La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 12 settembre 2015

Da outsider a favorito. Oggi è il gran giorno di Jeremy Corbyn

di Leonardo Clausi
Si è con­clusa gio­vedì alle dodici la vota­zione per le pri­ma­rie del Labour Party, in una cam­pa­gna che verrà ricor­data tra le più dram­ma­ti­che e sen­tite della sto­ria recente del par­tito. Il risul­tato verrò reso noto sabato mattina.
In tre mesi di cre­scendo straor­di­na­rio, Jeremy Cor­byn — il vete­rano bac­k­ben­cher di North Lon­don della sini­stra socia­li­sta, fatto entrare nella rosa dei can­di­dati a giu­gno in fretta e dalla porta di ser­vi­zio tanto per dare un con­ten­tino alla dia­let­tica demo­cra­tica interna -, da quarto inco­modo è diven­tato il favo­rito alla leadership.
Ci si pre­para a una sua vit­to­ria al primo turno con più del 50% delle pre­fe­renze: pre­co­niz­zata dai son­daggi, per­ce­pita net­ta­mente nell’elettricità che ha attra­ver­sato tutte le sue appa­ri­zioni pub­bli­che, come nelle rea­zioni sgua­iate della stampa mode­rata e in quelle pre­oc­cu­pate della stampa libe­ral, Guar­dian in testa.

Fino a essere quasi incon­sa­pe­vol­mente ammessa dai suoi stessi avver­sari, que­gli Andy Bur­n­ham, Yvette Coo­per e Liz Ken­dall la cui unica colpa è stata il non sapere espri­mere delle dif­fe­renze sostan­ziali fra i reci­proci pro­grammi. Forse per­ché è lecito sospet­tare non ce ne siano. Cor­byn, oggetto di tre mesi d’infaticabili attac­chi — è stato accu­sato di anti­se­mi­ti­smo, raz­zi­smo e di aver chiuso un occhio davanti a mal­trat­ta­menti ai minori nella pro­pria cir­co­scri­zione di Isling­ton — non si lascia pren­dere dal troppo facile entu­sia­smo: da reduce qual è, ricorda senz’altro la doc­cia fredda subita nel 1992 dall’allora lea­der Neil Kin­nock, abban­do­na­tosi a festeg­gia­menti che la suc­ces­siva vit­to­ria di John Major avrebbe con­dan­nato come a dir poco prematuri.
Quanto agli avver­sari, Bur­n­ham è apparso il più «a sini­stra» dei tre, anche se si è pro­fuso in lubri­fi­canti ras­si­cu­ra­zioni ai mer­cati e agli inve­sti­tori, men­tre Ken­dall ha sem­pre osten­tato sul bavero il bol­lino blu della cer­ti­fi­ca­zione blai­ri­sta che ne avrebbe decre­tato la scon­fitta. Yvette Coo­per — moglie del riti­rato Ed Balls, ex mini­stro ombra delle finanze con Ed Mili­band e impie­to­sa­mente trom­bato da West­min­ster per non aver rice­vuto abba­stanza voti alle ultime poli­ti­che, cata­cli­smi­che per il Labour — si col­lo­cava in qual­che modo in mezzo a costoro, ma il suo tar­divo ricorso a una reto­rica egua­li­ta­ria in pura fun­zione anti-Corbyn è apparso per l’utilitaristico mez­zuc­cio che era. Né aiuta tanto l’insistere a mar­tello, come fanno taluni, sulla loro «man­canza di cari­sma»: almeno a guar­dare al suc­cesso stre­pi­toso otte­nuto dall’a-carismatico Cor­byn, unico nella sto­ria del par­tito ad attrarre 50.000 ade­sioni in tre mesi. Pos­si­bile che in que­sta fase dis­so­lu­tiva della social­de­mo­cra­zia euro­pea le idee siano tor­nate a con­tare più del loro confezionamento?
In ogni caso, qua­lora nes­suno otte­nesse più del 50%, il can­di­dato in coda sarebbe escluso e le seconde pre­fe­renze dei suoi soste­ni­tori rias­se­gnate agli altri, fin quando non vinca il can­di­dato con più pre­fe­renze. Esclu­sione che pare col­pirà Ken­dall, unica a rap­pre­sen­tare un trait d’union evi­dente con quel new labu­ri­smo tar­gato Blair-Mandelson-Brown la cui para­bola appare com­piuta e dal quale già la scia­gu­rata lea­der­ship del dimis­sio­na­rio Ed Mili­band aveva cer­cato di pren­dere insuf­fi­cienti distanze: l’umore plum­beo del suo discorso di fine cam­pa­gna non sem­brava lasciare molti dubbi in proposito.
Ciò non toglie che nelle riu­nioni dell’ala mode­rata del par­tito ora volino i «te l’avevo detto» con alcuni depu­tati che sca­gliano saette al povero Ed, reo di aver intro­dotto l’americanata delle pri­ma­rie gra­zie alla quale un fiume di dis­si­denti (da sini­stra) e di gua­sta­tori (da destra) avrebbe avuto accesso alle vota­zioni per la segre­te­ria mediante paga­mento di 3 ster­line sul sito del par­tito, con l’intento di far vin­cere Cor­byn. Secondo il nuovo sistema, che abo­li­sce i vec­chi col­legi elet­to­rali, i tre gruppi di depu­tati, sin­da­cati e iscritti con­tano alla pari. Un «uno vale uno« che rende i 232 depu­tati labu­ri­sti — in mag­gio­ranza con­tro Cor­byn — poco più di uno schizzo nel mare magnum incon­trol­la­bile dei 550.000 aventi diritto.
Nel frat­tempo Sadiq Khan — musul­mano di ori­gine paki­stana, sette fra­telli, infan­zia in un coun­cil estate di Too­ting, South Lon­don, che aveva avan­zato la cadi­da­tura di Cor­byn alle pri­ma­rie — sarà il can­di­dato labour alla pol­trona di sin­daco di Lon­dra nelle comu­nali del 2016, davanti alla get­to­na­tis­sima Tessa Jowell.

Fonte: il manifesto

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