La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 aprile 2017

Dal ‘no’ sociale al ‘sì’ politico per la sinistra alternativa. Intervista a Maurizio Acerbo

Intervista a Maurizio Acerbo di Riccardo Chiari
Maurizio Acerbo, nei tuoi primi interventi da segretario del Prc hai citato le osservazioni fatte da un ospite, molto applaudito, come il costituzionalista Gaetano Azzariti. Come mai?
"Il professor Azzariti ha detto due cose: che, da non iscritto, ha lavorato con noi in più di un’occasione; e che occorre trasformare in un ‘sì’ politico il ‘no’ sociale emerso nel paese, dai referendum sui beni comuni a quello costituzionale. In ogni città si sono attivate migliaia di persone che si sono ritrovate in un cammino comune di alternativa al neoliberismo, e quindi anche al Pd. Allora non vedo perché tutte queste persone non possano condividere un movimento popolare, con i partiti di sinistra ma anche con chi si mobilita in difesa dell’ambiente, dei diritti e delle tutele del lavoro, della democrazia.

Riprenderci la sovranità per fermare l'Europa neoliberista

di Pablo Iglesias 
Signor Mariano Rajoy, le proporrò di iniziare un dibattito di Stato, un dibattito senza pressioni, perché credo che non stiamo parlando di un tema minore. Nonostante lei debba ringraziare i redattori del suo discorso, credo che vi sia in esso un errore frequente quando parliamo di UE, cioè quello di usare parole importanti che però si rivelano essere parole vuote. Lei ha detto: “L’Europa, la storia d’Europa è la storia della civilizzazione, l’Europa è l’estensione della nostra patria, non siamo un paese fra i tanti, siamo uno dei grandi”. Ha detto inoltre una frase che piacerebbe ad Ortega: “la participazione della Spagna è essenziale per la formazione dello spirito europeo”. Però io so che lei è una persona pragmatica e credo che in un momento come questo potremmo parlare di Europa con un po’ più di serietà.

Un copione consolidato

di Tommaso Di Francesco
Avvengono secondo un copione consolidato, gli attacchi ordinati da Trump nella notte scorsa sulla base aerea siriana di Khan Sheikhou. Come da modello balcanico – vedi la strage inventata di Racak per l’intervento «umanitario» Nato in Kosovo nel 1999 – e con lo «stile» del governo israeliano del quale ancora non abbiamo smesso di contare le vittime civili per i suoi attacchi aerei su Gaza nel 2009. I 59 missili Tomawak lanciati sulla Siria rompono l’ equilibrio di una saga immaginifica. Perché è tornata l’America, anzi questa è l’America. A smentire il povero Alan Friedman che dovrà scrivere almeno un altro libro.

Ora che bombarda e uccide come tutti gli altri presidenti Usa, Trump torna buono per Ue e Nato

di Giorgio Cremaschi 
Trump ha fatto il suo esordio da bombardiere, adeguandosi così alla tradizione dei presidenti Usa nessuno dei quali si è mai sottratto alla necessità imperiale di lanciare ordigni e uccidere. Che sparare missili per vendetta sul gas sia un atto non solo criminale, ma stupido, non passa neppure per l'anticamera del cervello del regime occidentale che da decenni si è arrogato il diritto e il potere di giustiziere mondiale. Anzi grazie a questo atto il "diverso" Trump torna a pieno titolo nel rispetto e nella considerazione della élite europea e nordamericana. Clinton, Bush, Obama non avrebbero saputo fare di meglio.

Guerra in Siria, le colpe di Assad e quelle dell’Occidente. Intervista a Alberto Negri

Intervista a Alberto Negri di Giacomo Russo Spena 
“Non sarà certamente questo lancio di missili Tomahawk americani a sbalzare dal potere Assad e a cambiare le sorti della guerra”. Alberto Negri, inviato speciale del Sole24ore è uno dei massimi esperti di Medioriente e di Siria. Reporter di guerra, ha raccontato dal fronte i conflitti bellici nei Balcani, in Asia e in Africa. “Ho vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni e sono arrivato ad una conclusione: le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”, ci dice. Nella notte il lancio di 59 missili americani contro il regime di Bashar Assad fa presagire scenari di una guerra globale, anche se Negri tende a rimanere più cauto: “Difficilmente Donald Trump butterà giù il regime senza avere alternative. O fai guerra ad Assad o all’Isis, a tutti e due contemporaneamente è impossibile farlo”.

La salute va al mercato, il welfare lo vende l’azienda

di Enrico Rossi 
Ivan Cavicchi lancia l’allarme a proposito della possibilità che si verifichino ulteriori arretramenti del carattere universalistico del Servizio Sanitario Nazionale. Non ho dubbi a rispondere che è in effetti ciò che il Pd renziano propone in modo quasi ostentato. Si tratta di una presa in carico dei cittadini affidata ad un generico welfare che si dimentica di individuare nello Stato il garante della responsabilità e della risposta ai bisogni. Il disegno, per la verità, inizia a formarsi già nei decenni scorsi quando si arena la battaglia della sinistra per definire, dopo la conquista della sanità pubblica, il carattere universalistico dell’intervento dello Stato.

I tre cardini del rinnovamento costituzionale

di Gaetano Azzariti
Riforme. Proporzionale, parlamento e governo, la triplice sfida aperta il 4 dicembre. Le sorti della democrazia partecipativa sono legate a quelle della democrazia rappresentativa. Per accorciare le distanze tra politica e cittadini non basta la legge elettorale. È tempo di ripensare le forme reali della democrazia costituzionale. C’è bisogno di ritrovare il fondamento pluralista e conflittuale che la qualifica. È necessario guardare alla realtà divisa, alle lacerazioni che colpiscono i corpi delle persone concrete. Dobbiamo abbandonare i falsi miti per costruire il futuro. Abbiamo bisogno di quel che Stefano Rodotà ha definito un «costituzionalismo dei bisogni».

Se Renzi vincerà le primarie del Pd

di Curzio Maltese
È davvero difficile capire perché l'ultimo grande partito rimasto in Italia, il Pd, abbia deciso di suicidarsi e consegnare alle prossime elezioni una larga vittoria al movimento di Grillo&Casaleggio associati. Un suicidio che non sarebbe forse preoccupante per la schiacciante maggioranza degli italiani, ormai disillusi dalle favole dell'era renziana. Se non comportasse anche la perdita dell'ultimo elemento solido della democrazia italiana e il rischio di avviare il paese a una fase weimariana che, combinata con un debito pubblico ormai impazzito (2250 miliardi di euro, con un aumento di 160 nei soli ultimi tre anni) e una perpetua stagnazione produttiva, può condurre al collasso totale.

Le torture a Bolzaneto hanno padri politici. Chi paga?

di Patrizio Gonnella
«G.O.M. ovvero Gruppo Operativo Mobile, ovvero Corpo speciale di Polizia Penitenziaria. Sganciato da ogni controllo, è chiamato a gestire le emergenze, i casi particolari, le situazioni a rischio. E la caserma di Bolzaneto era una di queste». Era questo l’incipit di un articolo mio e di Stefano Anastasia, allora presidente di Antigone, pubblicato sul manifesto il 28 luglio del 2001, a una settimana dalle torture avvenute a Genova. Torture come nella tradizione tragica di Villa Triste a Firenze o di Villa Grimaldi a Santiago del Cile. Villa Triste e Villa Grimaldi erano i luoghi della tortura rispettivamente durante il periodo nazifascista e la dittatura di Pinochet. Erano chiamate ville ma erano luoghi di annientamento, di esaltazione brutale dell’ego fascista.

Redistribuzione contro le disuguaglianze

di Michele Raitano
In questo articolo, facendo uso dei dati raccolti nell’indagine campionaria EU-SILC, mostriamo alcuni dati sull’evoluzione della disuguaglianza dei redditi in Europa nel quadriennio 2008-2011, ovvero nel periodo immediatamente seguente l’esplosione della crisi economico-finanziaria. I dati sono presentati distinguendo i paesi della UE-15 in base all’area geografica di appartenenza che, come messo in luce dalla letteratura di social policy, è utile anche a definire gruppi di paesi che si differenziano per tipo di sistema di welfare. Distinguiamo, quindi, quattro gruppi di paesi: Nordici, Anglosassoni, Continentali (l’Europa centrale) e Meridionali. Prima di mostrare i risultati delle nostre elaborazioni, per meglio interpretare le possibili cause delle differenze fra paesi bisogna sottolineare che le disuguaglianze economiche derivano da processi complessi, che possono essere osservati da prospettive diverse e nei quali operano, spesso in interazione tra loro, molteplici fattori.

Guevara tecnologico, sogno o utopia? Intervista a Carlo Freccero

Intervista a Carlo Freccero di Micaela Bongi
Carlo Freccero, anche lei sarà a Ivrea all’evento in ricordo di Gianroberto Casaleggio a un anno dalla morte. Perché sarà lì?
"Il Movimento 5 Stelle nasce da un’intuizione che è quella di tutti i partiti tecnologici, come i Pirati. L’intuizione di Casaleggio è che non si possono inviare messaggi alternativi usando i media mainstream. Non a caso in questi anni il critico del sistema, il dissidente, coincide con la figura dell’hacker. Che Guevara è tecnologico. Casaleggio, partendo da questa intuizione, ha creato Rousseau perché bisognava dotarsi di mezzi propri, una piattaforma e un sistema operativo. Secondo: la comunicazione politica non doveva più essere passiva (attraverso la televisione o la stampa, appunto) ma attiva, con la creazione di un sapere comune politico condiviso. E ancora: questo sapere doveva essere riscritto insieme, un’opera comune, come Wikipedia. Quarto: non bisognava partire da una qualsivoglia ideologia data, socialismo o liberismo, ma fare tabula rasa."

L’uso della forza per recuperare popolarità

di Guido Moltedo
Donald Trump, più di ogni suo predecessore, ha gli occhi costantemente puntati sui sondaggi di popolarità, peraltro gli stessi che ne pronosticavano, da candidato, la sconfitta alle presidenziali. Ed è, anche da presidente, un avido divoratore di televisione. Quella tv che, 24 ore su 24, propone le immagini terribili dei bambini morti intossicati dal gas sarin nella cittadina settentrionale di Khan Sheikhou. Aveva detto, Trump, che non si sarebbe invischiato nel conflitto siriano, se non contro l’Isis in azioni congiunte con altri paesi, e più volte aveva ripetuto che nella sua agenda non c’era posto per i diritti, tanto meno per i profughi in fuga da guerre, come i siriani verso i quali ha già voltato le spalle, figurarsi l’idea di altri in arrivo in seguito a un’escalation del conflitto siriano.

UE, la corsa agli armamenti

di Alfio Nicotra 
I Ministri degli esteri e della difesa europei hanno varato il primo comando militare unificato dell’Unione europea – il cosiddetto Military Planning and Conduct Capability (MPCC) che comanderà le missioni militari europee ‘non executive’ (tre quella attualmente in corso, in Mali, Centrafrica e Somalia). Nell’incontro a Versailles invece Gentiloni ed il presidente francese uscente (e non ricandidato) Hollande hanno giocato al poliziotto buono e a quello cattivo. Il premier italiano ha insistito “per l’Europa sociale”, l’inquilino dell’Eliseo invece sulla priorità da dare “ alla difesa comune europea”. Entusiasta la Ministra Pinotti di questa centralità acquisita da armi ed armati da parte di una Unione Europea in storica crisi di credibilità. Da Bruxelles annuncia che la Nunziatella diventerà la prima scuola militare del nascente esercito europeo.

La silenziosa ascesa al potere di un dizionario del dominio

di Maurizio Ricciardi 
All’ordine del giorno è la disgiunzione tra capitalismo e democrazia. Per una lunga stagione, la seconda è stata intesa come un correttivo delle devastazioni prodotte dal primo. Democrazia era il nome del primato della politica sull’economico e sul sociale, relegati al ruolo di aggettivi che dovevano indicarne il contenuto e la direzione. Parlare di post-democrazia significa registrare che oggi, nella sua fase neoliberale, il capitalismo procede selettivamente ma programmaticamente a disattivare le procedure democratiche. Il nesso tra democrazia e capitalismo è così costantemente riconfigurato in funzione della produzione di profitto, cancellando tutti quei meccanismi di reintegrazione e risarcimento previsti dalle democrazie postbelliche in Occidente.

Democrazia Made in USA

di Marina Catucci
Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti, è stato eletto battendo la rivale democratica Hillary Clinton, che è stata sconfitta prendendo 3 milioni di voti più di lui. Qualcosa di simile era accaduto nel 2000 ad Al Gore, sconfitto con mezzo milione di preferenze in più di George W. Bush, ma quelle elezioni avevano subito un broglio e non contano. L’esempio macroscopico delle contraddizioni del sistema americano è proprio quella di novembre 2016. In America, per essere eletto presidente, contano gli Stati ed i delegati. I presidenti americani non vengono direttamente eletti dai singoli cittadini, ma da 538 grandi elettori, che si riuniscono a Washington il giorno delle elezioni nel Collegio Elettorale degli Stati Uniti per esprimere il loro voto rispetto allo Stato che rappresentano.

No all’intervento USA in Siria. Quello di Trump è terrorismo internazionale

di Maurizio Acerbo
Non essendo bastati i tagliagole dell’Isis e di Al Qaeida arruolati in tutto il mondo ora Trump e Erdogan intervengono direttamente con le loro armi. Le atrocità dello Stato islamico, la cui avanzata i russi hanno fermato, da tempo sono scomparse dalla scena mediatica per ridare fiato alla narrazione sulla ferocia di Assad che giustifica l’intervento contro il diritto internazionale nel territorio di uno stato sovrano. L’uso dei corpi dei bambini asfissiati dal gas ammucchiati per le foto serve a Trump per legittimare l’aggressione. Non so chi abbia usato il gas, non sono esperto di cose militari e non so districarmi tra gli assassini. So che Assad ha a disposizione l’aviazione russa e sta vincendo sul terreno. Perché fare un autogol del genere? Qualcosa non quadra ma non voglio avventurarmi in congetture. Sul campo operano potenze che certo non sono nuove all’uso del terrore. Certo non sono Trump e Erdogan dei campioni di democrazia dietro le cui insegne marciare.

Neo-operaismo e decrescita. Aprire un percorso di riflessione

di Emanuele Leonardi
In un articolo di qualche tempo fa Franco Berardi Bifo sosteneva che la sinistra avrebbe fatto bene a liberarsi di due feticci divenuti negli anni piuttosto ingombranti: il lavoro salariato e la crescita economica. Rispetto al primo, la comunità di Effimera – ma direi quella neo-operaista nel senso più ampio e inclusivo del termine – ha da tempo preso parola, con esiti molto significativi. Del secondo feticcio, invece, si è parlato poco. Certo, abbiamo preso di petto la questione ecologica, sottolineandone opportunamente la dimensione politica. Però il problema della crescita non è stato sollevato in quanto tale. C’è chi ha percorso la strada opposta: critica approfondita della crescita economica e scarso interesse per il lavoro. Mi riferisco alla decrescita, etichetta che richiama un arcipelago di associazioni, movimenti e programmi di ricerca (accademici e non) che negli ultimi anni ha visto aumentare considerevolmente la propria sfera d’influenza, sia in termini numerici sia di riconoscimento.

Può questa Europa essere pro-Labour?

di Pasquale Tridico
La costituzione Italiana è una costituzione molto progressista, pro-labour, una delle più progressiste in Europa, orientata al lavoro, alla protezione dell’impiego, all’iniziativa pubblica, alla costruzione di un welfare state, alla rimozione degli ostacoli economici e sociali per la realizzazione di una una democrazia sociale oltre che verso un notevole progresso civile. I trattati di Roma del 1957 non intaccarono questa costruzione sociale e democratica, ed anche se perfino questo punto è controverso, c’è un grande consenso tra gli studiosi verso questa posizione. Ciò che invece sembra in contrasto con quanto la nostra Costituzione asserisce sono le regole dettate dal Trattato di Maastricht e dai successivi trattati, sottoscritti durante la crisi, che restringono ancor di più i margini dello Stato per realizzare quanto la nostra costituzione afferma.

Judith Butler e la scommessa del popolo

di Ida Dominijanni
Se il populismo è oggi, a detta di tutti, lo spettro che si aggira - e si materializza - per l’Occidente, il popolo è a sua volta e paradossalmente lo spettro che ossessiona - senza materializzarsi - la teoria politica occidentale. Che sia naturalizzato – da destra – come un’identità razziale o nazionale da racchiudere e presidiare dentro confini certi, o che sia considerato – da sinistra, alla Laclau - come una costruzione del politico (se non del leader politico), il popolo resta un oggetto sconosciuto e “introvabile”, come direbbe Rosanvallon, nella sua costituzione eventuale, contingente, storica, e nella sua irriducibile eccedenza rispetto alla rappresentanza e alla rappresentazione. Come nasce, un popolo? Come si forma? Come vive, come parla, che cosa vuole? Con quale autorità e con quale autorizzazione si presenta sulla scena come “il” popolo, rinnovando la pretesa e la scommessa della sovranità popolare?

La retorica dei diritti disumani

di Gustavo Zagrebelsky 
Chi oserebbe negare che nella “età dei diritti”, che diciamo essere la nostra e che ha proclamato la felicità non come compito morale dell’ uomo virtuoso, secondo l’ etica antica, ma niente di meno che come diritto universale: chi oserebbe negare che la povertà, l’ analfabetismo, la schiavitù, la violenza, le persecuzioni, la tortura, le sparizioni dei non integrati e degli oppositori, le migrazioni forzate, l’ ammassamento di milioni di persone in slum e bidonville, lo sfruttamento, le desertificazioni, siano oggi diffusi su larga scala e, sommandosi, colpiscano innocenti in misura che forse mai si è conosciuta in passato? Oppure, chi potrebbe non vedere che la fame e la denutrizione ogni anno condannano milioni di persone a morti anonime e miserabili, in un olocausto che nessuno ha mai calcolato e che, probabilmente, non ha precedenti?

Decreti Orlando-Minniti: quale sicurezza, quale sinistra

di Gianluca Dicandia e Stefano Greco
L’approvazione dei Decreti Legge nn. 13 e 14 dello scorso febbraio, che portano le firme del ministro degli Interni Marco Minniti e di quello alla Giustizia Andrea Orlando, a soli tre giorni l’uno dall’altro, sancisce un nuovo spartiacque. Ancora una volta il centrosinistra, i 'moderati' o che dir si voglia, scelgono di inseguire sul terreno del bieco populismo le destre autoritarie. Una classe dirigente che preferisce puntare su sicurezza, lotta al degrado e criminalizzazione di migranti e poveri, invece di mettere in atto misure volte ad incentivare l’inclusione, a contrastare la povertà diffusa tramite pratiche di redistribuzione della ricchezza e a garantire l’accessibilità dei servizi sociali nei confronti di tutti.

Teoria e politica in Hannah Arendt

di Maria Teresa Pansera 
Presentiamo qui, per la prima volta in versione italiana, i testi di una serie di lezioni svolte da Hannah Arendt presso il Berkeley College dell’Università della California nel semestre primaverile del 1955, anno in cui il dipartimento di Scienze politiche la invitò a tenere, come visiting professor, un corso sulla storia della teoria politica. Si tratta di una raccolta di appunti preparatori delle lezioni, scritti direttamente dalla Arendt principalmente a macchina, ma anche con qualche aggiunta manoscritta, in lingua inglese. La possibilità di aver accesso a questi papers, attualmente disponibili negli Stati Uniti presso la Library of Congress di Washington e l’Hannah Arendt Center della New School for Social Research di New York e in Germania presso l’Hannah Arendt Zentrum di Oldenburg, ci ha permesso di cogliere l’importanza del rapporto tra politica e filosofia, o meglio tra filosofia e teoria politica, come recita il titolo dato dalla Arendt al modulo didattico History of Political Theory.

Il cuore della globalizzazione è lo scontro tra centro e periferia

di Pietro Raitano
Il 15 agosto del 1947, con una cerimonia solenne, il viceré inglese lord Mountbatten concedeva l’indipendenza all’India. Il giorno prima, a Karachi, aveva riconosciuto anche il Pakistan. Settanta anni fa il conferimento dell’autonomia al più importante e vasto territorio dell’impero britannico segnava un passaggio cruciale per la storia del mondo: l’inizio del processo di decolonizzazione, la fine dell’imperialismo. Nel giro di una ventina d’anni, l’ondata avrebbe travolto tutti i possedimenti coloniali europei, dal Sud-est asiatico al Medio Oriente, passando per l’Africa del Nord prima, e l’Africa “nera” poi. Il mondo non sarebbe stato più lo stesso.

Fagan e il nuovo mondo multipolare

di Damiano Mazzotti
Pierluigi Fagan è uno studioso della complessità e dei sistemi e in questo caso prende in esame e chiarisce bene il ruolo delle relazioni internazionali nell’era di Trump (un politico molto atipico). Naturalmente anche “il discorso sull’economia del mercato di libero scambio è di per sé geopolitico, promosso da precisi interessi Stato-nazionali anglosassoni”, situati principalmente a Londra e Wall Street. Inoltre chi è difeso dagli oceani e dalla potenza marittima ha interessi diversi dalle nazioni legate alle comunicazioni via terra degli europei. Infatti il Regno Unito è stato dentro l’Unione europea senza moneta comune e con molte eccezioni fino a ieri, e si può anche affermare che l’attuale uscita anglosassone ha cambiato le relazioni europee del 10 o del 20 per cento circa.

Il vertice G7 di Taormina

di Antonio Mazzeo
Un territorio duramente segnato dal dissesto idrogeologico, le frane dopo ogni temporale, la progressiva erosione delle coste. Si presenta così il comprensorio ionico compreso tra le città di Messina e Catania, per lungo tempo una perla del turismo per le sue straordinarie bellezze paesaggistiche e il patrimonio storico-culturale, da alcuni anni vittima della crisi di un modello economico insostenibile e dell’incapacità o inettitudine delle classi politiche e di governo locali. Gli investimenti per la messa in sicurezza dei territori o per il rilancio di attività socio-culturali ed economiche ecocompatibili sono inesistenti, così per uscire illusoriamente dalla crisi, il governo Renzi prima, quello Gentiloni poi, hanno pensato bene di “rilanciare” internazionalmente l’immagine di Taormina elevandola a sede del prossimo G7, il vertice dei capi di stato delle sette maggiori potenze economiche, politiche e militari occidentali (Usa, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Italia).

No!

di Rosaria Gasparro
I bambini non si arruolano nelle proteste, dice Eraldo Affinati nel suo commento su Repubblica di domenica. Pensiero condiviso dal presidente di Confindustria di Lecce. Per lo scrittore farsi carico della loro coscienza in via di formazione, significa non coinvolgerli “in un’impresa che non avrebbe dovuto riguardarli”. Cosa allora riguarda i bambini e le bambine? Può essere il portare i propri figli con sé nei luoghi in cui si è nati, dove si è cresciuti, in quei luoghi che riguardano tutti in un tempo che ci comprende senza differenze di età, un atto irresponsabile di povertà educativa? La responsabilità “del principio di umanità che rappresentano” non vale sempre?

Per un uso pubblico e politico della storia

di Nicolaj Kurubov
Cercare di costruire una narrazione della storia ed un suo uso pubblico alternativi a quelli utilizzati dagli stati-nazione e dalle classi dominanti credo sia uno dei compiti urgenti con i quali devono misurarsi tutti coloro che intendono apportare un cambiamento radicale all'ordine di cose esistenti. Questo non significa però tornare a raccontare il passato in un'ottica militante di tipo novecentesco, che oggi apparirebbe fuori tempo massimo. Non solo perché si è dimostrato fallace il finalismo tipico del socialismo reale («il marxismo-leninismo ci mostra la via verso il sol dell'avvenire»), ma anche perché la riflessione storiografica della seconda metà del XX secolo ha elaborato strumenti (ad esempio la storia di genere, le varie declinazioni della storia sociale, la microstoria, eccetera) che di fatto contrastano ogni uso mitologico e strumentale del passato ai fini di inquadramento delle masse.

Esiste in Marx una teoria generale e unitaria della crisi?

di Ascanio Bernardeschi
1. Premessa La coincidenza fra gli importanti studi filologici attorno all’edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels1 e l’avanzare di una importante crisi del capitalismo mondiale, ha determinato una ripresa dell’interesse verso la teoria della crisi economica all’interno del sistema di analisi di Marx. Se ormai resta diffìcile per chiunque disconoscere l’importanza del lascito marxiano su questo argomento, gli stessi estimatori di Marx si dividono fra di loro su questioni interpretative rilevanti. Ne è esempio il pregevole numero monografico sulla crisi in Marx della rivista «Pagine inattuali»2. Per esempio Giovanni Sgro’, curatore del numero della rivista, nella sua analisi dei Quaderni di Londra3, sostiene che in Marx non «vi sia un’unica teoria della crisi» ma «diversi approcci teorici per l’analisi e la spiegazione delle crisi»4.

Sulla tortura l’impegno dell’Italia ancora non c’è

di Antonio Marchesi 
Un piccolo passo avanti forse sì, non certo la buona notizia che aspettiamo da tanto tempo. Quella – se mai ci sarà – sarà la notizia che è stato introdotto un reato specifico di tortura (adeguatamente definito e sanzionato) nel nostro codice penale. Fino a quel momento, la situazione resterà sostanzialmente immutata. La decisione della Corte di Strasburgo di «benedire» il regolamento amichevole tra il Governo italiano e 6 (su 65) vittime di torture nella caserma di Bolzaneto, del resto, non è dovuta principalmente all’offerta di risarcimento. In altre occasioni, infatti (si veda il caso di Cirino e Renne, due detenuti torturati nel carcere di Asti), la proposta di riconoscere una cifra di denaro e nient’altro, in cambio della rinuncia a portare avanti un ricorso per violazione dell’art.3, era stata ritenuta dalla Corte non compatibile con il rispetto della Convenzione. E di conseguenza respinta al mittente.

La condanna di avere un corpo: il tempo degli hotspot tra Foucault e Kafka

di Gabriella Calcagno 
Il nostro corpo non è innocente. Una delle peculiarità del potere moderno è stata quella di farsi carico dei corpi dei cittadini, di plasmarli e modellarli a proprio piacimento, dunque sarà necessario accordare maggiore attenzione all’esame della categoria della corporeità. Sarà inoltre necessaria una riflessione intorno lo spazio in cui questi corpi si trovano non solo ad agire e relazionarsi, ma anche a essere reclusi e puniti qualora la loro esistenza o condotta minacci le fondamenta dell’autorità cui sono sottomessi. Non è un caso, allora, che un pensatore come Michel Foucault, cui spetta il merito di avere per la prima volta utilizzato il termine di biopolitica, abbia dedicato gran parte della sua carriera all’analisi dei dispositivi spaziali in cui il potere moderno e contemporaneo si esercita: dalle prigioni, passando per le scuole, fino ad arrivare alla clinica.

Disarmare i mercati

di Antonio De Lellis
Nell'ambito della Biennale della Democrazia in corso a Torino si è svolto, venerdì 31 marzo, l'incontro atteso, di cui avevamo dato cenno con un articolo su Il Sole 24 Ore, dal titolo "Disarmare i mercati". Alla presenza di Stefano Risso e Tommaso Valentinetti, coadiuvati da Marco Ferranda de Il Sole 24 ore, dinanzi a circa 120 persone, per lo più giovani studenti del V e IV anno dell'istituto Alpa Steiner e Rosa Luxemburg, di docenti e attivisti, si sono affrontati temi complessi con una facilità, immediatezza e convergenza davvero sorprendenti. Toccati i temi della Tobin Tax, del debito e delle sue ricadute sociali, in particolare l'impoverimento e le disuguaglianze sociali ed economiche rispetto alle quali vi è una forte richiesta di riforme strutturali.

Le dame, i cavallier, l’euro e la Nato

di Lanfranco Binni
L’ironia della storia ha voluto che i ventisette congiurati “europei” delle Idi di marzo si trovassero installati in una sala particolare del Palazzo dei Conservatori, in Campidoglio: la sala degli Orazi e dei Curiazi, affrescata dal Cavalier d’Arpino all’inizio del Seicento sul tema maschio della forza militare di Roma che afferma con astuzia la sua supremazia sul nemico di turno, gli sprovveduti Curiazi di Alba Longa. La corsa degli Orazi e dei Curiazi fu giocata sulla velocità, e chi si fermò fu ammazzato (il tema si tradurrà nel «Chi si ferma è perduto» dell’italica retorica fascista e delle sue declinazioni successive, fino al «correre!» e «vincere!» del bullo di Rignano; in questo caso gli Orazi sono stati gli elettori del 4 dicembre). I congiurati delle Idi di marzo del 44 a. C. pugnalarono Cesare per difendere la tradizionale oligarchia e scongiurare l’autocrazia di un unico despota. Il gioco, presentato a patrizi e plebei come difesa della libertà della Repubblica, era truccato.

Piratare la filosofia. Quattro baie per l’abbordaggio

di Amador Fernández-Savater
La filosofia viene sentita come qualcosa di lontano: astratta, separata dalla vita, per specialisti ecc. Possiamo piratarla, cioè riappropriarci della capacità di porre problemi e inventare risposte? La filosofia viene sentita lontana. Qualcosa che riguarda altri: gli «specialisti» che ne scrivono e ne fruiscono. Che si fa in luoghi separati dalla vita quotidiana: facoltà, accademia. Che si insegna attraverso lunghe tiritere e si impara memorizzando molte citazioni. Possiamo piratare la filosofia? Sporcarla con le domande che la vita ci pone tutti i giorni. Portarla in altri luoghi, abitati. Riappropriarci della capacità di porre problemi e inventare risposte.

Perché fanno uccidere i giornalisti

di Raúl Zibechi
Non sono, non possono essere, effetti collaterali e indesiderati della guerra contro il narcotraffico. I giornalisti critici sono uno degli obiettivi. Non l’unico, perché il bersaglio principale continuano ad essere los de abajo organizzati. L’assassinio è il modo che quelli de arriba, questa complessa alleanza narco-imprenditoriale-statale, hanno per disorganizzare i movimenti e per neutralizzare i giornalisti critici e i media (pochi) che li pubblicano. Rifiuto di vederlo altrimenti, per la stessa storia dei media. Fino ad alcuni decenni fa, fino agli anni 70 o 80 (date un po’ arbitrarie), quelli che facevano ordine nelle redazioni erano i capiservizio: politica, società, cultura, e così via. Il consiglio di redazione era una specie di comitato centrale nei quotidiani e nelle riviste settimanali, che erano i media più diffusi, seguiti e apprezzati da quelli che desideravano informarsi con un minimo di qualità in quanto ad analisi e stile.

Scuola, quello che la ministra Fedeli non dice

di Bruno Moretto
Nei giorni scorsi grandi titoli di giornali – dopo un bombardamento continuo di critiche – hanno salutato improvvisamente la scuola italiana come la più “inclusiva” d’Europa, un luogo di formazione dove le diseguaglianze sociali vengono abbattute. Anche la ministra dell’Istruzione ha celebrato i dati Ocse, trascurando di menzionare una parte della ricerca, quella Piaac da cui si evince che gli stessi studenti che a 15 anni avevano dimostrato buoni risultati pur provenendo da famiglie disagiate, 12 anni dopo finiscono nel gorgo dell’analfabetismo di ritorno o comunque in un gap formativo. Gli articoli comparsi nella maggior parte dei quotidiani e i servizi televisivi hanno montato una bufala, accreditando il fatto che una ricerca dell’Ocse avrebbe decretato il primato della scuola italiana in Europa sul terreno dell’inclusione. Sul tema sono intervenuti l’ex premier Renzi, la neo ministra Fedeli e Francesca Puglisi (responsabile scuola del Pd ndr) cercando di accreditarsi il merito di questi risultati.

Salute, l’Unione mancata

di Nicoletta Dentico 
Non è chiaro che la nostra battaglia deve essere sociale? Che il nostro compito non è quello di scrivere le istruzioni per proteggere i consumatori di meloni e di salmoni, di dolci e gelati, cioè la borghesia benestante, ma quello di creare istituzioni che proteggano i poveri, coloro che non possono permettersi pane fresco, carne e caldi vestiti? È triste constatare che migliaia devono sempre morire in miseria per consentire a poche centinaia di vivere bene”: l’indignazione del patologo tedesco Rudolf Virchow a fronte della indifferenza dei governanti verso le condizioni di miseria in cui versava la popolazione a Berlino nella metà dell’800, di grande attualità, ci sprona a richiamare subito due dolenti circostanze del tempo presente.

Potenzialità e limiti del reddito di base

di Giovanna Vertova 
Quesito 1. In Italia, nonostante l’assenza di misure universali di sostegno al reddito abbia per molti anni tenuto fuori il paese dal dibattito europeo, ultimamente si sono moltiplicate iniziative regionali (per esempio il reddito di dignitàpugliese o il reddito di autonomia piemontese) o amministrative, proposte di legge (quella del Movimento 5 Stelle e quella di SEL, per esempio), iniziative popolari. Anche il ministro Poletti ha recentemente annunciato l’introduzione di un “reddito di inclusione” a livello nazionale. In molti casi la discussione ha riguardato dispositivi molto distanti, nell’impianto e nella filosofia, dal reddito di base incondizionato, presentando caratteri di familismo ed eccessiva condizionalità. In Svizzera, invece, si è recentemente svolto un referendum per l’introduzione di un reddito di base incondizionato su scala nazionale. A cosa è dovuto, a suo parere, il ritardo italiano – ammesso e non concesso che di “ritardo” effettivamente si tratti? Come è possibile tradurre politicamente un dibattito teorico che dura ormai da decenni?

Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo segretario è un investimento sul futuro

di Paolo Ferrero
Domenica 2 aprile si è chiuso a Spoleto il X Congresso nazionale del Partito della Rifondazione Comunista. Innanzitutto il congresso ha evidenziato la ricostruzione di una comunità politica orgogliosa di sé. Dopo 8 anni di vita al di fuori delle istituzioni parlamentari italiani, senza soldi e pressoché oscurati dai media, Rifondazione Comunista non solo c’è ma nel suo congresso ha segnalato una vivacità di dibattito e di esperienze concrete e una rinnovata unità nella costruzione del progetto politico. Il Congresso si è svolto in oltre 700 circoli che in tutta Italia, da Bolzano ad Agrigento, si sono riuniti, hanno discusso e votato sulla linea politica. Il documento firmato tra gli altri dal sottoscritto è risultato approvato con oltre il 70% dei voti e nel Congresso nazionale è stato accettato da tutti come la base su cui sviluppare l’iniziativa politica del partito.

Il mercantilismo è finito ma l'Europa non lo sa

di Pasquale Cicalese 
La mattina del 31 marzo il Segretario al Commercio Usa Wilbur Ross dichiarava all’ABC che gli Stati Uniti sono in una guerra commerciale, una guerra che dura da decenni e che ora le truppe Usa sono schierate. Con questa battuta Ross squarciava il velo delle relazioni economiche internazionali degli ultimi 50 anni. Dopo Nixon 71, che dichiarava la fine dei cambi fissi di Bretton Woods e lo sganciamento del dollaro dall’oro, il Segretario al Commercio informava che la globalizzazione costruita in questi decenni, con gli Usa a fare da spugna del commercio mondiale, era finita. Trump realizzava in tal modo ciò che aveva promesso durante la campagna elettorale sotto il motto America First. Subito, il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel chiedeva alla Ue di portare in giudizio all’Organizzazione Mondiale del Commercio gli Stati Uniti, dopo che questi aveva messo dazi all’import di prodotti tedeschi ed europei.

Le primarie lanciano un leader, non rigenerano la democrazia

di Aldo Carra
Il Pd è di Renzi. In alcuni circoli hanno partecipato pochi e votato molti, in altri tutti per Renzi, oppure gli iscritti sono lievitati all’ultimo giorno. Anomalie di un sistema non regolato bene, ma accettato. Vittoria netta con 141.000 voti che hanno incoronato Renzi. Altrettanto netto è anche il senso politico: la lunga mutazione renziana è compiuta, il Pd con la R o senza è questo, il referendum, pur segnando una sconfitta, ha ricompattato quel che restava, la massiccia vittoria a Roma dell’asse Renzi-Orfini su quello Orlando-Bettini-Zingaretti dimostra che non ci possono essere parti in commedia che si improvvisano all’ultimo minuto come nel teatro pirandelliano.

Oggi lo schiavismo si chiama precarietà

di Giorgio Cremaschi 
A Milano sulla metro mi ferma un giovane, impiegato in un magazzino della logistica. Io sono tra i privilegiati, mi dice, certo non come i facchini che stanno giù al carico scarico merci, però anche in ufficio il clima è pesante. E mi racconta la storia dei punti della patente. Il capo ufficio si rivolge alla giovane impiegata, naturalmente assunta con un contratto precario, e le chiede con la massima naturalezza: senti puoi darmi gli estremi della tua patente? Alle timide perplessità della ragazza il capo risponde tranquillamente che è per una infrazione in cui è incorso guidando l'auto aziendale. È arrivata una multa pesante che comporta danno alla patente. Visto che l'auto è aziendale, nulla di male a scaricare il taglio dei punti sulla patente dell'impiegata, anche se questa non è titolata ad usarla, è spirito di collaborazione...che fa curriculum per la conferma a lavoro.

Dagli Usa: sciopero internazionale delle donne il Primo maggio

di National Committee of the International Women’s Strike
Il Primo Maggio 2017 sarà una giornata di lotta contro l’amministrazione Trump. Una giornata in cui come lavoratrici di tutto il paese, salariate e non, sciopereremo, marceremo, manifesteremo, faremo azioni di boicottaggio e faremo sentire le nostre voci contro il sessismo, il razzismo, la xenofobia e l’omofobia di questa amministrazione. Trump ha apertamente dichiarato guerra agli immigrati, dalla costruzione di un muro tra gli Stati Uniti e il Messico ai bandi contro i Musulmani. Noi lottiamo per lo smantellamento di tutti i confini e tutti i muri. Questa è la ragione per cui lo Sciopero Internazionale delle Donne sciopererà insieme a tutti coloro che organizzano il Primo Maggio.

Buio a mezzogiorno

di John Davis
Hanno seguito il loro cibo. Venivano dall’Asia nordorientale: uomini, donne e bambini, avvolti in pellicce e pelli sferzate con forza, che camminavano tra i ghiacciai, su banchi di ghiaccio, sulle morene e attraverso ampie valli fluviali dove vagabondava ancora la megafauna dell’Era glaciale che era in rapida recessione Oppure pagaiavano attraverso le praterie di alghe dell’oceano occidentale, stando vicino alla riva e circondati dalle loro prede: delfini, foche, lontre e forse anche di salmoni con i denti affilati che stavano diventando “maggiorenni”. Si sistemarono in ogni bio-regione della terra: soffrendo e talvolta prosperando, in pace o in guerra l’uno con l’altro, ma sempre vivendo con leggerezza sulla terra. Si moltiplicarono ma non ci fu sovrappopolazione.

Clima, la resistenza non è solo politica

di Marina Turi e Massimo Serafini
È passato poco più di un anno dalla firma, a Parigi, di quell’accordo sul clima, che diffuse molte aspettative fra gli ambientalisti. Più o meno tutte le grandi associazioni ecologiste del mondo, Greenpeace in testa, pensarono che finalmente la lotta al riscaldamento globale sarebbe diventata una delle priorità nell’agenda politica dei principali paesi della terra, i più inquinatori. Forse un anno è un periodo troppo breve per poter trarre un bilancio. L’assenza di un calendario per la progressiva, ma totale, sostituzione delle fonti energetiche fossili, doveva insospettire. Oggi molte cose sono indubbiamente cambiate e se si getta uno sguardo realista su ciò che è successo negli ultimi quindici mesi è impossibile ignorare che quella svolta positiva, rappresentata dall’accordo ratificato, è venuta meno.

Tratta di esseri umani, 2° business mondiale dopo il traffico d’armi

di Luca Cellini 
Con l’espressione tratta di esseri umani si intende una forma di schiavitù moderna, quasi sempre invisibile agli occhi dei più, alla quale sono costretti donne, uomini e sempre più spesso bambini. Rappresenta una gravissima violazione dei diritti umani fondamentali. Generalmente le vittime di tratta si trovano in una condizione di estrema vulnerabilità in quanto provenienti da contesti di disagio e di povertà, aggravate da una globalizzazione sempre più selvaggia, ma anche da zone di guerra o da paesi in cui vengono perseguitate da regimi autoritari. Per questo motivo decidono di spostarsi e spesso, per il trasferimento dalle “periferie del mondo” verso i luoghi in cui sperano di avere un futuro migliore, si affidano a trafficanti senza scrupoli, affiliati a organizzazioni criminali internazionali ben radicate nel territorio, che provvedono a inserire le vittime in vere e proprie reti di sfruttamento.

Il lavoro nell’era dei robot

di Nadia Rosa
Nel dibattito congressuale di Rifondazione Comunista, nella gran parte dei Circoli di Milano e Provincia, abbiamo posto all’ordine del giorno una questione che ritengo fondamentale per l’oggi ma soprattutto per il domani, ed ha a che fare con la nostra capacità di analizzare ed interpretare il presente per costruire una società del futuro dove la nostra classe non debba subire ancora piu’ drammaticamente la barbarie del capitale. Mi riferisco al dibattito sull’impatto che la tecnologia esercita ed eserciterà sul lavoro, l’occupazione e i salari. Un dibattito antico quanto la stessa era industriale, ma che il nostro Partito purtroppo non ha ancora assunto come base per l’elaborazione delle proposte relative alle politiche del lavoro. Nel 1983 l’economista premio Nobel Leontief rese il dibattito popolare introducendo un confronto tra gli esseri umani e i cavalli.

Il futuro rovesciato di un’umanità incapace di vivere

di Benedetto Vecchi
La macchina del tempo dello scrittore inglese Herbert G. Wells mantiene intatto il suo fascino e la sua potenza evocatrice non del futuro che verrà ma di un presente mai troppo indagato da scrittori contemporanei. Viene ora riproposta da Einaudi in una nuova traduzione di Michele Mari (pp. 126, euro 17) dopo un’assenza di molti anni. Scritto alla fine dell’Ottocento, il romanzo rappresenta il primo tentativo di fare i conti con le conseguenze della Rivoluzione industriale, l’aumento di produttività introdotto nelle prime industrie che aveva portato alla sostituzione del lavoro umano con telai e macchine a vapore.

Documento conclusivo X Congresso Nazionale di Rifondazione Comunista

Il X Congresso Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, riunitosi a Spoleto dal 31 marzo al 2 aprile, preso atto dei risultati del voto delle iscritte e degli iscritti nei congressi di circolo che hanno visto una larga maggioranza esprimersi a favore della proposta politica avanzata nel documento “Socialismo XXI, per un nuovo umanesimo”, approvate la relazione e le conclusioni del segretario uscente Paolo Ferrero e sentito il dibattito, impegna tutto il partito nell’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi democraticamente assunti.

Spie dei diritti umani

di Nicola Perugini e Neve Gordon
Un’affascinante indagine del quotidiano israeliano «Haaretz» rivela come, negli anni Settanta — poco dopo l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e di Gerusalemme Est — Israele abbia utilizzato alcuni accademici per infiltrarsi in Amnesty International. In sostanza lo Stato è intervenuto nel dare forma all’attivismo per i diritti umani, proprio mentre il discorso dei diritti umani stava diventando una delle forme più popolari di battaglia politica contro le ingiustizie su scala globale. L’articolo di «Haaretz» rivela che Yoram Dinstein, un rinomato studioso di diritto internazionale attualmente professore emerito alla Hebrew University, è stato un agente del Ministero degli Esteri israeliano durante il periodo in cui ha occupato il ruolo di direttore della sezione israeliana di Amnesty International tra il 1974 e il 1976.

Spese militari, l’Italia in prima fila

di Enrico Piovesana 
Secondo i dati contenuti nel primo rapporto annuale sulle spese militari italiane presentato dall’Osservatorio MIL€X, presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 15 febbraio, l’Italia spende ogni anno per le sue forze armate oltre 23 miliardi di euro (64 milioni di euro al giorno), di cui oltre 5 miliardi e mezzo (15 milioni al giorno) in armamenti. Una spesa militare in costante aumento (+21% nelle ultime tre legislature), che rappresenta l’1,4% del PIL nazionale: esattamente la media NATO (USA esclusi), ma ancora troppo poco per l’Alleanza Atlantica, che chiede di arrivare al 2% in base a una decisione (mai sottoposta al vaglio del Parlamento) che incoraggia a spendere di più, invece che a spendere meglio, secondo una logica distorta che arriva al paradosso quando la NATO si congratula con la Grecia per la sua spesa militare al 2,6% del PIL, ignorando la bancarotta dello Stato ellenico.