La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 marzo 2017

Lavoro? Jobs Act? Silenzio, parlano i numeri

del Collettivo Clash City Workers
L'aumento dei voucher e della disoccupazione, la diminuzione del welfare e dei salari. I dati possono spiegare la situazione del mercato del lavoro italiano meglio di tante analisi sociologiche e filosofiche. Il dato più rilevante a cui ci troviamo di fronte se consideriamo la situazione odierna del mercato del lavoro è senza dubbio l'enorme aumento nella vendita dei voucher, o buoni lavoro, nuovi protagonisti, almeno da qualche anno, dell'economia e della politica italiana. Introdotti dalla legge Biagi nel 2003 – anche se entrati effettivamente in vigore nel 2008 – come strumento per far emergere il lavoro nero, soprattutto in contesti familiari o comunque di forte prossimità sociale, i voucher erano in origine legati alla nozione di lavoro accessorio, ossia a quelle “attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne”.
Per questo, una serie di paletti soggettivi (legati alla specificità dei soggetti interessati) e oggettivi (temporali e monetari) ne delimitava l'utilizzo. Ma le progressive liberalizzazioni dello strumento – dapprima a piccoli passi, e poi in grande stile con la riforma Fornero nel 2012 e con il Jobs Act nel 20151 – hanno progressivamente eliminato quasi tutte le limitazioni che avevano provveduto, nel corso dei primi anni, a evitarne l'impiego sistematico. È rimasto in vigore unicamente un limite retributivo: un singolo lavoratore non può percepire, nel corso di un anno civile, più di € 7.000 netti tramite voucher (si noti come tale limite valga unicamente dal lato del lavoratore e non delle imprese, che quindi non hanno limiti nell'impiego dei voucher).
Per il resto, come recita il sito dell'INPS, “è possibile utilizzare i buoni lavoro in tutti i settori di attività e per tutte le categorie di prestatori”. Ciò ha portato all'attuale situazione, ossia al boom che vediamo a partire dal 2012/2013 (dunque dalle prime grosse liberalizzazioni): i 40 milioni di voucher acquistati nel 2013 diventano 69 l'anno successivo, poi oltre 115 e nel 2016 superano i 133 milioni2. Ad ottobre 2016 il governo Renzi ha provato a mettere qualche pezza, con un decreto correttivo che impone al datore di lavoro di comunicare, all'atto di acquisto di un voucher, l'ora esatta in cui verrà utilizzata (oltre, naturalmente, ai dati del lavoratore e luogo, cosa già prevista). Si è provato, in questo modo, a limitarne gli abusi o gli usi impropri. Ma il vero problema dei voucher sta alla radice, nel loro stesso modo di funzionamento. Essi, infatti, non sono un contratto di lavoro, e dunque non prevedono tutti quegli istituti contrattuali conquistati in un secolo e mezzo di lotta contro lo sfruttamento, come ferie, malattia, maternità, scatti di anzianità, mansioni e così via.
Le trattenute, che pure ci sono, poiché il valore netto di un buono lavoro, che è il pagamento minimo per un'ora di lavoro, è di € 7,50 di contro al lordo di € 10, rappresentano una quota assicurativa INAIL (7%), le spese di gestione dell'INPS (5%) e poi il versamento dei contributi (13% - una quota, dunque, più bassa rispetto ai normali contratti a tempo indeterminato o determinato). In questo senso i voucher sono quasi la realizzazione di una delle utopie del capitalismo, ossia di poter pagare la forza-lavoro unicamente per il tempo e il modo del suo impiego, senza alcun riguardo alla dimensione globale della vita dei lavoratori. Per questi ultimi, addirittura, dal decreto di ottobre in poi diventa quasi più conveniente il lavoro nero, perché se accertato porta a una maxi-sanzione per il datore di lavoro e alla possibile regolarizzazione per il lavoratore, mentre i voucher sono perfettamente legali e eventuali irregolarità sono punite, da ottobre, unicamente con una sanzione pecuniaria, peraltro di modesta entità3.
All'orizzonte solo precarietà
Sulla scorta di queste considerazioni, capiamo come i voucher rappresentino uno strumento fortemente appetibile per tutti i datori di lavoro e come quindi la loro diffusione in tutte le fasce di età e in tutti i settori (anche tra quelli ritenuti esenti dal fenomeno, come nel pubblico o nelle fabbriche metalmeccaniche4) sia perfettamente conseguente al percorso che abbiamo tratteggiato, tanto più se consideriamo che la Fornero e il Jobs Act, mentre da una parte liberalizzavano i voucher, dall'altra stringevano le possibilità di utilizzo di altre forme contrattuali introdotte negli ultimi vent'anni e molto convenienti per le imprese, come i contratti a progetto o i CO.CO.PRO.
I buoni lavoro si inseriscono, d'altra parte, in un mercato del lavoro che negli ultimi anni è stato sempre più frammentato e precarizzato. In questo ha giocato un ruolo fondamentale il Jobs Act, il cui unico effetto è stato quello di indebolire i lavoratori, trasformando i contratti a tempo indeterminato in contratti “a tutele crescenti” – laddove “tutele” significa: ti licenzio quando voglio e al massimo ti do (pochi) soldi dopo – senza creare stabilmente occupazione. Vediamo infatti come, dopo l'ondata di assunzioni drogata dagli sgravi fiscali nel 2015, e dunque da un enorme drenaggio di soldi pubblici a favore dei privati, la situazione nel 2016 sia rimasta sostanzialmente stabile, assestandosi su livelli molto alti: nei dati preliminari che il 9 gennaio 2017 l'ISTAT ha diffuso in merito all'occupazione di novembre 2016, la disoccupazione complessiva si assesta all'11,9%, e quella giovanile al 39,4% (di contro a percentuali pre-crisi, per esempio a gennaio 2008, rispettivamente del 6,6% e del 20,5%), e comunque in crescita per tutte le fasce di età tranne che per gli over 50.
Per quanto riguarda l'occupazione, inoltre, dobbiamo considerarne la qualità: da anni, infatti, sono sotto attacco le condizioni di lavoro, in tutti i settori. Parliamo di salari più bassi e sempre meno fissi, ma legati alla produttività, orari di lavoro più lunghi, introduzione di forme di welfare aziendale vantaggiose unicamente per le imprese. Questi processi sono stati visibili nei rinnovi dei CCNL degli ultimi due anni5, e in modo particolarmente emblematico in quello, recente, dei metalmeccanici, che Confindustria vorrebbe prendere a modello anche per altri settori e in cui troviamo: aumentati salariali minimi, erogati ex-post in base all'inflazione reale e non più programmata; possibilità di scambiare aumenti salariali con buoni carrello, convenienti per le imprese perché detassati e dannosi per i lavoratori perché non rientrano nel conteggio di tredicesima, quattordicesima e TFR; welfare aziendale, come i buoni carrello dannosi per noi e convenienti per imprese, e inoltre in grado di vincolare sempre più il lavoratore alla volontà dell'azienda, grazie alla minaccia di far perdere non solo il posto di lavoro, ma anche l'assistenza sanitaria; maggiore flessibilità oraria e straordinari gratuiti grazie a un orario plurisettimanale che permette all'azienda (e impone ai lavoratori) di recuperare straordinari sottraendoli dalle settimane successive.
Ma dall'esito della votazione sul CCNL dei metalmeccanici viene anche uno dei segnali positivi che, insieme ad esempio alla recente mobilitazione dei lavoratori Almaviva a Roma, ci mostra che lottare è possibile e va fatto: per quanto il CCNL sia stato approvato, 69000 lavoratori (circa il 20%), soprattutto nelle fabbriche che negli ultimi anni sono state attraversate da mobilitazioni (come tutto il gruppo Electrolux) o dove c'è stato un intervento a sostegno del No, anche minimo, è andata contro l'indicazione delle dirigenze sindacali firmatarie di questo contratto e ha detto No

Per un'analisi più dettagliata della genesi e dello sviluppo dei voucher, anche in rapporto ad analoghe politiche adottate in altri stati europei, rimandiamo alla ricerca svolta da Gianluca De Angelis e Marco Marrone per conto dell'IRES Emilia Romagna: http://www.ireser.it/administrator/components/com_jresearch/files/publications/Ricerca_Voucher.pdf.
I dati 2016, ancora parziali, sono stati diffusi a metà gennaio. Per i dati 2008-2015 si veda la ricerca prodotta dall'INPS nell'ottobre 2016: http://anclsu.com/public/news/copertina/WorkINPS_Papers_3_ottobre.pdf.
Ci sono gli estremi per parlare dei voucher come di “caporalato legalizzato”: ne parliamo più diffusamente nell'articolo Lavorare senza diritti. Dai voucher al caporalato, pubblicato sul numero 51 della rivista PaginaUno e consultabile online.
Per un'analisi dettagliata di lavoratori, settori e datori di lavoro interessati dal fenomeno, rimandiamo alla ricerca dell'INPS sopra citata.
Fonte: A Rivista 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.