La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 14 novembre 2015

Parigi e l’Isis: l’intelligence, le strategie, la guerra contro sciiti e Occidente

di Martino Mazzonis
Centoventi morti, circa duecento feriti alcuni gravi. Sei attacchi, sia esplosivi che di gruppi armati. Il presidente francese Francois Hollande ha parlato di attentato organizzato all’estero con del supporto logistico in Francia. E in effetti l’ISIS ha rivendicato l’attentato (il comunicato nel tweet qui sotto). Tra gli attentatori morti ce n’è uno che aveva con sè un passaporto siriano, una donna e un francese e un nato nella banlieue parigina e segnalato per aver avuto rapporti con ambinti islamici radicali. Ecco alcune informazioni che possono essere utili a leggere il contesto.
Ma prima alcune certezze:
1. le centinaia di migliaia in fuga dalla Siria e dall’iraq non sono i terroristi ma le loro vittime e se pure tra loro si nasconde qualche assassino, sarà il caso di migliorare l’accoglienza e spendere soldi per farla e verificare l’identità di queste persone bene, anziché rimpallarsele tra una frontiera e l’altra.

Alimentare la guerra di civiltà è il gioco dello Stato Islamico

di Paolo Ferrero
Il nostro cordoglio per le vittime della barbarie nazista dell’Isis che ieri si è espressa in tutta la sua evidenza a Parigi. L’Isis uccide e distrugge per separare e seminare odio. L’Isis è una fabbrica di odio che vuole distruggere ogni forma di pacifica coesistenza tra i popoli e nei popoli per cercare di assoggettare i musulmani ai suoi barbari precetti che nulla hanno a che vedere con la religione. L’Isis sa benissimo che con la sua azione terroristica e assassina peggiora la vita dei musulmani e aumenta la diffidenza e l’odio nei confronti dei musulmani in tutto il mondo. Questo è esattamente il suo obiettivo: creare una linea di divisione tra i musulmani e gli altri in modo da potersi candidare a comandarli e organizzarli secondo i suoi precetti. L’Isis attacca l’Occidente ma il loro obiettivo di fondo è cambiare radicalmente il mondo islamico per dominarlo, sottomettendolo alla sua logica nazista. L’Isis vuole la guerra di civiltà, vuole la separatezza e l’odio, vuole che la logica dell’apartheid e del patriarcato diventi la logica dell’organizzazione del mondo. Per questo il nostro obiettivo non è solo quello di sconfiggerlo militarmente ma è di combattere le idee naziste e barbariche che la animano, il suo progetto politico.

Di fronte agli attentati uniamoci per la libertà, l’uguaglianza, la fraternità e la pace

di Pierre Laurent, segretario generale del Partito Comunista Francese e presidente della Sinistra Europea
Il nostro paese ha appena vissuto uno dei peggiori avvenimenti della sua storia. Gli attacchi terroristici simultanei della notte scorsa a Parigi e Saint-Denis, rivendicati da DAESH (Isis), che hanno provocato finora 127 morti e 200 feriti, sono spaventosi. La Francia è in lutto.
All’indomani di questa carneficina i nostri primi pensieri sono indirizzati alle vittime, alle loro famiglie, ai loro amici, ai testimoni e a tutti coloro la cui vita è stata minacciata. Per tutti il dolore è immenso. Ognuno in Francia ne è profondamente colpito.
Salutiamo l’azione delle forze dell’ordine, dei soccorritori, del personale sanitario e degli agenti territoriali la cui mobilitazione é stata esemplare così come la solidarietà degli abitanti che si è manifestata immediatamente.
Meno di un anno dopo gli attentati di gennaio scorso, la Repubblica è colpita al cuore.

Un intero continente ostaggio del vangelo «ordoliberalista»

di Alfonso Gianni
Alla questione che Thomas Mann poneva agli studenti di Amburgo nel lontano 1953 — se si dovesse avere una Germania europea o un’Europa tedesca — le classi dirigenti hanno già risposto nella maniera peggiore. Ma non per questo la questione è chiusa per sempre. Gabriele Pastrello —La Germania: problema d’Europa? Asterios, pp. 74, euro 7 — torna a ragionarci sopra in un libro denso, ma scorrevole che interviene con grande rigore nel dibattito sul ruolo della Germania nella più grande crisi economica del capitalismo europeo. Malgrado le ridotte dimensioni, l’autore non adotta uno stile pamphlettistico. Non troviamo invettive, né l’adagiarsi su un crescente sentire antitedesco – dopo il trattamento riservato alla Grecia da un lato e l’affaire Volkswagen dall’altro — ma lo snodarsi di argomentazioni che ci dipingono, quasi con stile espressionista, un quadro della Germania di oggi. Un pregio se non raro, certamente infrequente.
L’autore si pone in primo luogo il compito di demolire alcuni luoghi comuni. come quello di una crescita virtuosa basata sulle proprie forze. «La Germania, si può dire, è stato in tutto il dopoguerra il parassita delle politiche keynesiane mondiali. Il mondo cresceva grazie a quelle, e così le esportazioni tedesche». Il Piano Marshall aveva, anche, questo scopo. La Conferenza di Londra del 1953 – richiamata giustamente dai greci come possibile modello per risolvere il problema dell’oggi – condonò i debiti di ben due guerre mondiali alla Germania per permetterle di ripartire. Un’altra parte fu rimandata a dopo l’unificazione tedesca.

Inattivi non per caso: la disoccupazione nascosta

di Ciccio De Sellero
A fine ottobre due dati hanno risvegliato un po’, ma solo per un po’ e comunque mai abbastanza, l’attenzione dei media sull’elevato peso degli inattivi in Italia. Il primo è stato diffuso da Eurostat. Secondo l’ufficio di statistica della comunità europea - che per dirlo ha usato i dati rilevati dai singoli istituti nazionali - l’Italia ha un prevedibile record: per ogni 100 individui che risultavano disoccupati nel primo trimestre di quest’anno si stima che ben 35 siano di fatto usciti dal mercato del lavoro nel trimestre successivo collocandosi fra gli inattivi. Quei 35 non solo non hanno trovato un lavoro ma - diversamente da altri 48 che sono rimasti disoccupati pur continuando a cercare lavoro - hanno anche smesso di cercarlo attivamente, il che poi vuol dire che non lo hanno fatto per almeno quattro settimane precedenti l’intervista. Secondo le definizioni internazionali, per questo motivo non sono né occupati né più disoccupati: siccome non cercano attivamente lavoro entrano a far parte dei cosiddetti inattivi, non sono di fatto sul mercato del lavoro, sono “non forza di lavoro”, e in quanto tali il tasso disoccupazione non li deve per definizione tenere in conto. Se, purtroppo solo per paradosso, quei 35 neo-inattivi avessero per esempio avuto sotto mano dei servizi per l’impiego pubblici ben diffusi e attivi sul territorio (e sui quali dunque si fosse investito bene) molti di loro almeno una azione di ricerca l’avrebbero probabilmente fatta e, a parità di altre condizioni, sarebbero entrati a far parte della misura dei disoccupati.

Brancaccio: “Per la nostra economia c'è poco da esultare”

Intervista a Emiliano Brancaccio di Gabriele Polo
“Se la tua squadra del cuore sta perdendo 10 a 0 e a pochi minuti dalla fine della partita riesce a segnare un goal, non ti metti mica a fare i salti di gioia...”. Emiliano Brancaccio, economista e docente all'Università del Sannio, usa questa metafora calcistica per stigmatizzare l'enfasi con cui il governo e i partiti della maggioranza decretano la fine della crisi economica e l'inizio della ripresa.
Però tra gufi lo possiamo ammettere, qualche segno positivo negli indicatori economici c'è. O no?
"Innanzitutto lascerei in pace i simpatici e bellissimi gufi. Semmai chi critica la narrazione governativa della crisi e della presunta ripresa è una Cassandra, personaggio che certamente fa previsioni spiacevoli, ma che altrettanto certamente coglie nel segno. Proviamo a ragionare sui dati. L'anno in corso dovrebbe chiudersi con un aumento del Pil dello 0,9%. Su questa previsione si basano i messaggi di ottimismo del governo, che per questo invoca l'applauso del pubblico. Ma questa retorica si scontra con il fatto che dall'inizio della crisi abbiamo perso 10 punti di Pil: come segnare un goal quando si è sotto 10 a zero, appunto. Mi pare ci sia poco da esultare.

Gli zero virgola della propaganda

di Aldo Carra
Sono passati pochissimi giorni dalle ultime esternazioni di Renzi prima e Padoan dopo sulle magnifiche sorti della nostra economia nazionale. Il Presidente del consiglio e il ministro dell’economia hanno affermato che l’Italia marcia tranquilla e a una velocità superiore agli altri paesi europei.
In questo clima di euforia l’Unità è arrivata a titolare l’altro ieri “In 9 mesi 900 mila posti di lavoro in più” inducendo il lettore a pensare ad una occupazione aggiuntiva che, purtroppo, non c’è. L’occupazione in più, come ha dimostrato l’Istat e come abbiamo già scritto, dopo i tanti interventi europei e nazionali, si sta stabilizzando sui 200.000. Niente di più, niente di meno. Naturalmente meglio che nessun occupato, ma ben poca cosa se si tiene conto di quali prezzi si stanno pagando tra 12 miliardi di contributi alle imprese e diritti cancellati.

Eric Toussaint: cosa ci deve insegnare la Grecia

Intervista a Eric Toussaint di Mimi Podkrižnik
Crede nel progetto europeo? Ci crede ancora?
"Senza dubbio no. Il progetto europeo si è trasformato in una camicia di forza per i popoli. Non c’è margine di manovra che permetta a un governo democraticamente eletto di operare politiche al servizio dell’interesse generale e di rispettare allo stesso tempo le regole europee. Infatti, i vari trattati e l’architettura istituzionale nella quale s’inseriscono il Parlamento europeo, la Commissione europea, i governi nazionali e la Banca Centrale europea costituiscono un quadro estremamente gerarchico e rigido che lascia sempre meno spazio all’esercizio dell’autonomia, in altre parole la democrazia e la voce dei cittadini. Ne abbiamo appena visto l’esempio con la Grecia. Nel gennaio del 2015, il popolo ha dato il potere ad un governo sulla base di un programma di rottura con politiche che erano completamente fallite. Questo popolo ha riconfermato il rifiuto delle politiche di austerità con il referendum del 5 luglio 2015. Ora, ciò ha soltanto inasprito l’ostinazione delle varie istituzioni europee nell’impedire che si concretizzi questa volontà popolare. È anche stato detto chiaramente. Abbiamo sentito Jean-Claude Juncker dichiarare che non c’era posto per il referendum. Secondo i dirigenti europei, per pronunciarsi sulle politiche europee, la via è già tracciata dalla Commissione e l’eurogruppo, e non c’è mezzo di uscirne o di cambiarla."

La proposta Piketty per finanziare la lotta al cambiamento climatico: una tassa sulla business class

di Martino Mazzonis
Thomas Piketty ha contribuito a tornare a far parlare il mondo di diseguaglianze e in queste settimane, a ridosso del vertice di Parigi, pubblica assieme a un suo collega Lucas Chacel un breve paper sulle diseguaglianze planetarie guardate dal punto di vista delle emissioni di CO2 (qui lo trovate sia in inglese che in francese), un bell’esercizio che si conclude con una proposta: istituire una tassa sui voli di business per scoraggiare i comportamenti inutili (viaggiare un po’ meno) e con i soldi ricavati finanziare la lotta al riscaldamento climatico.
Il ragionamento dei due economisti francesi parte da una constatazione semplice:l’industria del trasporto aereo è uno dei grandi inquinatori dell’atmosfera terrestre. Non parliamo delle scie chimiche che ossessionano alcuni gruppi di complottisti grillini sui social network, ma di emissioni di CO2. Se fosse un Paese, l’industria aerea sarebbe il settimo inquinatore del pianeta, sopra la Corea del Nord e sotto la Germania. Anche per questo i costruttori di aerei (Boeing, Rolls-Royce ed Airbus), in vista della conferenza mondiale sul clima di Parigi, promettono di tagliare i livelli di inquinamento dei loro aerei della metà entro il 2050. aeree hanno promesso Disincentivare o far pagare, come ai Paesi grandi inquinatori, queste emissioni ha senso, dicono i due economisti. Che partono da un assunto: il modo in cui calcoliamo le emissioni oggi – partendo dalla geografia, ovvero da quanto inquina ciascun Paese – è in parte fuorviante.

Proposti tagli alla scuola pubblica del 40%. Con la firma della ministra Giannini

di Raffaele Carcano
Che la scuola pubblica versi da anni in pessime acque lo sapevamo. I governi che nel frattempo si sono succeduti non l’hanno certo aiutata a risollevarsi, a prescindere dal loro colore politico. Ma fa comunque impressione scoprire che un libro apologetico della scuola privata sia stato corredato dalla prefazione della ministra dell’istruzione Stefania Giannini, che non è esattamente abituata a scriverne. Sarà forse perché, nel testo, l’espressione “Buona Scuola” ricorre diverse volte. Due dei tre autori l’avevano del resto già usata in un libro del 2010,La buona scuola pubblica per tutti. Statale e paritaria.
Titolo profetico, non c’è che dire.
Non ho avuto modo di leggere quel libro, ma i contenuti sembrano più o meno gli stessi di quello pubblicato pochi giorni fa. Gli autori del testo che ha attirato l’attenzione di Stefania Giannini sono Anna Monia Alfieri (delle Suore di Santa Marcellina), Marco Grumo (docente dell’Università Cattolica) e Maria Chiara Parola (componente della commissione scuola della curia di Milano). Le fonti citate sono a loro volta quasi esclusivamente cattoliche. Il volume esalta la necessità di riconsegnare alla famiglia il suo “ruolo principe nel campo educativo”. La famiglia “alla cattolica”, ovviamente, e fin dalla prima pagina: “Se la Storia nasce con la scrittura, la Scuola nasce con la preistoria, con l’uomo e con la donna. E con il primo bambino. La Scuola nasce con la Prima Famiglia della Storia”.

Come lasciar decadere la sanità pubblica per favorire la privata

di Lorenzo Maria Alvaro
Cittadini costretti a sacrificare la propria salute per tempi lunghi e costi insostenibili, quasi ad abituarli progressivamente al privato, a fronte di un servizio pubblico, quale è il Servizio Sanitario Nazionale, che ha sempre più difficoltà a garantire l’accesso alle prestazioni: liste di attesa in aumento, ticket eccessivamente gravosi, presunta malpractice, assistenza territoriale in affanno e servizi per la salute mentale fuori uso.
È questo il quadro generale che emerge dalla 18° edizione del Rapporto Pit Salute “Sanità pubblica, accesso privato” (scaricabile in versione integrale in allegato), presentato oggi a Roma dal Tribunale per i diritti del malato–Cittadinanzattiva.
Continuano ad aumentare rispetto al 2013 le difficoltà riscontrate dai cittadini ad accedere alle prestazioni sanitarie pubbliche: le liste di attesa rappresentano la voce più consistentetra le difficoltà di accesso e riguardano in particolare esami molto diffusi come ecografie con attese medie di nove mesi, ma anche esami molto importanti e delicati come risonanze magnetiche e TAC, con tempi insostenibili soprattutto per quanto riguarda l’area oncologica dove si registra un aumento di segnalazioni anche per radioterapia, chemioterapia e accesso ai farmaci oncologici (dal 9,4 al 12%).

Buona scuola di manganelli

di Roberto Ciccarelli
Proteste contro la riforma della scuola macchiate di sangue. Quello degli studenti. Manganellate hanno colpito chi manifestava a Napoli e a Milano contro la riforma Renzi-Giannini definita “Buona Scuola”, mentre il corteo dei sindacati di base e degli studenti a Roma – tra sette e diecimila i manifestanti secondo gli organizzatori — è sfilato senza subire violenze. Studenti delle superiori a Torino hanno occupato un deposito Gtt in corso Tortona per protestare contro il caro abbonamenti ai mezzi pubblici e poi hanno proseguito fino al Campus Einaudi dove il corteo si è sciolto.
Le immagini riportano il momento in cui è stata bruciata una bandiera del Pd. A Milano, in una carica della polizia contro il corteo che ha deviato dal percorso prestabilito sono state ferite due persone, una studentessa appena maggiorenne e un docente 50enne. «Non ho lanciato nessuna provocazione all’indirizzo delle forze dell’ordine perché – ha detto il docente D. G. a Repubblica Tv — non è nella mia attitudine attaccare loro in prima persona, nemmeno a livello verbale. Sono arrivato a volto scoperto e quando il contatto è stato troppo ravvicinato sono partiti loro, senza nessun lancio di oggetti, senza che da parte del corteo fosse stata fatta alcuna provocazione. Sono partiti loro con i loro manganelli». Nel pomeriggio una ventina di studenti con docenti dei Cobas e della Cub scuola hanno manifestato all’ingresso dell’Accademia di Brera dove hanno esposto uno striscione di protesta in attesa dell’arrivo della ministra dell’Istruzione Stefania Giannini. Lo slogan: «contro gerarchie e scuole azienda resistiamo al buona scuola».

Agorà dell’acqua e dei beni comuni. Il report

La due giorni di Agorà dell’acqua e dei beni comuni ha registrato la partecipazione di attivisti provenienti da comitati del nord, centro e sud Italia, oltre a rappresentanti di altre realtà sociali e movimenti.
La discussione, come da programma, si è suddivisa in sessioni tematiche al termine delle quali, la maggior parte delle volte, si è sviluppato un dibattito teso ad approfondire alcuni degli aspetti affrontati dai relatori.
La varietà dei temi toccati dai diversi interventi ha provato a indicare alcuni elementi che caratterizzano il contesto all’interno del quale si muove il movimento per l’acqua.

F-35, nessun taglio: confermati i 10 miliardi di euro per l’acquisto dei caccia

di Francesco Vignarca
Adesso lo confermano anche i documenti ufficiali, non si tratta più solo di un'ipotesi: il Governo non ha operato alcun dimezzamento per quanto riguarda i fondi destinati dell'acquisto dei caccia F-35. 
La cospicua riduzione era stata richiesta (e votata) da una delle Mozioni parlamentari presentate a settembre 2014 nell'ambito dell'acceso dibattito alla Camera dei Deputati su questo contrastato programma di armamento. Da allora sia i parlamentari che le organizzazioni della società civile avevano cercato di capire se a tale richiesta di indirizzo avessero fatto seguito dei fatti concreti, ma con scarso successo. In diverse occasioni infatti, sia in relazione ad interrogazioni parlamentari sia su sollecitazione delle Campagne per il disarmo, il Governo aveva fornito risposte evasive e poco chiare. Già da tempo però diversi indizi suggerivano che non ci fosse stato alcun cambio di direzione, portando dunque ad un non rispetto della mozione a prima firma Giampiero Scanu per quanto riguarda il dimezzamento del budget degli F-35. Allo scopo è sufficiente andare a rileggersi le schede relative al programma poste all'interno dei Documenti di Programmazione Pluriennale della Difesa, lo strumento che da qualche anno delinea e dettaglia le strategie anche di procurement militare. Nelle ultime tre versioni di tale documento la scarna frase dedicata alla fase di acquisto nel programma dei cacciabombardieri di produzione statunitense è stata sempre la stessa: “oneri complessivi stimati in circa 10 miliardi di Euro”... provate voi a trovare le differenze nell'immagine sottostante!

L’Unione europea non è un modello da esportare

Intervista a Elido Fazi di John D. Oquendo
Per Fazi, l’Europa non inizia nell’economia ma nella cultura. L’economista ha una passione per il poeta inglese John Keats, che ha tradotto in italiano. «Esiste da sempre una cultura europea. Keats leggeva Dante in italiano. La cultura se ne andava da una frontiera all’altra. Questo è il contesto comune che permette di immaginare una vera Unione europea».
Per l’Unione europea, quali sono stati gli effetti positivi e quali quelli negativi dell’unione doganale e monetaria?
"Ci sono vantaggi, naturalmente. A partire dal fatto di potersi muovere da una frontiera all’altra, anche se nell’ultimo periodo stiamo assistendo all’innalzamento di nuove barriere anti-immigrazione. Ci sono stati anche stati benefici economici: siamo riusciti a creare una moneta unica gestita da una banca centrale europea, che rappresenta una forma di unione federale economica. Tuttavia, dopo la crisi del 2007 e del 2008, la banca centrale statunitense è riuscita a rivitalizzare l’economia per mezzo della spesa in deficit, mentre la Banca centrale europea non è riuscita a fare lo stesso. Essa non ha tenuto conto delle diverse realtà dei paesi europei. Di conseguenza, la risposta, guidata dalla Germania, è stata molto meno efficace di quella statunitense."

Saskia Sassen e la finanziarizzazione “che espelle i più deboli dalla società”

di Marco Boscolo
Dal 2008 a oggi, 13 milioni di americani hanno perso la casa perché non riuscivano più a pagare i mutui. 13 milioni di persone che dall’alveo relativamente sereno della società civile se ne ritrovano improvvisamente ai margini. Lo stesso è avvenuto anche per altre cause e in altre parti del mondo e ha generato una nazione trasversale di espulsi, come li definisce Saskia Sassen durante il suo intervento all’edizione di quest’anno di Falling Walls, la conferenza-evento che dal 2009 celebra a Berlino la caduta del muro.
A questo tema la sociologa americana, sempre attenta a studiare gli effetti dei cambiamenti economici sulla società, ha dedicato il suo ultimo libro da poco arrivato anche in Italia ("Esplusioni. Brutalità e complessità nell’economia globale") sostenendo che le espulsioni, dovute a cause diverse (il debito, i conflitti, il cambiamento climatico, l’eccessivo sfruttamento del territorio), sono il vero tratto distintivo della società mondiale dagli anni Ottanta a oggi.

Ambiente e lavoro, un tandem democratico

di Marcello Buiatti
Come è noto, all’inizio di dicembre si svolgerà a Parigi il COP 21, il convegno mondiale sullo stato e sulle dinamiche del cambiamento climatico del pianeta Terra a cui aderiscono tutti i paesi del mondo. Anche l’Italia parteciperà, ed ha riunito a Roma il 6 Novembre la coalizione nazionale delle associazioni ambientaliste, in vista della manifestazione romana del 29 Novembre e discutere la linea da seguire in Italia e a Parigi. Chi scrive fa parte di questa coalizione in quanto presidente dell’Associazione Nazionale “Ambiente e Lavoro”, nata con il disastro di Seveso con l’obiettivo di combattere i pericoli della produzione all’interno del luogo di lavoro e nell’ambiente tutto, collegando ambientalisti e lavoratori.
Per molto tempo è stato difficile unire ambiente e lavoro avendo come obiettivo l’eliminazione dei possibili effetti negativi per l’ ambiente e la salute fuori e dentro l’azienda senza dover ridurre l’occupazione. Nell’incontro del 6 Novembre si sono espresse voci di ambientalisti, ma anche di rappresentanti della Cgil, e delle organizzazioni dei lavoratori in genere, rappresentanti degli studenti, una organizzazione trasversale come Avaaz, operatori che lavorano nelle regioni e nei comuni. Per la prima volta, per quanto ricordi, ha preso corpo una discussione di “ambientalismo sociale ed economico” che, invece di affrontare solo genericamente i concetti di base del cambiamento climatico, i suoi effetti e lo stato generale dell’ambiente, si è concentrata sul nostro Paese affrontando insieme i problemi economici, sociali e politici italiani su cui intervenire in previsione della accelerazione del processo climatico.

Se riesplode l’Algeria, altro che caos libico

di Karim Metref
Chi si ricorda dell’Algeria? Sapete, quel piccolo paese grande come l’Europa occidentale sull’altra riva del Mediterraneo. Proprio di fronte alla Sardegna. Non si parla quasi mai dell’Algeria. Tranne se un gruppo di terroristi prende in ostaggio o taglia la testa a qualche cooperante occidentale. I media internazionali hanno sempre coperto pochissimo il paese nordafricano. Poche notizie ne escono. Anche la sanguinaria guerra civile degli anni 90 che ha falciato quasi 300 mila persone è stata una delle guerre meno documentate nella storia moderna. Sarà perché in Algeria tra un’uccisione di occidentali e un’altra non succede nulla?
Non è così. L’Algeria è un paese molto dinamico dove succedono molte cose. C’è una società civile che lotta per uscire dalla terribile situazione in cui è rinchiuso il paese dalla fine della guerra. Ci sono conflitti sociali importanti. Ultimamente ci sono stati persino scontri etnici tra popolazioni arabofone sunnite e una minoranza berberofona ibadita. Quindi c’è guerra etnica e religiosa. Il piatto favorito dell’infotainment globale. Eppure niente. Nessuno ci ha dato importanza e i timidi lanci delle agenzie sono andati a finire nella pattumiera delle notizie non notiziabili?

I risultati estremamente deludenti del summit sulle migrazioni di Malta

di Elly Schlein e Stefano Catone
La stampa italiana – tranne rare eccezioni – ha praticamente ignorato il vertice che si è tenuto a Malta nei giorni scorsi, nonostante l’argomento e i protagonisti richiedessero un’attenzione elevatissima nel nostro Paese.
Di cosa stiamo parlando
Stiamo parlando di migranti, e stiamo parlando di un dialogo tra circa sessanta stati europei e africani, organizzazioni regionali e internazionali: Unione europea, Unione africana, Alto commissariato per l’Onu dei rifugiati (Unhcr) e la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (se volete farvi un’idea, queste sono le delegazioni invitate). L’iniziativa è stata lanciata dal Consiglio europeo lo scorso aprile, dopo l’ennesima strage nel Mediterraneo.

Il nemico dell'inflazione zero

di Guido Tabellini 
[Nell’intervista del 31 ottobre al Sole 24 Ore] il presidente Draghi ha sottolineato che la BCE è determinata a centrare il suo obiettivo di un’inflazione nel medio termine poco sotto il 2 per cento. È importante che lo sia. È dal 2013 che l’inflazione si è allontanata dall’obiettivo, ed è ormai più di un anno che l’area euro convive con un’inflazione intorno a zero. Un’inflazione così bassa ostacola il rientro dal debito e il recupero di competitività dei paesi del Sud Europa (perché prezzi e salari sono rigidi verso il basso), e ha molti altri inconvenienti.
Eppure, questi costi non sono sempre evidenti all’opinione pubblica. Quando l’inflazione è troppo alta, i cittadini se ne accorgono subito, perché l’effetto sul costo della vita è immediatamente visibile. Un’inflazione prossima a zero è altrettanto dannosa, ma più subdola. Vi è il rischio di essere troppo compiacenti, accettando di restare a lungo in questa situazione. Pertanto ha fatto bene Mario Draghi a ribadire la sua determinazione.

Stanno facendo a pezzi il mondo

di George Monbiot
Cosa hanno imparato i governi dalla crisi finanziaria? Potrei scriverci un’intera rubrica specificandolo nel dettaglio, oppure potrei spiegarlo con una sola parola,niente. In realtà dire così è anche troppo generoso. Le lezioni imparate sono contro-lezioni, anticonoscenza, nuove politiche, che difficilmente potrebbero essere meglio progettate per garantire il ripresentarsi della crisi, questa volta con maggiore impulso e un minor numero di rimedi.
E la crisi finanziaria è solo una delle molteplici crisi – la riscossione delle imposte, la spesa pubblica, la salute pubblica, soprattutto tutta l’ecologia – che le stesse contro-lezioni stanno accelerando.
Un passo indietro e si può vedere che tutte queste crisi nascono da una stessa causa. Gli speculatori con enorme potere e portata globale vengono dispensati dalla moderazione democratica. Questo a causa di una corruzione di base nel cuore della politica. In quasi tutte le nazioni, gli interessi delle élite economiche tendono ad avere più peso sui governi rispetto a quelli dell’elettorato. Le banche, le aziende e i proprietari terrieri esercitano un potere inspiegabile, che funziona con un cenno del capo e un occhiolino, all’interno della classe politica.

L’irresistibile crescita dello shadow banking europeo

di Maurizio Sgroi 
La crisi ha cambiato il volto della finanza europea rafforzando tendenze già visibili alla fine degli anni ‘90, che adesso sono prevalenti. Il primo a giovarsi di questa evoluzione è stato il settore dello shadow banking, che orma gestisce 23 dei 60 trilioni di asset finanziari dell’eurozona. Una crescita spettacolare, solo che si consideri come le entità-ombra, ossia gli intermediari finanziari non bancari, gestivano appena 9 trilioni di assetalla fine degli anni ‘90, che è anche il segno di un cambiamento di consuetudini che avvicina sempre più l’Europa agli Stati Uniti, dove lo shadow banking ormai ha un ruolo da protagonista.
È interessante notare, come fa la BCE nel suo ultimo rapporto sulle strutture finanziarie della zona euro, che la crisi, lungi dal far dimagrire lo shadow banking, l’ha invece rafforzato. Dal 2009, infatti, la quantità di asset gestiti è crescita dal 33 al 38 per cento, mentre il peso degli istituto di credito tradizionali è sceso dal 55 al 48 per cento. A fronte di queste cifre, la debolezza dell’euro ha provocato che circa il 40 per cento di questi asset sono investiti fuori dall’eurozona.

Renzi e De Luca stanno sereni

di Daniela Preziosi
«La magistratura faccia il suo corso, noi abbiamo molta fiducia verso i magistrati e al tempo stesso De Luca ha la titolarità, il diritto e il dovere di governare. Siamo assolutamente certi che il mandato sia pieno e quindi De Luca lavori se capace». Le parole del presidente del consiglio dedicate al caso De Luca, durante la conferenza stampa sulle decisioni dei ministri e sul decreto Giubileo, continuano a essere poche, pochissime. In quelle poche frasi però, si potrebbe riconoscere un’assonanza con quelle che Renzi pronunciò nel giugno scorso a proposito del sindaco di Roma Marino: «Governi, se è in grado, se no a casa». Era già una sentenza di morte (politica, s’intende).
Ma il parallelo finisce qui. Per il presidente del consiglio Vicienzo non è Ignazio. Per lui De Luca non era un impresentabile, con buona pace della lista della commissione antimafia (contro la quale furono infatti i renziani a fare fuoco). Così come è un intoccabile: la fiducia nella magistratura è giusto una formula di rito. «Io sono sempre pronto a farmi carico di discussioni politiche, ma non di discussioni autoreferenziali tra addetti ai lavori», dice ancora il premier, pattinando fra un’argomentazione e l’altra. «Se ci saranno atti giudiziari ne prenderemo atto, ma fino a quel momento piena, totale incondizionata fiducia a magistratura e volontà di fare le cose».

La doppia faccia dell’economia nel Kurdistan dei rifugiati

di Chiara Cruciati
È partita giovedì la controffensiva kurda per liberare Sinjar dalla morsa dello Stato Islamico. Con il sostegno aereo della coalizione e i consiglieri militari Usa sul terreno, 7500 peshmerga kurdi (assistiti dagli yazidi residenti) hanno ripreso ieri la strada 47 che collega Mosul a Raqqa. Una conquista fondamentale: si taglia la via di collegamento e rifornimento dell’Isis, si taglia la continuità del sedicente califfato, aprendo a future offensive accanto a quella irachena per Ramadi, in stallo.
In poche ore le forze kurde hanno ripreso tre villaggi, tre colline a nord ovest e un checkpoint, liberando dall’assedio l’80% di Sinjar. Nell’immediato la controffensiva aumenterà il numero di profughi yazidi che già affollano il Kurdistan iracheno da oltre un anno: prima in fuga dall’Isis, ora dalle bombe. Le organizzazioni umanitarie si attendono un altro flusso che incrementerà le tensioni già esistenti.

Il Jobs Act ha il suo primo licenziato

di Antonio Sciotto
«Riorganizzazione della turnistica dovuta a un persistente calo di lavoro». Basta questa scarna motivazione, annegata dentro una lettera di appena 11 righe, per poter licenziare una persona al tempo del Jobs Act. Il dipendente è a tempo indeterminato, ma senza articolo 18 e protetto solo dalle «tutele crescenti», quindi avrà diritto solo a un piccolo indennizzo monetario, mentre l’azienda ha goduto ampiamente degli sgravi contributivi concessi dal governo. Soldi pubblici ben investiti, se non creano posti stabili? Devono esserselo chiesto alla cartiera Pigna Envelopes srl di Tolmezzo (Udine), dove — come spiegava ieri ilMessaggero veneto — si è registrato il primo licenziamento di un lavoratore assunto con le norme “made in Renzi”.
Assunto 8 mesi fa — quindi tra i primi in assoluto in Italia (il Jobs Actè entrato in vigore il 7 marzo) — il dipendente della Pigna ha ottenuto un benservito lampo: l’amministratore delegato della cartiera, infatti, gli ha scritto che la decadenza del suo posto era da intendersi «con decorrenza dal ricevimento della presente lettera». Un trauma che — almeno in questi termini — viene risparmiato perfino ai precari, visto che con tutti i problemi che hanno, conoscono pur sempre la scadenza naturale del contratto.

Pensioni, tutti i rischi della proposta Boeri

Intervista a Michele Raitano di Stefano Iucci
Il limite teorico principale della proposta formulata dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, in materia di pensioni, e che avrebbe l’obiettivo, tra gli altri, di corrispondere un reddito minimo di 500 euro a chi rimane senza impiego e ha più di 55 anni – misura finanziata da un ricalcolo delle “vecchie” pensioni contributive – è innanzitutto uno: assumere come un sistema perfetto il metodo di calcolo delle pensioni contributivo-attuariale. E cioè quel “principio” secondo il quale è giusto che la pensione corrisponda interamente a quanto si versa. Questo, in estrema sintesi, il giudizio di Michele Raitano, ricercatore in Economia politica presso “La Sapienza” Università di Roma. Che puntualizza: “Si tratta di un giudizio di valore, alla fine: una precisa scelta di politica economica. Molti paesi, però, percorrono strade diverse: preferiscono sistemi di tipo retributivo che tutelano i livelli salariali di fine carriera, e cioè un’equità di tipo assicurativo piuttosto che attuariale. Del resto, se anche da noi prendiamo come esempio gli ammortizzatori sociali, nessuno pensa che servizi e prestazioni che vengono erogati debbano matematicamente corrispondere a quanto versato, perché l’idea è che il rischio e le tutele vadano condivise tra tutta la collettività, con un principio di solidarietà del sistema. Insomma, senza ovviamente trascurare la gravità delle molte distorsioni e iniquità che caratterizzavano il sistema pensionistico retributivo, secondo me non è però giusto pensare che un sistema neutrale dal punto di vista attuariale sia anche un sistema equo dal punto di vista di altri criteri di giustizia sociale”.

Violenza sessuale, guerra e patriarcato

di Laura Fano Morrissey
Sono carne e spirito delle Americhe, sono meticcia, sono figlia di una figlia di una figlia nata dallo stupro dei guerrieri avidi d’oro, perché i Conquistatori non si portarono donne al seguito e violando la carne delle indigene diedero origine a ciò che siamo: non fu vittoria, non fu sconfitta, fu la dolorosa nascita della civiltà meticcia, fusione inestricabile di passato che non passa, memoria che non si spegne, vita che nasce dalla morte e morte che dà la vita… (Cacucci, 2010, p. 48).
La conquista dell’America nel 1492 fu caratterizzata dal genocidio della popolazione indigena da parte dei conquistatori spagnoli, dalla sottomissione dei sopravvissuti, dallo stupro e servitù sessuale della componente femminile delle popolazioni originarie. La guerra e lo stupro come arma di conquista sono quindi componenti insite nella creazione stessa dell’America Latina e tuttora visibili nella sua più profonda manifestazione che è il meticciato, carattere fondante delle società del subcontinente.

Pericle vs renzi

di Luca Billi
Troppe volte si sente dire che in questo paese il romanzo è finito, che non siamo più capaci di inventare storie. Non è vero, vi voglio segnalare un autore capace di usare la fantasia, un affabulatore, un creatore di narrazioni inverosimili, ma non per questo meno divertenti. Si chiama Edoardo Di Benedetto; ammetto che non lo conoscevo, perché scrive su testate underground, note soltanto a un ristretto numero di amatori.
La sua ultima fatica letteraria è stata pubblicata proprio su uno di questi giornali d’avanguardia, l’Unità, ed è dedicata a dimostrare un’inedita – e finora misconosciuta – analogia tra Pericle e renzi. Visti i meriti artistici di questo testo, credo meriti un pubblico più ampio e per questo ne cito uno stralcio.

La Cup conferma il suo «no» a Mas

di Luca Tancredi Barone
Un «no tranquillo». La Cup mantiene le promesse e, nonostante le pressioni, continua a dire «no» ad Artur Mas come presidente. Neppure nel secondo dibattito di investitura del presidente del governo catalano tenutosi ieri, quando era necessario ottenere solo la maggioranza semplice dei voti per risultare eletti, Mas ce l’ha fatta. Antonio Baños, portavoce del movimento della sinistra movimentista, anticapitalista e femminista che vuole l’indipendenza catalana, ma non vuole che la guidi chi è stato il presidente per gli ultimi 5 anni, l’ha detto chiaramente: «È un no, ma un no tranquillo. Diciamo no oggi con la certezza che il sì importante, il sì alla repubblica, non finisce stamattina». Mas ha incassato i suoi 62 voti a favore, quelli del gruppo di Junts pel Sì, e 73 no di tutti gli altri gruppi presenti nella camera catalana.
Il presidente ad interim giovedì aveva fatto l’ennesima proposta alla Cup, proponendo di depotenziare al massimo il ruolo del president con tre vicepresidenze e un voto di fiducia, non necessario nel sistema parlamentare catalano, fra 8 mesi. La Cup riconosce che è un passo in avanti, ma non ancora sufficiente. Non sa più come spiegare che voterebbe qualsiasi altro candidato, basta che Mas faccia un passo indietro. Ma è chiaro ormai che a Mas interessa molto più la propria persona che il procés verso l’indipendenza e non ha alcuna intenzione di gettare la spugna.

Droni e bombe, così l'Italia prepara la guerra

di Gianluca Di Feo
I latini dicevano: se vuoi la pace, prepara la guerra. E anche il governo Renzi pare adattarsi a questa filosofia. Negli ultimi giorni infatti è stata firmata una raffica di contratti per rifornire i nostri arsenali. Uno shopping di bombe, ad alta precisione, comprate negli Stati Uniti. Formalmente, gli ordigni vengono acquistati dal Pentagono che poi li rivenderà al nostro paese: il meccanismo adottato dagli States per mantenere il controllo di tutte le esportazioni e limitare il rischio di tangenti sulle forniture.
L'ultimo contratto riguarda un numero imprecisato di armi molto di moda, perché progettate per ridurre il rischio di danni collaterali. Si chiamano Small Diameter Bomb e serviranno – come recita il documento ufficiale dell'Aeronautica – «in operazioni a sostegno della pace contro bersagli fissi in scenari a bassa-media densità urbana». Per colpire in mezzo alle abitazioni viene richiesto «di rendere inoffensivo il bersaglio con un solo sgancio».

Africa amara per Bruxelles

di Leo Lancari
Per arrivare a un documento finale che andasse bene a tutti i funzionari europei e africani hanno lavorato fino all’alba limando ogni parola e mettendo insieme una serie di promesse per il contrasto alle guerre, alla povertà e ai cambianti climatici, formulate però in maniera tanto generica da non risultare impegnative più di tanto. Un documento sufficientemente vago da consentire ai leader europei arrivati a Malta per un vertice sull’immigrazione con i Paesi africani di parlare di successo.
Almeno sulla carta, perché si fa fatica a trovare traccia di impegni concreti e viste le premesse con cui l’Unione europea era arrivata a La Valletta, vale a dire convincere i leader a impegnarsi nel fermare i flussi migratori in cambio di aiuti allo sviluppo per 1,8 miliardi di euro, non è detto che sia una cattiva notizia. Anche i finanziamenti promessi, infatti, almeno per adesso esistono solo nelle intenzioni visto che di soldi veri e propri gli Stati membri ne hanno messi davvero pochini: appena 81,27 milioni di euro, stando agli ultimi dati forniti dalla Commissione europea.

L’algoritmo autoritario

di Paolo Mossetti
«La statistica tedesca non è diventata solo un testimone che prende nota», scrisse nel 1937 Friedrich Zahn, presidente dell’Ufficio Statistico Bavarese, «ma è anche uno degli ispiratori creativi degli eventi del nostro tempo». In quegli anni c’era il grande censimento della Germania da fare: andavano localizzati e schedati i cittadini ariani separandoli da quelli impuri e dalle razze inferiori che presto sarebbero state deportate verso i campi di sterminio. Vista la portata del perverso progetto, bisognava velocizzare i tempi, e a tal proposito i nazisti si servirono di un potente calcolatore: la macchina tabulatrice cosiddetta “di Hollerith”, fornita da Dahomag, una società tedesca controllata dall’americana IBM. Lo racconta il giornalista Edwin Black nel suo IBM and then Holocaust, in cui spiega come il colosso informatico fornì agli scienziati del Reich migliaia di questi proto-computer in cambio di un contratto assai redditizio. «L’unico modo per eliminare ogni errore», spiegò Karl Keller, uno dei professori nazisti coinvolti nel progetto, «è la registrazione dell’intera popolazione». Contava solo il data mining; i dubbi morali erano banditi, e i tecnici della IBM si guardarono bene dal fare domande.

All’Italia piacciono fossili: 3,5 miliardi di dollari all'anno regalati a petrolio, gas e carbone

di Umberto Mazzantini
Il nuovo rapporto “Empty promises G20 subsidies to oil, gas and coal production”,diffuso da Oil Change International e Overseas Development Institute a pochi giorni dall’inizio della Cop 21 di Parigi, dedica naturalmente una scheda d’approfondimento all’Italia: il nostro Paese non fa certo la figura del campione ambientale, che vuole davvero ridurre le emissioni di gas serra e lasciare nel sottosuolo i combustibili fossili che provocano il riscaldamento globale.
Tra il dire e il fare, tra le promesse al G20 e al G7, il discorso all’Onu di Matteo Renzi e gli impegni europei, ci sono le trivellazioni petrolifere, i CIP6 e perfino i finanziamenti ai consumi di combustibili fossili nelle isole minori, per non parlare di come e dove il nostro governo finanzia l’estrazione e il consumo dei combustibili fossili all’estero.

Tutti referendari!

di Giuseppe Civati
Leggo che Cgil è pronta a presentare i quesiti referendari sul Jobs Act. Qualche mese fa, a febbraio, uscì la stessa notizia, poi com’è noto si preferì non proseguire. Speriamo che questa volta l’impegno si traduca in iniziativa referendaria davvero.
Lo stesso vale per l’Italicum: sono stati depositati in Cassazione due quesiti che darebbero lo stesso effetto (in un caso identico, nell’altro analogo) ai nostri due quesiti.
Insomma, il pacchetto promosso da Possibile a maggio torna d’attualità. E abbiamo la possibilità di ricontattare le centinaia di migliaia di persone che hanno firmato già, perché tornino a farlo. Un patrimonio democratico che saremmo lieti di condividere con tutti i soggetti interessati, come già Possibile fece all’atto della sua stessa costituzione.

Giubileo contro enciclica: le contraddizioni del pontificato

di Luigi Piccioni
Il pontificato di Jorge Bergoglio sta sotto il segno del rinnovamento: radicale su alcuni temi, molto più cauto su altri. E comunque lo stile e l’approccio al governo della Chiesa e all’azione pastorale è completamente diverso da quello ingessato di Ratzinger.
Come già fu Giovanni XXIII, egli costituisce una risorsa imprescindibile per una Chiesa che sperimenta da anni una gravissima crisi nel suo rapporto col mondo e al tempo stesso una specie di corpo estraneo per una parte consistente della Chiesa stessa, a partire dalla Curia romana e dall’episcopato italiano.
L’enciclica Laudato sì sull’ambiente è un documento solenne e di grande peso istituzionale e al tempo stesso è una poderosa sfida lanciata ai cristiani, ai poteri mondiali e allo stesso mondo ambientalista.

Migranti: il vertice della vergogna

di Riccardo Achilli
Si è chiuso a La Valletta il vertice sui migranti più vergognoso e fallimentare della storia europea.
Nessun accordo sulla redistribuzione dei migranti dai Paesi di prima linea, come il nostro, agli altri. Con Renzi, incapace di tutelare l’interesse italiano, che fa la consueta figura da cioccolataio, enunciando una teoria dello sviluppo dei Paesi africani da Expo 2015, basata cioè su agroalimentare e PMI.
Con Stati membri che prendono iniziative unilaterali, compresa la Svezia, nonostante il suo passato da Paese modello di accoglienza, che ripristina i controlli alla frontiera. Gli ungheresi che minacciano di dare fuoco ai migranti che la Germania dovesse respingere. La Slovenia che costruisce un nuovo muro.

Luciano Gallino e la lotta alla stupidità neoliberista

di Fabio Marcelli
Luciano Gallino ci ha lasciato. E’ stato un grande e insuperabile maestro nella lotta al neoliberismo e nella promozione del pensiero critico.
Il giorno prima della sua scomparsa ho avuto modo di acquistare il suo ultimo libro: Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti. Vale la pena di riprodurre alcuni passi importanti dellaprefazione del libro, scritto con l’intento sacrosanto di fornire alle giovani generazioni strumenti di analisi e autonomia intellettuali per opporsi a un modo di gestire economia, politica e società che le sta maciullando e spingendo nel limbo dell’inazione e della mancanza di consapevolezza e identità.
Secondo Luciano Gallino, si registra, negli ultimi decenni, una grave sconfitta di due idee fondamentali, quella diuguaglianza e quella di pensiero critico: “Causa fondamentale della sconfitta dell’uguaglianza è stata, dagli anni Ottanta in poi, la doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico, la prima strettamente collegata con la prima.

Italiani nel mondo, fotografia di un Paese all’estero

di Mara Cinquepalmi
Sono uomini (56,0%), celibi (59,1%), tra i 18-34 anni (35,8%), partiti soprattutto dal Nord Italia per trasferirsi in Europa. È questa la foto dell’emigrazione italiana nel 2015 secondo i dati del decimo Rapporto Italiani nel mondo, curato dalla Fondazione Migrantes.
Lo scorso anno oltre 100mila connazionali hanno lasciato l’Italia nella speranza di trovare oltre confine un lavoro. A partire, però, non sono soltanto i giovani. Secondo il rapporto, partano i lavoratori, le famiglie e persino gli anziani. Gli over 65 sono 922.545, ovvero il 19,9% del totale. Di questi, 445.672 hanno meno di 75 anni (48,3%), 317.779 hanno tra i 75 e gli 84 anni (34,4%) e 159.094 hanno più di 85 anni (17,3%). La Francia è il paese che accoglie la più numerosa comunità di cittadini italiani anziani. La maggior parte degli over65 iscritti all’AIRE, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, è calabrese di origine, proviene dalla provincia di Cosenza, e risiede in America latina.

La follia delle guerre dei droni

di Doug Noble
“L’intera nostra politica mediorientale sembra basata sul lancio di droni”, ha dichiarato a The Intercept il generale di corpo d’armata Michael Flynn, ex capo dei servizi segreti della difesa. “Sono innamorati della capacità delle operazioni speciali e della CIA di individuare un tizio nel mezzo del deserto in qualche piccolo villaggio merdoso e di sganciargli una bomba sulla testa uccidendolo”.
Gli assassinii mirati mediante i droni restano l’arma statunitense preferita, notoriamente definita “il solo gioco in città” dall’ex direttore della CIA Leon Panetta. Questo nonostante un decennio di indignazione morale mondiale per le soverchianti vittime civili, le violazioni della legge internazionale, il disprezzo per la sovranità nazionale, il rigetto del giusto processo e la continua segretezza. L’amministrazione Obama ha recentemente annunciato che il programma di uccisioni mediante i droni sarà di fatto accresciuto del 50% nei prossimi due anni.

Il ritorno degli homeless

di Giovanna Pajetta
Un trentenne biondo sonnecchia abbracciato al suo cartello di cartone che grida «I need a miracle!», sul marciapiede delle 52sima east, un vecchio nero dorme tra i suoi stracci sulla Hudson, nel cuore del Village, mentre una intera tribù si è accampata nei giardinetti del metrò tra Broadway e Amsterdam avenue nel sempre più ricco Upper west side. Dopo 30 anni gli homeless sono tornati in massa a New York. E se quelli che incontri ogni giorno sono solo 3000, negli shelter, gli ospizi ce ne sono ormai ben più di 57mila. Famiglie con bambini, gente comune che la mattina va a lavorare. Perché essere senza casa in America non vuol dire essere un barbone senza lavoro.
Non è una novità. Era così anche alla fine degli anni ’80, quando la Casa bianca di Ronald Reagan tagliava i fondi per il welfare. Questa volta però il colpevole non è un presidente ma la Grande Recessione, e la qualità della ripresa economica che l’ha scacciata. Gli anni più bui sono ormai alle spalle, la disoccupazione è scesa addirittura al 5 per cento, i consumi sono tornati a crescere.

La schiavitù del tempo

di Gustavo Esteva
La puntualità non è una virtù che sembri molto rivoluzionaria. Al contrario: si associa alla legge e all’ordine, a quelli di sopra. Ma viene anche dal basso.
Nella società moderna impariamo la schiavitù dell’orologio molto presto. La scuola ci prepara per il controllo della nostra vita nel lavoro, per poter mettere ogni nostro minuto al servizio del capitale. E si estende giorno dopo giorno la forma oraria della dominazione, che un soffio rivoluzionario dovrebbe distruggere.
Ma c’è anche un altro tipo di puntualità. Coloro che hanno partecipato al secondo livello della escuelita zapatista avranno appreso che cosa significa la puntualità quando la si costruisce in basso, tra compagni, come fecero gli zapatisti 30 anni fa. Hanno ascoltato come a volte diventi questione di sopravvivenza e quanto sia un elemento indispensabile nell’organizzazione.
La puntualità tra compagne e compagni è prima di tutto un segno di rispetto dell’altro.

Sgomberi a Torino, così si cancellano le belle storie

di Livio Pepino
Tre giorni fa Torino ha dato l’ultimo saluto a Luciano Gallino. C’era, con i suoi allievi, il pezzo di città che lo ha apprezzato, stimato, riconosciuto come maestro e amico.
E c’erano – come spesso accade nelle cerimonie funebri, i responsabili dell’establishment politico e della carta stampata della città (che è, come noto, uno dei poteri forti torinesi). Alcuni – non certo questi ultimi – ne hanno ricordato l’impegno politico di questi ultimi anni.
A me piace ricordare che la penultima uscita pubblica di Gallino è stata, il 30 agosto, l’inaugurazione della festa di una caserma occupata, la caserma di via Asti, con un intervento sulle prospettive dell’Italia e dell’Europa «dopo la Grecia». Ebbene l’altro ieri, due giorni dopo il suo funerale, quella caserma – nella quale ci aveva anticipato di voler tornare – è stata sgombrata su richiesta della proprietà, la Cassa depositi e prestiti (prossima ad accollarsi, secondo i desiderata del presidente del Consiglio, 400 milioni di passività di Expo), di concerto con il sindaco di Torino. Una coincidenza, ovviamente. Ma una coincidenza che conta e che è istruttivo raccontare.

Quella «profezia» nel Vaticano II

di Alessandro Santagata
La storia del cristianesimo è costellata di gesti dal carattere profetico, di iniziative individuali e collettive giocate sul piano del simbolico. Il cosiddetto Patto delle catacombe, siglato dai padri conciliari del gruppo della Chiesa dei poveri, è stato soprattutto questo, una celebrazione-manifesto per indirizzare la recezione del Concilio Vaticano II.
Siamo nella cornice dell’assemblea voluta Giovanni XXIII per discutere di una riforma della Chiesa che il pontefice immagina «povera e dei poveri». Da quando l’enciclica Mater et Magistra ha rimesso in discussione la contiguità del magistero al capitalismo occidentale, la dottrina sociale della Chiesa è un cantiere aperto agli influssi dei movimenti pauperistici. La stessa categoria di “dottrina” viene criticata dagli eredi dei preti operai che intendono mettere da parte l’atteggiamento ierocratico e caritatevole tradizionale.

Sul partito (mancante) dell'eguaglianza

di Alessandro Gilioli
si è mai pubblicato tanto sulla sinistra, in Italia, come da quando è scomparsa.
Non è una critica: se lo fosse dovrei prendermela prima di tutto con me stesso, dato che un annetto fa ho dato il mio penny anch'io, peraltro con unacosa più giornalistica e cronistica che teoretica. Adesso altri stanno dando di meglio e di più, naturalmente.
In edicola, ad esempio, è appena arrivato un robusto numero di MicroMegatutto su questo: il (mancante) partito dell'uguaglianza, come viene chiamato nell'introduzione.
Segnalo tra gli altri l'intervento di Chantal Mouffe, le cui riflessioni sugli effettipostdemocratici dello spostamento al centro della ex sinistra socialista (da Blair in poi) portano a una proposta per il cosiddetto "populismo di sinistra", un tema che Mouffe ha elaborato per anni insieme a Ernesto Laclau. Vale la pena di leggerlo, il pezzo di Mouffe, anche per mettere una toppa alla scarsa cittadinanza che hanno in Italia questi due filosofi, molto più presenti nel dibattito politico fuori dai nostri confini.

venerdì 13 novembre 2015

Il complesso del “rosso”

di Paolo Favilli
In questi ultimi giorni la nostra parte (sinistra? «cosa rossa?») ha registrato due positivi segnali: la firma dei rappresentanti di tutta l’area impegnata nella costruzione del nuovo soggetto politico «di sinistra» sotto un documento comune intitolato Noi ci siamo, lanciamo la sfida e la nascita del gruppo parlamentare di Sinistra italiana. Certamente ambedue questi avvenimenti possono essere soggetti a critica per il ritardo — colpevole e dai rischi esiziali — con cui siamo arrivati a questo primo passo.
E per il fatto che nella loro manifestazione appaiono evidenti «eredità di sconfitte, arretramenti, traversie e divisioni che hanno creato sfiducia e lacerato relazioni» (Carra, il manifesto, 7 novembre).
Il documento Noi ci siamo…, ad esempio, risulta essere piuttosto generico e assai debolmente analitico; nello stesso tempo, però, contiene anche impegnative discriminanti che, se prese sul serio dai contraenti — e devono essere prese sul serio — saranno certamente portatrici di una stagione politica veramente nuova per la nostra parte.

L’Europa getta la maschera

di Alessandro Dal Lago
Al vertice di La Valletta tra i leader europei e africani ha vinto il cinismo globale. Noi vi diamo un miliardo e ottocento milioni di euro e voi ci tenete i migranti lontani dalle coste e dai confini della Ue. Non bastano, hanno rilanciato subito i leader africani, i quali si divideranno però la mancia, anche se nessuno sa di preciso come e quando. Qualche tempo fa, Angela Merkel, che pure aveva suscitato grande scalpore e simpatia dichiarando di aprire le porte della Germania ai profughi siriani, aveva fatto una proposta simile al governo turco, il quale ha risposto più o meno picche. Qual è il senso di questo mercanteggiamento sulla pelle di centinaia di migliaia di esseri umani?
Facciamo un passo indietro. Offrire un po’ di quattrini in cambio delle repressione dei migranti da parte dei paesi «di fuori» è prassi ventennale in Europa. L’allora ministro Dini propose nel 1995 di aprire campi di detenzione per «clandestini albanesi» in Albania. Un’idea così insensata che Tirana la lasciò subito cadere.

Landini a Renzi: “Manovra sbagliata, la devi cambiare”

di Maurizio Landini
«Bisogna cambiare radicalmente la legge di Stabilità, perché è sbagliata. È una balla che sia espansiva: non crea più posti di lavoro e non riduce le diseguaglianze. È tutta sbilanciata verso le imprese e non mette in discussione l’austerity europea, ma anzi la applica pienamente». Maurizio Landini non salva nulla o quasi della manovra del governo Renzi, e il 21 novembre — sabato della prossima settimana — chiama a raccolta il popolo della Fiom e della sinistra per una manifestazione a Roma.
«Unions! Per giuste cause» il nome della manifestazione, che non è affatto e soltanto una protesta sindacale: o meglio, lo è nel senso che Landini vuole dare alla sua Coalizione sociale. Si scende in piazza per il contratto dei metalmeccanici, infatti — e la piazza è stata decisa dall’Assemblea dei delegati Fiom — ma poi ci sono tante rivendicazioni politiche che vanno oltre il recinto del contratto delle tute blu, o che se vogliamo lo allargano.

giovedì 12 novembre 2015

Non sono le sinistre portoghesi a rompere la Ue, ma i conservatori inglesi

di Alfonso Gianni
Come era facilmente prevedibile il tentativo del presidente del Portogallo, Aníbal Cavaco Silva, di operare un vero e proprio "strappo" alla democrazia affidando l'incarico di governo a chi aveva perso la maggioranza assoluta nelle elezioni e non aveva visibilmente i numeri in parlamento per costruire intese sufficienti a sostenere un esecutivo, è stato subito affondato. Infatti l'alleanza già in campo fra il Partido socialista (Ps), il Bloco de Esquerda (Be, una formazione che fa parte del Partito della Sinistra europea, di cui è membro anche la greca Syriza), il Partido ecologista os verdes (Pev) e il Partido comunista portugues (Pcp) ha liquidato l'esecutivo di minoranza guidato da Pedro Passos Coelho con 123 voti su 230.
Resta da chiedersi perché mai il Presidente del Portogallo si sia infilato in una simile mission impossible, essendo i numeri già chiari in partenza. Certamente per dimostrarsi il più solerte - del resto lo aveva apertamente dichiarato - nei confronti dei desiderata dei mercati finanziari e delle élite che attualmente comandano nella Unione europea.

Dire le cose chiaramente. Il leader di Podemos si racconta

di Angelo d’Orsi 
Il 27 ottobre scorso, Pablo Iglesias Turrión, leader indiscusso di Podemos, tenne un discorso al Parlamento Europeo, dove ricopriva la carica di deputato. Si trattò del suo ultimo intervento in quella sede, in quanto contestualmente, Iglesias inviava una lettera di dimissioni irrevocabili, precisando altresì di voler rinunciare a ogni beneficio spettantegli in quanto ex deputato europeo. 
La motivazione formale delle dimissioni era, ed è, che essendo egli candidato nelle imminenti elezioni generali in Spagna, candidato a guidare il Paese, con una non irrilevante aspettativa di successo, non poteva dedicarsi con l’impegno fino ad allora profuso al lavoro parlamentare. 
Molti storsero la bocca davanti alla notizia accusando il capo di Podemos di curare più gli affari propri che quelli europei: una critica che mi parve ingenerosa, oltre che impolitica. Iglesias aveva ogni diritto di ritirarsi da quel ridicolo carrozzone che è il Parlamento di Bruxelles, dopo averne sperimentato la sordità, ma anche dopo aver conosciuto da vicino l’angustia mentale della stragrande maggioranza (per non dire la quasi totalità) dei suoi membri. 

Satira politica o politica satirica?

di Luciano Canfora
La recente esperienza drammatica di Charlie Hebdo ha riproposto con forza la questione della satira politica (anche la religione è ormai politica e forse lo è sempre stata), nonché la domanda intorno ai limiti che essa – la satira – deve porsi. In un mondo ideale nessun limite alla satira dovrebbe essere consentito, e nessuna reazione violenta dovrebbe essere prevedibile. Così non è nella realtà concreta e dunque il problema si pone.
Ricordo ancora, alla metà degli anni Settanta, cioè quarant’anni fa, le minacce di querela da parte di Enrico Berlinguer nei confronti di Forattini, il quale aveva l’abitudine, come vignettista de La Repubblica, di raffigurare Berlinguer in vestaglia e pantofole e magari con la brillantina in testa, a significarne l’imborghesimento. La situazione divenne quasi ridicola e spinse Forattini ad atteggiarsi sempre più a destro-qualunquista.