La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 30 aprile 2016

Un nuovo Quantitative Easing for the people

di Marco Bertorello e Christian Marazzi
Piaccia o no, le politiche monetarie sono state in questi anni l’unico vero antidoto messo in campo per arginare la crisi. Un vuoto della politica economica su scala internazionale colmato dall’attivismo dei banchieri centrali, a tal punto che la destra tedesca oggi critica l’eccessiva indipendenza della Bce! The Economist del 20 febbraio scorso si è chiesto però se ormai ai loro bazooka siano terminate le munizioni. L’economia globale prima ha goduto di bassi tassi d’interessi, poi dei quantitative easing inaugurati dalla Fed e, da aprile, sulle orme della Banca centrale giapponese, la Bce ha rincarato la dose, aumentando gli acquisti mensili di titoli pubblici e privati e abbassando ulteriormente i suoi tassi negativi sui depositi bancari.
La scelta di dicembre della Fed di ridurre il proprio protagonismo “espansivo” iniziando ad aumentare i tassi sembra già archiviata a causa del perdurare della crisi economica globale. Il tentativo degli Usa di sottrarsi a questo meccanismo, grazie a una pur modesta crescita nazionale, ha immediatamente rafforzato il dollaro, facendo emergere nuovi segnali di sofferenza per l’economia americana, a partire dal suo manifatturiero.

Di cagionevole Costituzione

di Nico Macce
Con la “riforma” Renzi Boschi, che tocca alcuni essenziali articoli della Costituzione e l’Italicum, che riguarda la conferma di una legge elettorale che consegna ai partiti le candidature ed esaspera il premio di maggioranza, avremo uno stravolgimento totale della nostra carta costituzionale. L’abbinamento di queste due autentiche controriforme porterà a un Parlamento di nominati che voterà l’agenda di un governo scaturito da una minoranza dell’elettorato, che potrà fare il bello e cattivo tempo. Un governo secondo la concezione di “un solo uomo al comando”, in realtà un totalitarismo voluto dagli eurocrati dell’UE che rappresenta la cessione definitiva della sovranità popolare e del paese verso gli organismi sovranazionali europei.
La battaglia sociale e politica che ci aspetta per il NO nel referendum confermativo di ottobre è un passaggio indiscutibile per qualsiasi forza democratica e di sinistra che intenda contrastare l’avanzata del capitale neoliberale.

Il rifacimento dell'Europa

di Aldo Tortorella 
È certo che l’agire politico ha poco avvenire se non è capace di interpretare lo spirito del tempo e l’animo della parte che vuol rappresentare. Credo che abbia ragione chi ha scritto (Robert Reich, economista e ministro con Clinton) che sia Trump che Sanders rappresentano negli Stati Uniti, con opposte forme, una medesima rivolta contro l’establishment. Con qualche somiglianza a ciò che avviene in Italia e in Europa.
Ma, qui da noi, la rivolta – o la protesta – contro le forze dirigenti, presente da entrambi i lati (i 5stelle e i leghisti), è molto differente, sul lato sinistro, da quella anglosassone. Mentre Sanders e Corbyn si proclamano in qualche modo socialisti e si ricordano che l’establishment è fatto anche (soprattutto) dai detentori del potere economico, qui il partito che pudicamente si chiama Movimento altrettanto pudicamente si dichiara né di destra né di sinistra, e dunque può azzannare i corrotti (che lo meritano) dimenticando tranquillamente i corruttori. La nave non è di proprietà del capitano, ma dell’armatore. Se il capitano è un ubriacone o un cretino può naufragare sugli scogli, ma è l’armatore che l’ha nominato e nominerà il prossimo. Magari il capitano andrà in galera, cosa auspicabile.

Renzi, il Pd e la corruzione organica della funzione politica

di Michele Prospero 
Quando Renzi gettava il guanto della sfida contro Davigo, e lo esortava a fare nomi e cognomi dei politici condannati, aspettava l’elenco dei reprobi, ma solo per invitarli al Nazareno o in parlamento a contrattare. E avviene così che un Pd ferito, colpito al cuore dalla questione morale, cerchi la via del risanamento stipulando un accordo di legislatura con l’immacolatissimo Verdini, il profilo giusto per una grande ricarica etica.
Mentre il giornale apocrifo,oltre che con l’Anpie i costituzionalisti canuti, se la prendeva con Saviano, dipinto come “il mafiosetto”, le procure, interessate alle vicende criminogene delle mafie reali, mettevano nei guai il presidente campano del Pd. Per risolvere le grane di un partito rimasto acefalo, con una élite locale accusata di autentiche nefandezze nel governo del territorio, Renzi pensa di ricorrere al corpo riparatore di De Luca. Esempio di un’assoluta e incondizionata etica della convinzione di chi, per essere eletto governatore, aveva caparbiamente respinto qualsivoglia intesa con liste dalle candidature equivoche.

Sovranità limitata

di Giancarlo Scarpari
Oggi da più parti si celebrano i funerali dello Stato-nazione e sorgono lamenti circa la perdita di sovranità subita dall’Italia nel contesto dell’Unione europea. Fino a qualche anno fa queste sembravano essere questioni prevalentemente giuridiche, riservate agli specialisti, ma la crisi economica ne ha evidenziato invece tutto lo spessore politico, viste le ricadute sociali che i vincoli imposti hanno determinato nel paese. La limitazione della sovranità dello Stato, così percepita di recente, non è però una novità di questi anni, avendo invece alle spalle una lunga storia ed essendo stata addirittura prevista dalla Costituzione.
L’art. 11, infatti, non solo afferma che l’Italia «ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», ma aggiunge che «consente, in condizioni di parità con altri Stati, allelimitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni». Dunque, la perdita di porzioni di sovranità era ritenuta ben possibile, ma solo in vista di superiori esigenze di pace e sicurezza, poiché i costituenti ritenevano che i benefici in tal modo conseguiti avrebbero ampiamente compensato le eventuali autolimitazioni adottate.

Tecnologie e orario di lavoro, l’alleanza possibile

di Elisa Gambardella e Tommaso Nencioni 
Il progresso tecnologico costituisce una via tradizionale usata dal capitale per superare le proprie crisi, attraverso la creazione di nuovi bisogni e nuovi mercati, e l’aumento della produttività del lavoro, a prezzo dell’espulsione di manodopera dal processo produttivo. Il declino del compromesso fordista, che aveva permesso a sindacati e management di “spartirsi il bottino” dello sviluppo tecnologico, ha aperto una transizione nella quale crisi capitalistica e innovazione tecnologica stringono il lavoro in una spirale dalla quale non si intravede via d’uscita.
La sinistra annaspa, ed i suoi movimenti scomposti contribuiscono a stringere il nodo della spirale attorno alla gola dei subalterni. Invece bisognerebbe liberarsi con un taglio netto, trasformando la spirale crisi-innovazione tecnologica-aumento della disoccupazione-aumento del tempo del lavoro in un circuito virtuoso innovazione tecnologica-diminuzione dell’orario di lavoro-uscita dalla crisi.

La rifondazione della sinistra italiana

di Piero Di Siena
Bisogna riconoscere che se c’è un luogo da cui è possibile che nasca la sinistra italiana del futuro questo è sicuramente la comunità diuomini e donne che si è data appuntamento a Roma, al Palazzo dei Congressi dell’Eur, dal 19 al 21 febbraio di quest’anno. Protagonista di tre giorni di intense e appassionate discussioni, che si sono alternate tra assemblea generale e affollatissimi gruppi di lavoro – secondo una modalità inventata dai movimenti“no global” agli inizi del secolo e assurta ai riti della politica che aspira al successo con gli appuntamenti alla Leopolda di marca renziana – è stato quello che, con linguaggio di altri tempi, si potrebbe definire come il “quadro attivo” di una nuova formazione politica in divenire.
È da questa presa d’atto che è necessario partire se si vuole dare un giudizio equanime su che cosa sia stata “Cosmopolitica”, se vogliamo usare il neologismo un po’ astruso con cui i promotori hanno voluto battezzare il raduno romano dell’Eur. E sarebbe bene, se si vogliono riallacciare relazioni che potrebbero rivelarsi feconde, che lo facessero anche quanti a sinistra si sono sentiti esclusi o anche solo messi di parte.

Realismo della politica e diritto di sognare

di Corradino Mineo
Matteo Renzi si è seduto al tavolo buono. Una tavola rotonda, per essere precisi, che il 25 aprile ha riunito, a fianco del premier italiano, Francois Hollande, Angela Merkel, Barak Obama e David Cameron. I leader dei 5 Paesi chiamati a decidere della guerra al Daesh, del modo di accogliere o respingere i profughi, della sorte dell’Ucraina e dei rapporti tra Occidente e Russia, dei trattati a tutela del libero commercio e del futuro dell’Unione Europea, vale a dire welfare, diritti, politica e istituzioni comuni.
Non so cosa abbia detto: questi colloqui vengono registrati dallo staff ma secretati, perché ognuno dei leader possa poi contarsela con i media domestici. So cosa avrebbe dovuto dire: L’Italia crede nell’Europa, cerca la distensione con la Russia – senza concessioni a Putin sul tema dei diritti -, è convinta che si debba chiudere la partita con i terroristi di al Bagdadi, appoggiando tutte le forze che li combattano sul campo e minacciando l’embargo contro Arabia Saudita e Turchia se continueranno il loro doppio gioco. I profughi vanno accolti, non mandati a casa a morire come fecero gli americani nel ’39 con gli ebrei della St. Louis. Vinto l’Isis, con una grande sottoscrizione mondiale si finanzi il ritorno a casa di tutti coloro che vorranno.

Uno stimolo fiscale decentralizzato per l’eurozona

di Thomas Fazi e Guido Iodice 
Sembrerebbe che stia emergendo un consenso, anche in ambito mainstream, sul fatto che la via d’uscita dalla crisi passa necessariamente per una politica fiscale più espansiva e per un consistente aumento degli investimenti pubblici. Come perseguire tale obiettivo alla luce degli attuali vincoli politici e istituzionali dell’eurozona, però? Come abbiamo spiegato in passato, riteniamo che le proposte “federali” attualmente in discussione a livello europeo – come quella di “superministro del Tesoro” europeo che assorbirebbe i residui di autonomia degli Stati nella gestione dei bilanci, senza prevedere come contropartita alcun bilancio federale – rappresenterebbero il passo finale nella trasformazione definitiva dell’eurozona in una gabbia ordoliberale basata su un sistema di regole ferree e inflessibili, e per questo vadano rigettate con forza (insieme a qualunque altro approfondimento del processo di integrazione). Tra l’altro, la difficoltà di implementare un qualsivoglia “piano di investimenti paneuropeo” (per quanto auspicabile in teoria) è dimostrata dal conclamato fallimento del cosiddetto piano Juncker, recentemente bocciato dall’OCSE per le scarsissime risorse mobilitate finora.

Un lavoro purché sia

di Chiara Saraceno 
La distinzione tra lavoro autonomo, libero-professionale e dipendente in questi anni si è fatta sempre più tenue. Mentre grandi professionisti hanno clienti regolari e fidelizzati che garantiscono loro entrate prevedibili e continuative, oltre che elevate, molti lavoratori che un tempo sarebbero stati alle dipendenze, e che di fatto lavorano come se fossero alle dipendenze per quanto riguarda orari e rapporti di subordinazione, sono costretti a una condizione di prestatori d’opera individuali: impiegati dell’anagrafe o delle poste, post doc all’università, ricercatori in istituti di ricerca impiegati con contratti di lavoro a progetto periodicamente rinnovati; muratori, camerieri, baristi, braccianti, scaricatori nei mercati generali con Partita iva, o “somministrati”, o pagati con voucher. 
Non c’è occupazione che non veda, accanto a contratti di lavoro standard, rapporti di lavoro che, pensati per una nicchia o casi particolari, stanno diventando la norma in un mercato del lavoro sempre più selvaggio, ove la competizione è sempre meno sulle competenze e il prodotto, ma tra chi accetta le condizioni di lavoro meno vantaggiose.

L’Europa a un bivio: filo spinato o una nuova solidarietà?

di Guido Viale
Per anni l’Eurobarometro ha indicato negli italiani uno dei popoli più “europeisti” e favorevoli all’ulteriore integrazione dell’Unione. Ma diverse indagini mostravano anche che gli italiani sono tra i meno informati sulle istituzioni e le politiche dell'UE. É una caratteristica della vita politica italiana: meno se ne sa e più ci si appassiona. Questo fenomeno ha toccato il grottesco nelle risposte date ad una recente indagine pubblicata dal quotidiano Repubblica sull’atteggiamento verso il trattato di Schengen in quattro paesi europei.
Ora, con una completa inversione di marcia, i più favorevoli al ritorno ai confini nazionali (e i più contrari all’UE) risulterebbero di gran lunga gli italiani. Un risultato in parte dovuto al modo bislacco in cui sono state poste le domande: nessuno ha spiegato agli intervistati che l’abolizione di Schengen avrebbe effetti tra loro molto diversi: per gli altri paesi europei sarebbe la soluzione “ideale” per tenere i profughi lontani dai loro territori; per noi significherebbe farsi carico di tutti gli arrivi, senza la possibilità di condividerne l’onere con il resto dell’Europa.

Tutte le ombre del Def, tutte le controproposte di Sbilanciamoci

di Sbilanciamoci! 
L’approccio generale di politica economica seguito dal DEF desta perplessità. Sostanzialmente ci si affida completamente alla favorevole congiuntura internazionale e alle riforme strutturali, di stampo neoliberista, che il governo intende perseguire. Pur se si cerca di sfruttare i pochi decimi di punti di Pil concessi all’interno delle regole di bilancio europee e si evidenziano alcune discrasie tecniche delle stesse regole, il DEF riconferma l’adesione totale del governo all’approccio di bilancio europeo, fatto di tagli di tasse, tagli di spesa pubblica, sostegno ai profitti, riduzione dei salari e delle protezioni, approccio già responsabile di una buona parte della disastrosa situazione dell’economia europea.
Manca una presa d’atto del fallimento delle politiche fin qui perseguite, manca una rifocalizzazione delle politiche economiche che punti al superamento dell’austerità, manca la capacità di finalizzare le risorse in direzione di uno sviluppo economico che offra vero benessere e progresso sociale. Mancano le politiche industriali o per l’occupazione.

La ostile presa del potere di Trump. Seconda parte

di Serge Halimi
Il mondo sociale e culturale dei Bennett è molto lontano da quello di Trump. La famiglia di Ann Bennett possiede una vecchia piantagione di 800 ettari vicino alla piccola città universitaria di Auburn, famosa per la sua squadra di football americano. Suo marito gestisce la tenuta e organizza battute di caccia al cervo. La loro fede Battista orienta la loro esistenza e struttura molto del loro tempo. Secondo il loro punto di vista, la politica richiede competenza ed esperienza. Senza voler esprimere mancanza di rispetto, i Bennett difendono una limitata forma di governo Jeffersoniana, che rispetta scrupolosamente il decimo emendamento della costituzione degli Stati Uniti (5), il potere locale e le tradizioni rurali del Sud.
E ora vedono un miliardario divorziato due volte che si è lanciato verso la cima del loro partito; la sua vita privata è stata “appicicata” su tutti i giornali scandalistici, e, soltanto pochi anni fa, faceva lo spaccone nel ring della lotta libera (wrestling) a fianco delle modelle che indossavano vestiti attillati.

Il fascismo va combattuto anche oggi

di Fabio Marcelli 
Settantuno anni fa, la Liberazione dell’Italia e dell’Europa. Per la prima volta nella sua storia il nostro Paese aveva la possibilità di darsi un ordinamento democratico rispondente ai voleri e alle esigenze del suo popolo, da sempre abituato a faticare ed obbedire in silenzio. Si trattava di un risultato enorme, pagato con molto sangue. Come ci ricorda, nella sua conclusione, questo bel video, sono stati 69.774 i caduti, 62.354 i dispersi e 36.610 i mutilati fra i partigiani (rispettivamente 35.149, 16.922, 11.411 nel corpo italiano di liberazione). In totale oltre 200mila italiani hanno pagato con la vita o con gravi menomazioni permanenti la nostra libertà. Ma che uso ne abbiamo fatto?
Non ottimo a quanto pare. A settantuno anni fa vecchie e nuove forme di fascismo continuano ad affacciarsi sul palcoscenico della storia. Vediamone alcuni aspetti più evidenti.In primo luogo, il fascismo contemporaneo assume le forme dell’odio e dell’esclusione nei confronti dei migranti. Povera gente, che fugge da guerre, devastazioni ambientali e miseria. Si tratta di una percentuale davvero minima della popolazione europea.

Da emancipazione a fatica. La metamorfosi del lavoro

di Nadia Urbinati
Il declino del riformismo sociale, scrive Ezio Mauro, è il segnale di una crisi ben più vasta che coinvolge lo stato democratico. Un declino che ha coinciso con l’emergere di fattori di mutamento profondi per la trasformazione dei rapporti politici connessi al lavoro: il declino del compromesso tra capitalismo e democrazia (per la trasformazione del primo da industriale a finanziario) e l’apertura dei confini simbolizzata dalla fine della Guerra fredda.
Le frontiere hanno consentito il riformismo sociale e la costruzione delle democrazie. In sostanza hanno reso possibile il compromesso tra capitalismo e democrazia, per cui chi possedeva i mezzi di produzione ha accettato istituzioni politiche nelle quali le decisioni erano prese contando i voti di tutti. Il keynesianesimo ha dato i fondamenti ideologici e politici di questo compromesso, e lo ha fatto rispondendo alla crisi devastante del 1929 che lasciò sul tappeto una disoccupazione tremenda e regimi totalitari.

Ancora in piazza per i nostri figli. Intervista a Hebe de Bonafini

Intervista a Hebe de Bonafini di Geraldina Colotti 
«I nostri figli hanno dato la vita per un sogno e noi lo rinnoviamo ogni giorno». Non tradisce il peso degli anni, la voce di Hebe de Bonafini, storica dirigente delle Madres de Plaza de Mayo, classe 1928. Oggi, l’organizzazione che ha contribuito a fondare, il 30 aprile del 1977, compie 39 anni. Il 24 marzo dell’anno prima, una giunta militare aveva preso il potere in Argentina, scatenando una repressione che, in sei anni, provocherà circa 30.000 scomparsi.
Sfidando il pericolo, quel 30 aprile le Madres lanciano al mondo un simbolo di resistenza, come una bandiera: un fazzoletto bianco con su scritto il nome dei loro figli scomparsi, un pannolino di tela con cui li hanno fasciati da piccoli. Donne semplici, via via sempre più coscienti e organizzate, consapevoli del rischio e disposte a continuare a prezzo della vita. Il 10 dicembre del 1977, nella giornata internazionale dei Diritti umani, il giornale delle Madres pubblica l’elenco dei ragazzi desaparecidos.

Il vecchio Ippocrate e il medico amministrato

di Ivan Cavicchi
Le profonde e accresciute diseguaglianze del servizio sanitario si intrecciano con i cambiamenti dello stesso paradigma ippocratico. Oggi la medicina ippocratica è in crisi e ci pone un dilemma: da una parte, a partire da me, si ritiene che i postulati che l’hanno definita come è ora sono tutti cambiati per cui si avrebbe bisogno di fare una riforma. Orientamento “neo-ippocratico”. Altri, “post-ippocratici”, invece che soprattutto a causa dei problemi economici alcuni suoi postulati siano ormai insostenibili per cui andrebbero contro riformati.
Il discrimine passa per i due principi cardine della medicina ippocratica:1) curare il malato secondo le sue necessità 2) libertà di cura per il medico. Nessun malato si può curare secondo necessità se il medico non è libero di curare. Per l’orientamento neo ippocratico le diseconomie sono innegabili ma per risolverle non c’è bisogno di sacrificare questi due principi a condizione di usarli meglio quindi investendo su un medico più bravo a scegliere nella complessità .

Ttip, se lo conosci, lo eviti

di Grazia Francescato 
Diciamolo subito: l'argomento, a prima vista, ha scarso sex-appeal. A cominciare dall'acronimo,decisamente ostico: TTIP ( Transatlantic Trade and Investment Partnership) ovvero il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti che USA e UE stanno negoziando dal 2013. Ma è imperativo che la pubblica opinione si familiarizzi al più presto con sigla e contenuti dell'accordo che, se portato a conclusione entro l'anno (come vorrebbe l'amministrazione Obama), avrà effetti pesanti sull'economia e sulla vita quotidiana dei cittadini europei e statunitensi.
Un'occasione per saperne di più è prossima: sabato 7 maggio la Campagna STOP TTIP, costituitasi nel febbraio 2014 per coordinare il vasto schieramento internazionale e nazionale che si oppone al Trattato, porterà in piazza a Roma il fronte del no, in una mobilitazione che dovrebbe emulare la grande manifestazione che si è svolta a Berlino nell'ottobre 2015.

La Siria è un dramma solo quando fa comodo

di Fulvio Scaglione 
Uno legge certi giornali e si sente proiettato in una barzelletta dei carabinieri. In particolare, in quella in cui una pattuglia ferma un’automobile per un controllo. Il maresciallo chiede all’appuntato: “Funziona la freccia?”. L’appuntato risponde: “Adesso sì, adesso no, adesso sì, adesso no…”.
Per questi giornali la guerra in Siria c’è, è drammatica, brutale, orrenda. Ma a giorni alterni. Lo è quando si possono accusare i siriani di Assad e i russi di ogni nefandezza. Non lo è, e comunque se lo è non vale la pena di raccontarlo, quando a colpire sono i miliziani di al Nusra, dell’Isis o di una qualunque delle decine di formazioni più o meno “radicali” o “moderate”. Non lo è quando sparano i turchi. E così via. Adesso sì, adesso no…
Il caso di Aleppo è tipico. Passato il periodo di Pasqua la tregua è andata via via sgretolandosi. E le milizie di Al Nusra e Isis, comunque escluse dalla tregua ma pronte ad approfittare del rallentamento delle azioni militari per rinserrare i ranghi, hanno ripreso le loro operazioni.

La nuova battaglia di Alexis Tsipras

di Argiris Panagopoulos
Misure preventive di austerità nel momento che la Grecia cerca di superare l’impatto della doppia crisi, economica e dei profughi. Questa nuova follia pretendono da Atene parte dei suoi creditori, con il Fmi e Schaeuble in prima fila, che non si rassegnano di far cadere il governo di Tsipras, reo di aver per ennesima volta superato ogni aspettativa rivendicando la valutazione positiva del suo lavoro svolto dopo la firma del accordo di luglio e l’avvio immediato della discussione per diminuire il debito greco a livelli sostenibili. 
Per prima volta un governo greco pretende dai suoi creditori di onorare le loro firme e di fare quello che hanno detto. Questa volta sono il Fmi e Schaeuble che truccano le carte. “Non faremo niente di più e niente di meno che siamo accordato”, non si stanca di ripetere da settimane Tsipras, contento che il suo governo tra mille difficoltà ha fatto molto per risanare l’economia greca e alleggerire il peso della crisi dalle spalle dei più deboli. 
L’accordo di luglio non è stata la pietra tombale dell’esperienza di SYRIZA, del suo governo, di Tsipras e della Sinistra Europea, come aveva sperato il neoliberismo europeo e molte delle sue casse di risonanza della sinistra settaria. L’economia greca ha resistito all’assedio e ai controlli di capitali.

Ascesa e caduta, la parola lavoro non va più in paradiso

di Stefano Massini
La prima leggendaria schedina della Sisal è datata 5 maggio 1946: nel 2016 ne ricorre il settantesimo anniversario. Nell’idea di un concorso a pronostici, l’Italia in macerie cercava di scommettere sul suo futuro, e al tempo stesso raccoglieva fondi per rimettersi in piedi. Agli albori della sua storia, la schedina conteneva sul retro un riquadro sul quale scrivere i propri dati, e fra essi compariva immancabile la dicitura “professione”. Sappiamo così che il signor Pietro Aleotti da Treviso, vincitore di 64 milioni nella primavera del 1947, era artigiano del legno (pare costruisse bare).
E così, fra i più famosi vincitori, Giovanni Mannu era un minatore sardo, Giovanni Cappello un ferroviere, mentre il fortunato che nel 1977 superò l’asticella favolosa del miliardo era un semplice impiegato. Ma come investivano i soldi della vincita questi invidiatissimi italiani? Credo che la risposta possa darci da riflettere. Fino almeno a tutti gli anni Settanta, la domanda «che cosa farebbe se vincesse un miliardo? » vedeva concordare gli intervistati su poche risposte eguali: la maggioranza «si metterebbe in proprio», «cambierebbe lavoro», oppure «aprirebbe un’attività».

Nuit Debout e i limiti del gauchismo

di Militant
La sinistra di classe deve fare i conti con il populismo. Questo il giudizio – a dire il vero l’unico interessante nella marea di commenti preconfezionati letti in questi giorni – espresso da Carlo Formenti riguardo alle proteste francesi contro la riforma del lavoro predisposta dalla legge El Khomri. Interessante perché problematizza l’interpretazione di un movimento, altrimenti raccontato unicamente nei termini enfatici tipici di certe “analisi” interessate. Le mobilitazioni “spontanee”, “orizzontali”, e (ovviamente) “giovanili” generano sempre entusiasmi trasversali pari solo alla rapidità del riflusso che le caratterizza e al vuoto che lasciano dietro di sé. Formenti non si ferma però a rilevare i limiti di uno schema ormai caratteristico delle sinistre europee. Dice anche che con tali venature populiste bisogna farci i conti, sporcandosi le mani, senza banalizzazioni libresche, cogliendone non solo i limiti ma, forse soprattutto, le potenzialità di “rigenerazione” della sinistra. In ogni caso questo ventennio ci sta consegnando una modalità di partecipazione politica che non è solo il frutto distorto di certo populismo progressista, ma anche il prodotto specifico dello scenario politico contemporaneo.

Ne uccide più l’eufemismo che la spada

di Luigi Manconi 
Siamo in molti – persone pacate, razionali e fin moderate – a chiederci: ma che cosa si sta aspettando? Che cosa sta aspettando l’Italia per far sentire la propria voce e tutta la propria determinazione alle riluttanti, e sempre più ostili, autorità egiziane? Dopo il richiamo dell’ambasciatore italiano al Cairo – provvedimento significativo, anche se assunto in ritardo – si è parlato insistentemente di «nuove misure allo studio». Ma finora, di quelle possibili misure, non si è colta alcuna traccia.
E proprio ieri il ministro degli Affari esteri, Paolo Gentiloni, ha pronunciato parole che non possono in alcun modo rassicurare. Certo, ha dichiarato la propria «insoddisfazione» ma – per definire l’atteggiamento delle istituzioni egiziane – ha utilizzato la seguente formula: «collaborazione assolutamente inadeguata». Ora, qui siamo incondizionatamente disponibili ad assecondare l’arte della parafrasi fino alle sue più esauste espressioni, ma le parole sopportano una deformazione eufemistica che pure ha un suo limite.

Sbilanciamo le città. Come cambiare le politiche locali

di Duccio Zola
Il prossimo 5 giugno più di 1.300 Comuni italiani saranno chiamati alle urne per il rinnovo delle amministrazioni locali. Tra questi, grandi città come Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Ravenna, Cagliari, Rimini, Salerno. L’interesse e la posta in gioco per l’imminente appuntamento elettorale sono dunque molto alti. Tuttavia, il voto cade in una fase economica e politica molto complicata per i Comuni, ai quali, secondo i calcoli dell’Anci, è stato chiesto di contribuire al risanamento della finanza pubblica con 17 miliardi di euro dal 2008 al 2015 (e oltre 12 dei 17 totali sono arrivati a partire dal 2010): un contributo ben superiore rispetto a quello di altri livelli istituzionali, amministrazioni centrali in testa.
I continui tagli del Governo ai Comuni si sono tradotti in un forte aumento delle imposte locali e, inevitabilmente, nella diminuzione dell’offerta e della qualità dei servizi locali. Un recente studio della Uil attesta che nel 2015 sono stati pagati dai contribuenti sette miliardi di imposte locali in più rispetto al 2013, tra addizionali regionali e comunali Irpef, Imu, Tasi, tariffa rifiuti.

Una militanza da elogiare

di Christian Marazzi 
È denso e tagliente l’ultimo libro di Gigi Roggero, Elogio della militanza. Note su soggettività e composizione di classe (DeriveApprodi, pp. 213, euro 13). Ed è attraversato dalla ricerca di quello sguardo, di quella linea di condotta, di quel grimaldello di cui il militante ha bisogno per agire nel tempo presente della lotta di classe. La lotta tra un capitale pervasivo nelle forme del suo sfruttamento e una classe che appare e scompare nelle forme della sua soggettività, del suo rifiuto, dei suoi desideri, della sua vita. Nelle forme, soprattutto, della sua scomposizione. Un capitale che, per distruggere l’autonomia della classe operaia fordista, si è trasformato in «capitale-crisi», incapace di innescare nuovi cicli di sviluppo perché privo della sua più grande forza produttiva, la classe operaia stessa. «Perché la classe operaia può essere autonoma, il capitale no: strutturalmente dipende dal proprio nemico. La crisi è esattamente questa nemesi storica». Con esiti che si riverberano, lacerandolo, all’interno del pensiero critico con, da un lato «una mitologica composizione di classe senza operaismo, dall’altro un mitologico operaismo senza composizione di classe».

Il referendum, l’attacco di Renzi alla democrazia e la lezione di Calvino

di Francesco Erspamer
Spero che qualcuno si ricordi che a lungo uno dei principi fondamentali e irrinunciabili della democrazia è stato la segretezza del voto. “Voto nullo! Ha mostrato il voto!”, grida una rappresentante di lista nella Giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino: una scelta esibita giustificava il sospetto di un condizionamento, di una limitazione della libertà. Per lo stesso motivo ancora oggi viene considerata non valida una scheda con scritte o segni che potrebbero consentire l’identificazione dell’elettore; e molti resistono al voto per corrispondenza con l’argomentazione che il fatto che non sia presidiato lo esponga a possibili pressioni e controlli. Ma i liberisti insistono che questo rigore va rottamato: contano solo i grandi numeri e in fondo si sa già tutto prima, grazie ai sondaggi.
È la grande truffa del nostro tempo: far credere alla gente che valgano solo i risultati, non i procedimenti; come se i risultati fossero valutabili in sé, autonomamente, e non rispetto a un sistema di valori e di norme condivise. Penso che in effetti l’obiettivo primario del liberismo sia la deregulation: economica ma anche morale, culturale e politica.

Venticinque anni di Linux, gioco informatico diventato industria

Intervista ad Alessandro Rubini di Carlo Gubitosa
"Sei fortunato a non essere un mio studente. Non prenderesti un buon voto per questo progetto”. È il 1991, e il professore in questione è Andrew Tanenbaum, la massima autorità scientifica dell’epoca di sistemi operativi per computer. Lo studente invece è Linus Torvalds, che durante i suoi studi all’università di Helsinki aveva chiesto consigli a Tanenbaum per la sua idea di creare un sistema operativo libero, ispirato al più noto “Unix”.
Torvalds decide così di riscrivere tutto da zero, aprendo il suo progetto a tutta la comunità mondiale dei programmatori informatici, che iniziava ad estendersi fuori dalle università grazie alla diffusione delle prime connessioni internet domestiche. Con uno storico messaggio del 25 agosto 1991, Torvalds annuncia che sta realizzando un sistema operativo libero “solo per hobby”. Per coinvolgere e appassionare al progetto Linux migliaia di programmatori informatici sparsi in tutto il mondo fu determinante anche l’adozione della licenza GPL, la “General Public License” sviluppata dalla Free Software Foundation di Richard Stallman.

Welfare, Berlino annuncia tagli ai sussidi per gli stranieri, europei inclusi

di Tiziana Barillà
La Germania non è l’albero della cuccagna. Perciò, niente sussidio agli stranieri senza lavoro, europei inclusi. Berlino intende limitare le prestazioni sociali della legge Hartz IV, lo ha anticipato il ministro del Lavoro Andrea Nahles (Spd). Dopo la Gran Bretagna (che tre anni fa ha escluso i comunitari da alcune prestazioni sociali), anche la Germania si dice pronta a bloccare l’erogazione degli assegni ai non tedeschi. In attesa che il governo di grosse-koalition presenti una proposta di legge, facciamo qualche conto.
Sono 440mila i cittadini dell’Ue che percepiscono aiuti economici in Germania: polacchi (92mila), italiani (71mila), bulgari ( 70mila), rumeni (57mila) e greci (46mila), secondo i dati dell’agenzia federale del lavoro. Per beneficiare dell’indennità di disoccupazione (Arbeitslosengeld I), secondo la legge Hartz IV è necessario essere disoccupati di lunga durata o percepire un salario insufficiente. Quali sono i contributi? € 334 al mese più circa € 300 per l’affitto di un appartamento e un’assicurazione sanitaria.

Proteste, indignati e riforma del lavoro: che succede nella Francia della Nuit Debout?

di Michele Azzu
È ormai un mese che la Francia si sveglia di notte. Dal 31 marzo, infatti, le piazze di Parigi – e inizialmente anche di Tolosa, Lione, Nantes, Marsiglia e perfino Bruxelles – vengono occupate la sera dai manifestanti della “Nuit debout”, un movimento popolare di protesta nato a seguito della manifestazione del 31 marzo scorso, contro la riforma del lavoro voluta del premier francese Manuel Valls.
Quella manifestazione, che portò nelle piazze di Parigi tra le 400mila e il milione di persone era stata organizzata da sindacati e studenti, più qualche movimento di estrema sinistra. Finito il corteo, qualche centinaio di dimostranti decise di rimanere in piazza, con tende e sacchi a pelo. Per continuare a parlare e fare assemblea, alla stessa maniera degli “indignados” spagnoli del 2011 e delle manifestazioni americane di “Occupy Wall Street”.
La protesta ancora oggi continua. Nonostante i numerosi sgomberi effettuati dalle forze dell’ordine francesi, i manifestanti continuano a ritrovarsi in Place de la République a Parigi, ogni sera, e spesso si contano anche 3.000 presenze.

Chi non terrorizza s’ammala di terrore

di Giorgio Ferrari
A distanza di poche settimane dal sequestro di un filmato posseduto dagli attentatori di Bruxelles che riprendeva un esperto dei programmi di ricerca nucleare in Belgio, questa notizia sembra confermare che c’è una particolare attenzione verso quei luoghi dove è più facile asportare sostanze radioattive per compiere un attentato (centri di ricerca, laboratori universitari, fabbriche di sorgenti radioattive per scopi medici o industriali). Di queste località nel mondo ce ne sono migliaia e la maggioranza si trova in Europa con una concentrazione massima tra Francia, Belgio e Germania. Come affrontare il problema?
Nel 2004 gli Usa hanno varato il programma Global Threat Reduction Initiative (Gtri) sotto l’egida del Ministero della Difesa americano e in particolare della Nnsa (National Nuclear Security Agency, parente stretta della più nota Nsa).

La busta arancione: ecco come funziona nel resto d’Europa

di Carlo Caldarini
Essere informati della propria situazione previdenziale è un diritto. Un diritto di tutti i lavoratori e, più in generale, di ogni persona iscritta a un regime di sicurezza sociale. Che non attiene soltanto alle regole generali del sistema pensionistico a cui si afferisce, ma più precisamente alla propria situazione personale, passata, presente e – soprattutto – futura. E più precisamente al legame esistente tra lavoro, versamenti contributivi e importo della pensione.
La parola “pensione” sta diventando, infatti, sempre più sinonimo d’incertezza: un numero crescente di persone non ha neppure una vaga idea di quando raggiungerà il traguardo dell’età pensionistica, dell’importo della prestazione che riceverà una volta raggiunta l’età della pensione, e se percepirà davvero una prestazione in denaro alla fine della propria carriera lavorativa. La crisi economica e finanziaria, con le politiche di austerità e con le riforme dei sistemi pensionistici, che in tutti i paesi si sono susseguite a catena, non ha fatto che aggravare questa situazione e rendere l’incertezza più vasta e più profonda.

Come Berlino può strangolare l’Italia

di Roberto Sommella
Proviamo a capire cosa hanno in testa i tedeschi, rileggendo un loro concittadino? Lo studioso Jörg Huffschmid ammonì come il problema delle società avanzate fosse il “finanzcapitalismo” e non la crisi. La finanza al cubo ha infatti completamente rovesciato il concetto di capitale. C’è quello classico, che produce valore, quando si costruisce una scuola, un ponte, si creano posti di lavoro. Insomma, oggi è quasi un’utopia. Poi c’è il capitale contemporaneo, che il valore invece lo estrae, imponendo costi di salvataggio, manipolando tassi, erogando prestiti a chi non può chiederli, rovesciando sulla collettività i debiti degli altri. In Europa viviamo nel regime dell’estrazione di valore ma ci servirebbe piuttosto crearlo.
Questa premessa serve per capire le mosse, alla luce del sole e non, che si stanno per compiere intorno al paese più indebitato dell’Unione, l’Italia, leader nella tradizionale costruzione di valore ma certo non efficiente nel finanzcapitalismo.

Le ramificazioni del caso Regeni

di Giuseppe Acconcia
Ci ha pensato il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi a scaricare tutte le responsabilità sui media locali in merito alla ricerca della verità sulla tragica morte di Giulio Regeni. «I media hanno diffuso menzogne sul caso e hanno creato un problema», ha dichiarato al-Sisi. Di sicuro questa è una prima ammissione delle bugie e dei depistaggi diffusi a profusione dai media egiziani e con i quali i media italiani hanno fatto i conti negli ultimi mesi.
Eppure non dobbiamo mai dimenticare che gli stralci di prove e le inchieste pubblicati tra gli altri da Masry al-Youm e Akbar al-Youm riportavano spesso fonti della procura e del ministero dell’Interno egiziano. Quindi accusando i media al-Sisi accusa sé stesso e l’intero sistema del regime militare che ha fatto quadrato intorno al suo capo per giustificare qualsiasi malefatta del regime spesso senza neppure che il presidente si sia mobilitato per chiederlo.

FMI e UE: una partita giocata sulla pelle dei greci

di Costas Lapavitsas e Daniel Munevar 
L’agitazione politica scatenatasi recentemente in Grecia dopo la pubblicazione da parte di WikiLeaks dei protocolli dell’FMI può essere spiegata da un’unica prospettiva: la Grecia non è in grado di soddisfare le condizioni del terzo accordo di bailout risalente al luglio 2015. Il programma di salvataggio è già fallito e tutte le parti ne sono consapevoli, anche se non lo ammettono pubblicamente.
È importante ricordare che l’accordo prevede il raggiungimento di un avanzo primario di bilancio per il 2018 pari al 3,5% del PIL. Nell’ultimo trimestre del 2015 l’economia greca è però ripiombata in recessione, ed i vari indicatori economici registrano una situazione catastrofica: il fatturato industriale è precipitato del 13,5%; il fatturato della vendita al dettaglio è sceso del 3,8%; la disoccupazione è aumentata al 24,4%; e i posti di lavoro disponibili in tutta l’economia, nell’ultimo trimestre del 2015, ammontavano alla misera cifra di 3.119. Le banche hanno a bilancio crediti inesigibili del valore di 115 miliardi, circa il 50% dei prestiti a bilancio.

1945: indimenticabile quel Primo Maggio

di Ilaria Romeo
All’indomani della Liberazione, il Primo Maggio 1945, giovani che non hanno memoria della festa del lavoro e anziani si ritrovano insieme nelle piazze di tutta Italia. La testimonianza di Anita Di Vittorio, compagna del leader sindacale di Cerignola, ci restituisce l’atmosfera di quella giornata: “Ho assistito in seguito, nel corso di più di dieci anni, a centinaia di manifestazioni delle quali Di Vittorio fu oratore ufficiale, ma quel Primo Maggio resterà tuttavia, per me, indimenticabile”.
Piazza del Popolo, continua Anita, “non fu mai così bella, mi sembra, come quella mattina di sole: lunghi cortei di lavoratori, le bandiere bianche, rosse e tricolori alte nel vento, giungevano da ogni quartiere della città, accompagnati dalle bande dei tranvieri e dei ferrovieri. C’era anche, ricordo, la banda di Madonna della Strada che avanzava tra grandi applausi, preceduta da un’immagine religiosa. Tutti portavano abiti lisi e i volti apparivano segnati dalle lunghe privazioni, e tuttavia una intima gioia, una fiducia in sé, uno slancio di speranza, sembrava animare e spingere la folla. Risuonavano i canti e grida di evviva.

Ieri conservatori oggi rivoluzionari: la svolta di FMI, BCE e Bundesbank

di Maurizio Ricci 
Scavalcare i sindacati, fermare i salari per rilanciare la competitività, salvaguardare i profitti per garantire gli investimenti. Dagli anni ‘80, queste parole d’ordine sono state ripetute tanto spesso da essere diventate un mantra che si è radicato non solo nelle teste di economisti, politici, giornalisti, ma anche nel senso comune. Tuttavia, il pendolo della storia oscilla, tanto più se di mezzo c’è una Grande Crisi come quella del 2008. Dire che la ricostruzione della sinistra passa dal rovesciamento di quelle parole d’ordine sarebbe velleitario. Anche perché a farle traballare non sono i bollettini della IV Internazionale, e neanche i movimenti del 99 per cento o intellettuali radicali come Thomas Piketty. Per capire che l’aria che tira non è più la stessa è assai più istruttivo fare un giro per le cattedrali dell’ortodossia economica e finanziaria. Eccolo.

Il riscaldamento globale minaccia la salute e la produttività dei lavoratori

di Green Report
Secondo il rapporto “When it is too hot, people work less effectively out-of-doors, in factories, the office or on the move due to diminished ability for physical exertion and for completing mental tasks”, a causa del cambiamento climatico, le economie emergent dovranno far fronte a una perdita del 10% delle ore di lavoro per l’aumento delle temperature sui luoghi di lavoro. Per alcuni Paesi, come l’India, l’Indonesia e la Nigeria, le perdite stimate avrebbero conseguenze negative pari a quella della crescita del Pil stimata. Per questo, secondo lo studio, «Rafforzare i piani di riduzione delle emissioni di gas serra nel quadro dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici potrebbe ridurre significativamente l’impatto economico e sulla salute pubblica dell’aumento del caldo sul posto di lavoro».

Ken «il rosso» scatena una «tempesta perfetta» nel Labour

di Leonardo Clausi 
È una «tempesta perfetta» quella che si è scatenata nel partito laburista, sul suo scomodo leader, Jeremy Corbyn, e sul principale alleato di questi, Ken Livingstone. Perfetta, perché sfrutta la ben nota rozzezza verbale dell’ex sindaco di Londra – grande aficionado delle controversie mediatiche – mettendola al servizio dell’ormai soverchia necessità di togliere dalle mani di «Corbyn l’alieno» la macchina del partito, prima che questi ne cambi irreversibilmente i connotati politici.
Perfetta, perché lo sbriciolamento in diretta dei vertici Tories sulla questione del quasi imminente referendum europeo aveva disperato bisogno di essere compensata da un travaglio almeno lontanamente paragonabile nelle fila del principale partito d’opposizione e perché si gioca tutta su dichiarazioni scriteriate su scivolosi argomenti.

L'importanza dei dati. Riflessioni dopo le ultime sull'Istat

di Valeria Maione
L'Istat è stato il mio "primo impiego". Neolaureata ho saputo di un concorso pubblico in questo ente del quale avevo usato molti dati nella mia tesi, mi sono presentata e l'ho vinto. Ricordo ancora lo stupore che le prime due settimane di conoscenza della struttura complessa nella quale avrei lavorato mi procurarono. Un intero palazzo adiacente al ministero dell'interno pieno di macchine per la lavorazione dei dati statistici non poteva lasciare indifferenti. Oggi il pensare che analoghe operazioni possono essere svolte con un piccolo portatile mi fa sentire inesorabile il peso degli anni. Ma tant'è.
Fui destinata alla sede di corrispondenza regionale di Genova, città nella quale risiedevo e iniziai un lavoro che consisteva essenzialmente nel controllare la bontà dei dati che attraverso un sistema di collaborazione tra comuni, province e camere di commercio venivano inoltrati a Roma. Oltre ai censimenti, ogni dieci anni, ci occupavamo delle rilevazioni campionarie, forze lavoro e consumi delle famiglie.

Padri costituenti

di Andrea Colombo 
Da ieri e solo da ieri l’alato gruppo di Denis Verdini fa parte a pieno titolo della maggioranza. Sinora si trattava di ascari convocati alla bisogna. Da quando, ieri mattina, il ruggente Denis è entrato nella sala del gruppo Pd alla Camera, scortato da Ignazio Abrignani e Lucio Barani, ricevuti con gli onori del caso dal vicesegretario Guerini e dai capigruppo Rosato e Zanda, le cose sono cambiate. L’M5S insiste perché Renzi salga al Colle per informare dell’avvenuto allargamento della maggioranza. Forza Italia si associa. Lo avevano già fatto quando Denis votò la fiducia, ma era una richiesta tirata per i capelli trattandosi appunto solo di ascari. Ora quella richiesta è invece sacrosanta.
L’incontro di ieri, infatti, è di quelli che si svolgono tra gruppi della stessa maggioranza per definire il percorso e risolvere eventuali contrasti. «Verdini non ha chiesto di entrare in maggioranza», rassicura Rosato. In effetti non ha chiesto. Ha praticato l’obiettivo.

Dove ci porta il liberismo e la sua egemonia nelle politiche economiche

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi
La Banca Centrale Europea ha deciso di rilanciare alla grande il suo Quantitative easing nella speranza di far crescere l’inflazione al 2% e di far aumentare investimenti e crescita. Ha portato i tassi di interessi a meno 0,4% per i depositi effettuati dalle banche presso la Bce. L’intento è quello di dissuaderle dal ‘parcheggiare i soldi’ nei forzieri di Francoforte invece di indirizzarli verso l’economia reale. Draghi ha annunciato anche nuovi crediti alle banche al tasso di meno 0,4%. per la durata di 4 anni In altre parole esse restituiranno meno di quanto hanno ottenuto. Si vuole portare inoltre da 60 a 80 miliardi di euro al mese l’ammontare per acquisti di obbligazioni pubbliche e private, suscitando in verità critiche per l’estensione ai bond societari.
Di fatto si intende continuare con la politica fallimentare finora attuata. Se ne aumenta le dimensioni e si continua a considerare il sistema bancario l’unico referente, ignorando che esso è più interessato a coprire i propri buchi di bilancio che a sostenere investimenti e imprese.

Tunisia: è ora di parlare di “denaro gratis”?

di Lorenzo Fe
Dopo il picco delle rivolte e delle manifestazioni di gennaio, la Tunisia continua a caratterizzarsi per un elevato livello di conflittualità sociale, nuovamente sfociata in scontro aperto tra giovani precari e forze dell’ordine nell’isola di Kerkennah tra il 3 e il 15 aprile e a Kef il 19 aprile. Kerkennah è un arcipelago di soli 15.500 abitanti che vivono in primo luogo di pesca, nonché luogo d’origine di due tra i principali leader storici del sindacalismo tunisino, Farhat Hached e Habib Achour. Il 19 gennaio 2016 (pochi giorni dopo l’inizio della rivolta di Kasserine) un gruppo di giovani, tra cui i militanti della sezione locale dell’Union des Diplomés Chômeurs (UDC), hanno avviato un presidio di protesta all’esterno dello stabilimento locale della Petrofac, ostacolandone l’accesso. La Petrofac è una multinazionale petrolifera con sede legale a Londra e un fatturato di 6.884 milioni di dollari, recentemente implicata in un grande scandalo di corruzione per l’ottenimento di contratti in Kazakhistan e Iraq [1]. Nel marzo 2011, in pieno periodo rivoluzionario, Petrofac era stata costretta ad accettare un accordo in base al quale avrebbe versato tra i 385.000 e i 440.000 euro al mese all’amministrazione regionale.

Aiutiamo i razzisti a casa loro

di Anna Lombroso 
Il 26 aprile con tempestiva puntualità (la professione di antifascismo, se proprio è necessario, si esercita una volta l’anno, come quella di ricordare, di rispettare le donne, di esprimere solidarietà per i profughi, di sentire la responsabilità di conservare l’ambiente per noi e chi verrà dopo etc etc), la commissione Giustizia di Palazzo Madama ha approvato all’unanimità un emendamento di Giacomo Caliendo di Forza Italia (assorbito poi da un testo analogo della relatrice Rosaria Capacchione del Pd) al disegno di legge che dovrebbe introdurre nel codice penale l’aggravante di negazionismo, modificando in senso restrittivo l’applicazione la legge Mancino del ’93, escludendo dal perimetro della punibilità, tutte le opinioni espresse non «pubblicamente», depenalizzando le condotte con fini discriminatori e di violenza oggi sanzionate se l’istigazione avviene tra le mura di casa, tramite mail, via cellulare non intercettato, e così via.

Di due professori in curva Renzi

di Marco Damilano
«Cari emeriti, abbiamo deciso di dedicare uno spicchio del nostro 25 aprile a scrivervi...». Si apriva con queste parole un articolo pubblicato sulla prima pagina dell'Unità , a firma Elisabetta Gualmini e Salvatore Vassallo, con il titolo «Cari Professori del No...». Imperdibile, per molti motivi, visibili e invisibili. Per quello che c'è scritto e per quello che significa.
I due autori vantano uno spicchio di notorietà, almeno presso gli addetti ai lavori. Lui è professore di Scienza politica comparata all'università di Bologna ed è stato deputato del Pd dal 2008 al 2013: è stato uno dei fondatori del partito con Walter Veltroni e propose alla fine del 2007 un modello di legge elettorale di ispirazione spagnola, passata alle cronache come il Vassallum. Lei è professoressa di Scienza politica, studiosa del Movimento 5 Stelle prima maniera, anche lei impegnata in politica: oggi è vice-presidente della regione Emilia-Romagna in quota Pd.

Bonifiche da amianto, le grandi incompiute

di Antonio Sciotto
«Subito il Piano nazionale amianto». “Subito” è la parola giusta, impegno quanto mai disatteso: un Piano fu elaborato, in effetti, all’Assemblea nazionale di Venezia del 2012 (al governo c’era Monti), ma da allora tutto è rimasto sommerso, e sulle bonifiche si è proceduto “a macchia”, a seconda della sensibilità dei diversi amministratori locali. Un convegno organizzato ieri alla Camera da Cgil, Cisl e Uil ha cercato di ridare impulso: «Se dovessimo continuare a questi ritmi – ha sintetizzato Silvana Roseto della Uil – finiremmo le bonifiche in 80 anni».
L’amianto è un problema ambientale, certamente, ma è anche un’emergenza sanitaria e tocca da vicino la vita non solo di tanti lavoratori e delle loro famiglie, ma anche di cittadini – donne, anziani, bambini – che vivono vicino ai siti più a rischio. Che possono essere imprese, edifici pubblici, scuole. Sono ancora tra le 30 e le 40 milioni le tonnellate di materiale non bonificato nel nostro Paese, in circa 34 mila siti.