La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 marzo 2017

Cosa nasconde il caso beppegrillo.it

di Curzio Maltese
La vicenda del Blog di Grillo che non è di Grillo e comunque non è responsabile e tantomeno querelabile dal Pd, ha almeno il merito di segnalare all'opinione pubblica uno scandalo enorme che i media e la politica avrebbero continuato a ignorare se nel mirino non fossero finiti i nemici del sistema. Ma che è ben più grave e allarmante per la democrazia delle contraddizioni di Beppe Grillo. Uno scandalo appena sfiorato dal dibattito, parecchio confuso, sulle fake news. Si tratta di questo. Il sistema dell'informazione nel mondo è in mano a poteri che sono totalmente irresponsabili per quanto diffondono.
Se oggi volete distruggere la reputazione e anche la vita di qualcuno, un avversario politico, un concorrente, un collega, una ex fidanzata o chi vi pare, potete farlo in pochi giorni e ovunque nel mondo aprendo un blog intestato ad altri o falsi profili su facebook, convincendo magari altri gratis o a pagamento, ma perfino utenti anonimi, a pubblicare contenuti falsi e infamanti. Non vi accadrà nulla.
È una licenza di infangare, a volte di uccidere, di fare qualsiasi cosa che le grandi multinazionali della rete, in primis google e facebook, difendono con le unghie e i denti a difesa di un colossale business, ma ufficialmente in nome della (finta) libertà d'informazione e gridando alla censura ogni volta che la politica cerca d'intervenire nel Far West. È ormai censura perfino pretendere che facebook rimuova almeno oggi i falsi profili della povera Tiziana Cantone, la ragazza suicida per la vergogna di essere finita sui siti pornografici di mezzo mondo.
La vera questione è che, non internet, ma questo sviluppo di internet senza alcun controllo pubblico, ha generato un mostro a tre teste, economico, politico e culturale, che rischia di distruggere la nostra economia e soprattutto la nostra democrazia, senza che le vittime, ipnotizzate davanti a un computer, neppure se ne accorgano.
Negli ultimi vent'anni la rete è passata da dieci milioni di computer collegati a tre miliardi e mezzo di utenti, ha annichilito interi settori industriali, l'editoria musicale per esempio, messo in crisi molti altri, assorbito una bella fetta del commercio globale. Oltre a questo ha tragicamente abbassato la qualità dell'informazione diffusa e quindi della democrazia, che rischia di finire sommersa da una montagna di spazzatura etichettata come fake news.
Questa rivoluzione è nata fra mirabolanti promesse di arricchimento collettivo e partecipazione democratica. Mettendo a contatto consumatori e produttori senza intermediari, si sarebbero abbassati i prezzi, aumentati i compensi dei creatori di contenuti ed elevata la qualità, l'indipendenza e la credibilità dell'informazione disponibile per i cittadini.
La realtà è andata in direzione opposta. Tutti i produttori di contenuti si sono drammaticamente impoveriti o hanno addirittura perso il lavoro. La qualità della comunicazione (e della civiltà) in rete è precipitata, così come il livello generale d'informazione dei cittadini, sempre più facili prede di demagoghi e manipolatori di ogni specie.
Il paradiso democratico di Internet si è materializzato nella realtà in una dittatura di un pugno di multinazionali, google, facebook, amazon ed eBay, che raccolgono da sole il 90 per cento delle risorse pubblicitarie della rete, realizzano profitti colossali senza produrre nulla, creano pochissimi posti di lavoro rispetto alle decine di milioni che hanno cancellato, in più non rispondono alla legge dei reati che commettono e non pagano le tasse. Facebook Italia, il quinto sito dell'azienda per espansione nel mondo, con 30 milioni di clienti, ha pagato nel 2015 circa 200 mila euro di tasse all'erario, meno dello studio di un bravo avvocato, dentista o notaio.
Con la scusa che ogni norma regolatrice sarebbe una censura e che non si possono tecnicamente controllare tutti i contenuti diffusi in rete -quando gli algoritmi invece lo consentono benissimo, così come già consentono di schedare centinaia di milioni di utenti a fini commerciali - i social network godono di un regime di concorrenza sleale nei confronti dei media tradizionali. Un piccolo editore di carta stampata o televisivo può essere costretto a chiudere per una richiesta di danni, mentre facebook o google, che possono annichilire chiunque in tutto il mondo in pochi minuti e con false notizie, non si possono nemmeno citare in giudizio.
Non bastasse, i social network non sono chiamati a rispettare i tetti pubblicitari che valgono per giornali e tv. Possono raccogliere quanta pubblicità vogliono e soprattutto nel modo più truffaldino, mascherato da finti filmati postati direttamente dagli utenti. Questi assurdi privilegi non sono minimamente sfiorati dalla nuova direttiva europea sull'audiovisivo che sarà probabilmente approvata in commissione Cultura a Bruxelles il 25 aprile, con il solito accordo fra socialisti e popolari benedetto da Berlino: le due relatrici ovviamente sono entrambe tedesche (una Spd e una Cdu) e per non farsi mancare nulla fanno parte entrambe di un board della televisione pubblica di Stoccarda.
Se il Far West continuerà, presto google e facebook avranno capitali sufficienti per comprarsi le grandi catene di tv e giornali - hanno già cominciato -, instaurare un monopolio planetario dell'informazione ed eleggersi i presidenti e i parlamenti che preferiscono. A occhio e croce un bel pezzo di politica se la sono già comprata. Altrimenti non si spiega come mai la necessaria revisione della direttiva europea sull'e-commerce sia ferma da 16 anni, quando l'e-commerce valeva pochi miliardi, mentre negli ultimi tre anni ha superato il Pil di Italia e Francia, ora è vicino a quello della Gran Bretagna, 2900 miliardi di euro, e presto sorpasserà quello della Germania.
Far rispettare le leggi anche a google e facebook, far pagare loro le tasse, imporre tetti pubblicitari, rivedere le norme sull'e-commerce e sui diritti d'autore di fatto cancellati nell'era internet. Sarebbero azioni necessarie e immediate di un autentico riformismo moderno e davvero utili a creare nuovi posti di lavoro per i giovani, altro che Josb Act.
Molti governi, compreso il governo Gentiloni, ne sono ormai consapevoli e lo scrivono nei documenti ufficiali. Ma nel concreto non fanno nulla, imprigionati nelle reti lobbiste. E adesso vogliono farci credere che lo scandalo sarebbe che il Pd non può querelare Beppe Grillo?

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.