La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Oskar Lafontaine: cosa c'è da imparare dal ricatto alla Grecia

di Oskar Lafontaine
Molte persone accolsero l’elezione di Alexis Tsipras a primo ministro della Grecia come una notizia di speranza. Quando il presidente di Syriza, dopo settimane di estenuanti negoziati ha firmato l’imposizione dei tagli la delusione fu altrettanto grande. Sarebbe ingiusto e arrogante puntare contro Tsipras e Syriza il dito accusatore della morale. Meglio sarebbe riflettere, all’interno della sinistra europea, a quali condizioni è possibile, in Europa oggi, fare una politica democratica e sociale, ossia di sinistra.
Una cosa l’abbiamo imparata: finché la cosiddetta indipendente e apolitica Banca centrale europea può chiudere i rubinetti a un governo di sinistra, una politica orientata verso principi democratici e sociali sarà impossibile. L’ex banchiere Mario Draghi non è né indipendente né apolitico. Lavorava per Goldman Sachs ai tempi in cui questa banca di Wall Street aiutò la Grecia a falsificare i bilanci della sua contabilità. E’ così che si è resa possibile l’entrata della Grecia nell’euro.

L'intervento di Tsipras alla conferenza di Syriza: solo avanti, per salvare il popolo greco

di Alexis Tsipras
Compagne e compagni
permettetemi di iniziare il mio discorso alla nostra conferenza, con una osservazion che credo non troverà nessuno contro.
Oggi e domani ci incontriamo, discutiamo, decidiamo, ma sappiamo tutti che agiamo e lottiamo in un panorama politico di guerra. Negli ultimi mesi non ci siamo fermati di dare piccole e grandi battaglie. Abbiamo vinto molte di loro.
Con tenacia e determinazione, ci sforziamo di far valere il diritto del popolo greco.
Siamo stati feriti con il solo obiettivo e scopo di affermare il diritto di un intero popolo alla speranza, il diritto delle giovani generazioni di questo paese a sognare un domani migliore, il diritto dei lavoratori e dei disoccupati per la vita, per la creazione, il diritto degli anziani, dei pensionati dopo le fatiche di una vita di lavoro per la dignità.
Abbiamo dato le battaglie in condizioni difficili. Abbiamo lottato non solo contro il sistema politico di corruzione e di poteri forti, ma contro bestie dentro e fuori del paese.

Rifondare l'Europa insieme a profughi e migranti

di Guido Viale 
In coincidenza con le più recenti stragi di profughi – di sicuro non le ultime – la decisione di Angela Merkel di sospendere unilateralmente la convenzione di Dublino sui richiedenti asilo e di accogliere in Germania tutti i profughi siriani senza rispedirli nel paese del loro ingresso nell’Unione Europea (Grecia, Italia e Ungheria) rappresenta un punto di svolta nel modo di rapportarsi al problema; ma presenta anche molte ambiguità, cosa che la Stampa mainstream si è guardata dal rilevare. Innanzitutto è una decisione unilaterale con la quale Angela Merkel ribadisce che in Europa “comanda lei”, senza bisogno di accordi con Commissione, Consiglio o Parlamento europeo; gli altri Stati membri, se vogliono, possono adeguarsi.
Poi la Merkel ha fatto la sua scelta: accoglierà senza respingerli solo i profughi siriani. Certo oggi sono i più esposti a una delle tante guerre in corso; i più numerosi tra le nazionalità che cercano rifugio in Europa; ma presentano anche meno problemi di inserimento: hanno già molti parenti o conoscenze in Germania; quelli che hanno affrontato il viaggio per lo più appartengono a ceti professionali, sono istruiti ed erano abbastanza abbienti da potersi permettere spese di viaggio elevate. Ma sorge immediatamente un problema: quanti è disposta ad accoglierne? Perché, oltre a quelli che hanno già raggiunto l’Europa, i profughi siriani distribuiti tra Turchia, Libano, Iraq, Giordania ed Egitto sono oltre quattro milioni e altri sei milioni sono sfollati all’interno della Siria. Avere libero accesso in Germania potrebbe mettere in moto gran parte di coloro che finora non hanno avuto mezzi, informazioni o conoscenze sufficienti per decidersi ad affrontare il viaggio. Ma prima o poi proveranno a farlo. La Germania li accoglierà tutti?

L’emergenza migranti e il diritto d’asilo europeo

di Nadia Urbinati
La questione dell’immigrazione sarà, più della crisi economica, determinante per i destini del progetto di integrazione politica europea. Un nesso nel quale si scontrano beni non mercanteggiabili, come le ragioni della prudenza politica, che è alla base delle frontiere e non può non preoccuparsi della stabilità della popolazione degli stati, e le ragioni di umanità che impongono a tutti il soccorso ma anche la consapevolezza che la giustizia redistributiva globale non è più procrastinabile.
Questa immigrazione è però anche un terreno di semina per la criminalità organizzata internazionale che ha trovato nella disperazione dei migranti una fonte ricca e infinita di guadagno, schiavizzandoli con debiti che una vita di lavoro non basterà ad appianare. Infine, essa diventa il bersaglio facile di una propaganda xenofoba che in alcuni paesi si tinge senza vergogna di nazismo. Queste diverse e contraddittorie implicazioni fanno della più massiccia crisi migratoria dalla Seconda guerra mondiale una questione di emergenza che richiede iniziative non solo umanitarie, ma politiche e giuridiche.

Ormai è "guerra" alle Soprintendenze e alla tutela

di Vittorio Emiliani
Ormai è "guerra" alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, ai controlli, ai pareri e alle prescrizioni tecnico-scientifiche liquidate come ostacoli burocratici allo sviluppo "moderno". Una "guerra" che Matteo Renzi conduce in prima persona da anni, da quando era sindaco di Firenze. Linea-guida fondamentale: "Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grige. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?" A parte la folgorante battuta finale, Renzi commette un errore: non sa nemmeno che nei teatri lirici maggiori esiste il sovrintendente e nei beni culturali invece il soprintendente.
Siamo nel 2011, e il "vangelo secondo Matteo Renzi" si intitola "Stil novo" (ma de che?). Il sindaco di Firenze si è scontrato con la comunità scientifica internazionale e con le Soprintendenze fiorentine perché ha avuto alcuni accessi di "entusiasmo e fantasia", come affittare per tutta una sera alla Ferrari il Ponte Vecchio per cavarci soldi (pochi), come rifare la facciata di San Lorenzo, come togliere l'affresco del Vasari nel Salone dei Cinquecento per ritrovarvi sotto la "Battaglia di Anghiari" di Leonardo in realtà persa per sempre.

Inps e lavoratori alle prese con la Naspi

di Marta Fana
Il nuovo asse­gno di disoc­cu­pa­zione, la Naspi, disci­pli­nato dai primi decreti del Job­sAct è stato un altro cavallo di bat­ta­glia del governo: più tutele per tutti era il motto che ne accom­pa­gnava l’introduzione. Ieri l’inps fa sapere che sono state defi­nite 211.692 domande su 513.861 pre­sen­tate a par­tire dal primo mag­gio di quest’anno, data dell’entrata in vigore del rela­tivo decreto, cioè il 41% del totale. Tut­ta­via, le domande defi­nite non impli­cano che gli asse­gni siano stati ero­gati ai disoc­cu­pati, in quanto pos­sono essere state respinte dall’Inps per man­canza dei requi­siti o altro. Con rife­ri­mento ai pre­cari della scuola, invece, «da fine giu­gno al 27 ago­sto sono per­ve­nute 115.834 domande e ne sono state defi­nite e pagate 53.957», il 46%.
I ritardi accu­mu­lati in que­sti mesi sono dovuti, spiega l’Inps, alla gestione del nuovo cal­colo dell’assegno, che si basa su cri­teri diversi rispetto alle pre­ce­denti Aspi e MiniA­spi. Infatti, il cal­colo per l’accesso ai requi­siti e l’entità dell’assegno va ora fatto sui quat­tro anni che pre­ce­dono la domanda, fermo restando che il requi­sito lavo­ra­tivo viene cal­co­lato sui dodici mesi ante­riori alla domanda. Modi­fi­che che richie­dono una ricerca più lunga e forse com­plessa, all’interno delle ban­che dati.

Se il lavoro diventa un premio da lotteria...

di Stefano De Agostini
I curricula, la gavetta, il merito, la fatica sul campo. Al netto di raccomandazioni e scorciatoie poco limpide, è questa la strada che porta alla conquista di un posto di lavoro. O almeno, così ci hanno sempre raccontato. In realtà, in tempi di crisi occupazionale, quando trovare un impiego sembra diventare un’impresa, a volte può essere più utile affidarsi alla fortuna che impegnarsi a distribuire curricula. Ed ecco che la conquista di un posto di lavoro diventa letteralmente un terno al lotto: c’è chi ce l’ha fatta grazie a una tombola, ai punti del supermercato o alla lotteria di Natale. E se la fortuna non basta, le vie alternative per trovare un’occupazione non mancano. Per avere un contratto, c’è chi ha partecipato a un concorso di bellezza, ha passato una serata in discoteca o ha fatto il pieno di like su Facebook.
L’ultimo caso balzato agli onori della cronaca, nell’agosto 2015, è arrivato dalla provincia di Piacenza. A Pontedellolio, in occasione della festa patronale di San Rocco, il salumificio San Bono ha organizzato una tombola. Primo premio: un posto di lavoro. Sono state vendute ben 1500 cartelle, al prezzo di due euro ciascuna. Ironia della sorte, la vincitrice aveva già un impiego, ma lo sponsor le ha permesso di scegliere se girare l’offerta a un parente o convertire la vincita in una fornituradi salumi per tutto l’anno.

Prodi attacca Twitter, il circolo vizioso dei limiti della sinistra

di Marta Fana
Dice su Huffington Post Prodi: "Oggi se c'è una cosa che ti impedisce l'analisi è Twitter". Il punto è interessante e chiama in causa la cultura politica su cui si fonda oggi il Partito Democratico. Una volta a fare le analisi c'erano i militanti che aspiravano a diventare dirigenti e quadri di partito o semplicemente quelli che credevano che la politica fosse una cosa seria, che dalle sue scelte derivassero conseguenze per la vita delle persone. La politica come strumento per il progresso, inteso come il miglioramento della vita individuale ma soprattutto collettiva - nostalgia canaglia portami via -. Allora c’erano le Frattocchie ed erano un passaggio obbligatorio prima ancora che obbligato. Oggi, dentro il PD, pare che a fare le analisi ci siano quelli che non fanno comunicazione politica (vedi pseudo Pravda) perché quei posti sono già tutti occupati (semicit.).
E allora non stupisce leggere che il Premier ha bisogno di chiamare a Palazzo Chigi un'altra serie di superconsulenti, la task force sulla ripresa e il lavoro, come l'ha definita ieri il Corriere della Sera. Come se l’analisi e la visione politica possano essere fatte da tecnici alla mercé dei governi, quasi creando un nuovo mercato, quello appunto dei tecnici.

Jeremy Corbyn e il sonno perso dei neoliberisti


di Ilaria Bonaccorsi
E quando tutti sperano che sia finita, quando sembra prevalere per l’ennesima volta quel “mal comune mezzo gaudio” e sulle colonne dei nostri quotidiani ricompare lo scherno gaudente dei soliti noti di fronte alla “nuova” sconfitta della sinistra, eccoci. Siamo qui a ridirvi e a riscrivere che non è vero. Non basteranno uno, dieci, cento, mille fondi di Aldo Grasso a convircerci che «prendiamo lucciole per lanterne» e che siamo destinati «sempre alla sconfitta e alla perenne stasi nell’illusione demagogica». Deride la brigata Kalimera lui. «L’allegra Brigata – scrive il 23 agosto sul Corriere della sera - oggi è triste: il suo destino, se continuerà a prendere lucciole per lanterne, sarà sempre la sconfitta, la perenne stasi nell’illusione demagogica. Il modello Tsipras come antidoto al renzismo è svanito e con esso l’occasione per un’altra politica della sinistra italiana». Canzona, sarcastico, tutti quelli che avevano sperato in una soluzione per la Grecia diversa e in una risposta “collettiva” ad un’Europa troppo sbagliata.

Varoufakis risponde ad accademici

Quando Yanis Varoufakis è stato eletto al parlamento e poi nominato ministro greco delle finanze a gennaio, egli si è imbarcato in sette straordinari mesi di negoziati con i creditori del paese e con i suoi partner europei.
Il 6 luglio gli elettori greci hanno sostenuto la sua posizione intransigente in un referendum, con un sonoro voto del 62% a favore del No all’ultimatum dell’Unione Europea. Quella sera si è dimesso, dopo che il primo ministro Alexis Tsipras, temendo una brutta uscita dall’eurozona, ha deciso di andare contro il verdetto popolare. Da allora il partito al governo, Syriza, si è diviso e sono state indette immediate elezioni. Varoufakis resta membro del parlamento e voce di spicco nella politica greca ed europea.

La rotta migratoria più pericolosa del mondo

di Fulvio Vassallo Paleologo
Da tempo la Guardia Costiera libica non faceva tanti interventi in pochi giorni, e da tempo non c’erano tante stragi a catena davanti alla costa di Zuwara. Ai naufraghi viene riservato ancora un destino infame. Gli ultimi sopravvissuti sono stati rinchiusi nel carcere di Sabratha.
Le attività di ricerca dei corpi dei migranti annegati davanti le coste libiche sono ancora in corso, ed altri si preparano per partire, per sfidare il mare e le leggi che respingono, partire, malgrado tutto (tutto l’orrore di alcuni degli ultimi viaggi nel racconto degli operatori umanitari raccolto da digitaljournal.com). Da diverse settimane decine di cadaveri si accumulano sulle coste libiche, dove non possono arrivare le navi umanitarie e dove non arrivano i mezzi di Frontex e della Guardia Costiera italiana.

Ascoltare l’Iraq

di Sarah Lazare
L’Iraq non è morto, non è una terra desolata, non è un semplice palcoscenico per l’invasione, l’occupazione o la battaglia geopolitica.
L’Iraq è un luogo con le persone che ci vivono, alcune delle quali sono impegnate in un prolungato e coraggioso lavoro organizzativo progressista. Tra l’ascesa dell’IS – e insieme a interventi occidentali e regionali – gli organizzatori nel campo femminista ambientalista e dei lavoratori, stanno lottando per un futuro di maggiore speranza. Hanno bisogno di comprensione internazionale e di appoggio, non di compassione e cancellazione
Questa tesi, sostenuta energicamente nel nuovo libro di Ali Issa: Against All Odds: Voices of Popular Struggle in Iraq [Contro ogni previsione: voci di lotta popolare in Iraq], dovrebbe essere ovvia. Di fatto, però, è rivoluzionaria, almeno per persone come me che si sono avvicinate al movimento pacifista statunitense nel 2003 e che continuano a essere inondate di immagini dei media e della politica dell’Iraq come se fosse un unico obiettivo di morte e di distruzione, e della sua gente come vittime sfortunate.

Gli orti scolastici del guerriero dell’acqua

E’ stato il più noto protagonista – detesta la parola “leader” – della prima grande rivolta del secondo millennio. Fu chiamata la Guerra dell’Acqua perché la gente di Cochabamba sconfisse il potere politico, militare e finanziario e cacciò dalla città boliviana la multinazionale che s’era impadronita della fonte della vita. La lotta di Oscar Olivera ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti in ogni angolo del pianeta ma lui si è sempre tenuto lontano da incarichi e poteri istituzionali. Non dalla politica, che è un’altra cosa, “la capacità della gente di cambiare la realtà in maniera collettiva”. Non credo nella politica dei partiti e non sono mai stato un militante, dice. Nessuna delega allo Stato, i cambiamenti arrivano dal basso. E molto in basso ci stanno i bambini. Per questo, in alcune piccole scuole rurali, Oscar si occupa di orti didattici per il consumo familiare e comunitario. E’ anche un modo per immaginare come far fronte sul serio ai devastanti cambiamenti climatici. Con i bambini, i genitori, gli insegnanti, le mamme. Per 40 anni è stato un operaio metallurgico, adesso è tornato un ortolano.

La nostra frontiera

di Norma Rangeri
Come muore un bam­bino asfis­siato den­tro un Tir? In attesa di cam­biare il mondo e met­tere fine alle guerre post-coloniali dell’Occidente e a quelle che ora com­bat­tono le pre­tro­mo­nar­chie in Medio Oriente, dovremmo ingag­giare una guerra di resi­stenza, che già ci coin­volge tutti: l’assuefazione alle stragi quo­ti­diane dei migranti.
Il rischio di dige­rire sem­pre più rapi­da­mente le noti­zie che ogni giorno la tele­vi­sione porta nei nostri tinelli è for­tis­simo. Il rullo media­tico macina i morti a pranzo e a cena e, lo sap­piamo, l’abitudine è capace di ren­dere sop­por­ta­bili cose spa­ven­tose. Del resto bastava sfo­gliare i gior­nali di ieri per vedere che l’eccitazione della grande stampa era tutta per la “que­stione romana”, men­tre le decine di morti asfis­siati sul Tir che tra­spor­tava uomini, donne e bam­bini dall’Ungheria all’Austria fati­cava a gua­da­gnare i grandi titoli di prima pagine. Per­fino gior­nali pro­gres­si­sti e sem­pre in prima linea con­tro le male­fatte della casta, rele­ga­vano la strage del camion in poche righe.

La campagna di Jeremy Corbyn e la leadership del Partito Laburista

di John Patrick Leech
La Gran Bretagna sta vivendo un momento molto significativo per la storia recente della sinistra inglese. La sconfitta del Partito Laburista alle elezioni politiche del maggio 2015 e le conseguenti dimissioni del suo leader Ed Miliband, hanno dato luogo al processo di elezione delnuovo leader, processo che per la prima volta utilizza una metodologia tipo “primarie”.
Inaspettatamente, Jeremy Corbyn, il candidato che esprime una posizione marcatamente di sinistra rispetto agli altri tre candidati, è il favorito nella corsa.
La stampa inglese si interroga in questo periodo sul perché un uomo di 66 anni, cresciuto in seno alla sinistra del partito sconfitto negli anni ’80 prima dall’ala moderata di Kinnock e poi dal New Labour di Blair, riscuota un successo tale da rendere la sua vittoria probabile.
Senza pretesa di rispondere a questo quesito, credo che ci siano tre aspetti fondamentali da sottolineare, che, inoltre, possono essere d’interesse anche per un pubblico non inglese.

Le vacche bigie del ministro Poletti

di Sergio Brasini e Giorgio Tassinari
Abbiamo lettio l'articolo di Marta Fana sull’errore del Mini­stero del Lavoro nel tota­liz­zare il numero di avvia­menti al lavoro nel corso dei primi sette mesi del 2015 (circa un milione di eventi in più). Il dato più rile­vante è costi­tuito dalla varia­zione del “saldo” tra avvia­menti e ces­sa­zioni. Secondo la nota dif­fusa dal Mini­stero del lavoro il 25 ago­sto, tale saldo è stato posi­tivo nei primi sette mesi del 2015 per circa 1.136.000 eventi,
men­tre negli stessi sette mesi del 2014 il saldo posi­tivo fu pari a 986.000. L’effetto dif­fe­ren­ziale tra il primo seme­stre 2015 e il primo seme­stre 2014 sarebbe stato solo di 150.000 eventi, su un com­plesso di 5.150.000 avvia­menti nel 2015. Non irri­le­vante, certo, ma tale da non giu­sti­fi­care affatto il trion­fa­li­smo del governo sugli effetti delle sue riforme. E’ comun­que pre­oc­cu­pante il ridu­zio­ni­smo che innerva que­sti con­fronti, senza tener conto del mutare delle con­di­zioni eco­no­mi­che al con­torno, come in una notte in cui tutte le vac­che sono bigie. In effetti l’economia ita­liana nella prima metà del 2015 ha bene­fi­ciato di con­di­zioni “esterne” straor­di­na­ria­mente favo­re­voli: il rialzo del dol­laro (da 1,30 a 1,10 dol­lari per un euro), la ridu­zione del prezzo del petro­lio (che si è pres­so­ché dimez­zato), la fase posi­tiva della domanda estera (il saldo del com­mer­cio estero nel primo seme­stre del 2015 è stato pari a + 18,5 mld).

Derivati, prima volta

di Marco Bersani
Dopo più di quat­tro anni di pro­cesso, il Comune di Prato ha otte­nuto l’annullamento dei con­tratti deri­vati sot­to­scritti fra il 2002 e il 2006 con Dexia Cre­diop. Nella sen­tenza dell’Alta Corte di Lon­dra del 25 giu­gno scorso sono messe nero su bianco le moti­va­zioni: i con­tratti sono nulli in quanto non con­tem­pla­vano la facoltà di recesso in capo al Comune di Prato nei sette giorni suc­ces­sivi alla sti­pula. Per la corte, l’articolo 30, comma 7, del Dlgs 58/1998 costi­tui­sce una norma impe­ra­tiva inde­ro­ga­bile dalle parti, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Con­ven­zione di Roma I sulle obbli­ga­zioni con­trat­tuali, indi­pen­den­te­mente dal fatto che le parti abbiano scelto di assog­get­tare i con­tratti alla legge inglese, uti­liz­zando i rela­tivi modelli con­trat­tuali pre­di­spo­sti dall’International Swaps and Deri­va­ti­ves Association.
Ed è que­sta la novità di que­sta sen­tenza rispetto a tutte le pre­ce­denti: il richiamo alla Con­ven­zione di Roma I ricorda che quando le parti sot­to­scri­venti un con­tratto sono ita­liane, la nor­ma­tiva ita­liana va comun­que rispet­tata e non può essere by-passata anche se si è scelto un arbi­trato estero. Gra­zie a que­sta sen­tenza, il Comune di Prato non solo ha evi­tato il dis­se­sto, ma si è anche aperto la porta alla richie­sta di un risar­ci­mento danni dell’ordine di 5 milioni di euro.

Crisi del modello Syriza?

di Anna Maria Rivera
In pochi mesi di governo, scriveva Angelo Mastrandrea in uno dei suoi puntuali e lucidi reportage per il manifesto, il cosiddetto modello Syriza, “esempio vincente di ricostruzione di una sinistra dal basso […] si è sciolto come neve al sole”. Prenderne atto, con la sua stessa lucidità, è forse abbandonare Atene al suo destino?Perché mai il nostro sostegno alla Grecia dovrebbe coincidere con l’acritico consenso verso la politica e le scelte di Alexis Tsipras, che stanno contribuendo a sgretolare Syriza? Sarebbe forse da nemici del popolo greco mostrare attenzione verso Unità Popolare e i tanti altri fermenti a sinistra che continuano a rendere interessante il caso greco?
Qui non entriamo nel merito della questione fondamentale: quale sia il prezzo, in termini economici e sociali, che la Grecia dovrà pagare per essere stata obbligata, con ricatti pesanti, a sottoscrivere un memorandum forse peggiore dei precedenti. Vogliamo, invece, soffermarci su due temi che, pur di gran peso, nell’attuale dibattito in seno alla sinistra italiana si tende perlopiù a omettere o a sminuire: l’accoglienza dei profughi e l’accordo militare siglato il 19 luglio tra il governo greco e quello israeliano.

Il gratta e vinci della felicità


di Marco Dotti
La lot­te­ria viene da lon­tano scri­verà nel 1851, in un suo libello dedi­cato all’Histoire de la lote­rie, Ale­xan­dre Dumas figlio. Viene da lon­tano e – nelle inten­zioni dello stesso Dumas e del pre­fetto di Parigi Pierre Car­lier, men­tore il primo, pro­mo­tore il secondo della fami­ge­rata «lot­te­ria dei lin­gotti d’oro» – ha da andar lontano.
Tanto lon­tano che, per quanto attiene il pas­sato, Dumas ci avverte che «non sap­piamo nem­meno se arriva prima o dopo il Dilu­vio, anche se una vene­ra­bile tra­di­zione afferma che i figli di Noè, prima di lasciare l’arca, abbiano gio­cato a morra, una spe­cie di lot­te­ria ancora in uso tra i laz­za­roni di Napoli».
Per ciò che attiene al futuro, anche se persa tra i fumi di una bassa mito­lo­gia, la genea­lo­gia duma­siana pro­ietta una luce invo­lon­ta­ria su ciò che, a tratti, potrebbe anche appa­rire come una verità strut­tu­rale dell’azzardo e delle esi­stenze che ne riman­gono impi­gliate, le vite d’azzardo di cui nelle pagine dell’iniziativa che oggi si con­clude abbiamo ten­tato di par­lare, facendo affio­rare rivoli di quel fiume car­sico che, nella let­te­ra­tura, grande o pic­cola che sia, di quelle vite non ha avuto timore di trattare.

Il segreto della creatività che abbiamo dimenticato

di Salvatore Settis
L’Europa è un continente rimasto senza idee»: a lanciare l’allarme sul Financial Times è stato Edmund Phelps, Nobel per l’economia. Nel braccio di ferro sulle misure di austerità che hanno messo alla gogna la Grecia (e domani altri Paesi), la parola “creatività” non ricorre mai.
Stagnazione delle economie nazionali, il Pil che da anni, quando va bene, sale (come in Italia) di qualche misero decimale: in questo gioco al massacro entrano le borse, i mercati, la troika, l’invadenza tedesca, le influenze americane o asiatiche. Ma che vi sia un qualche rapporto fra creatività ed economia non viene mai in mente. Secondo Phelps, «gli italiani trovano del tutto accettabile che la loro economia sia quasi del tutto priva di innovazioni autoctone da vent’anni, e sia capace solo di reagire alle forze del mercato globale, come se una nazione non avesse bisogno di dinamismo per essere felice». 
Ma può esserci felicità senza creatività? Secondo un’indagine del Pew Research Center di Washington ( ottobre 2014), in Italia “l’indice di felicità” si ferma a 48 punti (Spagna 54, Grecia 37), mentre i Paesi emergenti, assai più creativi, volano alto: Messico 79, Brasile 73, Argentina 66, Cina 59.

Tutto quello che volevate sapere sulla Buona Scuola, dato per dato, numero per numero

di Lorenzo Cassata
Il governo dà i suoi numeri, i giornali lo seguono, i sindacati controbattono. Ma alla fine quanti sono e saranno i docenti assunti grazie alla “riforma” tanto contestata dai professori? Chi resta fuori?
Non sono domande con risposte facili.
Proviamo a fare i conti, tutti in una volta, ripercorrendo le tappe principali che hanno portato alle assunzioni di queste settimane.
Partiamo da un documento del governo, quello pubblicato l’estate scorsa e che lanciò il progetto “labuonascuola”. Il pdf è in rete e si può ancora scaricare
Lì c’erano calcoli chiari e progetti sostanzialmente lineari. Molti dicono che insegnanti e sindacati avrebbero dovuto reagire fin da allora con durezza, dimenticando che in parte lo fecero, con manifestazioni di agosto, ma soprattutto che quel piano, inizialmente non conteneva gran parte delle “modifiche” poi discusse e approvate nella primavera di quest’anno.
Nella scuola, da anni, si entrava in ruolo in due modi:
1) dalla graduatoria a esaurimento (GAE – prima fascia), alla quale si accedeva tramite corsi abilitanti appositi (SSIS, TFA, PAS…)
2) dalle liste dei vincitori dei concorsi (quello del 1999-2000, per cui esistono ancora abilitati non assunti, e quello del 2012)
Su base provinciale, per ogni settore, ogni anno scolastico si calcolavano i posti disponibili (in base ai pensionamenti) e si assumevano i docenti, al 50% dalle GAE e al 50% dai concorsi.

Lavoro. La nostra realtà e i trucchi del ministro Poletti

Il ministero del lavoro diretto da Giuliano Poletti sembra essere diventato una fabbrica di “clamorosi incidenti” di percorso. Gli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs Act, da tempo annunciati e previsti per oggi, saltano a data da destinarsi. Troppa carne al fuoco nel consiglio dei ministri? Chi ha pratica di come vengono approvati i testi in quella sede sa bene che questa è l’ennesima bufala. In realtà, malgrado la precedente approvazione nel CdM di giugno e il parere favorevole delle commissioni parlamentari di merito, vi sono non piccoli problemi irrisolti. Dal controllo a distanza sui lavoratori di assai dubbia costituzionalità al congedo parentale. Dalle nuove regole sulla cassa integrazione alle norme sui disabili, passando per le dimissioni in bianco.
Ma la cosa più clamorosa è la patetica gaffe sul numero delle assunzioni. Grazie anche alla denuncia del Manifesto, il Ministero è tornato sui suoi passi, dopo averne dette di tutti i colori, accusando persino l’Istat. “Un errore umano” dice Poletti. Ma è difficile credergli.

Il biopotere che scorre su Amazon e la coda lunga del taylorismo

di Benedetto Vecchi
Non è mai troppo tardi. E’ la frase più facile da usare per quanto è accaduto dopo la pubblicazione di un reportage del quotidiano statunitense New York Times sulle condizione dei lavoratori del più grande shopping mall telematico presente in Rete. In un articolo Amazon viene passata al setaccio a partire dalle regole alle quali i lavoratori devono attenersi. Il giornalista ha raccolto i racconti, le invettive, le analisi di dipendenti e ex-dipendenti dove il giudizio più benevolo verso lo store digitale è: una caserma. Ma è il decalogo delle regole – doveri e obblighi, più che altro, visto che di diritti non ce ne è traccia alcuna – che tutti devono seguire che ha fatto gridare allo scandalo. Dal divieto di parlare di come e di cosa accade negli enormi capannoni di Amazon, all’invito-obbligo a esprimere giudizi sul comportamento di altri lavoratori e di capi e capetti, non c’è nulla che viene omesso dal giornalista. Neppure il costante controllo al quale è sottoposto il singolo, usando i badge e un geolocalizzatore che segnala posizione e tempo di percorrenza per trovare la merce da impacchettare, viene dimenticato. Grande rilevo viene dato alla divisione tra i buoni (gli iperproduttivi) e cattivi (fanno ciò che devono senza dannarsi l’anima) lavoratori. Altrettanta enfasi è dedicata alla disponibilità “h24, sette giorni su sette” che i lavoratori devono garantire.

Lo sfruttamento nei campi è la regola e non l’eccezione

di Alessandro Leogrande
Fino a sette o otto anni fa, girando per molti paesi agricoli della Puglia, era facile sentirsi dire che il caporalato non esiste. O che, se proprio esiste, riguarda poche “mele marce”. Questa tesi negazionista, che ne ricorda altre altrettanto tragiche a proposito della mafia, è stata smentita dai fatti.
Non solo il caporalato esiste, ma controlla ogni anno decine di migliaia di braccia in tutta Italia, come evidenziato dai rapporti Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto.
Ciò accade non solo nelle regioni meridionali, ma anche nella pianura Padana o nelle Langhe piemontesi. Come la “linea della palma” di cui parlò Leonardo Sciascia, anche la linea del caporalato è salita verso nord anno dopo anno.
Tuttavia l’epicentro del maggior intreccio di sfruttamento, degrado e violenza continua a essere la Puglia, e in particolare la campagna del Tavoliere. Basta girare per le strade interne, per capire che di quell’intreccio non si avvantaggiano solo poche mele marce, cioè pochi imprenditori agricoli che decidono di aggirare le regole della raccolta del pomodoro, dell’uva o delle angurie.

Walter Benjamin. Una storia novecentesca consegnata all’oblio


di Benedetto Vecchi
Cosa c’è ancora da scri­vere sulla vita di Wal­ter Ben­ja­min? Ben poco. È stato un teo­rico ete­ro­dosso che ha rigo­ro­sa­mente igno­rato gli stec­cati disci­pli­nari, una «colpa» che l’accademia non gli ha mai per­do­nato quando era in vita, vol­tan­do­gli le spalle quando pre­sentò la richie­sta di acce­dere alla docenza, con­dan­nan­dolo così a vivere per il resto della sua vita nel regno della neces­sità, nono­stante le ori­gini bor­ghesi della sua famiglia.
Ben­ja­min non è stato tut­ta­via un «mar­gi­nale» risco­perto solo dopo la sua morte. È stato molto altro ancora. Sicu­ra­mente è da con­si­de­rare uno degli intel­let­tuali più impor­tanti del lungo Nove­cento. Ogni volta, infatti, che si legge un suo sag­gio è come aprire uno scri­gno che riserva sem­pre delle sor­prese, nono­stante il fatto che gli scritti pub­bli­cati dopo la sua morte sono di fatto fram­menti di mano­scritti che per com­ple­tarli non gli sareb­bero bastato il dop­pio degli anni della sua esi­stenza, inter­rotta uni­la­te­ral­mente in terra spa­gnola per paura che la poli­zia ibe­rica lo rispe­disse indie­tro in quella Fran­cia che lo aveva prima accolto e poi costretto a fug­gire con l’entrata dei nazi­sti in quella capi­tale del XX secolo che aveva amato, stu­diato e descritto in una mon­ta­gna di appunti che ancora adesso susci­tano stu­pore e mera­vi­glia per la loro luci­dità ana­li­tica.

“Guarire” gli italiani dalla lotta politica

di Giuseppe Aragno
La crisi d’identità di ciò che resta della sinistra appare ormai singolarmente complementare alla ”concezione terapeutica” della funzione di governo che ispira la rozza, ma efficace prassi politica di Renzi. La sinistra si sente “malata” e Renzi si comporta come il medico con il paziente.
Se il fascismo, per dirla con Gobetti, voleva “guarire gli Italiani dalla lotta politica”, utilizzando come medicina la “fede nella patria”, Renzi “cura” la crescente paura dell’imprevisto, con ripetute iniezioni di ottimismo. L’Italia fascista si resse su una cambiale firmata in bianco: il regime professava “nuove convinzioni” e lasciava credere che tanto bastasse a modificare la realtà dei fatti. Renzi promette ciò che sa di non poter mantenere, sposta in avanti l’ora dei conti e raccoglie il temporaneo trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo. Il fascismo ci condusse al disastro. Renzi rischia di ripetere l’impresa. Intanto, ieri come oggi, la fuga in avanti cancella conquiste e diritti in nome di una presunta “malattia” ed esaurisce la complessità delle dinamiche sociali in una “professione di convinzioni”.

Buona scuola, un colpo alle minoranze linguistiche


di Felice Besostri
Non è stato facile dare attua­zione all’articolo 6 della Costi­tu­zione, quello che dice «La Repub­blica tutela con appo­site norme le mino­ranze lin­gui­sti­che». Fino all’entrata in vigore della legge 482 del 1999, non c’erano appo­site norme nazio­nali che tute­las­sero effet­ti­va­mente le mino­ranze, tut­ta­via alcune di que­ste con­qui­sta­rono, all’ombra dei trat­tati inter­na­zio­nali, una tutela raf­for­zata addi­rit­tura di livello costi­tu­zio­nale, per­ché gli sta­tuti delle regioni e pro­vince auto­nome sono appro­vati con legge costi­tu­zio­nale.
Le norme nazio­nali ed euro­pee non tute­lano le lin­gue, ma le per­sone che par­lano una lin­gua mino­ri­ta­ria, anzi che par­lano una lin­gua mino­ri­ta­ria in un ter­ri­to­rio con­no­tato dalla pre­senza di per­sone che la par­lano: una tutela ter­ri­to­riale. Per essere coe­renti la tutela richiede inter­venti plu­ri­set­to­riali che spa­ziano dalla tutela del ter­ri­to­rio sia ambien­tale che idro­geo­lo­gica, di svi­luppo eco­no­mico mirato alla valo­riz­za­zione dei beni mate­riali e imma­te­riali tipici delle popo­la­zioni mino­ri­ta­rie e, su tutte, lo svi­luppo della cono­scenza della lin­gua.

Lavoro. Non si gioca con i numeri

Intervista a Enrico Giovannini di Roberto Mania
Enrico Giovannini, economista, è stato presidente dell'Istat e poi ministro del Lavoro. Ha dedicato parte dei suoi studi proprio al rapporto informazione statistica e politica. Con lui proviamo a capire cosa possa esserci dietro l'errore commesso dal suo ex ministero nell'ultima comunicazione sui contratti di lavoro.
Come spiega il pasticcio? Possibile che si tratti solo di un errore materiale?
"Non possiamo che credere a quello che ha detto il ministro e che dunque si sia trattato di un errore materiale. Evidentemente qualcuno ha sbagliato dei calcoli e quei dati sono usciti senza una verifica di qualità. Gli errori ci possono stare ed è per questo che tutti gli enti si dotano di procedure di controllo come previsto dalle linee guida sulla qualità statistica che furono stabilite quando ero presidente dell'Istat".
In questo caso - c'è da supporre - non sono state rispettate. Cosa prevedono le linee guida?

Oltre il Cocoricò: un ragionamento su droga e società

In questo agosto, dopo alcuni fatti di cronaca, televisioni e giornali non hanno fatto che parlare di droga. Siamo convinti che tanta attenzione non sia data dal fatto che ci troviamo nel pieno di un’emergenza ma che, semplicemente, come spesso accade in estate, in assenza di notizie i nostri media tendano ad ingigantire i fatti pur di sbattere un mostro qualsiasi in prima pagina. Così fenomeni che sono endemici vengono fatti apparire come improvvise emergenze. Consapevoli di questo, vogliamo comunque approfittare dell’occasione per socializzare alcune brevi riflessioni che abbiamo sviluppato nel tempo, a prescindere dai media, prima che la questione smetta nuovamente di esistere nel dibattito pubblico.
Prima di tutto, chiariamoci su un punto: le droghe sono sempre esistite e l’uomo le ha sempre utilizzate. Non le hanno inventate “i giovani d’oggi” o la clientela di qualche locale trendy. Droghe diverse a seconda della posizione geografica e delle culture, alcune utilizzate quotidianamente, altre legate a rituali. È stato così per millenni e pur essendo cambiate nel tempo le sostanze e le circostanze dell’utilizzo, l’assunzione di droga ha mantenuto pressoché inalterata la sua funzione sociale.

Non è tempo di annunci: alcune proposte serie contro il caporalato

di Marco Omizzolo
Tutti ora hanno scoperto che nelle nostre campagne esiste il caporalato. E tutti avanzano proposte risolutive del problema con una disinvoltura che lascia esterrefatti. Eppure il problema è noto da anni. La Flai-CGIL da tempo pubblica un dossier dal titolo Agromafie e caporalato con il quale fotografa il fenomeno dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di migliaia di lavoratrici e lavoratori agricoli, soprattutto migranti, denuncia il ricatto sessuale praticato in alcune aree del paese, in particolare in Sicilia, e raccoglie testimonianze anche nel Nord Italia dove ugualmente vige la regola della prevaricazione del più forte sul più debole. Il Nord Italia non è infatti esente dal fenomeno. Area dove la Lega è particolarmente forte, sostenuta anche da quei padroni che la sera urlano contro gli immigrati, ansiosi di accendere ruspe e falò, mentre la mattina raccolgono, coi loro furgoni, braccianti indiani, africani e italiani per farli lavorare nel loro campo a tre euro l’ora.
La pubblicistica in materia ha ormai raggiunto un livello di analisi senza dubbio rilevante. I dossier di Medici senza Frontiere, di Amnesty, della cooperativa In Migrazione, di Medu o di Filierasporca e non solo, hanno denunciato le condizioni di lavoro e di salute di migliaia di braccianti in Italia e le responsabilità di un sistema che comprende molti attori (Migranti e territori, Ediesse editore).

Quel muro che si sgretola, dal silenzio alla parresia

di Gaetano De Monte
È il giorno dopo la riesumazione del corpo di Paola Clemente, la bracciante morta in circostanze misteriose nelle campagne di Andria il 13 Luglio scorso; mentre si attendono per la settimana prossima i risultati definitivi dell’autopsia e degli esami tossicologici disposti dal pubblico ministero della Procura di Trani, Alessandro Pesce e affidata al medico legale Alessandro dell’Erba e al tossicologo forense Roberto Gagliano Candela ( entrambi dell’università di Bari) a parlare sono le colleghe di Paola.
Lucia e Teresa (nomi di fantasia) le incontriamo di notte mentre aspettano l’autobus gran turismo di colore grigio marchiato “ Grassi viaggi”, lo stesso su cui saliva anche Paola. Hanno ancora nella mente gli ultimi istanti di vita della loro collega. A cominciare da quel viaggio da San Giorgio Jonico ad Andria, durante il quale “cominciava a non sentirsi bene e ad avere un’abbondantissima ed anomala sudorazione”. Così raccontano: abbiamo cercato di farla riprendere, asciugandole il sudore con le nostre magliette.

Il business degli psichiatrici, figlio di un welfare con le toppe

di Sara De Carli
Per tutta l’estate, il telefono ha continuato a squillare. Sono famiglie che chiedono di poter inserire i propri figli nella Casa di Paolo e Piera, a settembre. Dopo un intero anno scolastico a pieno regime, la Casa comincia a farsi conoscere. Adesso sono 15 i ragazzi che frequentano il servizio diurno: qualcuno va a scuola e arriva qui il pomeriggio, altri hanno già assolto l’obbligo scolastico o sono troppo gravi per andare a suola. Ci sono due bambini di 4 anni, tanti però sono ragazzi in età evolutiva. Ognuno ha esigenze diverse, molti hanno un disturbo dello spettro autistico. C’è Luca, che ha 11 anni e finalmente qui ha imparato ad allacciarsi le scarpe. C’è Claudia, che ha 17 anni e in biblioteca gira e rigira le pagine di un libricino cartonato di Giulio Coniglio. C’è Matilde, che quando va a cavallo riesce a stare dritta con la schiena e sembra una amazzone. C’è una mamma, che scherzando un giorno ha detto ad Enrico: «Fagetti, se tu molli… me ‘ta mazi».

Il piccolo uovo e la lettera del Papa

Intervista a Francesca Pardi di Laura Eduati
"Quando ho trovato la lettera di papa Francesco nella cassetta della posta stavo per svenire dall'emozione". Francesca Pardi è proprietaria della casa editrice milanese "Lo Stampatello" finita nell'occhio del ciclone: il sindaco Luigi Brugnaro ha censurato uno dei suoi libri perché considerato portatore della "teoria gender" che, secondo i gruppi cattolici più oltranzisti come gli organizzatori del Family Day, inculca nei bambini l'omosessualità e il sesso precoce.
Proprio in occasione del Family Day, Pardi e la compagna Maria Silvia Fiengo -spose a Barcellona e mamme di quattro bambini - hanno scritto al pontefice allegando il catalogo dei libri incriminati: "Vorrei tanto che li leggesse. Non troverebbe, tra queste pagine, neanche l'ombra di quella teoria del gender di cui sarebbero lo strumento principale: dov'è che diciamo ai bambini che possono scegliere il proprio genere? dove parliamo loro di sesso?", chiedono.
A questi interrogativi papa Francesco non risponde direttamente, ma nella lettera spedita alle due milanesi tramite mons. Peter Brian Wells ringrazia per il gesto delicato e per i sentimenti che lo hanno suggerito, augura che l'attività sia sempre più proficua al servizio dei giovani, sperando che questo avvenga nel rispetto dei valori umani e cristiani. Infine impartisce la benedizione a tutta la famiglia Pardi-Fiengo: una famiglia arcobaleno.

La mattanza di migranti, due cose chiare e una conseguenza ineludibile

Altre decine di vittime in un Tir in Austria. Ed altre vittime nel Mediterraneo. La mattanza dei profughi in fuga dalla fame e dalle guerre continua.
Ed ormai ogni persona, ad eccezione del giovane segretario della Hitler-Jugend che imperversa sui mass-media italiani vomitando deliranti e raccapriccianti mostruosità e di pochi altri criminali e depravati, ha capito due cose.
La prima: che la grande migrazione dalle aree del pianeta devastate dalla nostra rapina e dalle nostre guerre verso i luoghi privilegiati in cui sperare di poter vivere una vita decente liberi dalla fame e dal terrore, non si può fermare che in un solo modo: facendo cessare quella rapina, facendo cessare quelle guerre, facendo cessare lo sfruttamento schiavista e la devastazione della biosfera; costruendo relazioni di solidarietà e di responsabilità comune, di universale riconoscimento di dignità, di pieno rispetto ed intransigente difesa dei diritti di ogni essere umano, di condivisione e di giustizia; consapevoli che vi è una sola umanità di persone tutte eguali in diritti in un unico mondo vivente casa comune dell’umanità intera.

Lo Stato interventista: l’innovazione e la crescita tra pubblico e privato

di Davide Visigalli
Spesso sentiamo parlare del ruolo importante dell’innovazione e della ricerca come stimolo alla crescita economica. Spesso ci sentiamo dire che un’adeguata spesa in R&S è fondamentale per resistere e uscire dalle crisi economiche. Spesso in questo contesto, è lo Stato che, con la sua “inefficiente” macchina burocratica e le sue decisioni politiche “corrotte” viene presentato come il problema.
Il recente libro della professoressa Mazzucato, Lo Stato innovatore, docente di Economia allo Science and Technology Policy Research dell’Università del Sussex (UK), sfata ben più di qualche luogo comune su questo argomento.
"In quasi tutti i paesi del mondo stiamo assistendo a un arretramento dello Stato." Con questa premessa, il libro dimostra come lo Stato sia storicamente sempre stato un attore indispensabile del processo innovativo:
Nell’innovazione, è cruciale che i finanziatori siano pazienti dato che la R&S è un processo altamente incerto e dai tempi molto lunghi.

Restiamo un Paese di emigranti, +64mila in un anno solo in Gran Bretagna

Restiamo un Paese di emigranti, +64mila in un anno in Gran Bretagna
L’ufficio di statistica britannico ha diffuso ieri i numeri sull’immigrazione nel paese . Il dato è semplice e banale: nell’anno che va dal marzo 2014 al marzo 2015 il governo conservatore britannico aveva previsto una quota di ingressi di 100mila persone e, invece, ne sono entrate 300mila. Tre volte tante. Due terzi degli immigrati sono persone con un lavoro o in cerca di occupazione, un quinto sono studenti. La larga maggioranza viene dall’Europa, al primo posto rumeni e polacchi, poi con 64mila unità, gli italiani. Il dato fa riferimento alle persone che hanno completato l’iter di registrazione e l’ottenimento di un numero di National Insurance (l’equivalente, in termini di identificazione della persona, del nostro codice fiscale). Il dato insomma non riguarda gli ingressi ma le persone stabilizzate e non è quindi preciso se parliamo di flussi migratori.
Il ministro dell’immigrazione conservatore James Brokenshire ha spiegato che i numeri sono “deludenti” e ribadito che l’impegno del governo è ridurre i flussi in entrata. Eppure, dopo una legislatura di governo Cameron l’immigrazione tocca livelli record (pari all’anno di boom 2005) e l’emigrazione – le persone che tornano a casa – continua invece a scendere.

Per una dichiarazione dei diritti dell’umanità

di Yves Charles Zarka 
Circa due mesi fa, il presidente francese François Hollande ha richiesto a Corinne Lapage, ex-ministro dell’ecologia, una “Dichiarazione universale dei diritti dell’umanità”. Questa dichiarazione avrebbe come obiettivo quello di completare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948. L’idea sarebbe di discutere (ed eventualmente adottare) questa dichiarazione in occasione della conferenza sul clima che si terrà a Parigi alla fine dell’anno (COP21). 
Perché è importante questa dichiarazione? Prima di tutto per il carattere universale che non può mancare di avere. Si tratta infatti di definire i princìpi che accomunano l’umanità intera, al di là delle diverse culture, consuetudini, stili di vita, religioni – e tuttavia senza negare tali differenze. La scommessa sta quindi nel riuscire a dimostrare che si può pensare, al di là della relatività dei valori e dei punti di vista, una dimensione comune, un interesse comune, che possa dare un contenuto concreto all’idea di umanità.

Muri di impotenza

di Ida Dominijanni
Sette anni fa, marzo 2008, la filosofa americana Wendy Brown parlò in una conferenza romana dei nuovi muri che dal 1989 in poi, a onta e smentita della retorica sul mondo unificato dal crollo del muro di Berlino, erano spuntati qua e là tracciando nuove linee di guerra, esclusione, xenofobia, militarizzazione poliziesca. Muri di cemento e di filo spinato, muri tecnologici fatti di sensori e telecamere, muri militari fatti di uomini in divisa; al confine fra Stati Uniti e Messico, Sudafrica e Zimbabwe, Egitto e Gaza, India e Pakistan, Arabia saudita e Yemen e via dicendo, per marcare confini, discriminare popolazioni, allontanare migranti, poveri e lavoratori, acchiappare contrabbandieri e dissuadere terroristi. Muri paradossali e fuori tempo: eretti ovunque per riaffermare e spettacolarizzare la potenza della sovranità nazionale, ne rappresentano al contrario, spiegò Brown, l’ineluttabile declino; tentando invano di richiamare in vita un potere statuale minacciato dai flussi di persone, merci e capitali della globalizzazione, ne mostrano la fragilità e l’impotenza; barrando i confini, ne mostrano la porosità.

Leader credibile? Altrochè! La sinistra britannica discute di Jeremy Corbyn

di Martino Mazzonis
C’è un sondaggio di questi giorni che sembra dare torto agli avversari e detrattori di Jeremy Corbyn, il candidato della sinistra alla leadership del Labour Party britannico. Non si tratta di un dato sul suo gradimento tra i potenziali elettori alle primarie che sceglieranno chi guiderà il partito della sinistra allo scontro con i conservatori nel 2020, ma un dato sulla sua credibilità come primo ministro. Il sondaggio ConRes è pessimo per il Labour in ogni suo aspetto. I laburisti continuano a perdere consensi (28%), mentre i conservatori ne guadagnano (42%).
Non solo, se è vero che tra i quattro candidati leader Corbyn è quello considerato meno credibile come premier, il campione indagato non assegna la patente di primo ministro potenziale a nessuno dei suoi avversari. Il dato che più smentisce Blair e agli avversari di Corbyn è quello che riguarda le intenzioni di voto in caso di sua vittoria. Alla domanda, “votereste Labour in caso di vittora di…” il risultato è il seguente: Andy Burnham 22%, Yvette Cooper 21%, Liz Kendall 18%, Jeremy Corbyn 22%; non voterebbero Labour nel caso di vittoria di Corbyn il 58%, stesso numeri per Kendall, mentre Cooper il 57% e Burnham il 54%.

Brasile. "Da venti anni la sinistra pensa solo alle elezioni"

Intervista a Joao Pedro Stèdile di Marco Weissheimer
Da alcuni mesi, o anni, João Pedro Stédile, uno dei principali dirigenti del MST ripete alcuni avvertimenti dirette alla sinistra brasiliana, legate all'evoluzione della congiuntura politica nazionale e internazionale. Una di queste consiste nel mettere in guardia sull'importanza di non ridurre la lotta politica a lotta elettorale e non soccombere alle trappole della politica tradizionale, per esempio accettando il finanziamento privato delle campagne come un modo naturale di gestire la politica.
La crisi politica, iniziata dopo la rielezione di Dilma Rousseff e l'offensiva dell'opposizione e dei settori più conservatori del paese con l'obiettivo di travolgere la presidenta eletta con il voto popolare, hanno rimesso questi avvertimenti all'ordine del giorno.
Venerdi scorso, Stedile era a Porto Alegre per partecipare a un dibattito all'apertura del 14º Congresso della CUT del Rio Grande del Sud. Nella intervista a Sul21, Stedile ha parlato dell'intreccio delle tre crisi presenti oggi -economica, politica e sociale -, delle mosse dei principali protagonisti e delle loro possibili evoluzioni. E ha indicato quella che ritiene essere la sfida più grande per la sinistra in questo periodo: "Costruire una forza popolare organizzata. La sinistra ha disimparato a fare il lavoro di base, a coscientizzare il popolo, a fare piccole riunioni. Da 20 anni la sinistra pensa solo alle elezioni. Ha detto Stedile.

In Kurdistan continua il terrore di stato turco

Dal 24 luglio lo stato turco ha iniziato una sporca Guerra contro il popolo curdo. In questa Guerra stanno bombardando sia il Kurdistan in Turchia che quello in Iraq. Stanno terrorizzando la gente e proclamando il coprifuoco in molte città turche (Semdinli, Varto, Lice, Hani, Ergani, Eruh, Farqin ecc.). Fino ad ora 10 civili, tra cui dei bambini sono stati uccisi. 127 regioni curde sono state dichiarate zone di guerra e vengono condotte operazioni militari aeree e terrestri. Migliaia di civili curdi sono stati arrestati. Recentemente sono stati arrestati 8 sindaci curdi. In breve, lo stato non conosce limiti nella sua Guerra contro i curdi.
Ieri, il governatorato di Hakkari ha proclamato un coprifuoco a Yuksekova dalle 23.30; 5 minuti dopo, soldati e funzionari di polizia hanno attaccato la gente. Inizialmente i militari hanno cannoneggiato con mortai dalle caserme verso il centro della città. Dopo il bombardamento i militari hanno cercato di entrare nei quartieri su veicoli militari blindati.

La schiavitù è un reato. Anzi no!


di Luciano Ardesi
Le reazioni si susseguono dopo la condanna in appello dei tre attivisti del movimento antischiavista in Mauritania. L’ultima ieri da parte della Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh) e dell’Organizzazione mondiale contro la tortura, dopo quella di Amnesty International. Il 20 agosto la Corte di appello della città di Aleg ha condannato a due anni di carcere Brahim Bilal, Djiby Sow e Biram Dah Abeid, il più noto dei tre attivisti, presidente dell’Iniziativa di rinascita abrogazionista (Ira) contro la schiavitù. È stata così confermata la precedente pena pronunciata lo scorso gennaio dal tribunale di Rosso, città del sud al confine con il Senegal.
I tre erano accusati di far parte di un’associazione non riconosciuta e di ribellione nei confronti delle forze dell’ordine in seguito all’organizzazione di una manifestazione a Rosso per denunciare l’accaparramento delle terre della comunità degli haratin (ex schiavi) da parte dei bianchi. Arrestati insieme ad altri 6 attivisti, la loro condanna in prima istanza aveva già sollevato l’indignazione di una parte della società mauritana e delle organizzazioni internazionali.

Entro 10 anni il Pakistan sarà la terza potenza nucleare del mondo

Mentre il mondo temeva che l’Iran costruisse la bomba islamica, il Pakistan – un Paese ostaggio dell’integralismo sunnita e dei servizi segreti militari – realizzava 20 ogive nucleari all’anno e ora gli esperti temono che proprio dall’instabile regime di Islamabad, in bilico tra l’alleanza con gli Usa e la Cina, venga un’accelerazione della corsa agli armamenti sostenuta da un nucleare civile sempre più a rischio terremoti e calamità naturali.
Il nuovo rapporto “A Normal Nuclear Pakistan” pubblicato dallo Stimson Center e dalla Carnegie Endowment for International Peace, evidenzia che il Pakistan sta accrescendo continuamente il suo arsenale nucleare per prepararsi ad un possibile attacco del suo nemico di sempre: l’India, che dal canto suo continua a costruire centrali nucleari e armi atomiche. India e Pakistan non fanno parte del club nucleare (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) e se ne fregano del Trattato di non proliferazione nucleare, al quale invece aderisce l’Iran “sanzionato”.

Il pretesto dello ‘Stato Islamico’ e le guerre imminenti in Libia

di Ramzy Baroud
Un’altra guerra è in gestazione in Libia: la domanda è: ‘come’ e ‘quando’? Mentre la prospettiva di un altro scontro finale militare à improbabile che salvi la Libia dalla sua attuale insurrezione per difendersi e dallo scontro politico, è probabile che cambi proprio la natura del conflitto in quel paese arabo ricco ma diviso.
Un importante pre-requisito per la guerra è di individuare un nemico o, se necessario, di inventarsene uno. Il cosiddetto ‘Stato Islamico’ (IS) sebbene difficilmente sia una componente importante nella politica controversa del paese, è probabile che sia quell’antagonista.
Attualmente la Libia è spaccata, politicamente, tra due governi e, geograficamente, tra molti eserciti, milizie, tribù e mercenari. E’ uno stato fallito per eccellenza, sebbene tale titolo non renda giustizia alla complessità del caso libico, insieme alle cause alla radice di quel fallimento.
Ora che l’IS ha praticamente conquistato la città di Sirte che una volta era una roccaforte dell’ex leader libico Muammar Gheddafi e il bastione della tribù al-Qadhadhfa, la scena sta diventando anche più torbida che mai in precedenza.

Pace in Sud Sudan, per ora solo su carta

di Bianca Saini
Come ampiamente previsto, anche il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha alla fine firmato mercoledì l’accordo di pace che avrebbe dovuto sottoscrivere con il suo ex vice presidente ora capo dell’opposizione armata, Rieck Machar, il 17 agosto ad Addis Abeba.
La cerimonia, che si è svolta mercoledì scorso nel tardo pomeriggio a Juba, non è stata caratterizzata da un’atmosfera festante e positiva, come di solito succede in occasioni simili, ma vi si è respirato piuttosto un clima di tensione. Un giornalista ugandese ha osservato come il discorso di Kiir sia stato «infarcito di pause ed esitazioni, forse segno della pressione a cui è sottoposto da parte della comunità internazionale e del suo stesso partito». Alla cerimonia hanno partecipato anche il presidente ugandese Yoweri Museveni, quello keniano Uhuru Kenyatta, e il primo ministro etiopico Hailemariam Desalegn, in rappresentanza del tavolo negoziale, l’Igad – Plus, di cui fanno parte anche l’Onu, l’Unione Africana, l’Unione Europea e alcuni paesi particolarmente importanti nella storia dell’indipendenza sud sudanese come Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia, o particolarmente pesanti nel continente, come Sud Africa e Nigeria.

I Verdi francesi perdono pezzi ed è confusione a sinistra


 
di Anna Maria Merlo
I Verdi fran­cesi per­dono i pezzi. Jean-François Placé, capo­gruppo di EELV al Senato, ha lasciato ieri il par­tito fon­dato nel 2010, giu­di­cato ormai “un astro morto”. Un’analoga deci­sione era stata presa la vigi­lia da Fra­nçois de Rugy, co-presidente del gruppo all’Assemblea, che accusa EELV di “derive gau­chi­ste”. Altri dovreb­bero seguire. Gli écolo si lace­rano su que­stioni di alleanze e di potere, invece di con­cen­trarsi su pro­po­ste di fondo, a meno di cento giorni dalla Cop21, il grande sum­mit dell’Onu sul clima, che avrà luogo a Parigi. Ma a dicem­bre in Fran­cia ci sono le regio­nali, che saranno per tutta la sini­stra una nuova débâ­cle. Tra i Verdi infu­ria la pole­mica sulle alleanze, in par­ti­co­lare l’accordo con il Front de Gau­che in regioni come Paca (Provenza-Costa Azzurra) e il Nord-Pas de Calais, dove c’è il rischio di una vit­to­ria del Fronte nazio­nale (si pre­sen­tano, rispet­ti­va­mente, Marion Maréchal-Le Pen nel sud e Marine Le Pen nel nord). Per­so­na­lità schie­rate alla destra di EELV lasciano il par­tito, con la spe­ranza, pro­ba­bil­mente, come ha accu­sato Daniel Cohn-Bendit (che aveva anch’egli lasciato i Verdi nel 2012) “di avere uno sga­bello al governo”, rial­lac­ciando l’alleanza con il Ps, spez­zata nel 2014, con il rifiuto degli écolo di par­te­ci­pare al governo Valls. Oggi i Verdi hanno 18 depu­tati gra­zie all’alleanza con il Ps nel 2012 (l’esperienza di Gre­no­ble, dove nel 2014 è stato eletto un sin­daco ecologista alleato del Front de Gau­che è dif­fi­cil­mente ripro­du­ci­bile in altre realtà).

venerdì 28 agosto 2015

C’è vita a sinistra, ma per quale progetto?

di Francesco Gesualdi
Ci sono due modi di fare politica a sinistra: facendo cambiare le cose con l’obiettivo di fare avanzare un progetto alternativo o cercando di correggere solo gli aspetti più odiosi, accettando il sistema com’è. Nel 900 il partito comunista faceva la politica del primo tipo, giusto o sbagliato che fosse il progetto. Poi è caduto il muro di Berlino e facendosi più realista del re ha deciso di imboccare la strada del pragmatismo fino a diventare il più strenuo sostenitore del liberismo. La fine fatta dal PD è sotto gli occhi di tutti.
A sinistra molti criticano il PD solo per avere perso totalmente l’anima sociale, ma ne condividono l’impostazione di fondo: il sistema è questo, non solo non si può cambiare, ma va bene così: bisogna solo porgli qualche regola affinché non si incagli nelle sue contraddizioni e bisogna rafforzare i paracaduti sociali per soccorrere le vittime che inevitabilmente produce. Non a caso la nuova parola d’ordine è diventata “sinistra di governo”, che meglio di ogni altra espressione ne racchiude il concetto.
In controtendenza, io penso che oggi più che mai la sinistra ha bisogno di un progetto alternativo perché questo sistema ci è nemico nell’impostazione di fondo. Cercare di correggere gli aspetti più odiosi è una regola di sopravvivenza, ma farlo senza intervenire sul senso di marcia è come preoccuparsi della tappezzeria in un treno che va verso il baratro.

I veri motivi per cui l’Italia ha perso gli ultimi vent’anni

di Paolo Ferrero
Renzi ha detto che il Paese ha perso vent’anni nella diatriba traberlusconiani e antiberlusconiani. Si capisce perché Renzi affermi questo: volendo gestire dal Pd il progetto politico di Berlusconi, non può certo dichiararsi erede dell’antiberlusconismo. Contro queste affermazioni di Renzi, si levano nel centro sinistra, voci contrarie che ripropongono nella sostanza la divisione tra berlusconismo e antiberlusconismo e fanno ricadere sul primo l’intera responsabilità della crisi italiana. Questa discussione mi pare la classica discussione in cui tutte le posizioni sono sbagliate e prive di fondamento. 
La mia tesi è che il cancro del Paese, quello che ha impedito all’Italia di svilupparsi in questi ultimi vent’anni, che ha imbarbarito il Paese a livelli impensabili, è la Seconda Repubblica, di cui Berlusconi è solo un attore, non il regista. E’ la Seconda Repubblica, nata nei primissimi anni ’90 a mettere le basi per il disastro. Indubbiamente che Berlusconi e il berlusconismo sono state un cancro per il Paese ma che l’antiberlusconismo non è mai stata la soluzione a questa malattia ma semplicemente l’altra faccia della stessa medaglia. Non a caso il berlusconismo si è chiuso con i governi di unità nazionale in cui tutti insieme appassionatamente Pd e Pdl stanno distruggendo la Costituzione, il welfare e il diritto della classe lavoratrice per organizzarsi e far valere i propri diritti.
Vediamo quali erano le caratteristiche della Seconda Repubblica che hanno macinato il Paese.

Le invasioni barbariche


di Marco Bascetta
I ger­ma­ni­sti ci spe­rano sem­pre. In un qual­che pic­colo segnale di ripresa dell’etica e della cul­tura tede­sca. A mag­gior ragione dopo una lunga sequenza di aspre cri­ti­che con­tro le forme che andava assu­mendo l’egemonia ger­ma­nica sull’Europa: dall’ultimo pam­phlet di Ulrich Beck alla pesan­tis­sima accusa rivolta da Juer­gen Haber­mas al governo di Ber­lino di aver dis­si­pato in una sola notte (quella dell’imposizione del Memo­ran­dum ad Atene) l’intero patri­mo­nio di aper­tura e affi­da­bi­lità euro­pei­sta accu­mu­lato dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Sarebbe di fronte all’ «immane tra­ge­dia» dell’immigrazione che alla Ger­ma­nia si offri­rebbe ora l’occasione del riscatto, l’opportunità di cor­reg­gere l’egemonia finan­zia­ria con una «ege­mo­nia morale tede­sca», come si inti­tola l’editoriale di Gian Enrico Rusconi su La Stampa del 27 agosto.
Del resto quel grande feno­meno sto­rico che nei nostri libri di testo viene desi­gnato con l’espressione alquanto sprez­zante di «inva­sioni bar­ba­ri­che» nelle scuole di lin­gua ger­ma­nica è chia­mato die Voel­ker­wan­de­rung, ossia la migra­zione dei popoli.