La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 9 gennaio 2016

Intervista a un militante di sinistra

Intervista a Gianluca Graciolini di Fabio Cabrini
1) Il 28 giugno del 1983 il Manifesto apriva con questo titolo “Non moriremo democristiani”. Oggi, a distanza di 32 anni, quel titolo potrebbe essere così rivisto: “C'è il rischio di morire democristiani”. Come scongiurarlo?
"Quel titolo, intanto: una sintesi politica e giornalistica perfetta da una delle personalità più lucide, coerenti e lungimiranti della sinistra italiana del dopoguerra, Luigi Pintor. Un maestro di cultura politica, di affiatamento tra pensiero e condotta, di linguaggio politico del tutto scevro da arzigogoli incomprensibili ed incrostazioni pseudointellestualistiche, tipiche invece di una certa sinistra di oggi. Chi ha una cultura politica solida non ha bisogno di esibirla e non frappone veli oscuri tra sè e il popolo; non si pone in un'inaccessibile ed ipocrita torre d'avorio, ma parla la lingua dei semplici, va chiaramente al cuore dei problemi e si connette anche sentimentalmente al popolo cui vuol dare parola e cittadinanza, al proprio popolo. Come scriveva Diderot? Che cosa aspettiamo a rendere popolare la filosofia? Ebbene, eccolo qui, in nuce e come lezione mai smentita trasmessaci dagli "antichi" o dallo stesso Pintor, un programma per l'oggi, in tema di "sinistra e comunicazione".

La miscela esplosiva dello scontro di civiltà

di Alberto Burgio
La notte di Colonia comincia a schiarirsi, le denunce si moltiplicano e così gli arresti, mentre monta una polemica al calor bianco che scuote il governo federale (con le dimissioni del capo della polizia) e riecheggia in tutta Europa, dove alcuni paesi dell’Unione annunciano misure per fermare l’«invasione musulmana» e altri rivedono in senso restrittivo le clausole di Schengen. Eppure di quella notte non sappiamo abbastanza per un’interpretazione univoca dei fatti e tanto meno per sposare letture precipitose o pregiudiziali.
Le ultime notizie parlano di 31 arresti, tra cui 18 profughi (oltre a due tedeschi e a un cittadino statunitense). Le ipotesi di reato riguardano furti e lesioni personali, ma anche tre casi di violenza sessuale. La presenza di rifugiati tra le persone fermate collega oggettivamente l’episodio alla politica di accoglienza della cancelliera Merkel la quale, dopo l’iniziale riserbo, si è sentita in dovere di affermare la necessità di «un segnale forte» e di chiarire che, per salvaguardare il diritto d’asilo, non dovrà esservi indulgenza («niente sconti né attenuanti») per i colpevoli delle aggressioni.

La patente per il conto in banca

di Paolo Ciofi
I geni, si sa, hanno idee geniali. E il prof. Alesina, docente all’Università di Harvard, teorico dell’«austerità espansiva», autore insieme al genio numero uno prof. Giavazzi del trattato fondamentale Il liberismo è di sinistra, indicato dall’Economist come possibile percettore del premio Nobel per l’economia, inevitabilmente lo dimostra. Geniale è infatti la sua proposta per evitare i deprecabili eventi che hanno messo sul lastrico migliaia di risparmiatori. «Chiunque apra un conto in banca - ha scritto nel fondo del Corriere della sera il 7 gennaio - dovrebbe disporre di una ‘patente finanziaria’. Dovrebbe cioè superare un esame tipo quello di teoria che si sostiene nel caso della patente auto. Un esame con una cinquantina di domande alle quali rispondere con esattezza». Cosi i risparmiatori, oltre a mettere i soldi a disposizione dei banchieri, dovrebbero fare anche il lavoro dei bancari. Una vera epifania, un’idea talmente geniale che sembra suggerita da Checco Zalone: manca solo l’assicurazione obbligatoria per aprire il conto. Ma non basta, perché il gioco di borsa dovrebbe far parte secondo Alesina anche dell’istruzione delle «generazioni future», soprattutto nei licei, «che ambiscono a rappresentare il meglio dell’istruzione».

La politica delle mance non fa una ripresa

di Roberto Ciccarelli 
Le famiglie italiane aumentano il reddito disponibile (+1,5% sul 2014) e il potere d’acquisto (+1,3% sull’anno) nel terzo trimestre 2015, ma questo non basta per parlare di una crescita strutturata e duratura. Anche dall’ultimo flash dell’Istat su «Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società» ieri è emerso un paese che non si è ripreso dalla batosta della crisi. L’Italia si conferma tra le ultime posizioni nel gruppo dei paesi europei che beneficiano di una congiuntura favorevole targata Bce.
Pur aumentando la spesa per i consumi finali (+0,4% rispetto al trimestre precedente, +1,2% rispetto al 2014), le famiglie continuano a risparmiare, temendo un nuovo colpo di coda della crisi, la precarietà o un licenziamento. Il risparmio delle famiglie consumatrici èaumentato di 0,9 % (+0,3% sull’anno): ora è al 9,5%. Questo significa che la famiglie spendono solo in parte la liquidità riacquistata. Considerata la crisi devastante dell’occupazione, la percezione di un futuro incerto o con poche speranze, è normale. Dal 2007 al 2014, sostiene il Codacons, il potere d’acquisto degli italiani è calato del 12%, con una contrazione media della capacità di spesa pari a 1.910 euro​.

Una soluzione "portoghese" per la Spagna?

di Luigi Pandolfi 
Le elezioni del 20 dicembre scorso hanno rottamato lo storico bipartitismo spagnolo, aprendo ad uno scenario politico inedito e, per molti versi, incerto. L'irruzione di nuove forze, come Podemos e Ciudadanos, nella scena politica, ha, infatti, modificato sensibilmente gli equilibri politici del Paese, con i popolari ed i socialisti che, per la prima volta dalla caduta del franchismo, si trovano a fare i conti con la propria insufficienza. E così, tramontata, almeno per il momento, l'ipotesi più accreditata nelle ore immediatamente successive al voto, vale a dire quella di una grande coalizione tra Pp e Psoe, per evitare un nuovo ricorso alle urne, rimarrebbero solo due strade: un governo di minoranza targato Partido Popular o un esecutivo a guida socialista, sostenuto da Podemos, Izquerda Unida e forze autonomiste. I numeri, a tal riguardo, parlano chiaro.

La bolla cinese si avvicina

di Tonino Perna
La Borsa di Shangai ha chiuso con un timido rimbalzo positivo (1,98 %), nettamente inferiore alle perdite degli ultimi due giorni (- 15%), con una perdita di circa il 40 per cento rispetto al picco dei primi di giugno con l’indice generale arrivato a quota 5.100. Nel corso del 2015 aveva già subito due crolli, di cui quello di fine estate particolarmente pesante. In quel 24 agosto la Borsa di Shangai registrò un crollo dell’8,5 per cento, poi del 7.6 per riprendersi solo dopo un massiccio intervento della Banca Centrale cinese.
La People’s Bank of China intervenne pesantemente: tagliò i tassi d’interesse attivi e passivi, diminuendo le riserve obbligatorie delle banche, ed immettendo direttamente sul mercato finanziario 30 miliardi di dollari , con operazioni di mercato aperto. Operazione analoga è avvenuta in questi giorni e con molte probabilità il Q.E. (Quantitative Easing) cinese continuerà nel disperato tentativo di salvare le Borse ed evitare che la fuga dei capitali dalla Cina diventi un fiume. Ma, ed è questo che è davvero interessante, ogni volta che la Borsa di Shangai subisce un colpo le altre Borse che contano – Tokyo, N.Y, Londra ecc– tremano e lanciano un segnale preciso: ci stiamo avvicinando al Grande Crollo, come J.K Galbraith definì in un suo famoso saggio la crisi del ’29.

Il reato di clandestinità, nella cucina di Angelino Alfano

di Andrea Maestri
Finalmente ci siamo, anzi no. Continua l’indecente stop and go del governo Renzi e della sua maggioranza di centrodestra sul reato di cosiddetta immigrazione clandestina. Fummo i primi a denunciare il mancato esercizio della delega che il Parlamento aveva conferito al Governo nel 2014 per l’abrogazione di un reato inutile e dannoso. Il termine era scaduto a novembre 2015 e il Governo si era detto indisponibile a cuocere nella sua cucina questa patata bollente. «Se la risolva il Parlamento» disse il Ministro Orlando e il Parlamento, attraverso la Commissione Giustizia, aveva ricordato al Ministro che il Parlamento si era già espresso per l’abrogazione oltre un anno fa e ora toccava al Governo. Riaperta la cucina dopo le feste, lo chef Renzi e l’aiuto cuoco Orlando si ritrovano tra le mani la stessa patata bollente. Tocca a loro cucinarla, dicono che adesso la ricetta è pronta ma stavolta si mette di traverso il vero proprietario del ristorante, tale Alfano, che ottiene come minimo di imporre una cottura a fuoco lento. Ancora una settimana e la patata ormai è un purè.

Il simulacro reale della sovranità popolare

di Carlo Altini
La democrazia è un mito o è una realtà? Se finora è stata solo un mito, possono comunque darsi le condizioni per una sua realizzazione? E se invece è anche una realtà, quale rapporto esiste tra l’idea regolativa della sovranità popolare come forma di autogoverno e la sua realizzazione concreta? A queste e altre domande sulla storia e sulla teoria della democrazia cerca di rispondere il volume Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà di Massimo L. Salvadori (Donzelli, pp. 507, euro 35).
Oggi è difficile individuare un concetto che goda di maggiore fortuna rispetto a quello di democrazia, diventato un ingrediente irrinunciabile per l’autodefinizione di qualsiasi movimento, tanto che nessun attore sulla scena politica può definirsi antidemocratico, pena la sua immediata cancellazione dal dibattito pubblico: «democrazia» non indica più solo una forma di governo o un insieme di regole procedurali e istituzionali, ma l’intero orizzonte assiomatico dei paesi occidentali.

Il vicolo cieco del vecchio schema tra ulivisti e identitari

di Tommaso Nencioni e Stefano Poggi
Nell’analisi dei ripetuti passi indietro compiuti dalla sinistra del nostro Paese, non si possono certo trascurare le responsabilità di gruppi dirigenti provenienti da una stagione non solo archiviata, ma annegata in un vasto mare di sconfitte l’una all’altra concatenate. In questo contesto viene da chiedersi che senso abbia anche solo ipotizzare la riproposizione idealizzata di un centro-sinistra in salsa ulivista, come se il quadrilatero delimitato da privatizzazioni, guerre umanitarie, destrutturazione del lavoro e infeudamento della sovranità democratica non rappresentasse un consuntivo sufficiente a dichiararne il fallimento. All’interno di quel recinto — sarebbe ormai l’ora di prenderne atto — non solo si è consumato il lento sacrificio della sinistra storica sull’altare della governabilità, ma il Paese intero ha iniziato a subire un’asfissia della quale ora paghiamo intero il conto, al di là dalla retorica del “governo dei migliori” che ha accompagnato per un ventennio quell’esperimento.
Dall’altro lato, l’arroccamento neo-identitario mostra ormai da tempo la corda, nell’impossibilità di riproporre o solo di gestire un blocco storico reduce da trent’anni di sconfitte, ed assottigliato fino all’afasia e l’invisibilità da errori tattici e cambiamenti epocali nelle strutture sociali e nel senso comune.

Etruria, un pozzo senza fondo

di Riccardo Chiari
Per i passati vertici di Banca Etruria e del Lazio sarà difficile evitare l’accusa di bancarotta più o meno fraudolenta. Con le ripercussioni politiche del caso, vista la presenza nel board dell’istituto commissariato non solo di Pier Luigi Boschi ma anche della coppia Lorenzo Rosi & Luciano Nataloni. Sodali in affari con il cerchio magico familiare dell’inquilino di palazzo Chigi.
Ieri, sulla tranche dell’inchiesta legata al conflitto di interessi, e alle omesse dichiarazioni, di Rosi e del commercialista Nataloni, i finanzieri del Nucleo di polizia valutaria di Arezzo hanno perquisito 14 società clienti di Banca Etruria, anch’essa visitata dalla Finanza. L’obiettivo è capire se alla banca convenivano certe operazioni, viste le perdite per 18 milioni registrate a posteriori. Poi se sono state rispettate le condizioni di mercato. Infine, soprattutto, se esistono relazioni fra le aziende perquisite. Già a occhio, sì.

Maternità surrogata, uno scambio ineguale

di Valentina Pazè
Nel dibattito sulla maternità surrogata c’è un grande assente. Si tratta dell’art. 3, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce «il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro». In base a questa disposizione, contenuta in un documento che — ricordiamolo — ha oggi lo stesso valore giuridico dei Trattati, sono vietate nell’ambito dell’Unione non solo la vendita del rene o l’affitto dell’utero, ma anche la vendita di “prodotti” corporei come il sangue, gli ovuli, i gameti, che possono essere donati, ma non divenire merce di scambio sul mercato. Simili pratiche (con l’eccezione della vendita del rene, oggi consentita — a mia conoscenza — solo in Iran), sono invece perfettamente lecite al di fuori dell’Unione europea; non solo in India o in Ucraina, ma negli Stati uniti, dove da anni esiste e prospera un fiorente mercato del corpo.
Sottrarre alle persone, uomini o donne che siano, la possibilità di disporre a piacimento di ciò che “appartiene” loro nel modo più intimo significa esercitare una forma di paternalismo? Qualcuno lo sostiene.

Educare il risparmiatore o il cittadino?

di Alessandro Cavalli
Sul ”Corriere della Sera” di giovedì 7 gennaio, Alberto Alesina ha proposto che per aprire un conto corrente bancario si debba disporre di una “patente finanziaria” che attesti l’acquisizione di un minimo di competenze in materia, onde evitare di farsi imbrogliare da promotori finanziari poco scrupolosi o addirittura disonesti. Le crisi bancarie di questi mesi hanno riproposto una questione che già da tempo preoccupa il mondo finanziario e bancario, non solo italiano: come vendere prodotti finanziari sempre più complessi a una popolazione finanziariamente analfabeta.
Già dal 2011 l’Ocse ha istituito un International Network for Financial Education che ha promosso varie indagini sulle competenze finanziarie in diversi Paesi. Sull’esempio dell’Ocse, in Italia l’Abi, attraverso il Consorzio Patti chiari, ha affidato a un gruppo di ricercatori delle Università Cattolica e Bicocca di Milano il compito di esplorare Le competenze economico-finanziarie degli italiani (Bancaria Editrice, 2014). In questo ambito, gli italiani ottengono punteggi più bassi rispetto ai partner europei, tuttavia le distanze non sono drammatiche; piuttosto si evidenzia chiaramente che gli uomini sono assai più competenti delle donne e che c’è una forte correlazione della competenza in materia finanziaria con l’istruzione e il reddito disponibile. Ma probabilmente erano dati immaginabili.

Quo vadis Cina? Perché finisce la politica del figlio unico

di Cristina Carpinelli
Spinta dal timore che l’invecchiamento della popolazione possa compromettere la crescita economica del paese, la leadership del partito comunista cinese ha messo fine alla politica del “figlio unico”. Ora tutte le coppie sposate potranno avere due figli.
L’imposizione del figlio unico era stata una scelta politica voluta alla fine degli anni Settanta da Deng Xiaoping per garantire che “i frutti della crescita economica non fossero divorati dalla crescita della popolazione”. Una scelta che soprattutto nelle campagne significò un aumento smisurato degli aborti forzati e degli infanticidi. La popolazione rurale si era mostrata riluttante di fronte alla limitazione delle nascite, sia per ragioni economiche - necessità di disporre di forza lavoro per i campi - sia per fedeltà ai valori tradizionali. Nella Cina rurale, nel 1983, tra le donne sposate in età fertile, le madri di un figlio unico rappresentavano solo la minoranza, il 13%. Molte erano le donne che partorivano di nascosto con la complicità della cerchia familiare. Di fronte a queste resistenze, i metodi delle autorità furono brutali. Secondo alcune fonti, nel 1984, si registrarono 9 milioni di aborti, contro 18 milioni di nascite[1].

Vivo o morto? Il centrosinistra della discordia

di Eleonora Martini
Il centrosinistra, questo sconosciuto. Morto e sepolto dalle scelte politiche del Pd di Renzi per alcuni, per altri è invece ancora vivo e vegeto nelle esperienze di governo dei territori, perfino in una città come Roma dove continua ad amministrare tutti i Municipi tranne Ostia, sopravvissuti al commissariamento del Campidoglio.
La diatriba dilania in particolare Sel che già litiga con Sinistra italiana, cioè con se stessa, e ieri è apparsa addirittura divisa fisicamente in due. Da una parte, i vertici nazionali di Si che da Montecitorio hanno lanciato la campagna social «#bastaipocrisia», contro i falsi appelli renziani all’unità e al voto utile a cui credono sempre meno elettori. E dall’altra, i presidenti e gli amministratori dei municipi romani di Sel che insieme a quelli del Pd hanno scelto la sala di vetro della “Casa della città” per lanciare l’iniziativa #perRoma, un dibattito pubblico che tenterà di riunire al teatro Brancaccio, il 23 gennaio, tutte quelle forze che vogliono «rimettere in campo un’opzione progressista capace di battere le destre e i populismi» alle amministrative di giugno.

Fondazioni, i soldi nascosti dei politici

di Paolo Biondani, Lorenzo Bagnoli e Gianluca Di Feo
Finanziamenti milionari ma anonimi. Un intreccio tra ministri, petrolieri, banchieri e imprenditori. Con una lunga inchiesta nel numero in edicola “L'Espresso” ha esaminato i documenti ufficiali delle fondazioni che fanno capo ai leader politici, da Renzi a Gasparri, da Alfano a Quagliarello, tutte dominate dall'assenza di trasparenza.
Nel consiglio direttivo di Open, il pensatoio-cassaforte del premier, siedono l’amico che ne è presidente Alberto Bianchi, ora consigliere dell’Enel, il sottosegretario Luca Lotti, il braccio destro Marco Carrai e il ministro Maria Elena Boschi. Il sito pubblica centinaia di nomi di finanziatori, ma omette «i dati delle persone fisiche che non lo hanno autorizzato esplicitamente».

La guerra della Turchia contro i Curdi

di Vijay Prashad
Una guerra verbale è esplosa tra il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il leaderdel partito di sinistra HDP (Partito Democratico del Popolo), Selahattin Demirtas. Il Demirtas è curdo e guida un partito unisce le forze nazionali curde e i gruppi di sinistra della Turchia. Fino a tempi recenti, lui e l’HDP hanno domandato più diritti per la popolazione curda all’interno della Turchia invece di una creazione di uno stato curdo fuori della Turchia. I Curdi in Turchia sono sparsi in tutto il paese, con Istanbul che ne ha la maggiore concentrazione (1 milione). Cionondimeno, la maggioranza della popolazione curda vive nel sud-est del paese che è stato l’epicentro delle richieste di autodeterminazione. Alla fine di dicembre Demirtas ha appoggiato una risoluzione approvata dal Congresso Democratico della Società (DTK) che ha ripetuto una vecchia richiesta di creazione di “regioni autonome” curde e di “organismi di auto-governo”. Erdogan ha definito “tradimento” l’azione di Demirtas.

Luis Salas, l’uomo nuovo dell’economia venezuelana

di Geraldina Colotti
L’uomo nuovo del chavismo è lui, Luis Salas, nominato da Nicolas Maduro Vicepresidente per l’Area economica. Un economista di 39 anni (intervistato dal manifesto l’8 giugno del 2015) che promette di prendere di petto i problemi dell’economia venezuelana. Obiettivo strategico del nuovo gabinetto presentato in questi giorni è quello di consolidare un’economia produttiva, democratica e non speculativa: senza ricorrere a tagli e aggiustamenti — proposti anche da alcuni governi progressisti latinoamericani, come per esempio il Brasile — che colpirebbero i settori popolari.
Il prezzo del barile continuerà a scendere e quest’anno tutti paesi dipendenti dal petrolio affronteranno un contesto difficile. Particolarmente complicato il quadro del Venezuela, paese petrolifero che, nonostante i passi avanti e le buone intenzioni, non è ancora riuscito a emanciparsi dalle importazioni: sicuramente per via del grande aumento dei consumi, dovuto a quello del benessere di settori che prima non avevano di che nutrirsi.

Protesti? Ti licenzio! Il lavoro coop ai tempi del Jobs Act

di Ernesto Milanesi
Ancora «schiave della monnezza» proprio come nel 2008 alla Star Reciclyng nella zona industriale di Padova. Di nuovo donne marocchine, piegate otto ore sui rifiuti a caccia della plastica riciclabile. Sempre lavoro “coop”, l’anticamera del Jobs Act, in un capannone grigio a San Bortolo, periferia di Monselice, angolo al confine con l’eterna depressione del Polesine.
«Sono stata licenziata soltanto per avere difeso un mio diritto», sintetizza Lubna Belhouidue, 34 anni con un figlio di 11. Da dieci anni si guadagna da vivere alla Nek, trasformando le gigantesche “torri” di materiale indistinto che campeggiano nel cortile. Devono diventare come le mega-balle ordinate vicino al cancello a seconda del colore, del tipo di plastica e delle procedure di “rivitalizzazione”. Un business ecologico che si fonda sullo sfruttamento selvaggio della mano d’opera femminile migrante.

Germania e rifugiati: bersaglio grosso

di Sebastiano Canetta
Un sex mob a orologeria. La violenza di massa alle donne, nella festa di Capodanno, “esplode” in ritardo prima sulla stampa di mezza Europa e poi nei palazzi della politica tedesca. E ora fioccano arresti, licenziamenti, parole di fuoco e rapporti ufficiali.
Ieri la polizia federale ha confermato l’identificazione di 31 sospetti tra cui 18 richiedenti asilo. Si tratta di 9 algerini, 8 marocchini, 4 siriani, 5 iraniani, un iracheno, un serbo e un cittadino americano. Sono accusati di furto e lesioni fisiche. Nessuno dei rifugiati, per il momento, sembra formalmente implicato nelle violenze sessuali, mentre due persone risultano già rilasciate. E il ministro dell’interno Thomas de Maizière (Cdu) silura il capo della polizia di Colonia Wolfgang Albers, che va in pensione anticipata, e comincia a squadernare l’«anomala» sequenza temporale delle informazioni.

Dal materialismo storico ai rettiliani: il complottismo come forma di resistenza

di Riccardo Fabiani
Il numero di teorie del complotto reperibili online è quasi infinito – si va dalle insinuazioni sugli attentati dell’11 Settembre, basate su contraddizioni e incongruità nella versione ufficiale dei fatti accaduti quel giorno, agli approcci più fantasiosi, che spesso includono ebrei, massoni, banchieri, Illuminati fino addirittura ai “rettiliani”. Le teorie del complotto non sono certo nate adesso: basti pensare ai celebri “Protocolli dei Savi di Sion” per trovare un facile antecedente.
Ci sono, poi, numerosi complotti che si sono rivelati in parte o interamente veri, come per esempio il trattato segreto fra Francia, Regno Unito e Israele nella guerra di Suez del 1956, o i depistaggi degli anni di piombo in Italia. Costa distingue questi complotti da altri approcci, che ci sembrano invece più fantasiosi? I “complottisti” tendono ad interpretare l’interezza del reale attraverso un’unica (o a volte molteplici) teoria, mentre le cospirazioni dimostrate dalla storia sono spesso quasi sempre limitate nel tempo e nello spazio.

Come indebitarsi nel 2016 e vivere (poco) felici

di Matteo Bortolon
L’obiettivo è «ridurre il rapporto debito/pil, dopo sette anni di crescita ininterrotta’». Non è precisamente una novità. Dai tempi dell’esecutivo guidato da Mario Monti, grande celebratore della «’cultura della stabilità’» patrocinata già da Ciampi, la riduzione del debito pubblico rimane sempre l’obiettivo sperato, promesso ed auspicato. Raggiunto, mai.
Adesso il ministero dell’Economia ha diffuso le Linee guida per la gestione del debito 2016, e in esse campeggia la promessa che nel 2016, finalmente, questo benedetto debito scenderà. Sarà vero?
Ogni anno riparte la giostra del debito: lo Stato emette titoli di varia natura, prendendo soldi a prestito, e incassa; al contempo deve far fronte a quelli che, emessi precedentemente, vanno in scadenza: chi ha prestato all’erario pubblico deve essere pagato, insomma; e qui lo Stato invece deve pagare. Per cui calcolando la differenza fra dare e avere dovrebbe essere possibile capire se il debito scenderà o salirà.

I movimenti e la fine delle democrazie

di Raúl Zibechi
Nel primo articolo scritto nel 2016, il Premio Nobel dell’Economia Paul Krugman analizza le conseguenze del dominio dell’oligarchia del denaro nel sistema politico del suo paese (gli Stati Uniti, ndt). Dopo aver titolato “Privilegi, patologia e potere” (The New York Times, 1 gennaio 2015), sostiene che “i ricchi sono, in media, meno propensi a mostrare empatia e a rispettare le norme e le leggi, ma più propensi all’infedeltà, di coloro che occupano i gradini più bassi della scala economica”. Non si tratta solo di una condizione sociale e culturale, e meno ancora di una tendenza spirituale, visto che Krugman centra la sua analisi nella risposta a una domanda chiave: “Che accade a una nazione che assegna sempre più potere politico ai super ricchi?”.
La risposta viene impreziosita dagli esempi. Nella prima parte della campagna elettorale per il voto del 2016, la metà delle contribuzioni a tutti i candidati vengono da meno di 200 famiglie facoltose. Quel tipo di famiglie ha figli il cui comportamento Krugman definisce “egocentrico e maleducato”.

A questo punto il capitalismo potrebbe serenamente morire di vecchiaia

di Maitre_à_panZer
Se chiamiamo capitalismo il modo in cui, in larga prevalenza, si sono organizzate economicamente le nostre società, allora non servirà una rivoluzione per lasciarcelo alle spalle. Il capitalismo, che si evolve come un qualunque organismo socioeconomico, potrebbe morire di morte naturale, quindi di vecchiaia, come un qualunque organismo biologico, rimanendo ironicamente vittima del suo successo.
Chi guarda all’economia come a un processo di evoluzione istituzionale non rimarrà sorpreso. Chi ancora legge Sombart e la straordinaria epopea del suo Il capitalismo moderno, sa bene che tale organizzazione socioeconomica ha conosciuto una lunga evoluzione nel corso dei secoli che, al tempo in cui scriveva, siamo nei primi venti anni del XX secolo, culminava nel tardo capitalismo, dopo aver attraversato il primo capitalismo e il capitalismo maturo. Dai tempi di Sombart, l’evoluzione ovviamente ha proseguito il suo cammino e ormai siamo entrati in quello che potremmo definire il capitalismo senescente.

Arabia Saudita e Iran, l'ultima farsa dell'Onu

di Fulvio Scaglione
Da quello di organizzazione impotente a tutto, le Nazioni Unite stanno scivolando verso lo status di teatrino dei pupi. Non contenta del nulla finora prodotto su tutte le maggiori crisi internazionali (dalla Siria ai rapporti tra Israele e Palestina fino alla tragedia delle migrazioni), l’Onu è riuscita a schierarsi nel contrasto tra Arabia Saudita e Iran, mettendosi senza pudore e senza timore per le conseguenze dalla parte dei sauditi.
Abbiamo visto come sono andate le cose. L’Arabia Saudita ha giustiziato 47 persone in un giorno, tra le quali lo sceicco sciita Nimr al-Nimr e altri prigionieri responsabili di essere oppositori del regime. L’Iran ha protestato e, a Teheran, la folla ha dato l’assalto all’ambasciata dell’Arabia Saudita nella capitale a un consolato nella città di Mashad. Le autorità iraniane hanno arrestato a Teheran 40 persone e hanno pubblicamente detto di non voler tollerare altre manifestazioni. Nondimeno, l’ Arabia Saudita ha rotto i rapporti diplomatici, subito seguita nella decisione dal Bahrein, mentre il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti hanno sospeso i rapporti politici con la Repubblica degli ayatollah.

I finti successi del Jobs Act e la maledizione del "merito"

di Giorgio Cremaschi 
Il governo festeggia gli ultimi dati ISTAT che certificano una certa ripresa dell'occupazione, anche se essa è la più bassa d'Europa e comunque non intacca il livello consolidato della disoccupazione di massa. Questo dato però va intrecciato con quello appena fornito da Eurostat, che ci dice che più della metà dei laureati italiani non trova lavoro. Aggiungiamo infine la crescita vertiginosa dell'emigrazione giovanile contabilizzata pochi giorni fa. 
Se questi dati li prendiamo assieme possiamo trarre un giudizio di sintesi. Dopo anni di caduta libera dell'occupazione le imprese sopravvissute alla crisi hanno deciso di sistemare gli organici, per camminare sul fondo della stagnazione economica. Lo hanno fatto contando su due agevolazioni di fondo: il gigantesco finanziamento a fondo perduto per assunzioni a tempo indeterminato e la libertà di licenziamento garantita dal Jobsact. 

L’unione bancaria e la mezzogiornificazione della periferia

di Thomas Fazi 
In un recente articolo scrivevo che gli eventi delle ultime settimane sembrano confermare l’analisi fatta un anno fa da Emiliano Brancaccio secondo cui l’unione bancaria entrata in vigore il 1° gennaio 2016 – ed in particolare la famigerata norma sul bail-in (di cui abbiamo avuto un assaggio in Italia con il recente decreto “Salvabanche”) – determinerà un’escalation del processo di “centralizzazione” dei capitali bancari in Europa, ossia ad una resa dei conti definitiva tra i capitali più fragili dislocati soprattutto nel Sud Europa ed i capitali più forti situati prevalentemente in Germania. Questo perché l’unione bancaria, così come è costruita, non riduce ma enfatizza le asimmetrie tra i sistemi bancari dell’eurozona. Vediamo di capire perché.
A prima vista, la norma sul bail-in – che prevede che siano sostanzialmente impediti gli aiuti di Stato alle banche in crisi, e che in caso di dissesto di una banca siano chiamati a pagare in primo luogo gli azionisti, poi gli obbligazionisti ed infine i depositanti – potrebbe apparire lodevole, se non addirittura rivoluzionaria: finalmente si pone fine alla logica dei maxi-salvataggi bancari a spese dei contribuenti che tanto abbiamo criticato in questi anni, no?

Ascesa e declino nella storia economica d’Italia

di Raffaele Danna
La storia economica è un campo di studi che sta attraversando un notevole fermento. Da un lato, in seguito alla volontà di ampliare l’evidenza economica a nostra disposizione, si sta verificando su scala internazionale un crescente sforzo di ricostruzione di serie storiche quantitative (indirizzo di studi che va sotto il nome di ‘cliometrica’). Dall’altro, a partire dalla storia economica, si sono sviluppati interessanti concezioni alternative della politica economica e del suo ruolo nello sviluppo economico (approcci che possono essere raccolti nell’ambito della cosiddetta ‘New Institutional Economics’).
All’interno di queste ricerche diversi studiosi hanno iniziato a indagare approfonditamente anche la storia economica d’Italia, riuscendo a ricostruire un quadro, prima in larga parte ignoto, degli andamenti dei principali indicatori macroeconomici e sociali del nostro paese (reddito, disuguaglianza, povertà, divari regionali, condizioni di vita, andamento dei principali settori).

Le tasse sono il lusso dei poveri

di Giorgio Cremaschi
La propaganda di regime presenta come un grande successo del governo il fatto che la Apple si sia accordata con il fisco italiano per pagare una parte delle tasse finora eluse. Vediamo i conti.
Con il trucco della sede fiscale all'estero, pare in Irlanda, la casa della mela morsa non ha pagato allo stato italiano 880 milioni di euro.
Ora l'accordo raggiunto prevede il saldo di 318 milioni di euro. Cioè la Apple risparmia definitivamente 562 milioni di euro di tasse dovute che non pagherà mai... Sono una montagna di soldi con cui si potrebbero sostenere un bel po' di servizi pubblici che invece dovranno subire altri tagli.

Le politiche attive del lavoro: il grande affare delle agenzie private

di Viviana Ruggeri
L’articolato processo di riforme voluto dalla Commissione Europea ed agito pedissequamente dal Governo Renzi, ha visto nel 2015 un anno di svolta preoccupante, quello in cui lavoratori e cittadini hanno subito la spinta più severa verso un modello di sviluppo del paese in direzione neoliberista: meno diritti dentro e fuori il mercato del lavoro, meno Stato e più Mercato, meno inclusione sociale e più competizione, meno corpi intermedi e più soggettività, meno libertà (compreso il diritto di sciopero) e più controllo sociale. Il tutto in nome del superamento di una crisi, quella che il sociologo Gallino ha brillantemente definito il colpo di stato della banche e delle multinazionali. Ma il 2015 è stato al contempo, l’avvio dell’attuazione di quella programmazione comunitaria 2014-2020[1] (fondi strutturali) che avrebbero potuto costituire per il nostro paese un importante braccio finanziario (circa 123 miliardi di euro per il settennio), un’occasione di investimento nella costruzione di nuovo lavoro attraverso un coraggioso piano industriale, mitigando al contempo, gli effetti che la crisi ha prodotto in termini di progressive e sempre più laceranti diseguaglianze sociali ed economiche.

venerdì 8 gennaio 2016

Quale lavoro per i giovani

di Nadia Urbinati
Scriveva Gramsci il primo gennaio di cento anni fa di odiare i capodanni «a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione»; che fanno perdere «il senso della continuità della vita », facendo credere che tra anno e anno incominci una nuova storia con “propositi” di cambiamento e correzione di vecchi errori. Ma poi, ogni nuovo anno si rivela essere sempre un vecchio anno. Questa rappresentazione si adatta bene a chi, nonostante si sforzi di non cadere nel gufismo, si imbatte nei dati Eurostat da poco resi noti, e si accorge di una realtà effettuale che non consola e, soprattutto, non consente evasioni.
I dati confermano la invariabilmente sconfortante condizione (non)lavorativa giovanile. Il trend negativo persiste e riguarda soprattutto coloro che hanno già concluso gli studi universitari (dai 25 ai 34 anni), per i quali l’inattività continua ad essere alta e, anzi, ad aumentare: il livello cresce costantemente da dieci anni, passando dal 21,9% nel 2004 al 27% nel 2014 e al 27,6% nel 2015.

Quella sobria cura della verità

di Stefano Petrucciani
Quello dell’intellettuale critico e non conformista non è mai stato un mestiere facile. Uno che lo ha praticato con coerenza e lucidità dagli anni Sessanta del Novecento fino alla sua scomparsa avvenuta nel 2013 è stato Tito Perlini, di cui esce in questi giorni, per l’editore Aragno, una cospicua raccolta di scritti (Attraverso il nichilismo. Saggi di teoria critica, estetica e critica letteraria, prefazione di Claudio Magris, introduzione e cura di Enrico Cerasi, pp. 800, euro 40). L’itinerario intellettuale di Perlini, che l’ampia raccolta consente di ripercorrere nel suo complesso, è stato molto interessante e singolare. Perlini, che era nato a Trieste nel 1931, appartiene infatti a quel gruppo di studiosi italiani che, verso la metà degli anni Sessanta, scoprirono e importarono nel nostro Paese le tematiche della Scuola di Francoforte, allora sconosciute ai più e, anche in Germania, note molto parzialmente.
A frequentare intellettualmente e anche fisicamente Francoforte furono, in quegli anni, studiosi come Renato Solmi (di cui Quodlibet ha appena ripubblicato l’Introduzione del 1954 aiMinima moralia di Adorno), Furio Cerutti, Carlo Donolo, Gian Enrico Rusconi, che tutti diedero un contributo alla ricezione italiana del francofortismo. Ma il lavoro che, in questo campo, fu svolto da Tito Perlini, ebbe un’ampiezza senza pari.

Anthropop. Filosofie non tristi per pensare il cambiamento climatico

di Mariaenrica Giannuzzi
Qualche giorno prima degli attentati di Parigi si era chiuso il convegno“Comment penser l’Anthropocène?”, (5-6 novembre, Collège de France, Paris), gentilmente patrocinato da Monsieur Hollande, in vista del COP21 – la conferenza sul clima, dove le potenze economiche mondiali avrebbero preso misure contro il cambiamento climatico. Ma quali teorie dell’ambiente e del Sistema-Terra sono alla base del COP21? Di cosa parliamo quando l’ambiente è inteso come ecosistema globale?
La teoria dell’esistenza di un ecosistema globale è al centro di una unificazione disciplinare che dagli anni ’90 avviene intorno alla categoria di antropocene. Che in prima istanza significa la possibilità di descrivere un ambiente globale in termini economici, e solo di conseguenza, ecologici. Insieme all’idea di un sistema di produzione globale, che gli ecologisti raramente chiamano capitalismo, è nata anche la critica di questa ecologia sistemica.

Colonia, la violenza di serie b

di Chiara Saraceno
C’è indubbiamente una cultura maschile prepotente, un po’ animalesca e violenta alle origini dell’aggressione di massa alle donne avvenuta la notte di San Silvestro a Colonia. Non importa se – come sembra abbia detto ieri il ministro degli interni, quasi si trattasse di un fatto meno grave - le aggressioni sessuali sono state un mezzo al fine di derubare o se siano state esse stesse un fine. Non fa differenza dal punto di vista delle vittime, ma neppure da quello degli aggressori. Strumento o fine, per gli aggressori violare il corpo, l’intimità delle donne che si trovavano a passare è stato considerato possibile, lecito, solo per il fatto che quelle donne erano lì, letteralmente a portata di mano. 
Purtroppo sappiamo che anche nella civilissima e democratica Europa è una forma di cultura maschile che resiste in proporzioni ben maggiori di quanto non ci piacerebbe pensare e che è sedimentata anche in persone che pure non aggredirebbero mai sessualmente una donna e condannano quel tipo di violenze – come, sembra, lo stesso Ministro degli interni tedesco con i suoi distinguo insultanti per le vittime. 

La cultura dell'odio

di Duccio Facchini
“Per invaderci meglio inventano i migranti climatici”. Con questo titolo il quotidianoLibero ha riassunto a metà ottobre la ricerca “Migrazioni e cambiamento climatico”,curata da Cespi, Focsiv e Wwf Italia e contenente dati dell’Internal displacement monitoring Centre (Idmc). Per la testata, il dato relativo a 157 milioni di persone costrette nel mondo a spostamenti forzati e dovuti agli effetti dei cambiamenti climatici tra il 2008 e il 2014, altro non è che una “marea umana” che si “sposta per via del meteo” sui “barconi” per colpa dei soliti “teorici del riscaldamento globale”. In pagina, la parola “invasione” è scritta ovunque con la “i” maiuscola, “clima” e “meteo” si confondono e la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, diventa “Lady Invasione”. La testatina rilancia l’“allarme invasione”, e l’occhiello ricorda al lettore “la nuova ondata”. Tutto questo non è il cosiddetto“hate speech” che impera in diffuse aree del web, ma il linguaggio di alcuni organi di informazione del Paese.

I giapponesi sono pacifisti

di Lorenzo Guadagnucci
L’articolo 9 della Costituzione giapponese fu imposto dagli Stati Uniti d’America appena un anno dopo Hiroshima e Nagasaki. Il Paese che aveva terrorizzato l’Asia con il suo bellicismo, diventava pacifista. Era il prezzo da pagare per la sconfitta subita nella guerra combattuta a fianco dei nazisti e dell’Italia fascista. Ecco l’articolo 9: “Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire l’obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto”. 

No Tav e terrorismo: diario di un processo


di Eric Gobetti 
15 ottobre 2015, prima udienza
Sono uno storico della Jugoslavia nel Novecento. Non so niente di processi e poco di movimento NO TAV. Un collega di Firenze mi ha chiesto di seguire il processo per lui: si tratta dell'ultima fatica del Procuratore Maddalena e di un importante causa attorno al concetto di “reato di terrorismo”. Arrivo trafelato, dopo essermi perso un paio di volte. L'udienza si tiene, per ragioni di ordine pubblico, nell'aula bunker del carcere delle Vallette, a Torino. Questo luogo si trova in estrema periferia, senza la facilità di accesso e la visibilità pubblica che avrebbe avuto l'enorme palazzo di Giustizia di corso Vittorio Emanuele. Ciononostante al presidio di solidarietà NO TAV sono presenti almeno 100-150 persone con bandiere, striscioni e musica. Appartengono in maggioranza a due generazioni: giovanissimi (18-25 anni) e semi-pensionati (60-75 anni). Manca la generazione di mezzo, per ragioni di orario, credo.

Chi ha paura di Facebook?

di Lea Melandri
Non si può liquidare come trionfo del narcisismo un fenomeno (Facebook) che sta abbattendo tante barriere – pudore, riservatezza, vergogna, banalità, insignificanza, ecc. –, che muove un arco imprevedibile di sentimenti, pensieri, fantasie, desideri, sogni, che gioca sulla dipendenza e la seduzione, sul bisogno di affetto e di condivisione.
Il selfie, venuto per ultimo nella sfida al “privato più privato”, forse può offrire una chiave interpretativa meno scontata e liquidatoria. Se lo specchio e l’autoritratto – nell’arte, nella fotografia – rimandano un’immagine fissa, costruita del sé, lo scatto rapido e mobilissimo di uno smartphone si affida alla sorpresa, all’immagine rubata a un “sottosuolo” emotivo, imprevedibile.

Ecco chi e perché fa la guerra a BCC e banche popolari

di Guido Salerno Aletta 
Ohibò! A leggere i dati della Banca d’Italia, le banche “minori” battono i primi cinque gruppi bancari, sia per le minori sofferenze in percentuale sugli impieghi, sia per il più contenuto tasso di copertura delle rettifiche.
Il Rapporto sulla stabilità finanziaria fornisce un quadro ben diverso da quello che ora va di moda, secondo cui ci sarebbero troppe “banche di paese”, troppe poltrone e soprattutto troppi vertici che, senza averne le capacità, si darebbero arie da gran banchieri. Prendiamo i dati delle sofferenze, in percentuale sugli impieghi: nelle banche minori sono del 9,5%, mentre nei primi cinque gruppi bancari arrivano al 10,8%. Vale anche per i crediti comunque deteriorati: nelle banche minori sono pari al 18,1%, mentre sono del 18,4% nelle prime cinque banche.

Le multinazionali si divorano tra loro

di Silvia Ribeiro 
La fusione tra Monsanto e Syngenta, due delle maggiori e combattute imprese di sementi transgeniche e di agrotossici a livello mondiale, sembrava una brutta fantasia. Oggi, probabilmente, è solo una delle spettacolari fusioni che si stanno per verificare. Sebbene la Syngenta abbia rifiutato per la seconda volta [la proposta] della Monsanto – vuole più soldi -, alcuni giorni fa altri due giganti, DuPont (proprietaria della Pioneer) e Dow Chemicals, si sono accordate sulla loro fusione. È appena una parte dello scenario: i piani delle corporation vanno ben oltre, inseguendo il controllo di settori chiave e sempre più grandi della produzione agroalimentare.
Nel 1981, il gruppo ETC (che allora si chiamava RAFI) denunciò che le imprese agrochimiche stavano comprando quelle sementiere e che il loro obiettivo era sviluppare colture resistenti ai propri pesticidi, al fine di creare dipendenza da parte degli agricoltori e vendere più veleni, il loro commercio più lucroso.

L’accordo sul clima di Parigi: obiettivi ambiziosi, strumenti inadeguati

di Roberto Palea
Si tratta di un appello che richiede una risposta volontaria, per quanto responsabile, sui quali contenuti nessuna autorità terza è in grado di intervenire, nel rispetto più assoluto della sovranità nazionale di ciascuno Stato che fa parte della COP 21. .. I mezzi finanziari previsti per il Green Climate Fund (istituito dalla Conferenza sul Clima di Cancún del 2010), 100 miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2020, risultano insufficienti.. È impossibile esprimere “insieme” qualsiasi politica comune tra 195 Stati nel settore ambientale, senza preordinare un’istituzione sopranazionale cui venga demandata l’attuazione di detta politica comune, adeguatamente finanziata. .. Agenzia o di un’Organizzazione mondiale per l’ambiente sotto l’egida dell’ONU, sovraordinata rispetto agli Stati della COP.
L’accordo sul clima di Parigi del 12 dicembre 2015 va considerato di portata “storica” non solo perché “universale”, in quanto approvato da quasi tutti i paesi della Terra (195 Stati), ma perché questi hanno riconosciuto (sebbene con almeno 20 anni di colpevole ritardo) che il riscaldamento globale è un fenomeno di dimensioni mondiali e quindi va affrontato “insieme” da tutti.

La piccola utopia di un lungo sodalizio

di Giampaolo Cherchi
«Chiaro e semplice fu il nostro cammino. Ci amavamo, volevamo fuggire la società, volevamo cercare la verità – ci incontrammo, ci demmo la mano e agimmo secondo la nostra religione. Eravamo liberi da qualsiasi pregiudizio, facemmo senza paura ciò che spirito e cuore ci riconoscevano come giusto – indipendentemente dall’abitudine della realtà – virtuosamente secondo il nostro sentire.». Sono le parole di un racconto giovanile (Île heureuse) di Max Horkheimer, futuro direttore dell’Istituto di Ricerca Sociale di Francoforte sul Meno. Esprimono il desiderio utopico di una vita lontana dalle convenzioni borghesi del disciplinamento e della repressione dei piaceri, così come l’urgenza e il bisogno di un’esperienza di vita diversa, libera, piena ed autentica. Si tratta di parole che non vanno isolate e bollate come un capriccio adolescenziale, ma poste in relazione con la riflessione di Horkheimer degli anni a venire, per il quale il tema dell’oltrepassamento e della de-reificazione del soggetto borghese, della critica al dominio e alla sublimazione delle passioni, rappresenterà una costante della sua attività speculativa.

La stampa di moneta non ha causato inflazione ma… deflazione

di Wolf Richter 
Mi è stato chiesto, ancora una volta, perché tutta questa “stampa di moneta” da parte della Federal Reserve, insieme col tasso di interesse globale a zero (se non addirittura sotto zero), non abbiano causato una grande fiammata inflazionistica, considerata l’inondazione di moneta nel sistema economico.
È una domanda cruciale che per un po’ di tempo ha dato molto da pensare, ma ora che questa storia si trascina ormai da sette anni, rimbalzando da una importante banca centrale all’altra senza che se ne veda la fine, la risposta è sempre più chiara.
Questo grafico di NBF Economics and Strategy mostra la crescente massa di attività, espresse in dollari, che le “quattro grandi banche centrali” – Fed, BCE, Banca del Giappone e Banca d’Inghilterra – hanno accumulato nei loro bilanci: circa $11mila miliardi.

L’anno che verrà: il 2016 fra appuntamenti politici e scadenze internazionali

di Nicolò Carboni 
Il 2016 sarà un anno impegnativo.
Dopo aver evitato il collasso economico e, almeno per il momento, quello culturale, il nostro continente entra nel nuovo anno con più dubbi che certezze: Schengen, la ripresa economica, le relazioni con Russia, America e Medio Oriente, tutti i fattori contribuiscono a creare uno spazio pubblico frammentato, difficile da interpretare.
Nel frattempo attorno a noi la situazione si fa sempre più complessa: Le tensioni siriane si stanno rapidamente estendendo all’intera area del golfo mentre la Cinatrema sotto le avvisaglie di una possibile crisi finanziaria di proporzioni terribili. Al di la dell’Atlantico tutte le attenzioni sono concentrate sulle elezioni negli Stati Uniti, la sfida fra democratici e repubblicani rischia di diventare incendiaria, soprattutto qualora il fronte conservatore scegliesse un candidato incendiario come Trump o Cruz.

Le coppie, l’amore e il Parlamento

di Letizia Paolozzi
La donna ama l’uomo; l’uomo ama la donna. Aspirano a un destino comune: fino a qualche tempo fa, questo destino era coronato da marcia nuziale, fiori d’arancio e poi da uno (o più) bambini. Ripeto: «Fino a qualche tempo fa». Giacché oggi la voglia di sposarsi scarseggia. Nel 2013, per la prima volta, i matrimoni in Italia sono stati meno di 200 mila, cioè 194.057. Il 42,5 % civili, mentre aumentano le convivenze e insieme le LAT (Living Apart Together), cioè coppie che stanno insieme però ognuno sotto il proprio tetto (libertà va cercando, ch’è sì cara?)
Tanto per avere un’idea del cambiamento: 246.613 i matrimoni nel 2008. Nel 1965, 399 mila, di cui solo 1,3% civili. Dopodiché, negli anni della crisi sono anche diminuiti i figli (trend già affermato da tempo).

Hotspot, ovvero come cancellare il diritto d'asilo

Intervista a Paola Ottaviano di Alioscia Castronovo
Violazione dei diritti umani, smantellamento del diritto d'asilo e respingimenti illeggittimi: la denuncia del dispositivo degli hotspot in una intervista a Paola Ottaviano, avvocato di Borderline Sicilia.
E' di pochi giorni fa la notizia relativa alla decisione di Medici Senza Frontiere di lasciare il centro di accoglienza di Pozzallo, a causa delle degradanti condizioni e dell'assenza di garanzie minime di rispetto dei diritti fondamentali. Proprio il centro che a breve diventerà uno degli snodi del sistema degli hotspot...
"Il CPSA di Pozzallo, che funziona ufficialmente come centro di prima accoglienza, di fatto si è trasformato negli anni in un vero e proprio centro di detenzione, in cui sono stati trattenuti per settimane e mesi i migranti, senza alcun provvedimento di convalida dell' autorità giudiziaria.

Rendere visibile l’invisibile

di Paolo Do
Che cosa vuol dire mettere la periferia al centro? Quali conseguenze epistemiche, scenari teorici e implicazioni sociali comporta? Cosa viene messo a fuoco? Anzitutto, balzano agli occhi i mercati informali del mondo, scrive puntualmente Helge Mooshammer nell’introduzione di Informal Market Worlds – The Architecture of Economic Pressure, un lavoro collettivo con cui ripensare la relazione tra la società e le sue istituzioni alla luce delle disuguaglianze globali. Un volume intenso, che preserva i tratti del dibattito vivo tra differenti mondi e interroga le istituzioni dell’arte, dell’accademia, e l’attivismo politico nelle metropoli.
Una raccolta polifonica con interventi di Teddy Cruz, Alejandro Echeverri, Keith Hart, Ananya Roy, Saskia Sassen, AbdouMaliq Simone, Gayatri Spivak, Jean-Philippe Vassal tra gli altri, uscita da poco per la casa editrice olandese Nai010 indirizzata a un lettore non accademico.

Le molestie e la paura degli immigrati

di Bia Sarasini
Sono un nodo difficile da districare, le violenze dell’ultimo dell’anno avvenute nella piazza tra la cattedrale e la stazione di Colonia. Un nodo, perché sono molti gli elementi che si impigliano gli uni negli altri. Prima di tutto i fatti. Di certo ci sono le denunce delle donne colpite, la loro angoscia, le lacrime, i racconti. Poi ci sono le anomalie. Ci sono voluti giorni perché vicende così clamorose diventassero pubbliche; la polizia, in epoca di terrorismo, ha lasciato così sguarnita una zona nota per la sua pericolosità.
E si moltiplicano le domande su chi siano in realtà gli assalitori, identificati per il loro aspetto straniero e la pelle scura; se si tratta di bande organizzate, e quali fossero le loro mire. Se i furti, le donne, oppure entrambi. Gli arresti per ora sono sei, la polizia non ha ancora proposto una ricostruzione esauriente. Ma si può partire anche dalle interpretazioni, dalla politica, dalle tesi che ai fatti si sovrappongono e ne rendono difficile la comprensione.

Angela Merkel spiegata agli italiani

di Lorenzo Mesini
La centralità di Angela Merkel all’interno dell’attuale panorama politico europeo non ha sicuramente bisogno di essere sottolineata. Dalla crisi dell’Euro iniziata nel 2009, la figura della Cancelliera si è imposta quasi naturalmente, insieme al peso politico della Germania da lei guidata, all’attenzione degli osservatori internazionali e di tutti cittadini europei, sollevando giudizi e sentimenti spesso contrastanti. Lungo le principali tappe della crisi Angela Merkel ha acquisito un ruolo via via sempre più decisivo, affermando e consolidando la sua posizione di preminenza sia nello spazio europeo che all’interno della vita politica nazionale. Attualmente nessun rivale politico è in grado di mettere seriamente in discussione il prestigio di cui gode in patria. Mentre la crisi ha progressivamente eroso il consenso per i principali leader europei, la popolarità di cui gode Angela Merkel in Germania ne è uscita rafforzata sensibilmente.

Esigenza di rinnovare la classe politica spagnola

di Vincenzo Accattatis
Il segretario del partito socialista, Pedro Sánchez, non si è pentito della frase pronunciata nel corso del dibattito televisivo con Mariano Rajoy: «una sua vittoria avrebbe un costo enorme per la democrazia, perché il presidente del governo deve essere una persona onesta e lei non lo è». Frase da trasmettere agli annali: Anabel Díez, Puse voz a los españoles que creen que Rajoy debió dimitir («El Pais», 16.12.2015). Frase forte, non c’è dubbio. È parlare franco. Sánchez lo rivendica, ma per governare non basta: per governare bene bisogna saper far politica e occorre dimostrarlo. Ancora Sánchez non lo ha dimostrato.
«Era proprio necessario», chiede Anabel, «quel suo tono brusco e aggressivo?». Piú che «tono», c’è da dire. Risposta di Sánchez: il tono non era per nulla aggressivo. Dibattito «sincero e teso, visto che il governo è travolto» da una catarata de casos de corrupción. Ben detto.

La narrazione tossica del Jobs Act


di Marta Fana
Il tasso di disoccupazione a novembre segna una riduzione dello 0.2% rispetto ad ottobre, attestandosi al 11.3%, dato non compensato dalla fuga dal mercato del lavoro rappresentata dall’aumento del tasso di inattività. Il tasso di occupazione rimane stabile intorno al 56.4%, tra i più bassi d’Europa.
I dati relativi alla rilevazione sulle Forze di Lavoro, pubblicati ieri dall’Istat, non presentano rilevanti novità: il numero di occupati aumenta su ottobre di 36 mila unità, dovuto esclusivamente alla componente femminile, mentre diminuiscono i disoccupati (-48 mila) e minimamente gli inattivi (-4 mila): sono soprattutto le donne che si riattivano sul mercato del lavoro, mentre il numero di inattivi tra gli uomini aumenta di 31mila unità.