La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 12 settembre 2015

Il vento cambia e la vittoria di Corbyn spiazza la sinistra in Europa

di Lugi Pandolfi
Alla fine Jeremy Corbyn ce l’ha fatta davvero. su un totale di 422.664 votanti, ha ottenuto più della maggioranza assoluta, il 59,5%, contro il 19% di Andy Burnham, il 17% di Yvette Cooper e il 4,5% di Liz Kendall, la preferita di Tony Blayr. 66 anni, in parlamento dal 1983, si era candidato alle primarie del Labour per portare una “testimonianza” di sinistra nel confronto tra i principali sfidanti per la leadership del partito. E’ stata invece una cavalcata trionfale che lo ha portato a conquistare, prima ancora che la prestigiosa carica, il cuore di tanti militanti e cittadini inglesi, attratti dalla sua proposta politica. «Priorità ai bisogni dei meno abbienti ed ai diritti umani, per tutti» è stato il suo slogan nella campagna elettorale. Un messaggio chiaro, di rottura con la lunga stagione del blairismo, declinato in maniera puntuale nel programma che ha presentato a corredo della sua candidatura.
Stop austerità, scuola, ambiente, un nuovo welfare inclusivo ed universale, un’altra Europa: questi i temi principali della sua proposta politica. Ha parlato di un «quantitative easing per la popolazione», in alternativa alla misura “non convenzionale” che la Bce ha adottato solo per dare ossigeno al sistema bancario ed a tenere sotto controllo gli spread.

Ripartire da Gramsci

di Alberto Scanzi
Gram­sci, come risorsa per la defi­ni­zione di un nuovo sog­getto poli­tico di sini­stra. Sem­bra che si sia final­mente giunti alla deci­sione di costi­tuire in Ita­lia un nuovo sog­getto poli­tico di Sini­stra. Provo allora ad elen­care qual­che snodo deci­sivo come con­tri­buto alla discus­sione. E’ impor­tante par­tire con idee chiare, supe­rando ogni sorta di per­ples­sità e atten­di­smo. In que­sto con­te­sto ci può aiu­tare la ric­chezza dell’attività gior­na­li­stica e poli­tica di Gram­sci degli anni tori­nesi. Le que­stioni affron­tate, poi, da Gram­sci nei Qua­derni, sono tante e com­plesse che riman­dano ai temi di stretta attua­lità dei giorni nostri, là dove Gram­sci descrive una classe bor­ghese che diventa casta, e per man­te­nersi tale, non esclude l’opzione della guerra. Né vanno sot­to­va­lu­tati i temi sto­rici della «teo­ria della prassi» e i nodi con­cet­tuali di «società civile», «ege­mo­nia», «rivo­lu­zione passiva».
Vor­rei però oggi sof­fer­marmi sull’analisi gram­sciana di «coscienza di classe» e «ruolo e fun­zione del par­tito». Come spunto di rifles­sione per la costru­zione in Ita­lia di un nuovo sog­getto poli­tico a Sini­stra, che riven­di­chi non solo i diritti civili ma anche l’eguaglianza sociale.

Grecia-Europa, cambiare è possibile?

di Rossana Rossanda
L’estate del 2015 resterà una data fatale per l’Unione europea. È la prima volta che è emersa la possibilità che un paese esca dalla zona euro e nel medesimo tempo la crisi greca ha dimostrato, malgrado il ricordo di tutti i padri costituenti, che la vera natura della Ue non è di essere una comunità destinata ad aiutare in modo concertato lo sviluppo e l’integrazione dei suoi diversi stati, ma una super contabilità delle loro economie pubbliche in vista di costituire un grande mercato con regole ferree, funzionando come una super banca oppure andarsene. Non si tratta di aiutarsi a superare debolezze storiche mettendosi in condizioni di crescere, ma di garantire che ogni credito sia rimborsato, rigidamente nei tempi previsti dai trattati o simili. Non per caso l’indice di sviluppo degli stati del sud oscilla dallo zero virgola all’uno virgola, cioè al di sotto di ogni possibilità di crescita.

Cinque anni tra crisi e alternative

di Luciana Castellina
Sono oramai quasi cinque anni da quando è deflagrato il problema greco, reso clamoroso dalla crisi mondiale ma da quella solo in minima parte causato: già da quando il paese, nel 1981, era entrato nella Comunità europea, primo fra i nuovi sud mediterranei, era risultato evidente che l’allargamento a questa nuova zona dell’Europa avrebbe dovuto indurre cambiamenti di non poco conto nella politica di Bruxelles. Con l’ingresso della Grecia, e qualche anno dopo della Spagna e del Portogallo, tutti e tre peraltro appena usciti dalla dittatura, la nord-centrica entità avrebbe dovuto fare i conti con un ineludibile problema: quello nord-sud (cui solo l’Italia era familiare). Che molti di loro avevano conosciuto solo nei termini del colonialismo.

La «scatola nera» del declino italiano

di Roberto Romano
L’Italia è un paese che mani­fe­sta segni di debo­lezza in tutti gli indi­ca­tori eco­no­mici. Il Paese, anno dopo anno, si allon­tana sem­pre di più dall’Unione Euro­pea, cumu­lando un ritardo che inter­roga la strut­tura pro­dut­tiva. Le cause sono molte, ma quella della spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva è un nodo trat­tato male e, spesso, superficialmente.
La pub­bli­ci­stica denun­cia l’insufficiente domanda a soste­gno del sistema pro­dut­tivo, con una ridu­zione secca di lavoro, come prin­ci­pale effetto della crisi, ma qual­cosa di più pro­fondo si nasconde nella sca­tola nera della man­cata cre­scita. «Molti attri­bui­scono la bassa cre­scita del Pil alla carenza di domanda. Non è così. L’Istat dice che nel secondo tri­me­stre i con­sumi si sono risve­gliati con una cre­scita dello 0,4 per cento. Il guaio è che la mag­giore domanda è sod­di­sfatta più dalla pro­du­zione estera (le impor­ta­zioni) che da quella interna» (F. Daveri). Gli inve­sti­menti delle imprese ita­liane non sono la prin­ci­pale causa del declino ita­liano; indi­scu­ti­bil­mente hanno regi­strato un calo vistoso, come in tutti i paesi euro­pei, ma le imprese non inve­stono se le pro­spet­tive di pro­fitto sono negative.

Il nostro piano per rompere con questa Europa

di Stefano Fassina, Yanis Varoufakis, Oskar Lafontaine e Jean-Luc Mélenchon
Il 13 luglio scorso, il governo democraticamente eletto di Alexis Tsipras è stato messo in ginocchio dall'Unione europea. "L''accordo" del 13 luglio è stato in realtà un coup d'état, messo in atto attraverso la chiusura delle banche greche indotta dalla Banca centrale europea, con la minaccia che non sarebbero state riaperte finché il governo non avesse accettato una nuova versione di quel fallimentare programma. Il motivo? L'Europa ufficiale non poteva tollerare che un popolo prostrato dalle sue politiche di austerità auto-distruttiva osasse eleggere un governo determinato a dire "No!".
Ora, con più austerità, più svendite di beni pubblici, con politiche economiche sempre più irrazionali e politiche sociali improntate ad una sfacciata misantropia di massa, il nuovo Memorandum può servire solo a peggiorare la Grande Depressione in Grecia e a consentire che la ricchezza della Grecia sia saccheggiata a vantaggio di interessi privati interni ed esterni.

Il diritto di sognare

di Slavoj Zizek
Nel suo saggio “La morte e il morire” Elisabeth Kübler- Ross proponeva il famoso schema delle cinque fasi con le quali reagiamo alla notizia di avere una malattia terminale, ovvero negazione, rabbia, negoziazione (la speranza di poter rimandare in qualche modo il fatto), depressione, accettazione.
La reazione dell’opinione pubblica e delle autorità dell’Europa occidentale al flusso di rifugiati proveniente da Africa e Medio Oriente non è una mescolanza alquanto simile di reazioni disparate? C’è (sempre meno) la negazione: «Non si tratta di un fenomeno così serio, basta ignorarlo ». C’è la rabbia: «I rifugiati sono una minaccia per il nostro stile di vita, tra di loro si nascondono fondamentalisti musulmani, dovrebbero essere fermati a tutti i costi».

Capitalismo vs. democrazia

di Michael Löwy
Iniziamo con una citazione tratta da un saggio sulla democrazia borghese in Russia, scritto nel 1906 dopo la sconfitta della prima rivoluzione russa: “è veramente ridicolo attribuire all’odierno capitalismo maturo (Hochkapitalismus), quale esso viene ora importato in Russia ed esiste in America, un’affinità con la democrazia e la libertà qualunque senso si voglia dare a queste parole […]. Ci dobbiamo invece domandare se la democrazia e la libertà siano possibili a lungo termine sotto il dominio del capitalismo maturo” (1).
Chi è l’autore di questo penetrante commento? Lenin, Trotskij o forse il precoce marxista russo Plechanov? In realtà è Max Weber, il ben noto sociologo borghese. Anche se Weber non ha mai sviluppato questa intuizione, qui sta suggerendo che esiste una contraddizione in termini tra capitalismo e democrazia.

Lo dice Oxfam. Il nemico è la disuguaglianza

di Maso Notarianni
In questo blog e altrove potete trovare decine di articoli o di post che ho scritto sostenendo che IL problema da affrontare, il vero scandalo di questo secolo malcominciato, è ladisuguaglianza. Nel mondo in generale e anche nel nostromondo. Una disuguaglianza favorita dai governi che non rappresentano più gli interessi dei cittadini, ma quelli dei ricchi e dei potenti. Una disuguaglianza che rende la democrazia un fantoccio dietro cui nascondere un ritorno al medioevo. Un nuovo medioevo dove i padroni e l’ignoranza dominano sulle classi subalterne, come si diceva un tempo, che obbediscono, accettano qualsiasi atrocità (come l’ecatombe mediterranea) e sgobbano in silenzio.
Leggo un rapporto di Oxfam, una organizzazione internazionale che non si può certo tacciare di estremismo, che dice esattamente le stesse cose. E ne riporto degli stralci, invitandovi a leggere il rapporto completo.

L’aporia del debito pubblico: Keynesiani vs Classici

di Gaetano Perone
L’intera architettura dell’Unione Europea poggia le sue basi sull’apodittico assunto che il debito pubblico rappresenti un vincolo insostenibile per la crescita di lungo periodo, nonché un grave ostacolo a una corretta e completa integrazione economica fra i Paesi. Si tratta chiaramente di un modello di stampo ortodosso, che dimentica l’essenza stessa del capitalismo, ossia la possibilità/opportunità di prendere denaro a prestito e di contrarre debiti/crediti.
Da qui l’idea che lo Stato sia assimilabile al buon pater familias e che il consolidamento delle finanze pubbliche rappresenti l’unico viatico possibile per rilanciare consumi e investimenti. Un paradigma antitetico a quello proposto da Keynes (1936), che vedeva nella spesa di matrice statale uno strumento di perequazione e di composizione dei fallimenti privati, nonché una leva fondamentale per azionare una crescita sostenibile e bilanciata.

L’autunno costituente della sinistra

di Fabio Vander
È uscito un interessante articolo di Tommaso Fattori, consigliere regionale della sinistra toscana, su «il manifesto». Individua come obiettivo primario quello di «una nuova sinistra maggioritaria e di governo», dato che dopo la crisi del 2008 l’Italia è stato fra i grandi paesi l’unico in cui la sinistra non ha saputo né rilanciarsi né tantomeno promuovere «la costruzione di un progetto forte d’alternativa». Assenza di cui si sarebbe poi giovato il Movimento 5 stelle.
Già, ma perché questo? Esistono responsabilità soggettive. Di soggetti politici. Segnatamente direi di Sel (il caso comatoso di Rifondazione è a parte). Vendola si è sempre rifiutato di costruire un nuovo soggetto politico di sinistra adatto “al giorno e all’ora”. Si è sempre messo di traverso. Volutamente, scientemente. Anche perché lui governava in Puglia e certo con il Pd.
Se in Italia non c’è più una sinistra la colpa è di Vendola e dei suoi.

Sbloccare la Democrazia per far ripartire l’Italia

Una martellante campagna rilanciata dalla grande maggioranza degli strumenti di informazione vuole convincerci che per sbloccare l’Italia c’è bisogno delle “riforme” costituzionali e istituzionali propugnate dal governo Renzi. In realtà lo stravolgimento della Costituzione e del sistema elettorale, come della pubblica amministrazione e della scuola, non tendono a sbloccare l’Italia, ma convergono verso un unico fine, quello di “bloccare” la democrazia, mettere le ganasce agli istituti repubblicani che garantiscono l’equilibrio dei poteri e la partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale. E per questa via restaurare una nuova forma di governo oligarchico, svincolato dal rispetto dei beni pubblici che la Costituzione ha attribuito al popolo italiano. 

Diritto alla città: chi decide e su che cosa?

La decisione è un meccanismo fondamentale nell’esercizio della gestione e amministrazione della società; un ambito che, evidentemente, è all’ordine del giorno per i difficili equilibri della convivenza, della produzione e riproduzione, della gestione dei servizi, della garanzia dei diritti. Questo a partire dalle metropoli fino ad arrivare a territori meno densamente abitati.
Tale processo è stato trasformato in concomitanza con la rottura del paradigma della rappresentanza politica, nella formula del dopoguerra, e l’affermazione della formula della delega, strutturata a partire dagli anni ’90. Questa trasformazione ha progressivamente sottratto potere decisionale da ambiti di discussione larghi, partecipati e massivi per verticalizzarlo in maniera mortifera o meglio ad immagine e somiglianza del comando capitalista.

Benvenuti profughi per le pensioni dei figli dei nostri figli

di Alessandro Robecchi
Siccome non smette un attimo la furiosa gara alla rottamazione del Novecento – miti, ideologie, simboli, bandiere – per una volta si può davvero gioire per un oggetto che dimostra, finalmente, la sua poderosa inutilità. Prima dei peana per la signora Merkel e delle pive nel sacco di razzisti e xenofobi europei di fronte al sussulto umanitario, va notata una cosa: il filo spinato – scusate il francesismo – non serve a un cazzo.
Questa icona del Novecento, questa barriera per uomini considerati animali, questa difesa fisica che serve a non far scappare o a non far entrare, se ne va tra gli sberleffi di chi l’attraversa e la gioia di chi non la voleva costruire. A guardarla in timelapse, con le immagini accelerate, la recente vicenda ungherese sembra davvero un film di Ridolini: prima il grande sforzo di costruire barriere in acciaio uncinato, e poi, questione di minuti, il suo tsunamico superamento da parte delle moltitudini.

Giustizia per Stefano Cucchi

di Luigi Manconi e Valentina Calderone
E dun­que ave­vano ragione Ila­ria Rita e Gio­vanni Cuc­chi a chie­dere nuove e più rigo­rose inda­gini sulla morte di Ste­fano. Innan­zi­tutto per l’esistenza di un dato enorme che più che taciuto — per­ché tacerlo sarebbe stato impos­si­bile – è stato quasi com­ple­ta­mente rimosso: ed è il fatto che ben due sen­tenze hanno affer­mato che Ste­fano Cuc­chi ha subito vio­lenze e abusi, pur senza poter indi­vi­duare i respon­sa­bili, ma appunto avendo accer­tato che vio­lenze e abusi ci sono stati, inequivocabilmente.
Lo sco­ra­mento e la fru­stra­zione susci­tati da quei ver­detti, e deri­vanti tanto dalla vista delle foto del corpo stra­ziato di Ste­fano (non è neces­sa­rio essere un medico legale per spie­garsi cosa gli sia acca­duto) quanto dalle parole di impo­tenza scritte dai giu­dici (insuf­fi­cienza di prove, impos­si­bile accer­tare oltre ragio­ne­vole dub­bio i respon­sa­bili delle vio­lenze), non pos­sono essere facil­mente cancellati.

Al 20% degli italiani più poveri lo 0,4% della ricchezza. Al quinto più ricco va il 61%

Ai vertici della civiltà occidentale, in Europa, la disuguaglianza è un macigno che pesa. In Europa ci sono 342 miliardari (con un patrimonio totale di circa 1.340 miliardi di euro) e 123 milioni di persone – quasi un quarto della popolazione – a rischio povertà o esclusione sociale. In Italia, la distribuzione della ricchezza nazionale netta (la somma degli asset finanziari e non finanziari, meno le passività) tra le diverse fasce della popolazione italiana fotografata dall’Ocse nel 2010 (i dati più recenti!) è disperante: il 20% degli italiani più ricchi detiene il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% degli italiani più poveri ne possiede appena lo 0,4%. Del 20% più ricco, inoltre, vi è il top-1% che detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta, quasi 38 volte la ricchezza del bottom-20%. La fascia del top-10% degli italiani più ricchi possiede il 44,8% della ricchezza nazionale, nove volte la ricchezza posseduta dal 40% più povero della popolazione.

Sindacalismo sociale: domande aperte

L’offensiva portata avanti dal Governo Renzi è anzitutto un attacco senza precedenti al salario, al diritto di coalizione e al diritto di sciopero. Metter bene a fuoco i nodi fondamentali dell’attacco è utile per trovare la bussola dentro la fase politica e culturale che stanno attraversando i movimenti sociali in Italia. Il Jobs Act, ovvero la quinta riforma del mercato del lavoro realizzata in Italia negli ultimi quattro anni, ha fatto emergere gli obiettivi dell’offensiva neoliberale in corso in Europa. Nella crisi di rappresentanza delle grandi organizzazioni sindacali confederali, ormai inoffensive e trasformate in burocrazie di servizio, nuove ed indipendenti forme di sindacalismo sociale stanno producendo un cambio di paradigma dentro e oltre i movimenti sociali in Italia.
L’impossibilità di ricomporre la frammentazione sociale e del lavoro a partire da una categoria centrale ed egemone è la base condivisa da cui ha preso forma, con il primo Sciopero Sociale del 14 novembre 2014, una coalizione inedita tra studenti, precari, lavoratori autonomi, disoccupati.

Unioni civili, Europa chiama, Italia non pervenuta

di Matteo Cresti
Dopo averlo già fatto più di una volta, il Parlamento Europeo nel Rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nell’UE, chiede all’Italia, e agli altri paesi che ancora non ce le hanno, di mettersi in regola con le unioni civili, chiede che gli Stati prendano in considerazione l’istituzione di istituti giuridici di coabitazione, unioni di fatto registrate, o i matrimoni. Inoltre condanna ogni forma di omofobia chiedendo anche che gli Stati sanzionino le cariche pubbliche che fanno affermazioni di questo tipo.
Se in Italia dovessimo cacciare tutti i politici che almeno una volta hanno fatto affermazioni omofobe, il parlamento sarebbe quasi deserto. Tuttavia, in un modo o nell’altro il nostro parlamento deve prendere in considerazione la questione. E il disegno di legge Cirinnà ci sta provando.

Sblocca Italia, sui nuovi inceneritori si è deciso di non decidere

di Luca Aterini
Inceneritori, sì o no? La data decisiva sembrava essere quella di mErcole scorso. «Il 9 settembre si riunirà la Conferenza Stato-Regioni per approvare il decreto attuativo dell’articolo 35 parte integrante dello Sblocca Italia». L’allarme all’interno della società civile ha prodotto nei giorni scorsi proteste e manifestazioni di piazza, promosse dalla rete Zero waste italy e supportate da numerosi associazioni, ambientaliste e non solo. Arrivati al dunque, però, la Conferenza Stato-Regioni ha adottato una scelta sempre più comune in ambito politico: quella di indicare altra data per la decisione definitiva.
Al momento, dunque, ancora nessuna certazza sul provvedimento governativo che, come noto, prevede la realizzazione di 12 nuovi inceneritori, o meglio «impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati».

Ridisegnare le città dell’accoglienza

di Alberto Ziparo
Quanto sta final­mente suc­ce­dendo — sia pure con molte dif­fi­coltà e con­trad­di­zioni — sul fronte delle migra­zioni verso l’Europa, la ancora incerta «svolta», spinge a con­si­de­rare dina­mi­che e pro­cessi in atto non tanto come emer­genze con­tin­genti, ma quali feno­meni di fase desti­nati a segnare e pro­ba­bil­mente a tra­sfor­mare strut­tu­ral­mente l’organizzazione sociale e ambien­tale euro­pea e occi­den­tale. È il caso forse di assu­mere che l’enorme flusso di immi­gra­zione dai sud del mondo è desti­nato in tutto o in parte a carat­te­riz­zare, con­no­tare, i futuri assetti delle città e dei sistemi inse­dia­tivi del Vec­chio Con­ti­nente, e non solo.
Tra coloro che «stanno arri­vando» ci sono cer­ta­mente i futuri ita­liani, fran­cesi, tede­schi, spa­gnoli ecc., che costi­tui­ranno una com­po­nente rile­vante, al pari degli altri che, con mobi­lità cre­scente, sono desti­nati a tra­scor­rere periodi più o meno lun­ghi, ma con­tin­genti, nella nostra peni­sola come in altri paesi, in attesa di desti­na­zioni diverse, anche extraeu­ro­pee; o di pos­si­bili «ritorni a casa». Pure oggi così dif­fi­cili da intravedere.

Quando Piero Calamandrei disse: siano vuoti i banchi del governo...

di Sandra Bonsanti
"Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza…” “Nel campo del potere costituente il governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria”. “Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti”.
Ecco le indicazioni che dette Piero Calamandrei durante i lavori preparatori, affinché la Carta fosse al sicuro dalle conseguenze politiche della tensione che saliva fra i grandi partiti popolari, ex alleati nei giorni della Liberazione.
Proteggere l’interesse generale dagli interessi dei singoli.

Keynes o Hayek?

di Tommaso Alberini
Keynes o Hayek? Sullo scontro che ha definito l’economia moderna, in realtà, non si trova granchè in giro. Citazioni sparse e allusioni anonime, più che altro. Sul web, però, gira un video di Econstories che ha già raggiunto i 5 milioni di visualizzazioni, e il libro dell’inglese Nicholas Whapshott ha fatto il giro del mondo: in Italia è stato pubblicato da Feltrinelli, l’ultima ristampa risale a marzo 2015. Importante che se ne parli, dunque, vista l’influenza che il dibattito pluridecennale ha avuto (e ha tutt’ora) sulle nostre vite. Importante soprattutto vista la scarsa conoscenza diffusa sul tema. Di Keynes, più o meno, abbiamo tutti sentito parlare, ma Hayek? Chi è questo sconosciuto? E soprattutto: davvero il loro dibattito è stato così importante? Sembrerebbe di sì, anche se una delle poche pubblicazioni non accademica al riguardo è proprio “Keynes o Hayek” di Whapshott, giornalista del The Times e The New York Sun.

Come creare legami sociali?

di Alain Goussot
Viviamo in una società sempre più incapace di stare insieme, per dirla come il sociologo Richard Sennett. Una società dove la lacerazione dei legami sociali, intersoggettivi e comunitari è sempre più evidente, la pressione del sistema egocentrico e narcisista dei consumi e dei media spinge le persone verso una concezione sempre più autoreferenziale e individualistica dei rapporti umani (leggi anche Sì, questa è l’Era della solitudine ndr).
Eppure siamo esseri di relazione, per definizione e nascita, in quanto prodotti di una relazione tra due persone diverse per sesso e anche per carattere, gusti e cultura. Nonostante questo l’essere umano della società del ‘capitalismo seduttivo‘ , come la chiama Michel Clouscard, ci porta ad una modo aggressivo, competitivo, sadico e masochista di vivere le relazioni. La convivialità di cui parlava Ivan Illich non sembra più essere una componente importante della vita, è sempre più sostituita da una forma di pseudo-convivialità forzata in cui conto il divertirsi per forza e l’apparire in tutti i suoi aspetti più deteriori.

La rivolta contro l’eterno presente ai tempi del neoliberismo

di Matteo Giordano
Il nostro tempo coincide con il completamento del processo che ha portato all’espansione della potenza sociale moderna. La storicità non può più presentarsi come processo, ma diventa semplicemente sospensione, “epokè”. Lo storicismo si converte in ontologismo: grazie all’arresto della temporalità è possibile cogliere l’essere e non più il divenire. E’ questo il ragionamento di fondo che sta alla base di concetti come quelli di “fine della storia”(Fukuyama) e “fine della società”(Touraine): l’idea che sia la società, cioè quella formazione sociale che si è imposta definitivamente negli ultimi due secoli, ad aver prodotto una sua specifica idea della dimensione storica; ossia l’idea per cui è il mercato, nella sua affermazione trionfante, la dimensione totalizzante dell’esistenza, in cui si consuma tutta la dialettica sociale e che riesce a soddisfare ogni bisogno umano.
E’ questo il cuore dell’egemonia neoliberale e dell’immaginario simbolico della rivoluzione neoconservatrice. Esso si fonda sulla neutralizzazione del nesso tra presente e passato, affinché il futuro non possa essere pensato come progetto.

Parole annodate a un soffitto. David Foster Wallace e il linguaggio

di Chiara Scarlato
Una bandana e un paio di occhiali. Una racchetta da tennis e una pila di fogli scritti, sparsi in un garage. Un cane di nome Jeeves e uno di nome Drone. Tabacco da masticare e una corda. L'energia di una vita che si spezza, che decide autonomamente di non proseguire e di appendere al soffitto il tempo, per sospenderlo in maniera definitiva, senza attendere il susseguirsi dei secondi che diventano minuti, ore e poi giorni: una successione di istanti che non possono essere più considerati nella loro singolarità e piombano nel vuoto di chi non trova via di uscita. C'è David Foster Wallace nel garage, il 12 settembre del 2008, con un indistinto pensiero di morte.
Il punto non è commemorare o biasimare il suo gesto, soprattutto se si considera che nelle scelte non c’è mai nulla di irrisolto: ognuna di esse assume un significato particolare nel momento in cui trova compimento, e lo perde irrimediabilmente nell'istante successivo, quando all'improvviso si colorano di realtà le alternative possibili che non erano state contemplate.

Da outsider a favorito. Oggi è il gran giorno di Jeremy Corbyn

di Leonardo Clausi
Si è con­clusa gio­vedì alle dodici la vota­zione per le pri­ma­rie del Labour Party, in una cam­pa­gna che verrà ricor­data tra le più dram­ma­ti­che e sen­tite della sto­ria recente del par­tito. Il risul­tato verrò reso noto sabato mattina.
In tre mesi di cre­scendo straor­di­na­rio, Jeremy Cor­byn — il vete­rano bac­k­ben­cher di North Lon­don della sini­stra socia­li­sta, fatto entrare nella rosa dei can­di­dati a giu­gno in fretta e dalla porta di ser­vi­zio tanto per dare un con­ten­tino alla dia­let­tica demo­cra­tica interna -, da quarto inco­modo è diven­tato il favo­rito alla leadership.
Ci si pre­para a una sua vit­to­ria al primo turno con più del 50% delle pre­fe­renze: pre­co­niz­zata dai son­daggi, per­ce­pita net­ta­mente nell’elettricità che ha attra­ver­sato tutte le sue appa­ri­zioni pub­bli­che, come nelle rea­zioni sgua­iate della stampa mode­rata e in quelle pre­oc­cu­pate della stampa libe­ral, Guar­dian in testa.

Profughi e rifugiati: l’autocritica che non c’è

di Lelio Demichelis
La foto - drammatica, agghiacciante - del bambino siriano morto e spiaggiato in Turchia (Senza asilo, ha splendidamente titolato il manifesto) forse scuoterà le nostre coscienze. Perché quella morte è colpa nostra, dell’Europa e del suo (nostro) cinismo. «Gran parte dei rifugiati che stanno arrivando in Europa in questi mesi fuggono situazioni di guerra di cui noi, i paesi occidentali, siamo direttamente o indirettamente responsabili. Siamo intervenuti militarmente in Afghanistan, Iraq, Libia, Repubblica Centroafricana, Mali e abbiamo incoraggiato la guerra civile in Siria. La democrazia e i diritti dell’uomo sono stati usati per giustificare tali interventi militari, che però non hanno mantenuto le loro promesse. La democrazia, infatti, non si esporta a colpi di missili e di droni. Il risultato di tali scelte militari sono davanti ai nostri occhi: insicurezza sempre più diffusa, inasprimento dei conflitti etnici e religiosi, guerre civili e ora questo flusso di rifugiati che cerca di raggiungere un’oasi di pace e di prosperità».

Kobane, la violenza di Erdogan e il silenzio complice dell'Europa

ERDOGAN
di Giacomo Russo Spena
Bodrum. La foto di Aylan Kurdi, corpo inerme. Bimbo di tre anni, morto durante la traversata. Dal diritto di fuga all'angoscia. Rabbia. L'istantanea ha commosso l'Europa, e il mondo, risvegliando coscienze e intimando persino nuove politiche sull'accoglienza dei rifugiati.
L'attenzione mediatica si è fermata a quell'immagine cruda, straziante, violenta. In pochi si sono interrogati sul luogo di provenienza e su quel cognome, Kurdi. Aylan veniva da Kobane, città del Kurdistan siriano, centro di battaglia da mesi dove la popolazione locale ha arrestato l'avanzata dell'Isis liberando l'intera regione del Rojava. Un'esperienza di resistenza popolare. Le forze di difesa YPG e YPJ (le unità esclusivamente femminili) hanno sconfitto i "fascisti" dell'Isis (chiamato in senso dispregiativo Daesh in Medio Oriente).

Europa delle persone o Europa del capitale?

di Rafael de la Rubia
Gli ultimi sviluppi nella situazione del popolo greco e il loro momento politico hanno dimostrato che le istituzioni europee privilegiano gli interessi dei mercati piuttosto che quelli dei cittadini. Colpisce la loro mancanza di imparzialità nel prendere decisioni dall’esterno senza rispettare le decisioni e i processi democratici interni.
Questa deriva mercantilista e autoritaria, che già si evidenziava fin dalla creazione dell’euro come moneta comune, è andata crescendo negli ultimi tempi portando ad una situazione, a livello europeo, molto simile a quella verificatasi singolarmente in alcuni paesi, come Grecia, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda, ecc. Sono le stesse problematiche, le stesse impostazioni e gli stessi eccessi avvenuti in quei paesi che si intendono ora imporre a livello europeo.

La Cina è vicinissima

di Marco Bertorello
Il gro­vi­glio di effetti e contro-effetti delle poli­ti­che mone­ta­rie espan­sive dimo­stra il livello di inte­gra­zione eco­no­mica glo­bale rag­giunto. Per quanto la crisi abbia dato vita anche a pro­cessi di ripie­ga­mento intorno agli inte­ressi degli stati-nazione, l’intreccio sovra­na­zio­nale dell’economia finan­zia­riz­zata è tale che un ritorno a con­flitti emi­nen­te­mente geo-politici per ora appare piut­to­sto remoto. Dai tempi della stretta mone­ta­ria di Rea­gan si sono sus­se­guite scelte di con­ti­nuo aumento della massa mone­ta­ria. L’ultima crisi ha accen­tuato ancor più tale ten­denza facen­dola assur­gere a unico prov­ve­di­mento per argi­nare le dif­fi­coltà eco­no­mi­che. Il volume di moneta in cir­co­la­zione è andato cre­scendo prima attra­verso tassi d’interesse quasi a zero e dopo con i quan­ti­ta­tive easing adot­tati da tutte le prin­ci­pali ban­che centrali.
Il sim­bo­lico pas­sag­gio del testi­mone tra Fed e Bce costi­tui­sce l’ultimo tas­sello di una scelta di fondo in fatto di rego­la­zione della moneta.

Papa Francesco, contro i cambiamenti climatici «il più grande nemico è l’ipocrisia»

di Luca Aterini
Nella lotta ai cambiamenti climatici non sono i vincoli economici l’ostacolo più duro da superare, né quelli tecnologici. «Qui il più grande nemico è l’ipocrisia». Le parole sono di Papa Francesco, che ha tenuto oggi in Vaticano un’udienza dedicata al tema della crisi climatica, a chiusura del meeting internazionale “Giustizia ambientale e cambiamenti climatici – Verso Parigi 2015”, ricordando che «il clima è un bene comune, oggi gravemente minacciato: lo indicano fenomeni come i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale e l’aumento degli eventi meteorologici estremi. Un tema la cui importanza e urgenza non possono essere esagerate».
Nonostante il Vaticano stesso possa e debba migliorare nelle azioni per una concreta via verso la sostenibilità, scevra da ipocrisie, la costante attività del Pontefice contribuisce con forza a una battaglia che da tempo aveva perso carica morale, e che si rinnoverà a fine novembre a Parigi per la Cop 21, un appuntamento essenziale dove la comunità internazionale dovrà rinnovare gli obiettivi da perseguire contro l’avanzamento del riscaldamento globale.

Cizre, la nuova Kobane

di Lorenzo Maria Alvaro
A Cizre, cittadina di 130mila anime, per la maggioranza curdi, a un soffio dal confine con la Siria da oltre una settimana si sta consumando uno scontro fra i militanti del Pkk, organizzazione separatista considerata terrorista, ed esercito turco. La situazione è talmente drammatica che la città si è meritata l'epiteto di “Piccola Kobane” o di “Piccola Gaza”.
Il governo di Ankara continua a negare il coinvolgimento e le vittime fra la popolazione civile. Sui social network però sono state postate le foto di diversi cadaveri, fra cui anche alcune donne che hanno cercato di proteggere i loro figli dalle sparatorie. In alcune foto i corpi sono coperti da bottiglie di acqua ghiacciate per rallentarne la decomposizione, perché la mancanza di sicurezza per le strade non consente nemmeno lo svolgersi del funerale.

Catalunya, Ara és l’hora: 2 milioni in strada per la Diada

di Luca Tancredi Barone
Dal 2012, quella che ogni 11 set­tem­bre era poco più di una mani­fe­sta­zione isti­tu­zio­nale che cele­brava la Diada, la festa cata­lana, si è tra­sfor­mata gra­zie alle asso­cia­zioni indi­pen­den­ti­ste Anc (Asso­cia­zione nazio­nale cata­lana) e Òmnium Cul­tu­ral, in una cele­bra­zione espli­ci­ta­mente indi­pen­den­ti­sta. La Diada ricorda la sto­rica scon­fitta dei cata­lani che (assieme agli ara­go­nesi) si erano alleati con la casa reale sba­gliata durante la lunga guerra di suc­ces­sione, ini­ziata nel 1701, al trono di Madrid, finito nelle mani di Filippo V (di Bor­bone) invece che in quelle dell’arciduca Carlo III d’Austria. Bar­cel­lona cadde nel 1714 dopo un lungo asse­dio, e Filippo V si ven­dicò riti­rando tutti i pri­vi­legi di cui godeva la Catalogna.
Molti cata­lani si sen­tono di nuovo in guerra, dopo la dura sen­tenza del Tri­bu­nale costi­tu­zio­nale che, su richie­sta del Pp, nel 2010 limitò in parte gli effetti dello Sta­tuto cata­lano entrato in vigore nel 2006 dopo anni di discus­sioni. E quello che era un sen­ti­mento seces­sio­ni­sta radi­cato ma mino­ri­ta­rio – intorno al 30% — è andato raf­for­zan­dosi nel discorso poli­tico e nel corpo sociale dei cata­lani.

Alexis Tsipras, i sondaggi e le elezioni in Grecia

di Faber Fabbris
Le leggi elettorali cambiano, i sondaggi oscillano, ma la matematica, almeno quella, resta. Con un occhio alle passate tornate elettorali, agli attori in campo ed agli ultimi sondaggi, cerchiamo di capire come funziona il sistema elettorale greco, e penetrarne i dettagli (nei quali, come si sa, si nasconde spesso il diavolo). La camera greca, la Voulì (che è poi la pronuncia moderna dell’antica Boulé ateniese) è composta da 300 seggi. I collegi sono ritagliati su base geografica, ed esprimono deputati in numero proporzionale alla popolazione. Alcuni collegi dispongono di un solo deputato, in ragione del numero di abitanti (per lo più le isole). A questi si aggiunge un collegio ‘nazionale’ che elegge 12 deputati.

Clima, il cappio dei poveri

di Geraldina Colotti
Giu­sti­zia ambien­tale e cam­bia­menti cli­ma­tici – Verso Parigi 2015. Que­sto il titolo del mee­ting inter­na­zio­nale che è ter­minaminato ieri a Roma all’Istituto Patri­stico Augu­sti­nia­num con l’udienza di papa Ber­go­glio sulla crisi climatica.
Un con­fronto pro­mosso dalla Fon­da­zione per lo svi­luppo soste­ni­bile, con il patro­ci­nio del Pon­ti­fi­cio Con­si­glio della Giu­sti­zia e della Pace e del Pon­ti­fi­cio Con­si­glio per gli Ope­ra­tori Sani­tari. Ha col­la­bo­rato all’iniziativa anche Poste ita­liane, per sot­to­li­neare la cen­tra­lità della Green Stra­tegy nel piano dell’azienda e anche le sue poli­ti­che “di inclu­sione sociale”, con nuove assun­zioni di immi­grati agli sportelli.
Al con­ve­gno hanno par­te­ci­pato alcuni dei più impor­tanti esperti mon­diali del set­tore – da Achim Stei­ner (Diret­tore ese­cu­tivo Unep) a Nicho­las Stern (pre­si­dente Gran­tham Research Insti­tute), da Jef­frey Sachs (diret­tore Earth Insti­tute – Colum­bia Uni­ver­sity) a José Maria Vera Vil­la­cian (diret­tore della Ong spa­gnola Oxfam Inte­mon, parte di Oxfam Inter­na­tio­nal) al mini­stro dell’Ambiente Gian Luca Gal­letti. Le orga­niz­za­zioni e gli isti­tuti a cui appar­ten­gono cer­che­ranno di influire sulla Cop21 di Parigi (dal 30 novem­bre all’11 dicem­bre) fidando anche sull’indirizzo del meeting.

L'irresistibile scalata di Jeremy Corbyn

La scalata di Jeremy Corbyn
di Martino Mazzonis
Se guardiamo al traffico generato su Twitter da Jeremy Corbyn, probabile vincitore della corsa per la leadership del partito laburista britannico e dai suoi avversari elaborata da Kantar, è un massacro: nel periodo preso in considerazione, gli ultimi tre mesi, il candidato di sinistra batte 10 a 1 il secondo arrivato. E supera di un milione di tweet anche il premier Cameron. Con una differenza: il numero di account che hanno twittato Corbyn è circa la metà (268mila a 560mila) di quelli che hanno scritto del premier conservatore, indice, scrivono i ricercatori di Kandar, di una ampia base militante molto attiva sui social. Il rumore sui social, specie se prodotto da un gruppo di persone, non è necessariamente in linea con i risultati elettorali o di primarie. Ma è comunque un buon indicatore di successo e di capacità di saper stare al mondo, nel mondo della politica contemporanea, fatta anche di lavoro sui social media e in rete. Un altro buon indicatore di successo della campagna del deputato londinese, militante pacifista dall’aria un po’ assente è la vittoria del suo alleato Sadiq Khan, ex ministro di Gordon Brown, deputato londinese di origine pakistana che ha vinto la corsa per la nomina a candidato laburista alla carica di sindaco di Londra.

Austerity in Giamaica? Una storia già vista...

di Flavio Bacchetta
Giamaica, la terza isola dei Caraibi in ordine di grandezza dopo Cuba e Repubblica Dominicana, nel campo degli investimenti internazionali continua a fare la parte del leone. Quaggiù è il settore privato, a differenza di Cuba, a giocare un ruolo preponderante. I finanziamenti che hanno sostenuto il Paese dagli anni dell’indipendenza fino ad oggi non sono a fondo perduto. Finanziamenti della Banca Mondiale supportano le attività estrattive, in gran parte controllate dalle aziende USA, che possiedono miniere di bauxite ovunque. È la preziosa materia prima di cui il suolo giamaicano è fornitore mondiale, che consente la produzione dell’alluminio nei Paesi anglosassoni. Il settore del turismo all-inclusive parla invece lingua spagnola. Le catene dei vari Riu, Bahia, IberoStar e Fiesta lo testimoniano.
Ecco i punti-chiave delle richieste fatte al Governo giamaicano rapportandoli alla realtà del Paese caraibico. 

Ad Atene. Per vedere la crisi l'effetto che fa

di Francesca Fornario
Ad Atene ci sono venuta per vedere la crisi l’effetto che fa. Ci sono venuta pensando di fare un viaggio in un futuro distopico, con le code ai bancomat (che non ho visto) e i negozi chiusi. Che sì, li ho visti, ma quello che mi ha fatto più impressione è il negozio di Zara. Chiuso – tenetevi forte – il sabato pomeriggio. Chiuso il sabato pomeriggio e la domenica come tutti i negozi, ad Atene, chiusi anche il lunedì e il mercoledì pomeriggio. Non per la crisi: è così per legge. E il viaggio nel futuro distopico si è trasformato in un viaggio nel passato, quando la domenica, a Roma, percorrevi in bicicletta le vie del centro senza sentire la voce di Madonna che canta la stessa canzone in cinquanta negozi, gli stessi – i negozi e la canzone – che trovi a Madrid, a Londra, a New York (prima o poi lo faccio. Prima o poi la fermo un’italiana che esce carica di buste dall’H&M di Covent Garden e le chiedo No, davvero, tu adesso mi spieghi perché. Che oltretutto su Ryan Air non te le fanno imbarcare e ti tocca viaggiare con tre felpe una sopra all’altra, le stesse che avresti potuto comprare a Roma).
Cosa fanno il sabato pomeriggio gli ateniesi?

All’Onu, Kirchner batte i fondi avvoltoio

di Geraldina Colotti
Impor­tante vit­to­ria all’Onu dell’Argentina. L’Assemblea gene­rale ha appro­vato una ini­zia­tiva pro­mossa dal governo di Cri­stina Kirch­ner per fre­nare le azioni spe­cu­la­tive dei fondi avvol­toio. Il dispo­si­tivo pre­vede una serie di nuove norme che mirano a faci­li­tare i pro­cessi di ristrut­tu­ra­zione del debito sovrano da parte dei paesi in crisi. Per essere appro­vato, il dispo­si­tivo richie­deva la mag­gio­ranza sem­plice dei voti, che è stata ampia­mente supe­rata: 136 paesi a favore, 41 aste­nuti e 6 con­trari (Ger­ma­nia, Canada, Usa, Israele, Giap­pone, Regno unito). Tra le asten­sioni, quella della Colom­bia che pure ini­zial­mente — e come il resto dei paesi mem­bri del G-77 più Cina — aveva dato l’assenso.
Dopo il voto, vi sono state espres­sioni di giu­bilo: «In que­sto modo si favo­ri­sce la sta­bi­lità eco­no­mica, la pace sociale e il diritto dei popoli — ha affer­mato il mini­stro degli Esteri argen­tino Hec­tor Timer­man — Ristrut­tu­rare il debito sovrano è una misura che limita i fondi avvol­toio: i nuovi pirati del XXI secolo che, appro­fit­tando di un vuoto legi­sla­tivo glo­bale, hanno lucrato sulla povertà di molti paesi qui rap­pre­sen­tati».

Danimarca, il modello nordico travolto dalla crisi

di Paolo Borioni
C’è tanta, e brutta, tat­tica in quello che abbiamo visto acca­dere alle fron­tiere della Dani­marca in que­sti giorni. Il pre­si­dente del con­si­glio libe­rale Løkke Rasmus­sen ha con tutta evi­denza cer­cato di appa­rire costretto dagli eventi. I ver­tici e i sin­da­cati di poli­zia hanno chia­ra­mente affer­mato di essere stati lasciati senza ordini poli­tici dal governo, soli a gestire la situa­zione con la pura pro­fes­sio­na­lità e buon senso. La ragione poli­tica è evi­dente: pro­prio come nel pas­sato governo di cen­tro­de­stra (2001–2011) i libe­ral con­ser­va­tori dipen­dono dalla non-sfiducia par­la­men­tare dei nazio­nal­po­pu­li­sti del Dansk Folkeparti.
La Dani­marca è stato il primo paese nor­dico a lasciar entrare il popu­li­smo di destra nell’area di governo (ora è così anche ad Oslo ed Hel­sinki, o peg­gio) al fine di com­pri­mere l’importanza delle trat­ta­tive par­la­men­tari col cen­tro­si­ni­stra e intro­durre (anche qui come fosse un toc­ca­sana) qual­cosa di simile al bipo­la­ri­smo.

Il deep web e il mercato nero delle armi

di Marco Spada
Lo scorso mese di luglio Liam Lyburd, un ragazzo britannico di 19 anni, è stato arrestato poiché accusato di pianificare un massacro nel proprio liceo. Il giovane è stato trovato in possesso di granate, pistole semiautomatiche e proiettili a espansione, il tutto acquistato nei famigerati “dark net markets” del “deep web“. Il traffico di armi, fisiche e virtuali, nelle profondità di internet è un fenomeno reale ed esteso: sicuramente marginale rispetto alla diffusione degli armamenti tramite i classici canali legali o illegali, non è però trascurabile viste la facilità di raggiungimento, l’ampiezza del mercato e il presunto anonimato unito alla difficile tracciabilità degli attori. Tali caratteristiche rendono questa soluzione affascinante per chi – dal singolo criminale al gruppo terroristico – desidera legare il possesso di armi al compimento di atti illeciti. La pericolosità di questi traffici non lascia indifferenti i Governi e le forze di polizia: recentemente sono state portate avanti due operazioni che hanno permesso la chiusura di alcuni dei siti in questione, l’arresto dei loro gestori, il sequestro di numerosi Bitcoin wallets, ma soprattutto che hanno minato la sicurezza sull’effettiva possibilità di agire illegalmente sulla rete TOR (dal nome del software che permette di navigare in anonimato) senza correre il rischio di essere rintracciati e perseguiti a norma di legge.

La crisi dei rifugiati: attenti ai tamburi di guerra


di Jelle Bruinsma
Centinaia di migliaia di rifugiati da paesi devastati dalla guerra sono entrate quest’anno in Europa. Mentre prosegue il dibattito sulla responsabilità dell’Europa di consentire l’ingresso di questi profughi, appelli alla solidarietà umana si sono accompagnati a un’allarmante e prevedibile risposta dell’occidente. Dopo il cinico adagio che non si può far finire nella spazzatura una buona crisi, intellettuali e stati sono stati ugualmente lieti di utilizzare la crisi per rinnovati appelli all’intervento militare occidentale.
Il predicato degli argomenti è che l’occidente, pur sollecitando dal 2011 le dimissioni di Assad, non ha fatto nulla per averne ragione e in tal modo ha “abbandonato” il popolo siriano. Adesso dobbiamo intervenire e accettare questo fardello, dicono i guru.
L’editoriale del The Guardian ha rimproverato l’Europa la settimana scorsa per la sua “paralisi”, “inerzia” e “anni di mancato confronto con il sanguinoso collasso della Siria”.

Curdi: dalla Turchia appello urgente all’azione internazionale

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La Turchia sta sempre più scivolando nella guerra civile. La politica della violenza si è intensificata dopo le elezioni politiche del 7 giugno guidate dal governo provvisorio dell’AKP. Oggi, il processo di pace e di negoziazione tra il PKK e lo stato turco è bloccato e la guerra è iniziata di nuovo.
Solamente nell’ultimo mese, gravi scontri hanno avuto luogo in molte città curde, come Silopi, Lice, Semdinli, Silvan, Yüksekova e Cizre dove la popolazione civile è stata presa di mira dalle forze governative. Decine di civili, guerriglieri e membri delle forze di sicurezza governative sono morti negli scontri successivi.
Dal 24 luglio, il governo ad interim di AKP non sta attaccando l’ISIS, come dichiara di star facendo, ma le montagne Qandil nel territorio del governo regionale del Kurdistan, così come i curdi, le forze democratiche, i politici democratici, i civili, le donne e l’opposizione nel suo complesso in Turchia.

Botte da Orbán nelle destre europee

di Guido Caldiron
Sar­kozy ver­sus Came­ron, cen­tri­sti con­tro popo­lari, demo­cri­stiani con­tro cri­stia­no­so­ciali: in Europa la par­tita su pro­fu­ghi e migranti si gioca tutta nel campo del cen­tro­de­stra. E ha come posta in palio la defi­ni­zione di una pre­cisa stra­te­gia per il futuro.
A 15 anni dalle san­zioni che col­pi­rono l’Austria dopo l’ingresso del par­tito raz­zi­sta di Hai­der in una coa­li­zione di governo gui­data dai demo­cri­stiani, il blocco moderato-conservatore che guida l’Ue, seb­bene in una grande alleanza con il cen­tro­si­ni­stra, si trova a con­fron­tarsi con diverse pos­si­bili opzioni. Tra i motivi che hanno spinto Angela Mer­kel a pren­dere l’iniziativa, c’è con ogni pro­ba­bi­lità anche la volontà di indi­care una via, prima che all’Europa, alla sua stessa com­pa­gine politica.

venerdì 11 settembre 2015

Per un nuovo Mandela nell'Europa dei profughi


di Gianluca Graciolini
Profughi, accoglienza, svolta "strumentale" della Merkel ecc. La questione è epocale e molto complessa, come è noto per chiunque viva e sia attivo in ogni realtà quotidiana. In particolare, anche a sinistra, si odono voci ipercritiche di economisti, polemisti e comuni militanti che lanciano allarmi sullo scopo reale della decisione della Germania di aprirsi all'accoglienza e sulle conseguenze di dumping e di ulteriore deflazione salariale che si produrrebbero a scapito delle lavoratrici e dei lavoratori tedeschi ed europei. Il ragionamento è noto e scimmiotta (volgarizza) Marx: i profughi come esercito industriale di riserva, più malleabile ed ancora più sfruttabile dei nativi, pronto a subire ogni angheria pur di lavorare. 
È anche un ragionamento pericoloso, perchè tuttora eurocentrico e speculare a quello delle destre xenofobe, perchè incapace di comprendere fino in fondo i fenomeni delle migrazioni e le loro implicazioni e perchè politicamente condannato ad un immobilismo di maniera (che non tiene peraltro conto neanche di quanto sia necessario ed imperativo salvare vite umane aprendo corridoi umanitari: lo abbiamo sempre chiesto, d'altronde...).

Sinistra. I frammenti di esistenza e la vita possibile

di Livio Pepino
Nono­stante i molti sti­mo­lanti e lucidi con­tri­buti al dibat­tito pro­mosso dal mani­fe­sto con­ti­nuo a dubi­tare che ci sia vita a sini­stra. Ci sono idee, pas­sioni, spe­ranze, delu­sioni, fram­menti di esi­stenza che si richia­mano a una vicenda a cui diamo con­ven­zio­nal­mente il nome di “sini­stra”. Ma la vita, in poli­tica, è altro: è un pro­getto che cam­bia la realtà, una comu­nità di pra­ti­che e di rela­zioni, un senso di appar­te­nenza, un modo di essere e di rap­por­tarsi, una rico­no­sci­bi­lità esterna… Tutte cose di cui ci sono poche tracce a sini­stra, nono­stante la pas­sione e l’impegno di molti. E la vita non si (ri)costruisce met­tendo insieme i cocci di quel che è stato o rici­clando in veste di lea­der i pro­ta­go­ni­sti delle scon­fitte dell’ultimo decen­nio (fino alla disfatta del 2013) e, men che meno, i pezzi di risulta del par­tito che, più di ogni altro, ha dis­si­pato la sto­ria e il patri­mo­nio ideale di gene­ra­zioni di militanti.
Nulla di per­so­nale, benin­teso. Anzi, una nuova casa, se ci sarà, dovrà essere aperta e ospi­tale: capace di acco­gliere e met­tere a frutto anche espe­rienze ed errori ma con­sa­pe­vole che la costru­zione di una nuova sto­ria richiede una totale discon­ti­nuità (anche per­so­nale) rispetto al pas­sato. Per­ché è inu­tile e un po’ pate­tico farsi illu­sioni: senza un radi­cale cam­bio di mar­cia, di pro­spet­tive, di orga­niz­za­zione, di lea­der­ship l’irrilevanza di quel che con­ti­nuiamo a chia­mare “sini­stra” è ine­vi­ta­bile. Una nuova casa e una nuova sto­ria si pos­sono, forse, costruire ma solo muo­vendo da alcuni punti fermi.

Syriza deve rimanere al governo per proteggere le classi popolari

Intervista a Luciana Castellina di Argiris Panogopoulos
Rossana Rossanda e Luciana Castellina partecipano con SYRIZA alla battaglia per rovesciare l’Europa neoliberista mettendo in circolazione tra pochi giorni un libro elettronico (e-book) sulla Grecia. Le due militanti storiche della sinistra comunista democratica italiana e fondatrici de “Il Manifesto” hanno offerto ad “Avgi” la doppia prefazione del libro, mentre Luciana castellina spiega al giornale le ragioni che le hanno portato a questa decisione.
Con Rossana Rossanda avete preso molto a cuore la crisi greca…
"Tra pochi giorni si pubblicherà un libro eletronico e-book sulla Grecia. Ci saranno testi che hanno scritto tra gli altri Tsipras e Varoufakis, documenti di SYRIZA. Avrà due prefazioni, una di Rossana Rossanda e una mia. Tutte due abbiamo una posizione comune: siamo con Tsipras e SYRIZA."

Un lungo cammino

di Norma Rangeri
Nei giorni scorsi, quando il manifesto ha scelto di pub­bli­care in prima pagina la foto del bam­bino anne­gato sulla spiag­gia di Bodrum, con il titolo «Niente asilo», era­vamo con­sa­pe­voli del signi­fi­cato sto­rico di quell’immagine, anche per­ché il bimbo era solo, senza nep­pure l’umana e addo­lo­rata pietà del poli­ziotto che lo aveva preso in brac­cio. Nono­stante i dubbi sull’uso media­tico di alcune foto, ave­vamo la pre­cisa inten­zione di scuo­tere un’opinione pub­blica ridotta a audience pas­siva del flusso tele­vi­sivo che quo­ti­dia­na­mente «nor­ma­liz­zava» la tra­ge­dia delle migliaia di vit­time ingo­iate dal nostro Medi­ter­ra­neo, sem­pre di più mare morto.
Ma uno scatto foto­gra­fico può avere una potenza enorme. Per­ché da quel momento qual­cosa si è rotto, per­ché la coscienza di milioni di per­sone ne è rima­sta scossa, per­ché anche le indif­fe­renze poli­ti­che e dei governi hanno lasciato il passo a un’attenzione diversa.

La sinistra come riduzione del danno

 
di Barbara Bonomi Romagnoli
Fine ago­sto. A Vienna sfi­lano in migliaia per dire che que­sta vita non è vita, se donne e uomini, bam­bine e bam­bini, sono costretti dalla dispe­ra­zione e dalla guerra ad affron­tare esodi disu­mani e, pochi giorni dopo, nella remota Islanda decine di migliaia di cit­ta­dine e cit­ta­dini sono pronti ad acco­gliere i migranti in fuga. Sono pronti ad aprire le brac­cia, sarà un caso che il loro paese è con­si­de­rato addi­rit­tura un paese fem­mi­ni­sta?
Nelle stesse ore a Roma, in Vati­cano, una discreta folla di reli­giosi e fedeli accom­pa­gna le ese­quie di un prete accu­sato di pedo­fi­lia e 24 ore dopo il papa pensa bene di annun­ciare che le donne, se si pen­tono, saranno per­do­nate per aver abor­tito. Mossa indub­bia­mente vin­cente in vista del Giu­bi­leo, e che ancora una volta nulla dice agli uomini che magari hanno deciso quel pre­ciso aborto o che prima met­tono incinta la moglie e poi vanno a cer­carsi il tanto vitu­pe­rato sesso a paga­mento. Ma si sa, sono le donne ad essere sante o put­tane, gli uomini invece hanno altro a cui pen­sare, mas­simi sistemi — più o meno — per con­ser­vare il potere di cui, anche nel pic­colo mondo a sini­stra, dispongono.

Risoluzione della Sinistra Italiana sull’Unione Europea e sulle sue politiche

Quel che segue è il testo della risoluzione in merito alla relazione della XIV Commissione sulla relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per il 2015, sul Programma di lavoro della Commissione europea per il 2015 e sul programma di 18 mesi del Consiglio dell’Unione europea, presentata in Aula giovedì 10 settembre dai deputati della Sinistra italiana, congiuntamente, dopo il patto d'azione comune sancito quest'estate tra Sel, L'Altra Europa, Possibile, Futuro a sinistra.
La pubblichiamo in anteprima, sottolineando due cose. La prima è l’importanza di una convergenza parlamentare tra le forze, e gli uomini e donne in carne e ossa, da cui deve partire il processo costituente da tanto (e da tanti, noi tra questi) invocato. La seconda è l’importanza del contenuto, che chiarisce bene quale può essere l’orizzonte europeo della nostra sfida.