La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 settembre 2015

Hanno ucciso l'Antitrust


di Vincenzo Vita
«Hanno ucciso l’uomo ragno», can­tava Max Pez­zali con gli “883”. Hanno ucciso l’antitrust tele­vi­sivo, potremmo riba­dire in coro. Infatti, nel discorso pub­blico se ne sono perse le tracce, fatta salva qual­che ester­na­zione gene­rale e generica.
Del resto, la rimo­zione di ogni con­flitto è una chiave delle linee di Renzi. Di qui, non da un acci­dente, deriva la recente omo­lo­ga­zione tra ber­lu­sco­niani e anti­ber­lu­sco­niani fatta dal pre­mier: il “patto del Naza­reno” così è ovvio, oltre che buono e giu­sto. In tale tem­pe­rie, per dirla come nei romanzi, la rego­la­zione del con­flitto di inte­ressi e una decente nor­ma­tiva anti­trust sono state messe in sof­fitta. Vicende del Nove­cento, è per­sino sfug­gita la bat­tuta a qual­cuno. Se sul primo argo­mento per lo meno c’è la sce­neg­giata del vai e vieni tra aula e com­mis­sione com­pe­tente, il pro­blema delle con­cen­tra­zioni pub­bli­ci­ta­rie e tele­vi­sive è uscito di scena.

La discus­sione e la pur timida ini­zia­tiva sulla mate­ria si dipanò lungo gli anni Ottanta e assunse le tinte del dramma quando il cen­tro­si­ni­stra al governo (diviso e troppo acquie­scente) perse l’occasione sto­rica. Non mancò un com­plesso legi­sla­tivo note­vole, pur ondi­vago e fra­gile sulla nota vicenda di Rete­quat­tro. Tut­ta­via, la legge n. 249 del 1997 appose limiti anti­trust: non più del 20% delle reti nazio­nali ; un tetto alle risorse per i vari sog­getti, vale a dire il 30% per i sin­goli set­tori mediali e il 20% per il sistema.
Nell’articolo 2 della cosid­detto Mac­ca­nico, quel con­fine è ben cir­co­scritto. I pro­venti riguar­da­vano la pub­bli­cità, le tele­ven­dite, le spon­so­riz­za­zioni, le con­ven­zioni con sog­getti pub­blici, il canone della Rai e le entrate dei gior­nali. Con un cal­colo appros­si­ma­tivo in euro si trat­tava, all’epoca, di circa 3,5 miliardi. Sia Media­set sia la Rai erano al di sopra. L’Autorità per le garan­zie nelle comu­ni­ca­zioni, isti­tuita dal mede­simo arti­co­lato, aspettò il 2005 per varare una deli­bera (136/05) con gli appro­fon­di­menti operativi.
Però, nel frat­tempo era arri­vata la legge Gasparri del 2004, sus­sunta dal Testo Unico dei ser­vizi di media audio­vi­sivi e radio­fo­nici del 2005. Appunto. Per­ché l’Agcom non si mosse prima? A quel punto, il pastic­cio era fatto. Il Decreto legi­sla­tivo n.177 all’articolo 43 estende il deno­mi­na­tore di cal­colo inse­rendo voci estra­nee alla ratio dell’antitrust tele­vi­sivo come i libri, i dischi e il cinema, o di impro­ba­bile defi­ni­zione nel caso del «tra­mite di Internet».
Ora, con l’arrivo degli “Over the top” come Goo­gle, con il fat­tu­rato cre­sciuto di dodici volte in un decen­nio, siamo di fronte all’oceano. È ciò che l’ex mini­stro Gasparri, indi­cando curio­sa­mente il tablet, chiama il Sistema inte­grato delle comu­ni­ca­zioni (Sic). Sic! Fu (e rimane) una colos­sale presa per i fon­delli, a dispetto di un’importante sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale pres­so­ché coeva (n.155 del 2002) e in barba al mes­sag­gio alle Camere del pre­si­dente Carlo Aze­glio Ciampi (23 luglio 2002).
Sem­pre l’Agcom ha appro­vato nel frat­tempo altre deli­bere, arri­vando solo nel 2015 (286/15) ad avviare con tanto di rela­tori il pro­ce­di­mento con­creto per la defi­ni­zione delle posi­zioni domi­nanti, istruito da un fati­coso rego­la­mento appro­vato nel 2014 (368/14), con due anni di incu­ba­zione e dopo uno scon­tro vero e pro­prio avve­nuto nel 2010, che diede luogo a mag­gio­ranza (con l’opposizione dei con­si­glieri D’Angelo, Lau­ria e Sor­tino) ad una discu­ti­bile meto­do­lo­gia di rile­va­zione dei mer­cati di rife­ri­mento, che escluse la pub­bli­cità da quelli su cui lavo­rare. E solo nel marzo scorso l’Autorità (358/15) ha sta­bi­lito l’ammontare recente (lasciamo stare) del Sic, rife­rito al 2013: 17,637 miliardi di euro, in discesa del 7,2% rispetto all’anno precedente.
La crisi, d’altronde, c’è, si sente e si vede. Come vole­vasi dimo­strare, le per­cen­tuali dei gruppi sono comun­que assai al di sotto del con­fine del 20%, gra­zie al modello di cal­colo sta­bi­lito dalla scan­da­losa legge ber­lu­sco­niana: 15% Sky, 14,9% Finin­vest (Media­set e Mon­da­dori), 14,1% Rai, 3,7% Espresso, 3,2% Rcs, 49,8% il resto. Con l’ingresso nel com­puto di Goo­gle e simili, il Sic diverrà via via mera carta straccia.
Fino a quando si potrà tol­le­rare una situa­zione così cla­mo­rosa e abnorme? L’Europa è in som­mo­vi­mento, ma nei media l’Italia non ci è mai entrata. Unica solu­zione: chiu­dere con il ber­lu­sco­ni­smo, che ha nel Sic l’inveramento mate­riale. Basta un arti­colo abro­ga­tivo. Una sined­do­che al rove­scio. Il tutto sta nella parte.

Fonte: il manifesto

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.