La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 29 aprile 2016

Kaiser, sultani, minchioni

di Anna Lombroso
Non c’è mica da stupirsi per il successo internazionale dello stereotipo italiano: creativi, ma pasticcioni, geniali, ma inaffidabili, vivaci, ma inconcludenti, idealisti, ma cinici, sognatori, ma velleitari, dotati, ma indolenti e chi più ne ha più ne metta. In fondo abbiamo contribuito a crearlo con concorso di popolo, con il tributo di un ceto dirigente che lo ha accreditato prima di tutto con simbolico cattivo esempio, poi impartendo una pedagogia punitiva tramite leggi e riforme indirizzata a educare alla rinuncia, all’abiura della dignità, all’accettazione della giusta condanna comminata per il delitto di aver voluto troppo, commesso da mammoni, parassiti con particolare riguardo per pensionati e dipendenti pubblici, mangiatori di spaghetti pummarola ncoppa, invalidi in odor di simulazione, divoratori di pillole consigliate da zie e cognati, fruitori compulsivi di tac, tutti inclini a fosche intrinsechezze con malavitosi di periferia, con mafiosetti di quartiere, leggerezza questa guardata con indulgenza se consumata ai piani alti del marchesato del Grillo, deplorevole colpa se mutuata e imitata nel loro piccolo dai poveracci.
A diffidare per via della nostra autobiografia nazionale di pataccari, ben interpretata da alcuni augusti rappresentanti del governo, è oggi l’Austria che ha annunciato, mentre si affaccenda a completare la sua grande opera di fili spinato e nuovi materiali innovativi, chiamata pomposamente ora muro ora confine, che intende svolgere i controlli sul transito di immigrati anche sul nostro territorio, impiegando la polizia austriaca per effettuare i controlli sui convogli e sulla merce umana. Espediente ottimo per rivendicare il monopolio indiscutibile della sorveglianza occhiuta, a consolidare un’immagine di trasparente efficienza, di invidiabile talento organizzativo e amministrativo, a fronte di pasticcioni mollacchioni restii a sparare a altezza d’uomo, come si fa in Macedonia, a condannare chi aiuta i profughi, come si fa in Slovenia, a prendere le impronte con la forza come si fa dappertutto, ma anche, secondo l’impero carolingio, portati a approfittare delle occasioni, anche le più infami, per mettere su un brand di disperati per farsi abbonare debiti, sottrarsi a vincoli, inventarsi la sòla degli eurobond per incrementare il business dell’affarismo coloniale.
Certo, abbiamo messo del nostro, tramite esternazioni del premier, dei suoi generali e colonnelli, per dar sì che i sospetti di quel che resta della Cacania trovi fondamento. Ma proprio per questo è doppiamente umiliante che a impartirci questa lezione di vigorosa e trasparente funzionalità sia il Paese che sta conducendo un’azione incisiva di disonesta contraffazione dei numeri, come un norcino che imbroglia sul peso del salame, un vinaio sull’acqua aggiunta al vino. Perché perfino Alfano si è accorto, grazie a un sapiente uso del pallottoliere, che in barba alla barriera difensiva per contrastare la minaccia barbarica alla civiltà occidentale, è molto più consistente il flusso di stranieri che entra nel nostro territorio da quello austriaco che viceversa.
Il fatto è che l’impero carolingio col trono a Bruxelles, indifferente alla contemporaneità e disinteressato al futuro, si ispira al passato per i suoi disegni di supremazia e egemonia tramite disonore e degradazione dei popoli “inferiori”. E così dopo il test effettuato affidando al sultanato l’incarico di fare il buttafuori, in modo da far fare alla Turchia il lavoro sporco, combinando respingimento e repressione con ulteriori angherie alla Grecia, in modo da sottometterla definitivamente, ripete la sperimentazione sul laboratorio del Brennero, assegnando all’Austria, che ha già mostrato in anni lontani una certa inclinazione all’ortodossia e alla disciplina, il compito di kapò, di sbirro coscienzioso e intraprendente, addetto alle mansioni del banale razzismo distribuito, ai danni dei disperati del terzo mondo e, visto che c’è, di quelli prossimi o già vigenti del terzo mondo comunitario, noi, così come altri aspiranti carnefici della civiltà e dell’umanità fanno a Ventimiglia, Calais e i tutti quei confini sempre meno virtuali c he si vanno rivelando e disegnando in quell’incubo chiamato sogno europeo.

Fonte: Il Simplicissimus 

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