La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 13 aprile 2017

Occorrono idee e la forza di poterle dire. Intervista a Maurizio Acerbo

Intervista a Maurizio Acerbo di Tiziana Barillà 
Maurizio Acerbo è il successore di Paolo Ferrero. Il nuovo segretario di Rifondazione comunista vuole fare come in Spagna e costruire un soggetto unitario e alternativo al Pd. «Da noi non cediamo lo scettro, piuttosto la bicicletta per pedalare in salita», sorride Maurizio Acerbo. Da pochi giorni è stato eletto segretario di Rifondazione comunista, in un clima pacifico e con un ampio consenso, e con una sinistra unitaria da costruire. È venuto a trovarci in redazione, di buonumore come sempre. Ha riattaccato il telefono appena arrivato dicendo al suo interlocutore: «Ti lascio, sono arrivato nell’unica rivista di sinistra in Italia». Gli abbiamo fatto molte domande, eccone alcune.

Il terzo spazio. Intervista a Yanis Varoufakis

Intervista a Yanis Varoufakis di Matteo Nucci
Il palazzo in cui oggi abita Yanis Varoufakis è il classico condominio anni Settanta di Atene. Citofoni sbrindellati su una strada poco lontana dal centro. Luci fioche per le scale. Dietro la porta d’ingresso, un bel salone zeppo di libri e un balconcino sulla via nel traffico. Niente a che vedere con quel che di lui hanno polemicamente raccontato. Del resto, ora l’uomo odiato dai tecnocrati d’Europa in Grecia passa solo poco del suo tempo. Insieme, fra gli altri, a Ken Loach e Noam Chomsky, ha appena lanciato il primo tentativo di costruire un movimento transnazionale che possa calamitare forze per arrivare alle prossime elezioni europee. Del programma di riforme da attuare già oggi, senza trasformare i trattati europei, si può leggere ogni dettaglio nel libro che l’ex Ministro delle Finanze greco ha appena scritto assieme a Lorenzo Marsili, cofondatore di DiEM25, Democracy in Europe Movement 2025.

L'Europa della finanza e dei mercati è fallita: costruire il terzo polo antiliberista

di Paolo Ferrero 
La questione dell’Unione Europea è il punto fondamentale di discussione sul nostro presente e sul nostro futuro. Per poterla impostare correttamente a mio parere occorre in primo luogo evitare di scambiare la rappresentazione mediatica con la realtà stessa. Questo su più versanti. Per non fare che alcuni esempi, fino a qualche anno fa il teatro della politica appariva diviso tra popolari da un lato e socialdemocratici dall’altra. Oggi larga parte del discorso pubblico è determinato dalla destre populiste, che dettano l’agenda del discorso politico, come se avessero una forza propria, come se interpretassero lo spirito del tempo. Uscendo dal terreno politico e andando su quello economico ci dicono che non ci sono i soldi e l’Europa viene dipinta come un vaso di coccio tra i vasi di ferro della Cina e degli USA, come se l’Europa dovesse adeguarsi alle regole dettate dagli altri e fare di necessità virtù.

Lavorare meno, lavorare tutti: parole che è possibile trasformare in realtà oggi

di Piergiovanni Alleva
La convinzione, o quanto meno la fiducia, che anche grandi problemi possano avere, in realtà, una soluzione semplice e, per così dire, a portata di mano, purché sorretta da chiarezza di obiettivi politici e conoscenza adeguata dei dati socioeconomici e normativi, ha ispirato la presentazione da parte del Gruppo assembleare L’Altra Emilia Romagna di una proposta di legge regionale all’apparenza modesta ma, nei suoi scopi, certamente ambiziosa. Si tratta, infatti, di una proposta di legge in tema di riduzione dell’orario di lavoro tramite incentivazione dei contratti collettivi aziendali di solidarietà “espansiva” che mira a realizzare un triplice obiettivo.

Il Def spinge il privato contro la sanità pubblica

di Ivan Cavicchi
Da settimane, stiamo denunciando il disegno, ormai svelato, prima del governo Renzi poi di Gentiloni, di sostituire la sanità pubblica con una sanità soprattutto neo-mutualistica. Lo scopo non è quello di dare ai lavoratori più salute o di offrire loro tutele corporative perché la sanità pubblica non va. L’obiettivo è molto più prosaico. L’obiettivo è quello di usare strumentalmente la spesa sanitaria con lo scopo di accrescere il reddito d’impresa delle aziende nella speranza di avere più investimenti e quindi più occupazione. Avete capito bene: il governo per accrescere il profitto delle imprese si è inventato, con l’accordo dei sindacati, un trucco definito welfare aziendale cioè delle mutue completamente defiscalizzate attraverso le quali far fuori l’art 32 della Costituzione e quindi la sanità pubblica.

Io sto con gli ultimi. Intervista a Jorge Mario Bergoglio

Intervista a Jorge Mario Bergoglio di Paolo Rodari 
«Penso che oggi il peccato si manifesti con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili. Il mondo deve fermare i signori della guerra. Perché a farne le spese sono sempre gli ultimi, gli inermi». Papa Francesco arriva oggi nella Casa di Reclusione di Paliano (Frosinone) per celebrare la Messa in Coena Domini con il rito della lavanda dei piedi ad alcuni detenuti. La visita ai carcerati è occasione per una riflessione più ampia che Francesco accetta di fare con Repubblica su una missione che la Chiesa non può eludere: «Farsi prossima degli ultimi, degli emarginati, degli scartati». Dice Papa Bergoglio: «Chi non è colpevole scagli la prima pietra. Guardiamoci dentro e cerchiamo di vedere le nostre colpe. Allora, il cuore diventerà più umano».

Lo Stato Penale di Minniti e Orlando

di Progetto Rebeldía
L’approvazione dei Decreti Legge nn. 13 e 14 dello scorso febbraio, che portano le firme del Ministro degli Interni Marco Minniti e di quello alla Giustizia Andrea Orlando, a soli tre giorni l’uno dall’altro, sancisce un ennesimo punto di non-ritorno. Ancora una volta il centro-sinistra – i “moderati”, i “progressisti” o che dir si voglia -, non solo sceglie di inseguire le destre sul terreno securitario del “sorvegliare e punire”, ma addirittura supera e inasprisce il terreno già seminato dal Decreto Sicurezza di Maroni del 2008. Nel 2009 il sociologo francese Loïc Wacquant pubblicava un libro dal titolo “Simbiosi mortale. Neoliberalismo e politica penale” dove evidenzia il sistematico nesso tra la distruzione dello “stato sociale” e il rafforzamento dello “stato penale”.

Rendere di nuovo possibile il futuro

di Boaventura de Sousa Santos 
Quando guardiamo al passato con gli occhi del presente, troviamo enormi cimiteri di futuri abbandonati, lotte che aprirono nuove possibilità e furono neutralizzate, messe a tacere, distorte, futuri uccisi sul nascere o persino futuri nati morti, situazioni che determinavano la scelta vincente in seguito ascritte al corso della storia. Quei futuri abbandonati sono anche corpi sepolti, spesso corpi dedicati a futuri sbagliati o inutili. Li onoriamo o esecriamo secondo che il futuro cui aspirarono coincida o non con quello che vogliamo per noi. E’ per questo che piangiamo i nostri morti, anche se mai gli stessi morti. A meno che crediamo che esempi recenti comprendano solo attentatori suicidi, martiri per alcuni, terroristi per altri, a Sarajevo nel 2014 si sono tenute due commemorazioni dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie, un evento che avrebbe condotto allo scoppio della prima guerra mondiale, mentre in un quartiere diverso serbi bosniaci festeggiano il loro assassino, Gavrilo Princip, e persino erigevano una statua in suo onore.

Lavoratori e fisco: presi per il cuneo

di Felice Roberto Pizzuti
I Presidenti del Consiglio cambiano, ma la visione e le scelte della politica economica governativa rimangono le stesse che hanno contribuito a determinare la situazione particolarmente critica dell’economia e della società italiane. Riferendosi alle nuove proposte di riduzione del cuneo fiscale, dal team economico di Palazzo Chigi si apprende che “L’obiettivo è proseguire nella strada tracciata dal Jobs Act di riduzione delle tasse”. A quanto pare, poco o nulla servono le continue conferme sull’inefficacia e l’onerosità delle misure prese dal Governo Renzi con il Jobs Act per cercare – senza successo – di stimolare la crescita e l’occupazione. L’effetto principale della riduzione totale dei contributi sociali prevista per tre anni è stato di modificare i tempi delle assunzioni che le imprese avrebbero in gran parte comunque fatto.

Cronaca del congresso fondativo di Un Paìs en Comù

di Daniela Passeri 
Uniti siamo migliori, non solo più forti. Al grido di “unità, unità” è nato a Barcellona il partito unitario della sinistra catalana, seconda tappa del cammino politico intrapreso da Ada Colau con la lista Barcelona En Comù per superare la logica della coalizione e creare un progetto politico di lungo respiro e non solo in Catalogna. Il nome è sempre provvisorio, Un Paìs en Comù, quello definitivo verrà scelto dall’esecutivo eletto con le primarie aperte che si sono concluse sabato. Unità non è solo una parola d’ordine, ma un’invocazione perché un guastafeste c’è stato, pur in una giornata (8 aprile) giudicata storica per la Catalogna: Podem, la sezione catalana di Podemos, si è presentata a frammenti al traguardo, con vari nomi entrati nella direzione esecutiva (tra cui il segretario comunale di Barcellona Marc Bertolmeu e la deputata Jessica Albiach) ma senza il segretario regionale Albano-Dante Fachin che ha contrattato, posto condizioni, accettato un accordo, ma poi si è dileguato, malgrado da Madrid arrivassero chiari segnali che invitavano a proseguire nel cammino intrapreso, l’unico possibile.

Può il PD rimanere egemone a sinistra?

di Paolo Ferrero 
Oggi il PD non è un partito di sinistra. Non lo è per i contenuti che esprime. Sul piano sociale ed economico ha un programma e una pratica completamente neoliberista e anche le polemiche contro l’austerità non sono fatte per avere più margini per allargare e qualificare l’intervento pubblico in economia o a favore del welfare ma piuttosto per tagliare le tasse ai ricchi e alle imprese. In questo quadro il PD ha realizzato compiutamente il programma della confindustria di distruggere le tutele e i diritti del lavoro a partire dal JOBS ACT e dall’abolizione dell’articolo 18. Questa collocazione di destra sul piano sociale si accompagna all’attacco sferrato alla Costituzione repubblicana nata dalla resistenza, scegliendo una collocazione di destra anche sul piano democratico.

Diem25 e la proposta di un New Deal europeo. Intervista a Lorenzo Marsili

Intervista a Lorenzo Marsili di Attilio De Alberi
Sono passati due anni dalla crisi in Grecia che si è conclusa con la resa del governo al diktat della Troika, e l'Europa accusa una crescente emorragia di fiducia da parte dei suoi stessi cittadini. A netto del fenomeno Brexit, l'euroscetticismo trova paladini non solo in partiti e movimenti populisti di destra, ma anche in esponenti della sinistra che invocano un ritorno al nazionalismo economico. Ma esiste un'alternativa al conformismo neoliberale e alla sua speculare controparte? Secondo Yanis Varoufakis, l'ex ministro delle Finanze nel primo governo Tsipras, sì. È stato lui, poco più di un anno fa, a lanciare Diem25 (Democracy in Europe Movement) attivandosi per la costruzione di una nuova Europa democratica non solo sulla carta e a parole, ma anche nei fatti.

L’universo chiuso della cittadinanza

di Eleonora Cappuccilli 
Cos’hanno in comune un dormitorio per lavoratori interinali a Pardubice, un camion usato come palco per comizi sindacali fuori da una fabbrica di Manaus, un magazzino stipato a Shenzen? Niente, se non il fatto di essere scorci nascosti di continenti lontani, tanto differenti da sembrare collocati su pianeti diversi, ma in realtà posizionati su di una stessa catena transnazionale del valore. Foxconn, multinazionale di elettronica al centro di questa particolare catena, non è però che una delle imprese che hanno contribuito a ridisegnare le geografie globali della produzione analizzate in Le reti del valore. Migrazioni, produzione e governo della crisi, a cura di Sandro Chignola e Devi Sacchetto (DeriveApprodi, pp. 259, euro 18).

Francia: il fattore Mélenchon

di Michele Paris
A poco più di una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali in Francia, la competizione continua a essere una delle più imprevedibili e difficilmente pronosticabili della storia repubblicana. Dopo la quasi caduta dell’ormai ex favorito, il gollista François Fillon, l’ex Socialista “indipendente” Emmanuel Macron e Marine Le Pen del Fronte Nazionale (FN) sembravano ormai certi di accedere al secondo turno di ballottaggio, ma nell’ultima settimana il candidato della sinistra “radicale”, Jean-Luc Mélenchon, ha fatto segnare una rapida risalita nei sondaggi, diventando improvvisamente un serio pretendente nella corsa all’Eliseo.

Destra e sinistra, quel filino di confusione

di Alessandro Gilioli
Per punzecchiare il ministro Calenda - ultimamente bisticciano - Matteo Renzi ha detto che «per il centrodestra sarebbe un'ottima idea candidarlo premier». Di primo acchito sembrano fatti solo del centrodestra. E di Berlusconi, che da dieci anni cerca un delfino ma poi finisce per divorarseli uno a uno: da Casini a Fini, da Alfano a Toti, da Fitto a Del Debbio, giù giù fino a Parisi e Tajani. Però forse Renzi ha ragione: uomo di antica famiglia aristocratica e nipote di ambasciatori, Calenda è cresciuto tra Prati e Parioli - insomma nei meglio quartieri di Roma - e si è poi legato per la carriera a un amico di famiglia, Luca Cordero di Montezemolo, senza nemmeno aver avuto bisogno di giocarci insieme a calcetto.

Decreti Delegati sulla scuola: approvato un altro strappo alla Costituzione

di Loredana Fraleone
Senza grandi clamori, come nello stile del governo Gentiloni, la 107 detta “Buona Scuola”, è stata completata con l’approvazione dei decreti delegati, varati nel gennaio scorso. Il Parlamento ancora una volta è stato espropriato della possibilità di discutere nel merito dei provvedimenti, non parliamo poi della possibilità di interloquire con i soggetti interessati, solo alcuni dei quali, in particolare le associazioni per i disabili, le più temute, sentite in commissione. Viene da dire che il misfatto è compiuto, anche se ancora non sono disponibili i testi approvati, che non dubitiamo siano in perfetta sintonia con una legge che ha allontanato in modo significativo il mondo della scuola dal dettato costituzionale, sia rispetto al diritto allo studio che alla libertà d’insegnamento.

Il Pd di Renzi è la nuova Forza Italia. Intervista a Carlo Galli

Intervista a Carlo Galli di Marco Pacini
Che cosa c’è dietro, sotto, o almeno di fianco a un “ciaone”, uno scambio di tweet che occupa una pagina di giornale, una scissione, una micro scissione, una ricomposizione, una passerella leopolda, le primarie, le comunarie, o un nuovo (chissà mai) predellino...? Nulla o quasi. Al massimo il fantasma della politica, o la politichetta a corta gittata. Dalla messa in soffitta delle ideologie a quella delle idee e in definitiva del pensiero il passo è stato breve. Il processo di svuotamento rapido, inesorabile, incontrovertibile, agli occhi della scienza politica. Carlo Galli, uno dei maggiori politologi italiani, ha voluto portarlo dentro, il suo sguardo. Nel partito, nell’aula parlamentare. Eletto nelle file del Pd nel 2013 si avvia alla conclusione della sua «prima e ultima» esperienza “dentro” la politica, come indipendente nel gruppo degli scissionisti Pd, dopo un rapido transito in Sinistra italiana.

Un’onta a forma di Minniti

di Giulio Cavalli 
Bisogna tornare al 2013 che anche se sembra un’era fa è l’ultima volta in cui i partiti hanno dovuto scrivere nero su bianco un programma di governo. Provate a tornare lì con la mente, quando il Partito Democratico (in un precedente stato evolutivo, evidentemente) si immolava per contestare le ronde padane e gridava allo scempio per la legge Bossi-Fini. Ve li ricordate? Ai tempi, praticamente tutti i giorni, si trovava qualche sedicente piddino pronto a difendere i kebabbari e urlare allo scandalo contro chiunque volesse fare lo sceriffo. Se sfogliate anche i giornali di quei mesi (erano le settimane in cui il centrosinistra immaginava di essere al governo poco dopo) si sprecano le promesse di un’immediata abolizione della legge Bossi-Fini. Lo urlavano tutti, indistintamente: sono gli stessi che in Parlamento oggi scodinzolano a Minniti. Rileggetevi le cronache: dicevano, i candidati del PD, che avrebbero chiuso i CIE e che sarebbe stata l’ora dello Ius Soli.

L’assalto al cielo

di Franco Berardi Bifo
Per tanto tempo abbiamo ripetuto che non c’era un film che rendesse conto della storia del decennio italiano ’68/’77. Non è più così, a mio parere. Badate, io non sono fidato quando dò dei consigli in fatto di cinema, perché appena mi siedo al buio le mie capacità critiche si riducono a quasi zero, e tendo a godere di qualsiasi cosa (d’altronde la mia soglia del piacere è molto bassa e non sono sicuro che sia una brutta cosa). Ma stavolta ho l’impressione di non sbagliare, mi corregga eventualmente chi ne capisce più di me. Ho rivisto il film di Francesco Munzi Assalto al cielo (l’avevo visto a Venezia nel settembre scorso e non ne avevo parlato in giro perché volevo prima rivederlo). Dopo averlo rivisto posso dirlo: si tratta di un’opera di altissimo livello che racconta in maniera per il momento insuperata la storia del lungo sessantotto italiano. Si può chiamarlo documentario, ma è una cosa molto più complessa: è un’opera di poesia.

Cinque Stelle e sindacato. Intervista a Giorgio Cremaschi

Intervista a Giorgio Cremaschi di Radio Città Aperta
Abbiamo visto il Corriere della Sera, abbiamo visto i grillini che stanno stendendo un programma in cui parlano di “distintermediazione” nei rapporti tra impresa e lavoratori… Tu annunci un video, a giorni, in cui spieghi tecnicamente ai grillini il tema. Ci vuoi chiarire un po' la cosa?
"Mi è stato chiesto un giudizio non sulla disintermediazione, ma sulle questioni della democrazia sindacale. Quindi ho fatto quello. Penso che oggi sia una questione di fondo la democrazia e il rinnovamento dei sindacati. Naturalmente il Movimento 5 Stelle poi fa le sue scelte. Ho visto anche io, come voi, il terminedisintermediazione, che è un termine terribile, inaccettabile. L'ho già detto, perché è il classico termine con cui tutte le forze liberiste hanno definito il ruolo del sindacato. Nella storia del liberismo, dall'800 fino alla signora Thatcher, il sindacato è visto come una cosa che si frammette tra il “libero mercato dell'impresa” e il “libero mercato del lavoro”.

Estensioni transnazionali e predatorie della logistica

di Girolamo De Michele 
La figura del «lavoratore migrante» costituisce un nodo problematico per chi, al di là delle sintesi statistiche quantitative, dei grafici sempre cartesiani e dei flussi che trasformano le soggettività in processi omogenei da governare, indaga la composizione di classe delle soggettività al lavoro. Ed è indubbio che le segmentazione e differenziazione che attraversano e il lavoro nel terzo millennio sono caratterizzate da un nuovo soggetto migrante, non riconducibile al lavoratore salariato novecentesco. Le reti del valore. Migrazioni, produzioni e governo della crisi raccoglie gli atti dell’importante convegno su «Globalizzazione e crisi. Lavoro, migrazioni, valore» (tenutosi a Padova un anno fa, il 4 e 5 febbraio), coordinato dagli stessi curatori del volume Sandro Chignola e Devi Sacchetto, e cerca di comprendere il modo in cui le reti produttive transnazionali attraversano e riconfigurano i confini nazionali e mettono in discussione lo stesso spazio politico europeo, ma anche le pratiche politiche di queste nuove soggettività.

La Costituzione, cioè lo Stato antifascista

di Carlo Smuraglia
Abbiamo assunto l’impegno di dedicare il 2017 alla Costituzione, perché è l’anno della Costituente, l’anno delle grandi discussioni e infine dell’approvazione con un voto significativo (85%), su cui, in partenza, nessuno avrebbe potuto scommettere. La nostra Costituzione ha sicuramente bisogno di essere attuata, in tante parti ancora carenti, ma forse, prima ancora, ha bisogno di essere pienamente conosciuta. Un illustre politologo ci disse, in un incontro all’Istituto Cervi, che c’era bisogno di un maggior “patriottismo costituzionale”. E dunque più conoscenza, più amore, non solo per i singoli articoli, spesso richiamati, ma soprattutto per i princìpi di fondo ed i valori che hanno bisogno di essere rivalutati, in un Paese troppo spesso smarrito.

La variante Melenchon fa fibrillare i mercati e la politica

di Sergio Cararo
Jean-Luc Mèlenchon, il candidato della sinistra popolare francese, è accreditato del 19% dei voti e passerebbe davanti al candidato gaullista François Fillon, fermo al 18,5%. Rispetto al precedente sondaggio Mèlenchon è cresciuto di 6 punti percentuali ed ormai “morde alle chiappe” sia il candidato socialista Macron (al 23% ma in discesa) che quella della destra Le Pen (al 24% ma anche lei in calo di consensi). Alla riuscita di questa positiva incursione di Melenchon e della sua lista France Insoumis (Francia Indomita) in una campagna elettorale che sembrava schiacciata nella falsa alternativa tra destra (Le Pen) e Union Sacrèe tra gaullisti e socialisti, non è affatto estranea la posizione di rottura di Melenchon su euro ed Unione Europea. Ciò ha consentito di sottrarre consensi alla destra e di “grattare” la base sociale ai socialisti.

Il nuovo che avanza

di Luigi Manconi
Tre notizie. La prima proviene dal circuito politico-mediatico e riporta le parole del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, esponente di 5 Stelle e possibile candidato premier di quel partito: «L’Italia ha importato dalla Romania il 40% dei loro criminali». Ora, dico io, ma si può – superata l’acerba età dell’adolescenza e della beata innocenza – esprimersi in termini così grossolani? E con ricorso tanto sgangherato a cifre malamente lette e ancor più malamente interpretate? Questo per dire che al peggio non c’è mai fine e per farsi già ora un’idea di cosa può riservarci il nuovo che avanza. La seconda notizia giunge dal Parlamento e annuncia che ieri Camera e Senato hanno approvato in via definitiva i cosiddetti decreti Minniti-Orlando sul contrasto all’immigrazione illegale e sulla sicurezza urbana.

La crisi e il femminismo. Intervista a Roswitha Scholz

Intervista a Roswitha Scholz di Konkret 
Dove può essere trovato il femmismo nel 2017?
"In fin dei conti, il femminismo è tornato ad alzare la testa solo a metà del decennio degli anni 2000. Gli anni novanta del secolo scorso sono stati caratterizzati dalle teorie "queer" e di genere. Gli approcci materialisti venivano guardati con sospetto. Ma anche se nel passato recente abbiamo visto crescere gli approcci che avevano un orientamento materialista - dove la parola chiave è: lavoro di cura -, il femminismo continua ancora a non osare mettere in discussione che cosa realmente significhi la relazione di genere in una dimensione teorica maggiore."

Perché TAP passa proprio dalla Turchia

di Murat Cinar
Il progetto internazionale TAP (Trans Adriatic Pipeline) è parte di un progetto più grande che comprende diversi Paesi, tra cui la Turchia. Nel 2003, su iniziativa della Elektrizitäts-Gesellschaft Laufenburg (EGL), ora denominata Axpo, società attiva soprattutto nel trading di elettricità, gas e prodotti finanziari energetici, iniziò un lungo studio di fattibilità che si concluse nel 2006 con parere positivo circa la realizzabilità tecnica, economica e ambientale di un grande gasdotto. Il 28 giugno 2013 il Consorzio Shah Deniz II ha selezionato TAP come progetto vincente per il trasporto del gas dell’Azerbaigian in Italia e in Europa, preferendolo al progetto concorrente Nabucco West. Il 19 settembre 2013 Enel, Hera, Shell, E.ON, Gas Natural Fenosa, Gdf Suez, Axpo, Bulgargaz e Depa hanno firmato a Baku con il Consorzio Shah Deniz II i contratti di fornitura per la più importante vendita nella storia del gas (stima: 130 miliardi di Euro).

La guerra ai poveri diventa legge

di Checchino Antonini
Passa il decreto Minniti-Orlando. Con 240 sì e 176 contrati e 12 astenuti l’aula della Camera ha dato il suo via libero definitivo al dl migranti su cui ieri sera il governo aveva incassato la fiducia. Scandalosa la linea di Articolo 1 Mdp, il partito di D’Alema e Bersani che ha votato a favore del provvedimento al Senato, per non mettere in difficoltà il governo Gentiloni, e poi contro alla Camera sullo stesso identico testo dove non c’era rischio di sfiducia e poteva continuare la sceneggiata dell’ex sinistra Pd. Così, senza nemmeno un vero dibattito parlamentare, ci ritroviamo una legge che incrocia i vecchi arnesi della repressione italiana (dal codice Rocco di epoca fascista fino ai lager per migranti inventati da Turco e Napolitano e perfezionati da Bossi e Fini) con la tendenza liberticida dell’Ue che costruisce muri e sforna norme come l’Etat d’urgence francese e la ley mordaza spagnola.

L’ultima frontiera di Trump

di Virginia Negro e Paolo Marinaro
Se me olvido otra vez que solo yo te quise (Mi sono dimenticato di nuovo che solo io t’ho amato), cantava l’idolo messicano Juan Gabriel in una delle sue più struggenti canzoni d’amore. Un verso che sembra un grido lanciato oltre al muro, al paese vicino. Infatti, anche quella tra Stati Uniti e Messico è sempre stata una relazione di dipendenza, economica prima di tutto, una storia di sudditanza tra una moneta forte e una debole, di vicinanza, di necessità ma anche di diniego. Mai come oggi, all’alba della vittoria di Donald Trump, il rapporto tra le due culture si è mostrato in tutta la sua difficile complessità. L’ultimo presidente USA ha vinto le elezioni anche grazie ad una campagna anti-latinos e a promesse politiche di stampo razzista.

Il miracolo portoghese

di Ettore Livini
Addio austerità e privatizzazioni. Su stipendi e pensioni, ok al ritorno dei contratti collettivi e alle 35 ore. L’Europa dei falchi del rigore è sotto choc. Il Portogallo – complice la rocambolesca elezione a fine 2015 di un governo di sinistra – ha ripudiato la dottrina “lacrime e sangue” imposta dalla Ue in cambio di 78 miliardi di prestiti. E la ricetta delle (presunte) cicale lusitane, a sorpresa, funziona meglio di quella della Troika. «Il motivo? Non sono un’economista, ma per quel che mi riguarda è semplice come la storia della mia busta paga – ride Patricia Tavares, infermiera all’Ospedale San Josè di Lisbona –. Nel 2011 prendevo 1.100 euro con gli straordinari. Poi sono arrivati a salvarci Ue, Bce e Fmi: mi hanno tassato il salario del 3,5%, tolto tredicesima e quattordicesima e allungato a 40 ore il lavoro settimanale». Morale: «Nel 2013 le mie entrate annuali sono calate del 13% e il sogno di cambiare auto e lavatrice è andato in fumo».

Di come una certa sinistra ha abbracciato rossobruni e xenofobi

di Davide Sivero
La xenofobia non solo è ossessione e bandiera dell’estrema destra più o meno esplicita e del populismo “né di destra né di sinistra”, ma posizioni a vario grado ostili nei confronti di quanti sono spinti da guerre e miseria a cercare un futuro meno tetro in Europa non sono insolite neanche nelle forze politiche tradizionalmente considerate di centro o centrosinistra, basti pensare alla tessera ad honorem di Forza Nuova conferita a Simone Regazzoni, che si presenterà alle primarie per il candidato sindaco del PD, in ragione delle sue prese di posizione contro i profughi e contro la libertà di culto per i musulmani, per citare solo uno dei casi più eclatanti.

Turchia, il referendum e le sue conseguenze

di Yazzar Hakkinda
È rimasto poco tempo al referendum di aprile. Nonostante lo stato di emergenza, sbaglia chi pensa che il referendum sarà un match a senso unico in favore del governo. La vitalità mostrata dalla campagna del “no”, in questa condizione di repressione, è fonte di forte speranza per tutte le forze dell’opposizione sociale, indipendentemente dal risultato. In questo breve tempo che resta, mentre da un lato si lavora ad accrescere la percentuale del “no”, dall’altro è necessario iniziare a discutere di cosa bisogna fare dopo il 16 aprile, per evitare di trovarsi impreparati come è successo dopo il 7 giugno.

Effetto Mélenchon

di Rino Genovese
Jean-Luc Mélenchon non è simpatico. Se vogliamo, è un idiota in senso etimologico – uno che pensa solo a se stesso e al proprio tornaconto elettorale. Hollande, alludendo qualche giorno fa a lui, lo ha definito un tribuno; potrei aggiungere anche un demagogo, per averlo visto durante la campagna elettorale del 2012 in un comizio: un insieme di frasi fatte che andavano dalla “rivoluzione cittadina” (nel senso dei “cittadini” della Rivoluzione francese) alla proclamazione di una sesta repubblica (come se non ce ne fossero state già in numero sufficiente nella storia di Francia). La sua posizione sull’Europa è ambigua, con una strizzatina d’occhio all’elettorato lepenista: in sintesi, “o la cambiamo o ce ne andiamo”.

«L’umanità che fa bene». Bonino si mobilita contro la Bossi-Fini

di Eleonora Martini
Sembrava finita la stagione dei crimini attribuiti su base etnica. «Ricordate? C’erano le elezioni e sembrava ci fosse uno stupro al giorno da parte di rumeni. Poi, chiuse le urne, finiti gli stupri». Emma Bonino accenna appena a una smorfia quando l’eco triste delle parole di Luigi Di Maio la raggiungono nella sala Nassirya del Senato dove sta coordinando la presentazione della campagna culturale «Ero straniero – L’umanità che fa bene», lo strumento scelto per promuovere la legge di iniziativa popolare che supera la Bossi-Fini.

TTIP. Il mondo è in vendita

di Monica Di Sisto e Alberto Zoratti
Ciò che conta per le lobbies economiche e mettere in moto un meccanismo capace di dare loro facile accesso alle stanze dei bottoni, intese non tanto come i luoghi della decisione politica, quanto le strutture tecniche che stanno a monte del processo legislativo, che sono partecipate solo da figure tecniche e da esperti e che informano la componente politica degli obiettivi da raggiungere. Il Rapporto sui diritti globali, realizzato dalla associazione Società INformazione e dalla sua redazione, promosso dalla CGIL, nel suo volume del 2015, il 13°, contiene come sempre un capitolo dedicato ai temi dell’Ambiente e dei Beni comuni, curato da Monica Di Sisto e Alberto Zoratti. Il Focus del capitolo nel 2015 è dedicato al Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP).

Non basta un Bes a fare bello il Def

di Giulio Marcon
Nel DEF reso noto martedì dal Governo compare un allegato con gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) previsti dalla nuova legge di bilancio (novità da tutti salutata positivamente), indicatori fortemente voluti da un gruppo trasversale di deputati (con una proposte di legge a mia prima firma, Sinistra Italiana) che ha ripreso l'esperienza e le proposte di iniziative come quelle di Sbilanciamoci (QUARS), dell'Impronta Ecologica, dell'Indice di Felicità e naturalmente del lavoro dell'ISTAT sul BES (Benessere Equo e Sostenibile). L'idea è che non basta il PIL e che il benessere non si misura solo con i parametri macroeconomici: e questo è positivo.

Assange è un prigioniero politico

di Mark Weisbrot
Julian Assange è un prigioniero politico che non è stato mai accusato di un crimine. Che poche persone sappiano questo e che importanti organi di stampa abbiano opportunamente ignorato questo fatto, è una messa in stato d’accusa per tutti i leader politici occidentali che dichiarano di interessarsi dei diritti umani e delle libertà civili, ma che restano in silenzio o, peggio, riguardo a uno dei prigionieri di coscienza più famosi del mondo. Nel 2015, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione arbitraria ha scoperto che i governi del Regno Unito e della Svezia avevano detenuto arbitrariamente Assange. Hanno ordinato il suo rilascio e l’indennizzo.

Asilo e sicurezza urbana, è legge la doppia stretta

di Andrea Fabozzi 
Il decreto Minniti-Orlando è legge. I numeri della camera all’ultimo passaggio dicono questo: l’Italia ha introdotto nel suo ordinamento un rito processuale di serie B, con meno garanzie, che sacrifica i diritti universali di una categoria particolarmente debole, i richiedenti asilo, grazie a una maggioranza molto scarsa, appena sufficiente, e garantita da un solo partito: il Pd. Neanche tutto il Pd, visto che all’appello sono mancati circa ottanta deputati del gruppo, prova tangibile dei malumori provocati dalla stretta repressiva. Alla fine i sì al decreto, dopo che martedì era passata la fiducia al governo legata al provvedimento, sono stati 240, molto al di sotto della teorica maggioranza di governo e anche della maggioranza assoluta. Se la legge non è stata fermata è stato ancora una volta per il largheggiare delle «missioni» e le assenze delle (teoriche) opposizioni, Forza Italia soprattutto con più di mezzo gruppo a spasso, ma anche Fratelli d’Italia. Conferma indiretta dell’apprezzamento di cui gode Minniti a destra.

Divaricazioni generazionali nell’assalto al cielo

di Andrea Colombo
L’Italia, si sa, è un Paese per vecchi. Da anni le statistiche Istat raccontano ogni mese la stessa mesta storia: quel pochissimo di lavoro in più che si trova va a unico vantaggio degli ultracinquantenni. Con sullo sfondo una simile realtà è inevitabile ritrovarsi a riflettere su un libro come il primo romanzo di Bifo, al secolo Franco Berardi, scritto a quattro mani con Massimiliano Geraci. Sin dal titolo, Morte ai vecchi, (Baldini&Castoldi, pp.361, euro 16), quel libro sembra rinviare a un conflitto generazionale di stampo ben diverso da quelli che hanno segnato la seconda metà del secolo scorso. Il libro sfodera in effetti un versante satirico in puro stile Burroughs per azzannare gli ex giovani ribelli che rifiutano caparbiamente di rinunciare alla loro ormai vetusta centralità. Ma Bifo e Geraci sono troppo sottili per voler raccontare solo una guerra generazionale «a parti rovesciate», con gli incanutiti babyboomers, un tempo protagonisti della rivolta giovanile, diventati ingombranti bersagli dei giovani a cui rubano il presente.

Ma è davvero Schulz l'uomo della svolta della sinistra in Germania?

di I Diavoli
La storia è quella di un ragazzo di provincia di nome Martin Schulz. Da un villaggio della Germania profonda, Hehlrath, è arrivato al Parlamento europeo: prima membro, poi presidente. Oggi è in corsa per la carica di cancelliere tedesco. A lui il compito di resuscitare le sorti della sinistra socialdemocratica, a lui l’onere di battere Angela Merkel. Lo chiamano «l’effetto Schulz», il «miracolo» Martin, «l’uomo del popolo», dopo che a febbraio è riuscito a schiodare la Spd dal 20% nei sondaggi, per portarla a un testa-a-testa con la Cdu mai visto negli ultimi dieci anni. Da poco più di due mesi la stampa tesse le lodi dell’uomo che «ha ricompattato la sinistra tedesca», «l’ha risvegliata», ne ha «infuocato il cuore».

L'ordine e il caos

di Raffaella Baritono
L'ordine del caos: così si potrebbe definire il senso dei primi 70 giorni e oltre della presidenza Trump. Il caos di una strategia politica e comunicativa che ha fatto saltare ogni tipo di intermediazione, regola, fair play, ma anche il caos di un'amministrazione che non riesce a trovare una forma di coordinamento e una coerenza organizzativa interna. L'approccio diretto al presidente-capo che crede solo nel contatto diretto e nel processo di fidelizzazione sta scompaginando la complessa struttura amministrativa dell'ufficio di presidenza che, nel corso dei decenni, vale a dire da quando fu creato nel 1939, ha sedimentato prassi e procedure. Non che non vi sia mai stato un modello unico; alle dirette dipendenze del presidente, l'ufficio viene organizzato a seconda delle sue preferenze: in modo piramidale, con il chief of staff che, in virtù dell'accesso diretto al presidente, si muove sulla base di regole gerarchiche a cui tutti devono sottostare; oppure, al contrario, secondo modelli più orizzontali che vedono il chief of staff come coordinatore.

Rosarno, il ghetto «del disonore» dimenticato dalla politica ma non dai caporali

di Silvio Messinetti
A fine gennaio una delegazione di Medici per i diritti umani (Medu) si recò al Viminale. Non vennero ricevuti dal neoministro Minniti. «Ha impegni pregressi» dissero al ministero. I medici Alberto Barbieri e Giulia Bari ottennero udienza con il sottosegretario Domenico Manzione. Gli riferirono delle disastrose condizioni dei migranti impiegati nella raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro, ed in particolare nella baraccopoli di San Ferdinando. «Solo due giorni fa un nuovo incendio, il secondo in un mese, ha provocato il ferimento di tre migranti» esclamarono. La delegazione rimarcò che l’allestimento della nuova tendopoli, per cui era stato firmato un protocollo in prefettura, era rimasto un miraggio. Manzione assicurò che le tende erano già state acquistate e l’area individuata ma non si sarebbe proceduto all’installazione prima della primavera.

Gli incentivi non servono. Per la crescita occorrono investimenti pubblici

Intervista a Vincenzo Visco di Roberto Ciccarelli 
Il cuneo fiscale in Italia è di 10 punti superiore a quello che si registra nel resto dell’Ue: il 49% viene prelevato a titolo di contributi e di imposte. Per l’Ocse l’Italia è al quinto posto per peso delle tasse sui salari. A Vincenzo Visco, docente di scienze delle finanze alla Sapienza di Roma e già ministro dell’economia e delle finanze nei governi Prodi e D’Alema, chiediamo come si è creata questa situazione. «Il problema delle tasse sul lavoro e sui salari è oggettivo, ma non è questione rilevante per l’economia italiana in questa fase – risponde – Non c’è domanda e quindi si possono dare tutti gli incentivi che si vogliono, ma investimenti e occupazione non aumenteranno. Questo è il dato rilevante. Sui dati vorrei evitare di drammatizzare.

Comunisti contro Stalin

di Luca Cangianti 
Cercarono fino alla fine di rompere il silenzio, di denunciare l’atrocità che si stava per compiere. In viaggio verso i campi di concentramento praticarono lo sciopero della fame, srotolarono striscioni e cercarono di coinvolgere la popolazione delle città che attraversavano. Sui battelli che li deportavano verso regioni remote, si riunirono in assemblea e firmarono risoluzioni di protesta da inviare al comitato centrale del partito e alla Terza internazionale. In una bottiglia inserirono un messaggio e la lanciarono nelle acque dello stretto di La Pérouse. Sulla tundra ghiacciata, mentre marciavano a gruppi di cento, sapendo di andare incontro alla fucilazione, cantavano L’internazionale. I giudici, la polizia segreta e il partito li avevano schedati con la sigla Krtd, cioè “controrivoluzionari terroristi trotskisti”, ma loro si definivano “bolscevico-leninisti” per rivendicare il comunismo dei primi anni della rivoluzione, di contro alla degenerazione verificatasi con l’ascesa al potere di Iosif Stalin.

Moneta fiscale, una proposta che può farci uscire dalla crisi dell’Eurozona

di Enrico Grazzini 
Lo Stato può creare moneta? Certamente sì. L’economia può crescere solo se c’è moneta: la Cina, per esempio, è cresciuta molto rapidamente non per i soldi raccolti con le tasse o per i prestiti esteri, ma creando moneta ex novo. La domanda infatti traina l’offerta (e non viceversa, come insegna J. M. Keynes). Una società con carenza di moneta fa la fine del Giappone, fermo da tre decenni. Anche l’Eurozona è in deflazione ormai da un decennio perché l’euro è strutturalmente una moneta deflazionistica, perché la Bce presta enormi quantità di denaro solo alle banche, e perché le banche investono nella finanza e non nell’economia reale. Le banche non prestano denaro perché hanno troppi crediti in sofferenza; e le aziende non riescono a restituire i debiti perché manca la domanda e le banche non danno più respiro.

Poveri voi. Un nuovo brand del lusso per sovvertire con stile

di Giovanna Ferrara
La donna e l’uomo 2017 sfilano sulla passerella di Giuliano Lombardo, che, con un senso di ostentazione, sceglie la più classica delle strade, via Condotti per dire quanto un lusso senza redistribuzione sociale sia una circostanza da rovesciare. Moltitudini delle grandi occasioni. Molti gli stranieri, soprattutto cinesi in modalità tecnologia avanzata e russi da alteroimperialismo, un po’ cow a dire il vero. La siflata del nuovo brand Povero ha visto i volti noti del general intellect, l’editrice filosofa Ilaria Bussoni, il direttore della nostra rivista Nicolas Martino, la figlia dello stilista artista con amici, e tanti altri avventori, faticosamente in piedi e camminanti (ondeggianti) dopo secoli di permanenza sulle sedie del bar Giamaica di Milano. Secoli a sorseggiare questa vita agra, che non smette di ritessersi, di amaramente stupirci, di omaggiarci. Una intellect performance nella Roma ladrona.

L’ascia di guerra sulla chiamata diretta dei docenti è stata sotterrata

di Roberto Ciccarelli 
L’ascia di guerra contro la chiamata diretta dei docenti da parte del «preside manager» è stata sotterrata. Uno delle cause che portarono i sindacati della scuola allo sciopero generale contro il governo Renzi nel 2015 sembra essere stata rimossa dall’accordo sulla mobilità dei docenti firmato dal Flc-Cgil, Cisl e Uil, Snals con la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Dopo mesi di trattative, e in coerenza con un accordo già stilato con il Miur, è stato ratificato un riequilibrio dei poteri tra il dirigente scolastico e il consiglio dei docenti. Sulla carta risulta che il collegio dei docenti, convocato dal preside, delibererà sui requisiti del docente chiamato a insegnare. Il collegio potrà modificare la proposta e specificare l’ordine dei requisiti. In seguito il dirigente opererà la sua scelta.

Il decreto Minniti dilata l’area degli abusi in divisa

di I legali di Acad 
Il Decreto Minniti-Orlando sulla Sicurezza Urbana è stato convertito in legge dal Parlamento. Di fatto, il nuovo Ministro degli Interni, l’uomo forte del governo Gentiloni, sferra un attacco violentissimo e frontale alle libertà e ai diritti dell’intero corpo sociale, iniziando col privare i migranti delle garanzie minime del giusto processo (abolizione dei gradi di giudizio, del principio del contraddittorio, creazione di giurisdizioni speciali) continuando poi ad attaccare le fasce più disagiate della cittadinanza attraverso l’introduzione di dispositivi amministrativi pienamente sanzionatori – che sapientemente coordinati con quelli già da tempo esistenti nell’ordinamento come il Testo Unico Leggi di Polizia e le Misure di Prevenzione – restringono ulteriormente gli spazi già angusti delle libertà costituzionalmente garantite in questo paese.

C’è vita dopo i voucher. Storia di Francesco

di Fabrizio Ricci
Francesco lavorava a voucher in una pizzeria di Perugia. E in quella pizzeria ci lavora ancora, ma dal 22 di marzo ha un contratto, uno di quelli veri, scadenza 2021. È stata la commercialista a far notare al suo titolare che bisognava cambiare, perché nel frattempo era intervenuto il decreto del governo che, accogliendo le richieste dei referendum promossi dalla Cgil, aveva cancellato i voucher. La storia di Francesco l’avevamo raccolta qualche mese fa (video), insieme a molte altre, come testimonianza delle grandi difficoltà che l’essere un lavoratore a voucher comportava. Per esempio – ci aveva raccontato Francesco – quella di non avere la possibilità di ottenere un prestito dalle banche, perché con i buoni un giorno lavori, ma il giorno dopo chissà. La sua testimonianza aveva persino attirato l’attenzione di France2, la tv pubblica francese, che al caso dei voucher in Italia aveva dedicato un servizio.

Un volto e un paese, la Turchia di Erdogan tra consenso e polemiche

di Marco Sandi
Non è un segreto che la “Nuova Turchia” del Presidente Recep Tayyip Erdogan, che per cinque lunghi anni è stata salutata come il modello splendente di democrazia islamica, adesso appare molto tetra. Infatti, la Turchia entra nei notiziari oggigiorno non per le sue riforme oppure per l’uso del suo soft power nella regione, ma irrompe per parlare del suo regime apertamente e indubbiamente autoritario e per i, purtroppo, frequenti attacchi terroristici che dissanguano il paese. Ma perché il modello della “Nuova Turchia” ha fallito? In un certo senso, è molto semplice: vi è stata una vera e propria intossicazione di potere. Quando nel 2002 il partito della Giustizia e dello Sviluppo ha vinto le elezioni, era sostanzialmente un partito di islamisti che necessitavano di provare, soprattutto a loro stessi, di essere democratici, ma lo dovevano dimostrare - per arrivare ad un maggiore consenso -anche a tutte le altre parti della società turca, dalla sinistra kemalista e secolarizza ai nazionalisti.

Danimarca, se i socialdemocratici flirtano con l'estrema destra

di Michele Ferro
In Danimarca il principale partito di centrosinistra e quello di estrema destra sono sempre più vicini, al punto che non si può nemmeno escludere una futura collaborazione al governo del Paese. Il peso del Dansk Folkeparti, il Partito del Popolo Danese, ormai noto per le chiusure agli immigrati, è tale che potrebbe essere determinante alle prossime elezioni. Forse ancor più di quanto lo sia stato all’ultima chiamata alle urne per il rinnovo del Parlamento, nel 2015, quando ha raggiunto il 21,1 per cento dei voti, diventando il secondo partito di Danimarca e l’ago della bilancia della politica in un sistema proporzionale. Grazie a quel risultato oggi il Dansk Folkeparti è infatti la seconda realtà parlamentare per rappresentanza (37 seggi su 179) e i suoi numeri sono fondamentali per la tenuta del governo liberale del premier Lars Lokke Rasmussen, sebbene il Partito del Popolo si limiti a un supporto esterno, senza rappresentanti ai tavoli dei ministri.