat gua­sta la festa al governo. Ven­ti­due­mila occu­pati in meno e cin­quan­ta­cin­que mila disoc­cu­pati in più a giu­gno, 85 mila in più dal 2014, hanno indotto ieri il pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi a par­lare di «pic­cola ripar­tenza» dell’occupazione. A Renzi è stato sug­ge­rito di guar­dare i dati Istat che atte­stano la ridu­zione degli inat­tivi, sin­tomo di una mag­giore par­te­ci­pa­zione al mer­cato del lavoro. Una ten­denza che si è strut­tu­rata nell’ultimo anno: –0,9% (-131 mila). «C’è ancora mol­tis­simo da fare ma i dati sono inte­res­santi per­ché quelli che ven­gono con­si­de­rati inat­tivi, che erano sfi­du­ciati o ras­se­gnati, tor­nano a cre­derci – ha detto — cioè aumenta il numero di per­sone che ha tro­vato un posto di lavoro ma anche chi lo sta cercando».
A riprova della stra­te­gia del governo, tutta in difesa per giu­sti­fi­care dati da sta­gna­zione pura e sem­plice, sono arri­vati anche i pen­sieri del respon­sa­bile eco­no­mico del Pd, Filippo Tad­dei, il quale sostiene che la «cre­scita» (data allo 0,7%) pro­durrà effetti occu­pa­zio­nali in autunno, «con sei mesi di ritardo». C’è qual­cosa che però non fun­ziona nella trin­cea sca­vata dal governo sotto l’intenso can­no­neg­gia­mento della crisi: se il tasso di inat­ti­vità dimi­nui­sce, dovrebbe dimi­nuire allora anche quello della disoc­cu­pa­zione. Invece accade il con­tra­rio, e non da ieri. Si torna a sfio­rare il record del 13% (siamo al 12,7%).

La Scuola della Repubblica vale più di una posta contabile

di Pierfranco Pellizzetti
Di questi tempi, impancati maestri di laicità/laicismo, magari in tonaca o clergyman, ci hanno bacchettato dai loro pulpiti nel momento in cui si è manifestato apprezzamento per la sentenza della Cassazione che - sciogliendo il nodo dalla ben nota causa avviata dal Comune livornese - sanciva l’obbligo per le scuole private di pagare l’IMU e l’ICI; come tutti gli altri abitatori di questa penisola. Ovviamente, andando a colpire i privilegi ecclesiastici, appurato che in Italia tali istituti sono per due terzi dichiaratamente di matrice religiosa. Oltre che intraprese a scopo di lucro, in cui l’allievo risulta prima di tutto un cliente; e - come tale - titolare di diritti/aspettative che oltrepassano anche in sede didattica le dirette valutazioni sui meriti e le competenze: producendo il cosiddetto “effetto diplomificio”.

La Rai di Renzi: rivince la Gasparri, perde il servizio pubblico

di Vincenzo Vita
Si è con­cluso il primo tempo, con l’approvazione a mag­gio­ranza del testo del governo da parte dell’aula del senato, della tri­ste com­me­dia della (contro)riforma della Rai. Il secondo atto avrà luogo a set­tem­bre alla camera dei deputati.
Tut­ta­via, come in un giallo sur­rea­li­sta, il finale sarà noto ai let­tori già la pros­sima set­ti­mana, quando — mar­tedì — si riu­nirà la com­mis­sione par­la­men­tare di vigi­lanza per eleg­gere sette dei nove com­po­nenti del con­si­glio di ammi­ni­stra­zione del ser­vi­zio pub­blico, cui si aggiun­ge­ranno imman­ti­nente i due del mini­stero dell’Economia, tra i quali il pre­si­dente dell’azienda in pec­tore.

L'euro dei vincitori

di Marco Bertorello
Il dibat­tito sul futuro degli assetti economico-istituzionali dell’eurozona avviene dopo aver capi­ta­liz­zato lo scon­tro in cui le istanze con­tro l’austerità e il debito della Gre­cia sono state sec­ca­mente scon­fitte. Non è pen­sa­bile che il destino dell’Europa reale pre­scinda da tale scon­tro. Il ter­reno in cui ora si svi­luppa il con­fronto è alle­stito dai vin­ci­tori, non dai vinti.
Che l’accordo con il paese elle­nico regga non è scon­tato: già con i governi pre­ce­denti a Syriza gli accordi siglati spesso resta­vano let­tera morta. Ma quest’ultimo accordo, pro­prio per i suoi pro­ta­go­ni­sti, ha deli­neato le regole del gioco, lasciando inten­dere a tutti fin dove si può arri­vare nella con­tesa con le classi diri­genti euro­pee. In tal senso ha valore poli­tico. L’austerità e l’ossessione di bilan­cio non si discutono.
Come ricorda Mar­tin Wolf, la rot­tura con un paese implica un ogget­tivo sfal­da­mento del pro­getto della moneta unica, poi­ché si apri­rebbe una strada che poi ogni paese in dif­fi­coltà potrebbe imboc­care, ren­dendo la moneta unica più debole e meno cre­di­bile.

Un'altra beffa per gli F35

di Toni De Marchi
Chi è J. Michael Gilmore e perché parla male dell’F-35? Prendendolo a prestito da un famoso film del 1971 con Dustin Hoffman, potrebbe essere questo il titolo dell’ennesima puntata della commedia tragica dell’F-35 e delle sue varianti. L’ultima viene da un’anticipazione di Jane’s, una delle più importanti fonti informative sulla difesa. Dice Jane’s, citando un rapporto del 22 luglio non ancora reso pubblico, che l’F-35B ha mostrato di essere poco affidabile (“demonstrated poor reliability”) durante le prove in mare a bordo della nave da assalto anfibio USS Wasp. Secondo il rapporto citato da Jane’s, dei sei aerei imbarcati non più di due o tre erano in condizioni di volare in un dato giorno. L’affidabilità e la manutenzione dell’aereo imbarcato “costituiscono un problema a breve termine” e che gli stessi “saranno molto più difficili quando l’aereo dovesse essere impiegato in una missione operativa”.

Germania e neoliberismo, la ridefinizione antidemocratica

di Tommaso Nencioni
I recenti svi­luppi della crisi greca hanno avuto se non altro la virtù di met­tere a nudo pro­cessi di gerar­chiz­za­zione con­ti­nen­tale in atto da circa un ventennio.
Il popolo greco, sot­to­po­sto a un vio­lento stress test da parte della catena di comando del capi­ta­li­smo reale, avrebbe fatto volen­tieri a meno di pre­starsi a que­sta fun­zione di disve­la­mento — in greco antico ale­theia, «verità». Ma tant’è, e con que­sto sce­na­rio disve­lato biso­gna impa­rare a fare i conti, anche per­ché la lezione impar­tita al popolo greco e alle sue rap­pre­sen­tanze demo­cra­ti­che risuona come un de te fabula nar­ra­tur per tutti gli altri anelli deboli dell’eurozona.
Ben assisa al cen­tro nodale del pro­cesso gerar­chico di costru­zione euro­pea sta la Ger­ma­nia. La que­stione tede­sca, più che la que­stione greca, è la que­stione euro­pea per eccel­lenza. Bene ha fatto Alberto Bur­gio su il mani­fe­sto (24 luglio) ad ammo­nire con­tro il rischio che la con­tesa con­ti­nen­tale si spo­sti sul ter­reno del revan­chi­smo nazio­nale, un ter­reno in cui ad incro­ciare le spade sareb­bero ine­vi­ta­bil­mente gli oppo­sti luo­ghi comuni (bril­lan­te­mente ribal­tati da Piero Bevi­lac­qua su que­ste stesse colonne) sulle «cicale» e le «formiche».

Coro di ipocriti


di Zvi Schuldiner
Appic­care il fuoco a una casa, bru­ciare vivi un neo­nato — che è morto -, e sua madre e la sorel­lina — che lot­tano per la vita -, è orri­bile. Ma atten­zione all’ipocrisia domi­nante, alle con­danne ver­bali prive di contenuto.
Il mini­stro dell’educazione israe­liano Naf­tali Ben­nett con­danna il cri­mine; è ter­ro­ri­smo, è inac­cet­ta­bile. Il mini­stro dimen­tica che fra i saggi rab­bini che creano e ali­men­tano lo spi­rito del suo par­tito, c’è Dov Lior.
I let­tori, così come i miei alunni e la mag­gio­ranza degli israe­liani non neces­sa­ria­mente cono­scono il libro The Law of the King, nel quale due saggi rab­bini ana­liz­zano i diversi pos­si­bili punti di vista sull’attualità, e quando e come sia pos­si­bile ucci­dere non ebrei, bam­bini compresi…

Negli Usa si blocca il Ttip: Msf contro le multinazionali del farmaco

di Fabio Sebastiani
Clamorosa battuta d'arresto per il Tpp, il progetto voluto con forza da Barack Obama di un'area di libero cambio nel Pacifico, sul modello di quella ancor piu' ambiziosa con l'Europa (Ttip). I delegati riuniti da giorni alle Hawaii non hanno raggiunto alcuna intesa e non e' stata neanche fissata una nuova data per nuovi negoziati.
Anche se il ministro del Commercio Usa, Michael Froman ha sostenuto che nel corso dei colloqui si sono registrati "significativi progressi" definendo i problemi rimasti aperti come "limitati" la mancata intesa sul Ttp infligge un duro colpo al programma di Obama di spostare gli interessi degli Usa verso il Pacifico, il cosiddetto "pivot to Asia", anche per contrastare il dilagare della Cina. Un arresto che vale “doppio” considerato che proprio qualche settimana fa sono slittati di almeno un paio d’anni i termini per la definitiva chiusura del Ttip.

Tsipras adesso deve rilanciare nelle urne

di Gaetano Azzariti
La que­stione demo­cra­tica è tor­nata al cen­tro del dibat­tito euro­peo. La vicenda del refe­ren­dum greco seguito dall’accordo dell’eurogruppo, che è valso a porlo nel nulla, ria­pre la discus­sione, sia all’interno degli Stati, sia nello spa­zio ampio dell’Unione europea.
Per quanto riguarda la Gre­cia biso­gne­rebbe pren­dere atto che il rispetto del prin­ci­pio della rap­pre­sen­tanza demo­cra­tica (che impone di non sepa­rare la volontà dei gover­nanti da quella espressa dai gover­nati) richiede l’indizione di nuove elezioni.
Il par­tito di Syriza, gui­dato da Ale­xis Tsi­pras, infatti, ha costruito il pro­prio con­senso, e poi vinto le ele­zioni, intorno ad un pro­gramma di forte con­trap­po­si­zione alle poli­ti­che finan­zia­rie di auste­rity. Un piano, for­ma­liz­zato a Salo­nicco, che pro­spet­tava il fal­li­mento delle poli­ti­che dell’eurogruppo, imma­gi­nando si potesse rea­liz­zare una poli­tica eco­no­mica alter­na­tiva. Non solo. Supe­rando osta­coli sia poli­tici (l’avversione dei part­ner euro­pei), sia costi­tu­zio­nali (il limite di un refe­ren­dum d’indirizzo su un testo prov­vi­so­rio di accordo inter­na­zio­nale), sia di demo­cra­zia (una deci­sione che non poteva essere assunta dal solo popolo greco, coin­vol­gendo gli inte­ressi anche degli altri popoli euro­pei) il governo ha uti­liz­zato lo stru­mento del refe­ren­dum, otte­nendo uno straor­di­na­rio successo.

venerdì 31 luglio 2015

Disoccupazione. Per fortuna che c'era il Jobs Act...


di Lidia Baratta
L’occupazione in Italia cala ancora. I dati diffusi dall’Istat dicono che a giugno 2015 ci sono stati 22mila occupati in meno rispetto a maggio. Un calo che riguarda soprattutto i più giovani: gli occupati nella fascia d’età tra 15 e 24 anni sono diminuiti del 2,5%, e il tasso di occupazione giovanile, pari al 14,5%, è sceso di 0,3 punti percentuali. La disoccupazione, intanto, tra i giovani è salita al 44,2%, quella generale al 12,7 per cento. La «rivoluzione copernicana» del Jobs Act, se c’è, non si vede.

Podemos. L'antisistema si fa governo



di Benedetto Vecchi
Popu­li­smo 2.0. È l’espressione che ricorre abi­tual­mente per qua­li­fi­care l’esperienza poli­tica di Pode­mos, il par­tito spa­gnolo che ha ter­re­mo­tato il pano­rama poli­tico ibe­rico. Gli ana­li­sti, come sem­pre, met­tono in evi­denza le distanze, gli ele­menti di discon­ti­nuità dal pen­siero poli­tico clas­sico, inscri­vendo que­sta gio­vane for­ma­zione nell’alveo, tutto som­mato tran­quil­liz­zante, del popu­li­smo di matrice lati­noa­me­ri­cana. Una cor­nice tesa a demo­niz­zare le poten­zia­lità elet­to­rali di Pode­mos, col­lo­cando la sua azione al di fuori di una dimen­sione costi­tu­zio­nale e ai mar­gini della tra­di­zione demo­cra­tica euro­pea. A leg­gere il volume di Pablo Igle­sias Tur­rion Disob­be­dienti (Bom­piani, pp. 300, euro 18; ne ha già scritto su que­sto gior­nale Giu­seppe Cac­cia in occa­sione della sua uscita spa­gnola il 14 feb­braio scorso, ndr) tale sem­pli­fi­ca­zione va in mille pezzi. Con un’avvertenza: ciò che viene qua­li­fi­cato come anti­si­stema non viene smen­tito, ma arric­chito sem­mai di molti ele­menti che col­lo­cano Pode­mos nella cri­tica della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva.

La classe media e i suoi inafferrabili confini


di Maurizio Franzini
Sui mezzi di comunicazione, qualche giorno fa, si potevano leggere titoli come questi: “Il ceto medio si assottiglia e arretra rispetto al passato”; “La fine del ceto medio non c’è stata”; “34 milioni di italiani difendono con orgoglio la propria appartenenza alla middle class”.
Da questi titoli di desume con certezza che il ceto medio (o la classe media, visto che i due termini, più o meno correttamente, sono di norma usati in modo intercambiabile) spiana la strada a un uso non proprio parco della retorica mentre non si desume nulla di certo sul suo stato di salute. In realtà, entrambe queste deduzioni potevano essere formulate senza attendere gli ultimi giorni perché a giustificarle basta e avanza quanto si dice e si scrive della classe media già da molto tempo.
Accertare lo stato di salute della classe media non è di certo poco rilevante se, come molti sostengono – e, di nuovo, da molto tempo – la sua “buona salute” (per ora non meglio specificata) è essenziale per un’economia in espansione, per una società mobile e coesa, per una democrazia ben funzionante.

Che farà Varoufakis?

di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
L’anti-Tsipras, dicono, lui fa spallucce e sorride sornione. Di sicuro è l’unico capace di tenergli testa, perlomeno a livello mediatico. Fa notizia, piace, divide: un economista prestato alla politica, prestato allo spettacolo.
Yanis Varoufakis è personaggio “eclettico”: la sua moto, il suo look alla Bruce Willis, le sue competenze, le sue provocazioni che alla fine tanto provocazioni non sono; ma del resto in un’Europa paludata basta registrare una riunione fra ministri con il telefono e si passa subito per rivoluzionari.
Lo scorso 5 luglio decise di dimettersi da ministro delle Finanze, dopo la straordinaria e inaspettata vittoria dell’Oxi al referendum greco nel quale venivano respinte le misure d’austerity imposte dalle istituzioni europee. Una decisione a sorpresa. Aveva vinto la sua battaglia e proprio in quel momento lasciava l’onore e l’onere di far pesare sul piatto delle trattative la vittoria dei “no”.

Il welfare greco tra miti infondati e tagli reali


di Michele Raitano
Nel dibattito sulla crisi greca ricorre l’affermazione che l’indebitamento del paese derivi in larga misura dall’elevata spesa pubblica erogata da un sistema di welfare – in particolare quello previdenziale – troppo generoso e perciò bisognoso, di robusti interventi di riforma. Sulla nostra stampa, generalmente sulla base di aneddoti, la Grecia è spesso dipinta come un paese in cui il livello della spesa sociale è anomalo, il sistema pensionistico paga prestazioni iper-generose, gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici smette di lavorare a 55 anni e, soprattutto, nessuna riforma previdenziale significativa è stata adottata dall’esplodere della crisi in poi, da cui il mantra: “il paese meriterà gli aiuti solo quando inizierà a introdurre riforme strutturali”.
In questa nota si valuterà la rispondenza ai fatti di queste affermazioni iniziando con l’esame delle caratteristiche del sistema pensionistico greco e delle riforme introdotte negli anni più recenti e, proseguendo con l’analisi, in un’ottica comparata, dei livelli e delle tendenze della spesa sociale, sulla base dei dati più recenti di fonte Eurostat.

Accumulare povertà. Note a margine dell'ultimo Rapporto Istat


di Emanuela Struffolino e Marianna Filandri
Verrebbe quasi da tirare un sospiro di sollievo nel leggere il Report dell’ ISTAT sulla povertà in Italia. Dopo due anni di aumento, nel 2014 l’incidenza della povertà assoluta in Italia è rimasta stabile rispetto al 2013. L’interruzione del trend precedente non significa tuttavia che la povertà non sia un problema serio. Infatti, stiamo parlando di quasi un milione e mezzo di famiglie e di più di 4 milioni di persone (6,8% della popolazione residente) che non possono acquistare “beni e servizi considerati essenziali per una determinata famiglia per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”. Il fenomeno non è omogeneo sul territorio nazionale: secondo l’Indagine sulle spese delle famiglie l’incidenza della povertà assoluta al Sud è doppia rispetto al Nord (8,6% contro 4,2%) e a soffrire di più sono i piccoli comuni del Mezzogiorno e le aree metropolitane del Nord.
Le famiglie con due figli vedono migliorare la loro condizione (da 8,6% nel 2013 a 5,9% nel 2014), ma questo solo se i due figli non sono minori. Le famiglie numerose (con tre o più figli) e quelle con un solo genitore conservano il triste primato della più alta incidenza della povertà per tipologia famigliare (16% e 7,4% rispettivamente).

L'inganno del lavoro


di Francesco Gesualdi
Il Fondo Monetario Internazionale ha sentenziato che l'Italia avrà bisogno di 20 anni per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi. Ma ci sta prendendo in giro perché sa bene che di lavoro questo sistema non ne creerà più. Semplicemente perché non è il suo obiettivo, non è la sua missione come piace dire a chi vive l'economia come una religione.
La missione di questo sistema è garantire profitto alle imprese e ai suoi azionisti. Quanto al lavoro è solo un costo da contenere e poco importa se dietro al così detto mercato del lavoro ci sono persone in carne e ossa, con una dignità, una vita, dei diritti da salvaguardare. Per il mondo degli affari il lavoro è solo una merce, è del tempo da comprare al prezzo più basso possibile. E poiché la legge di mercato sancisce che il prezzo scende quando c'è più offerta che domanda , per fare scendere il prezzo del lavoro bisogna creare più offerenti lavoro di quanto siano i posti disponibili.

La politica economica oltre l'homo oeconumicus nei ripensamenti della Banca Mondiale

di Eugenio Levi
Quali sono le conseguenze della povertà? Le prime che vengono in mente, forse anche sulla scorta dei grandi romanzi francesi ottocenteschi di Victor Hugo ed Emile Zola, sono quelle sociali. Difficilmente pensiamo alle conseguenze psicologiche sui singoli individui, eppure queste sono certamente rilevanti. Basti ricordare che in una recente ricerca (Mani et al., Science, 341, 2013) è stato dimostrato che la povertà ha, insospettabilmente, anche l’effetto indiretto di limitare le capacità cognitive. Questa conseguenza è, quindi, un elemento in più da tenere in considerazione quando si decidono le politiche contro la povertà. Ma questo risultato si va ad aggiungere a molte altre evidenze che mostrano i limiti delle politiche economiche che adottano come riferimento l’homo oeconomicus invece che l’individuo per quello che è, cioè un essere limitato sul piano cognitivo e soggetto ad influenze sociali.
Questo è uno dei punti di partenza del recente rapporto della World Bank per il 2015: “Mind, Society, Behavior”. Si tratta di un documento ambizioso che propone un framework metodologico per politiche comportamentali di sviluppo e include una corposa rassegna di possibili best practices su problemi associati alla povertà, alla finanza domestica, alla produttività del lavoro, all’educazione infantile, alla salute, all’ambiente e ai cambiamenti climatici.

Un green New Deal per l'Italia e il suo Mezzogiorno

La “Green economy” come opportunità di crescita per il Mezzogiorno
di Stefano Sylos Labini
La fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2015 presentate il 30 luglio 2015 a Roma è tragica. Il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord, mentre la perdita occupazionale dopo sette anni crisi è stata di oltre 575.000 unità.
2.  La “Green economy” come opportunità di crescita per il Mezzogiorno
Ma non dobbiamo considerare questa situazione come qualcosa di immodificabile: il Mezzogiorno ha delle grandi potenzialità di crescita, però, serve un impegno del governo nazionale per farle realizzare.

Fondo Monetario: curare una polmonite tagliando una gamba

di Alessandro Robecchi
Dunque mettiamola così: il medico che per curarti la polmonite ti ha amputato una gamba ora ti guarda perplesso. Dannazione, la polmonite non è passata. Dunque propone di amputarti l’altra gamba. Sembra una storiella per chirurghi, e invece è la storia del prodigioso Fondo Monetario Internazionale, quello che di fatto gestisce e controlla l’economia mondiale, un medico che se lavorasse in corsia farebbe più morti della peste del Seicento.
La nuova vulgata ora è questa: bravini, avete fatto qualche sforzo nella direzione da noi indicata (traduco: vi siete tagliati una gamba), ma non basta. Per essere felici e tornare a correre nelle praterie del benessere dovrete tagliarvi pure quell’altra. Quasi tutti riportano con grande enfasi le parole dell’illustre medico, invece di rincorrerlo, come sarebbe più comprensibile, con un martello molto pesante. E dunque ecco: per riavere il tasso di occupazione pre-crisi, l’Italia dovrà aspettare ancora una ventina d’anni, e questo se tutto va bene e si fanno le riforme che il Fondo Monetario prescrive.

Ministri trionfanti e Paese che crolla: è ora di cambiare rotta

di Nicola Fratoianni
Evidentemente il trionfalismo dei ministri di qualche settimana fa era forse un po’ azzardato. Il Jobs Act non funziona, cresce la disoccupazione, addirittura la disoccupazione giovanile arriva ai livelli del 1977 con conseguenze sociali inimmaginabili. Allora dalle parti di Palazzo Chigi devono prendere atto che qualcosa non va, che si deve cambiare rotta, servono investimenti pubblici e un piano nazionale straordinario per il lavoro affinche’ si crei occupazione nel Paese, e si diano risposte ad una crisi che sta avendo conseguenze senza precedenti.
Servono risposte concrete  per intervenire efficacemente su un quadro di impoverimento generale del Paese, ieri lo Svimez ci diceva che il Mezzogiorno rischia una condizione permanente di sottosviluppo.
Il problema è che con queste politiche questo rischio lo corre l’Italia intera: bisogna investire nel Sud e nel resto del Paese, per evitare che la situazione peggiori ancora, con conseguenze ancor piu’ catastrofiche.

La Cassazione e l'inganno delle scuole paritarie



di Maria Mantello
Non bastano immagini sacre e cappelle annesse... e neppure possono sentirsi scudate dal paravento linguistico di scuole “paritarie”. Si tratta infatti di enti privati che erogano ai propri clienti – studenti un servizio a pagamento. Quindi, è un’attività commerciale e l’imposta sugli immobili la devono pagare. Questa la retta interpretazione dell’articolo 7, comma 1, lettera i, del decreto legislativo n. 504 del 1992, che indica tra gli esentati dall’imposta immobiliare  “i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio  del  culto”.
Dove starebbe allora l’iniquità delle sentenze 14225 e14226 della V sezione civile della Corte di Cassazione? Nessuna! Semmai bisognerebbe sottolinearne l’importanza nella lotta all’evasione fiscale, che sembrerebbe finanche presente nell’evangelico «dai a Cesare quel che è di Cesare!».

Droghe. Ridurre il danno si può, si deve


di Donatella Coccoli
Che fine ha fatto la “Relazione annuale al Parlamento su droga e dipendenze 2015″? Sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri si legge che deve essere presentata ogni anno entro il 30 giugno, ma per il momento tutto tace. Eppure la Relazione, a cui contribuiscono tra l’altro, quattro ministeri (Giustizia, Salute, Interno e Difesa), l’Istituto superiore di Sanità, l’Istat, il Cnr, il Coordinamento Regioni, è fondamentale perché fornisce le informazioni utili per gli interventi legislativi e i servizi contro le tossicodipendenze. Interventi quantomai necessari, viste le ultime notizie di cronaca che raccontano della morte di un sedicenne in una discoteca a Riccione e di seri disturbi neurologici per tre ragazzi napoletani. Il primo aveva assunto Mdma (il principio attivo dell’ecstasy), gli altri, “amnesia”, un mix di marijuana spruzzata di metadone.

Fenomenologia de l'Unità 2015

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di Alessandro Gilioli
Da quando è tornata in edicola "l'Unità" ha provocato reazioni controverse, soprattutto per la linea politica schierata in modo così rettilineo con il premier-segretario.
Personalmente non credo ci sia da indignarsene: Renzi l'ha riaperta apposta per farne il suo megafono. O meglio, dato che per motivi d'immagine la doveva riaprire, ha voluto che almeno fosse il suo megafono.
Però ci sono tanti modi per sostenere una battaglia politica su una testata. Nel '94, ad esempio, Berlusconi impose che il Giornale passasse «dal fioretto alla sciabola», quindi si liberò di Montanelli e prese Feltri, il quale poi in realtà alla sciabola preferì direttamente la mazza chiodata.
Un altro stile è quello del Foglio, che propugna le sue tesi con linguaggio ironico-saputo, sgomitate intellettuali e provocazioni in apparenza eterodosse.

Il cuore e la palude

di Sandra Bonsanti
A rotta di collo verso il passato. Ecco come siamo usciti dalla palude nella quale pensavamo di vivere il tempo del governo Renzi. La palude è altra cosa da quello che sta accadendo in questa torrida estate.
Nella laguna di Orbetello giacciono filari di spigole, dentici, orate, anguille, mossi appena da lievi correnti. Sono tutti morti i pesci che guizzavano argentei al tramonto. Mancanza totale di ossigeno. Una cosa che non avevo mai visto in questa dimensione. Né la conoscevano i miei nonni e mio padre che da ragazzi nella laguna facevano il bagno. Ci vorranno molti anni, dicono i pescatori, prima che in queste acque possa tornare la vita.
La politica italiana non sta ferma, si muove verso soluzioni che alcuni avevano sostenuto nel passato, ma che ai più facevano orrore e insieme società civile e maggioranza parlamentare avevano bloccato.

La "cura" del giovine Taddei, l'economista del Pd: nessun futuro per i giovani.

di Turi Comito
Recentemente intervistato da l'Espresso il giovine Filippo Taddei - responsabile economico del piddì nonché professore alla prestigiosissima John Hopkins University - ha detto che gli italiani, specie i giovini come lui, debbono "cambiare mentalità" visto che il "mercato" del lavoro è cambiato radicalmente negli ultimi decenni. In particolare i giovini italiani debbono rendersi conto che:
a) l'istruzione sarà molto più lunga e costosa
b) il contratto a tempo indeterminato si ridurrà sempre di più come occasione di lavoro;
c) i tempi di lavoro saranno più lunghi (immagino intenda la durata del monte ore settimanale)
d) i pensionamenti saranno sempre più posticipati
Da queste considerazioni discendono una serie di conseguenze pratiche e di considerazioni di principio.

Lotta nelle strade contro lo spettacolo?


di Anselm Jappe
Le teorie sociali nascono per spiegare gli eventi del proprio tempo, più o meno rilevanti. Con il passare degli anni, e con la società che cambia, il loro valore euristico tende a diminuire. Pertanto, il tribunale della storia conserva solamente quelle letture della realtà che hanno dimostrato di poter essere applicate a situazioni diverse rispetto a quelle da cui sono nate, in quanto hanno catturato le tendenze generali di un'epoca più ampia. Queste teorie non sono "profetiche" (categoria vuota), ma sono state in grado di comprendere l'essenza di un lungo periodo storico. Coloro che oggi si richiamano ancora all'epoca di Tocqueville, o di Marx, o di Weber, o di Pareto, affermano che essi compresero, uno o quasi due secoli fa, alcuni elementi della società moderna che ancora oggi sono presenti, seppure in maniera differente. Come contropartita, teorie più recenti che, per fare un esempio, hanno visto nell'alleanza fra gli operai delle fabbriche ed i cittadini un elemento capace di trasformare la società capitalista, ci appaiono già irrimediabilmente datate.

Lavoro in Europa. Le conseguenze sociali della deregulation

 
di Paolo Barbieri
Le conseguenze sociali del lavoro c.d. ‘flessibile’ dipendono anche dai contesti istituzionali. E’ questo il tema del presente articolo che compara 9 paesi (Italia, Spagna, Francia, Germania, Ungheria, Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Svezia) e riassume i principali risultati di un vasto progetto europeo.
Prima di illustrare l’approccio e i risultati della ricerca, è utile accennare al dibattito alla base della deregolamentazione dei mercati del lavoro occidentali. Negli ultimi due decenni, la legislazione a protezione dell’impiego (Employment Protection Legislation, EPL) è stata spesso additata come una determinante degli alti livelli e della persistenza nel tempo della disoccupazione in Europa. In accordo con l’approccio della search theory, la quale sottolinea il peso di “imperfezioni” o “frizioni” nel processo di incontro fra domanda e offerta di lavoro, dagli anni ’90 almeno del secolo scorso è iniziato un processo di riconsiderazione teorica, riconoscendo l’esistenza di equilibri imperfetti (cioè con presenza di disoccupazione involontaria non frizionale e/o di stabili differenze salariali).

Il diritto alla casa nella deriva emergenziale


di Elisa Olivito
In Italia la crisi economico-finanziaria ha inciso negativamente sulle condizioni di concreto godimento del diritto all’abitare, esacerbando le carenze di una politica abitativa che da troppo tempo attende di essere rilanciata. Nell’incapacità degli attori politico-istituzionali di rispondere alle profonde trasformazioni che il disagio abitativo ha conosciuto negli ultimi anni, gli elementi finora ritenuti caratteristici dello scenario italiano hanno iniziato a mostrare la corda. Si è così innescato un processo di lento, ma significativo cambiamento di un quadro solo all’apparenza uniforme, che aveva indotto molti a ritenere che l’Italia fosse immune dalle ricadute della crisi sul settore immobiliare e, quindi, sul diritto all’abitare. Da più parti si è infatti, continuato a puntare sul fatto che il mercato immobiliare italiano è stato a lungo caratterizzato da un alto tasso di proprietà della casa di abitazione – favorito dal ruolo della famiglia nell’acquisto di essa – e da un mercato dei mutui relativamente poco sviluppato.

Chi ha paura del lavoro?

 
di Simone Oggionni
C'è un grande rimosso nella politica italiana: è il tema della progressiva e apparentemente inesorabile dismissione del patrimonio industriale del nostro Paese. Accettato come un dato quasi naturale e quindi indiscutibile, insindacabile.
Da una parte la lunga teoria di privatizzazioni e di svendite delle industrie pubbliche, che negli ultimi vent'anni ha smontato pezzo dopo pezzo il patrimonio industriale pubblico regalandolo o cedendolo a prezzi ridicoli a investitori privati. Da Telecom ad Alitalia, da Enel ad Ansaldo, da Eni ad Autostrade.

Una nuova transizione

di Pablo Iglesias
Quando insegnavo, mi piaceva mostrare ai miei studenti una sequenza memorabile di Queimada del grande Gillo Pontecorvo. In essa, il personaggio interpretato da Marlon Brando, un agente al servizio dell’impero britannico e delle sue società, in merito alla Rivoluzione francese, dice che, a volte, dieci anni possono rivelare le contraddizioni di un intero secolo. 
Il movimento che ha riempito le piazze spagnole il 15 maggio 2011 ha segnato simbolicamente le contraddizioni e le crisi del nostro sistema politico, e l’inizio di una nuova transizione che sta ancora avanzando. 
Il sistema politico spagnolo che noi chiamiamo “del 1978″ – in onore della sua Costituzione – , è il risultato della nostra transizione di successo; un processo di metamorfosi guidato dall’élite del franchismo e dell’opposizione democratica che ha trasformato la Spagna da una dittatura a una democrazia liberale comparabile alle altre. Come dice Emmanuel Rodriguez nel suo ultimo libro, le élites politiche ed economiche del franchismo mancavano di legittimità ma avevano quasi tutto il potere. D’altra parte, le élite della sinistra posta in quegli anni in clandestinità avevano legittimità, ma nessun potere; Vazquez Montalban, con fine ironia, ha definito questa “una correlazione di debolezze“.

Un Paese perduto

di Roberto Romano
Il rap­porto Svi­mez (l’associazione per lo svi­luppo dell’industria nel Mez­zo­giorno) descrive una eco­no­mia nazio­nale e meri­dio­nale allo stremo, e per alcuni versi disa­strata quasi quanto l’economia greca. Una sin­tesi dello spi­rito e dei dati con­te­nuti nel rap­porto Svi­mez potrebbe essere la seguente: Dante e Vir­gi­lio giun­gono di fronte alla porta dell’Inferno, su cui cam­peg­gia una scritta di colore scuro.
Essa mette in guar­dia chi sta per entrare, ammo­nendo che tale porta durerà in eterno e che una volta var­cata non c’è spe­ranza di tor­nare indietro.
Svi­mez da molti anni pro­duce rap­porti sullo stato dell’economia meri­dio­nale che, anno dopo anno, diven­tano sem­pre di più un atto di accusa verso il governo del Paese. Se l’Italia vive una crisi nella crisi con una cre­scita del PIL molto più bassa della media euro­pea, il Mez­zo­giorno è pre­ci­pi­tato nell’abisso. Tra il 2008 e il 2014 il PIL del Centro-Nord cala di 7,4 punti per­cen­tuali, quello del Mez­zo­giorno crolla di 13 punti per­cen­tuali, lasciando un vuoto dif­fi­cil­mente colmabile.

Sinistra? Scoperchiamo il vaso

di Alessandro Minisini
Rinun­ciare a qual­che quarto di nobiltà. Evi­tiamo, dun­que, di defi­nirci nobil­mente di sini­stra, stiamo ai fatti, è roba tal­mente sim­bo­lica che non serve più a risol­vere i pro­blemi di chi tutti i giorni com­pie il rito obbli­ga­to­rio «dell’ameba». Se il Pd ha scelto, nel col­pe­vole silen­zio gene­rale, la fati­scente social­de­mo­cra­zia euro­pea, que­sto letale capi­ta­li­smo finan­zia­rio, il libe­ri­smo eco­no­mico, non pos­siamo ancora cre­dere alla «pan­zana» che si può ade­rirvi modi­fi­can­dolo dall’interno.
Cosa signi­fi­chi lo stiamo vedendo con la Gre­cia e lo stiamo subendo anche noi con «i com­piti da fare a casa». Il Pd è la attuale social­de­mo­cra­zia euro­pea, io no, ad esempio.
Non mi basta defi­nirmi «di sini­stra», mi sa di qual­cosa senza sapore. Pre­fe­ri­sco «sput­ta­narmi», affron­tare i pro­blemi con le per­sone che incon­tro, che frequento.

Quando Krugman iniziò a parlare di mezzogiornificazione d'Europa

di Robero Ciccarelli
È stato il pre­mio Nobel dell’economia Paul Krug­man a par­lare per la prima volta di «mez­zo­gior­ni­fi­ca­zione» dell’Europa nel 1991 nel libro «Geo­gra­fia e com­mer­cio inter­na­zio­nale». Il dua­li­smo eco­no­mico che ha segnato i rap­porti tra Nord e Sud Ita­lia si è allar­gato a quello tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa e all’interno di tutti i paesi, a comin­ciare della Ger­ma­nia, uni­fi­cata, ma divisa ancora tra un Ovest e un Est. Gli eco­no­mi­sti ita­liani Emi­liano Bran­cac­cio e Ric­cardo Real­fonzo hanno ripreso que­sta cate­go­ria in uno stu­dio del 2008, inti­to­lato «L’Europa è a rischio “mez­zo­gior­ni­fi­ca­zione». Il dibat­tito con­ti­nua inten­sis­simo a pro­po­sito delle varie ipo­tesi sull’uscita dall’euro, delle sue con­se­guenze sui salari e in gene­rale sull’implosione dell’Eurozona.
Echi si ritro­vano nel rap­porto 2015 dello Svi­mez sul Mez­zo­giorno (ita­liano) dove al rap­porto asim­me­trico tra il cen­tro (in sostanza la Ger­ma­nia) e le peri­fe­rie (i paesi dell’Europa del Sud) se ne aggiunge un altro: quello tra Sud e Est euro­peo inte­grato nell’Eurozona.

Il disastro al Sud, la nostra Grecia

di Roberto Ciccarelli
Il Sud, la nostra Gre­cia. Al set­timo anno di crisi – sostiene un’anticipazione del rap­porto Svi­mez sull’economia del Mez­zo­giorno 2015 pre­sen­tata ieri a Roma – l’emergenza con­cla­mata oggi è un disa­stro accer­tato. Il crollo della domanda interna, dei con­sumi e degli inve­sti­menti pro­dur­ranno uno stra­vol­gi­mento demo­gra­fico impre­ve­di­bile che ampli­fi­cherà la deser­ti­fi­ca­zione indu­striale e alla civile.
Come in guerra
Per il set­timo anno con­se­cu­tivo il Pil del Mez­zo­giorno è nega­tivo (1,3%, nel 2013 era –2,7%), cre­sce il diva­rio rispetto al Centro-Nord (-0,2%). La mappa di que­sto immane slit­ta­mento è così com­po­sta: tra il 2008 e il 2014, la crisi ha pro­dotto le per­dite più pesanti in Molise (-22,8%), Basi­li­cata (-16,3%), Cam­pa­nia (-14,4%), Sici­lia (13,7%), Puglia (-12,6%). Con­si­de­rato il primo quin­di­cen­nio dell’unione mone­ta­ria 2001–2014, quella che avrebbe dovuto creare una «con­ver­genza» tra il Nord e il Sud dell’Europa, lo Svi­mez con­clude che il Sud Ita­lia sta molto peg­gio della Gre­cia.

Il nazionalismo, l'Europa e la sua disintegrazione

di Piero Bevilacqua
Nata per scon­giu­rare i nazio­na­li­smi che ave­vano deva­stato il Vec­chio Con­ti­nente e il mondo nella prima metà del ’900, l’Ue ritorna sui suoi passi.
Torna ad ali­men­tarli con rin­no­vato vigore. E lo fa per ini­zia­tiva del paese che avviò, ogni volta, la car­ne­fi­cina: la Ger­ma­nia. Oggi il nuovo nazio­na­li­smo ege­mo­nico tede­sco pos­siede tutti i pre­sup­po­sti per durare ed espandersi.
L’Unione tutte le con­di­zioni mate­riali e poli­ti­che per disin­te­grarsi. Come tutti i vedenti hanno potuto osser­vare, la vicenda greca l’ha mostrato in maniera esemplare.
Alla base dell’egoismo nazio­na­li­stico tede­sco, ben orche­strata dai media, opera infatti una nar­ra­zione ideo­lo­gica potente: la leg­genda che la Ger­ma­nia, seria e labo­riosa, stia a sve­narsi per soste­nere una vasta pla­tea di popoli debosciati.

La sfida di Tsipras a Syriza

di Teodoro Andreadis Singhiellakis
Ale­xis Tsi­pras pro­pone una sfida su due fronti, chie­dendo a Syriza di deci­dere: un con­gresso straor­di­na­rio a set­tem­bre e l’organizzazione di un refe­ren­dum interno al par­tito dome­nica pros­sima, per deci­dere quale sarà la linea da seguire.
Per deci­dere, quindi, se devono essere por­tate avanti le trat­ta­tive con il quar­tetto dei cre­di­tori, o se sarà neces­sa­rio andare subito ad ele­zioni anti­ci­pate, per­ché la linea del governo non viene condivisa.
«Dob­biamo com­pren­dere che all’interno del nostro par­tito non ci sono espo­nenti più di sini­stra di altri, o mem­bri più rivo­lu­zio­nari di altri», ha dichia­rato nel corso del suo acceso inter­vento al comi­tato cen­trale di Syriza. Il primo mini­stro ha voluto riba­dire con forza, quindi, che aver cer­cato l’accordo all’ultimo ver­tice di Bru­xel­les non signi­fica aver tra­dito le ragioni della sini­stra e del refe­ren­dum del 6 luglio — le ragioni del «no» — dal momento che il popolo greco non ha mai dato il pro­prio assenso all’uscita del paese dall’Euro.

Quell'ideologia contro i beni comuni che fa acqua da tutte le parti


di Emilio Molinari 
Pier­luigi Bat­ti­sta sul Cor­riere della Sera di gio­vedì 23 luglio, chie­den­dosi reto­ri­ca­mente «se è così sprez­zante e super­fi­ciale ribat­tez­zare bene-comunismo la teo­ria, i riti e l’ideologia dei beni comuni», mostra di avere il dub­bio di spa­rare qual­che stu­pi­dag­gine, anche se poi si risponde subito: è giusto.
Basta leg­gere «il mani­fe­sto degli anti bene-comunisti», pub­bli­cato dall’Istituto Bruno Leoni e curato da Euge­nio Somaini, per ren­dersi conto che l’ideologia dei beni comuni altro non è che il ripro­dursi del depre­ca­bile: «socia­li­smo muni­ci­pale». Dice Bat­ti­sta che il libro è «una requi­si­to­ria con­tro il ten­ta­tivo di dare una veste sedu­cente… a idee vec­chie e a modelli… poco ori­gi­nali di inter­vento pub­blico… in defi­ni­tiva, alla solita mine­stra sta­ta­li­sta e diri­gi­sta che ha nutrito per più di un secolo… sia la sini­stra social­de­mo­cra­tica che quella comunista…».

Le carceri e la riforma radicale che non c'è

di Duccio Facchini
Le condizioni di vita nelle carceri italiane migliorano. Ma il sistema penitenziario attende ancora una riforma radicale. Si potrebbe riassumere così il “Pre-rapporto sulle condizioni di detenzione”, presentato a Roma il 30 luglio dall'associazione Antigone, frutto anche delle visite effettuate in questi primi mesi dell'anno presso 40 strutture di pena.
Un dato su tutti è l'emblema della (tiepida) tendenza positiva: la diminuzione della popolazione carceraria. “Le riforme messe in campo a partire dal 2012 -sostiene Antigone- hanno prodotto finalmente una situazione di minore affollamento”. Dai 68.258 ristretti del 2010 -il picco che, come ricorda l'associazione, “ci è valso la condanna della Corte europea nel 2013”-, si è passati infatti a 52.754 persone -di cui 17.207 stranieri, il 32,5%, e 2.262 donne-, a fronte comunque di 49.552 posti regolamentari. Il che significa che, ancora oggi, 3.232 detenuti sono costretti ad occupare spazi ricavati e non regolamentari.

I tagli alla sanità di Renzi li pagheranno i pensionati

di Nicola Borri
È davvero possibile risparmiare 10 miliardi di euro dalla sanità italiana? Dopo l’annuncio da parte di Matteo Renzi di una prossima “rivoluzione copernicana” volta a ridurre la pressione fiscale nel nostro paese, in molti si sono chiesti se fosse davvero realizzabile. La risposta di famiglie e imprese a una riduzione di tasse senza le necessarie coperture, infatti sarebbe di risparmiare oggi per far fronte alle maggiori tasse future.
Renzi ha precisato di pensare a una riduzione pari a 50 miliardi in cinque anni, ovvero circa 3 punti percentuali di Pil. Visto che interventi già approvati, come gli 80 euro o la riduzione dell’Irap, dovrebbero entrare nel computo complessivo, realisticamente serviranno nuove coperture per circa 35 miliardi. Tuttavia, il governo ha già l’arduo compito di trovare 10-15 miliardi per scongiurare nuovi aumenti Iva, legati alle cosiddette clausole di salvaguardia. Ecco spiegata la nuova attenzione nei confronti della revisione della spesa, la cosiddetta spending review, a cui ora lavorano Yoram Gutgeld e Roberto Perotti.

La Carta dei diritti in internet. Una fiammella di speranza

di Vincenzo Vita
“Quattro passi tra le nuvole”, il film di Blasetti pieno di speranze e di buone intenzioni, sceneggiato da Tellini e Zavattini. Nuvola, cloud: il presente e il futuro della Rete. Di questo parla la redazione conclusiva della “Carta dei diritti in Internet“, presentata alla Camera dei deputati dalla Presidente Boldrini e da Stefano Rodotà coordinatore dei lavori.
Iniziati, questi ultimi, proprio un anno fa. Nel frattempo, dopo una bozza iniziale curata da una commissione composta da parlamentari ed esperti, si sono svolte numerose audizioni e sono stati accolti suggerimenti e spunti di associazioni e di singoli. Un bel risultato che, purtroppo, appare un po’ come il film evocato tra le nuvole. Vista l’arretratezza – talvolta persino disarmante – del dibattito pubblico italiano.

I piedi di cemento dell'industria italiana

di Fabiano Schivardi
E così un altro pezzo pregiato dell’industria italiana passa in mani straniere: HeidelbergCement, multinazionale del cemento con sede in Germania, acquista dalla famiglia Pesenti la quota di controllo di Italcementi, maggior produttore di cemento italiano. Inevitabile che la notizia faccia rumore. Dopo i francesi (Parmalat e il lusso), gli americani (Indesit), i cinesi (Pirelli), anche i tedeschi vengono a fare shopping in Italia. Stiamo veramente svendendo l’argenteria? E quali sono le conseguenze per il nostro sistema produttivo?
Da un punto di vista economico e finanziario l’operazione non fa una grinza, specie se il punto di vista è quello di Italcementi. L’industria del cemento è stata colpita duramente dalla crisi, risentendo delle difficoltà del settore delle costruzioni. Sono stati anni di perdite e di calo dei corsi azionari: al picco del maggio 2007, le azioni Italcementi valevano quasi 25 euro; ieri (prima che l’accordo venisse rivelato), circa 6 euro.

"Unbanked". I numeri dell'esclusione finanziaria

foto Flickr/Luca Sartoni
di Stefania Basiglio, Riccardo Calcagno e Maria Cristina Rossi
Il fenomeno dell’esclusione finanziaria rappresenta un potenziale fattore di inasprimento dei differenziali di reddito e di crescita dei diversi paesi[1]. Utilizzando una definizione della Commissione Europea (2008), si può parlare di esclusione finanziaria non solo in caso di difficoltà nell’accesso, ma anche nell’utilizzo di tutti quei servizi finanziari necessari a un completo e normale svolgimento della vita quotidiana dei singoli individui e al loro completo coinvolgimento nella società.
In questo lavoro ci proponiamo di guardare chi sono gli unbanked in Italia. L’obiettivo è di quantificare l’intensità della sotto-esposizione bancaria. In particolare, ci concentriamo su coloro che non posseggono un conto corrente.

Contro l'Eurodittatura

di Giorgio Cremaschi
Un sondaggio commissionato dalla CGIL delinea il porto delle nebbie ove si è incagliata la democrazia italiana. Una maggioranza schiacciante della popolazione esprime un giudizio senza appello sulla Unione Europea e sull'Euro. Essi ci hanno danneggiato economicamente e ci impongono regole che distruggono le nostre libertà. L'80% degli intervistati la pensa in questo modo e la vicenda greca ne ha rafforzato le convinzioni. Nello stesso tempo però si è anche rafforzata la maggioranza di chi non vuole cambiare nulla e teme il salto nel buio di ogni rottura con le istituzioni europee e con la moneta unica. Stiamo perdendo e continueremo a perdere sia sul piano delle condizioni di vita che della stessa democrazia, ma non abbiamo alternative alla resa. La rassegnazione alla inevitabilità del peggioramento delle proprie condizioni di vita e di libertà, assieme al timore a reagire, sono il brodo di coltura di ogni operazione autoritaria. Operazione a cui il sistema economico politico che chiamiamo Europa è perfettamente funzionale.

Un "vespillone" per il funerale dei beni culturali

di Vittorio Emiliani
Dei nostri beni culturali, dei centri storici, dei paesaggi si declama, a chiacchiere, il "valore inestimabile". Poi però si continua a indebolirne la cura, la tutela, il restauro. Così hanno fatto i governi Berlusconi arrivando a tagliare a metà i fondi, già insufficienti, destinati a questo sterminato patrimonio, impoverendo i quadri tecnici, in media già anziani, negando persino i rimborsi spese (modestissimi) per le missioni su scavi e cantieri. Nessuno era però riuscito ad ottenere quel silenzio/assenso su grandi lavori, edifici, lottizzazioni (se entro poche settimane le Soprintendenze non si esprimevano) che vuol dire tout court assenso visto che ogni tecnico ha una montagna di pratiche delicate da sbrigare per ciascuno dei giorni lavorativi. C'è riuscito il governo Renzi col decreto Sblocca Italia (una copia, in più punti, del vecchio Lunardi) ed ora lo ribadisce col disegno di legge Madia.
Con esso però si va ben oltre: si accorpano confusamente le Soprintendenze alle Prefetture, sottoponendo le prime ai prefetti, ridando cioè vita alle Sottoprefetture di sabauda memoria. Ma come? Se la stessa legge Madia riduce e accorpa le Prefetture medesime, che logica è mai questa?

Il corto respiro dell'Europa in Italia: tra europeismo liberista e ripiegamenti neosovranisti


di Francesca Lacaita
A partire dal referendum del 5 luglio, il governo greco pare aver sconcertato parecchi dei suoi (ex?) sostenitori in questo paese. Innanzitutto quei no-euro di ogni colore che hanno scoperto, alquanto tardivamente, che il referendum non contemplava l’uscita dalla moneta unica. Per continuare con quanti hanno preso le distanze da Tsipras durante e dopo le trattative con i leader dell’Eurozona concluse con un Accordo la notte tra il 12 e il 13 luglio.
Il dissenso italiano è stato in realtà di rado espresso in termini espliciti; perlopiù ha preso la forma di stentoree dichiarazioni sull’irriformabilità della UE, sulla necessità di farla finita con l’euro e con le “illusioni europeiste”, sul valore della dimensione nazionale quale unico locus di legittimazione democratica, sulla rilevanza delle “inclinazioni” e dei “caratteri” nazionali, e tanto altro ancora. Il contrasto non potrebbe essere più netto: in Grecia un governo e un popolo hanno lottato fino in fondo per affermare la propria volontà di rimanere nell’euro e nella UE (smentendo le distorsioni e false rappresentazioni nei media mainstream) e al tempo stesso per cambiare radicalmente le regole del gioco, partendo dalle condizioni e dai bisogni di larghi strati della popolazione, rigettando le politiche di austerità, e sfidando il “senso comune” UE con un referendum che, in ogni caso, ha voluto mostrare che “stare in Europa” non significa affatto rinunciare all’espressione della volontà popolare.

Renzi-Verdini-Azzollini. Una nuova maggioranza per le "riforme"


di Mauro Barberis
Apparentemente, il voto dell’Aula del Senato, dove il PDR (il Partito Di Renzi), ha salvato Antonio Azzollini dagli arresti domiciliari, è solo l’ennesimo episodio di una serie nera iniziata con le amministrative di primavera. Da allora, se ci pensate, il Presidente del Consiglio e Segretario del Pd ha perso molta della sua naturale baldanza ed è tornato fra noi umani, con conseguente dimezzamento nei sondaggi, almeno a confrontarli con quelli delle Europee dell’anno scorso. Ulteriore conseguenza di questa perdita di sicurezza, non gliene è più andata dritta una.
Su tutte le questioni importanti che hanno agitato la politica interna e internazionale di questi mesi, in effetti, Renzi ha sempre fatto figure del genere vorrei-ma-non-posso. Sulla crisi greca, avrebbe pure voluto dare una mano a Tsipras, non foss’altro per tener botta sulle politiche anti-austerity, e invece ha dovuto limitarsi ad assistere allo schiaffeggiamento tedesco. Sul caso Crocetta, avrebbe voluto liberarsi al più presto del vulcanico, è il caso di dire, presidente siciliano, ma ha dovuto abbozzare dinanzi allo sgonfiamento della bolla mediatica prodotta da intercettazioni dubbie.

Tra l'Europa impossibile e la Nazione impotente

caos









di Pierluigi Fagan
Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa ed i suoi principali stati componenti, si svegliarono in un nuovo, inedito, mondo. Per la prima volta nella storia, il mondo andava connettendosi in modo tale da presentarsi come un sistema unico. Per la prima volta nella storia degli ultimi quattro secoli, l’Europa non era più il centro del mondo, le proprie diatribe interne non diventavano la trama che si proiettava sul resto del pianeta e soprattutto, nessun attore europeo poteva ritenersi vincitore di alcunché avendo tutti perso, sia la guerra, sia la legittimità culturale a porsi come modello di riferimento. Il dopoguerra si presentò come una tenaglia che stringeva una Europa devastata e smarrita, tra la pressione americana e quella sovietica. Successivamente, la globalizzazione rese chiara la vastità del mondo e fece emergere nuove potenze. Lo stato nazione europeo, cioè di piccola-media dimensione in un ambiente eccessivamente frazionato e competitivo, nasce dentro uno scenario eurocentrico ma oggi lo scenario non solo non ha più centro in Europa ma forse non ha neanche centro in sé per sé. Da qui, la crisi del concetto stesso di stato-nazione europeo.

Che cosa c'è in gioco a Roma

di Piero Bevilacqua
Chi vive a Roma ha la possibilità di sperimentare tutti i giorni l'asprezza di una condizione urbana e civile che non mostra ormai da anni un barlume di miglioramento. La speranza che qualcosa sia progredito nella qualità dei servizi, nell'agibilità dei trasporti, nella pulizia e decoro dei luoghi. Tuttavia è proprio la lunga durata di questo degrado che dovrebbe mettere in sospetto sull' eccessivo carico di responsabilità che si fa ormai da mesi al sindaco Marino. Prima che le amministrazioni, occorrerebbe “inquisire”, nel senso etimologico del termine, i cittadini. Come ha fatto con una bella pagina Melania G. Mazzucco ( Se questo è il volto di una capitale, La Repubblica, 26/7/20159 ) La Mazzucco, opportunamente, estende a tutto il Paese l'analisi antropologica della cialtroneria civile degli italiani, su cui gravano non poche responsabilità dello stato presente delle nostre città. Oggi tuttavia alla lunga durata della nostra storia si aggiungono nuovi guasti, insieme alla devastante diminuzione di risorse destinate alle pubbliche amministrazioni. L'etica civile, che prevede il senso del bene comune e la condivisione, è corrosa dall'individualismo edonistico della cultura dominante. In un Paese che ha nella sua storia un debole disciplinamento civile – dipendente dalle scarse capacità egemoniche delle sue classi dirigenti – il veleno nichilistico del capitalismo attuale ha effetti dirompenti.

C'è del marcio in Eurozona



di Yanis Varoufakis
Un paradosso si aggira nelle fondamenta dell’eurozona. I governi nell’ambito dell’unione monetaria sono privi di una banca centrale che copra loro le spalle, mentre la banca centrale è priva di un governo che la sostenga.
Questo paradosso non può essere eliminato senza cambiamenti istituzionali fondamentali. Ma ci sono passi che gli stati membri possono fare per alleviare alcuni dei suoi effetti negativi. Uno che abbiamo preso in considerazione nel corso della mia carica a ministro greco delle finanze ci concentrava sulla cronica mancanza di liquidità di un settore pubblico finanziariamente stressato e sul suo impatto sul settore privato a lungo sofferente.

Il confltto tra la Turchia e i Curdi

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di Robert Fisk
I curdi sono nati per essere traditi. A quasi ogni aspirante staterello in Medio Oriente era stata promessa la libertà dopo la Prima Guerra mondiale e i curdi inviarono perfino una delegazione a Versailles per chiedere una nazione e confini sicuri.
Ma con il Trattato di Sèvres, nel 1920, hanno avuto una piccola nazione in quella che era stata la Turchia. Poi arrivò il nazionalista turco Mustafa Kemal Ataturk che riprese la terra che la nazione curda potrebbe aver guadagnato. E così i vincitori della Grande Guerra si sono incontrati a Losanna nel 1922-23 e hanno abbandonato i curdi (e anche gli armeni) che erano ora divisi tra il nuovo stato turco, la Siria francese e l’Iran e l’Iraq britannico. Quella è stata la loro tragedia da allora – e quasi ogni potenza regionale vi ha partecipato.