La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 14 novembre 2015

La follia delle guerre dei droni

di Doug Noble
“L’intera nostra politica mediorientale sembra basata sul lancio di droni”, ha dichiarato a The Intercept il generale di corpo d’armata Michael Flynn, ex capo dei servizi segreti della difesa. “Sono innamorati della capacità delle operazioni speciali e della CIA di individuare un tizio nel mezzo del deserto in qualche piccolo villaggio merdoso e di sganciargli una bomba sulla testa uccidendolo”.
Gli assassinii mirati mediante i droni restano l’arma statunitense preferita, notoriamente definita “il solo gioco in città” dall’ex direttore della CIA Leon Panetta. Questo nonostante un decennio di indignazione morale mondiale per le soverchianti vittime civili, le violazioni della legge internazionale, il disprezzo per la sovranità nazionale, il rigetto del giusto processo e la continua segretezza. L’amministrazione Obama ha recentemente annunciato che il programma di uccisioni mediante i droni sarà di fatto accresciuto del 50% nei prossimi due anni.
Ora documenti governativi fatti filtrare a The Intercept mostrano in modo conclusivo che il programma statunitense dei droni uccide migliaia di innocenti a causa di informazioni di scarsa qualità dei servizi e di incurante messa nel mirino, mentre è contemporaneamente dipinto come un programma di pianificazione e di precisione esecutiva impeccabili. I “Documenti dei Droni” recentemente trapelati rivelano la misura dell’ostinata inettitudine nelle operazioni statunitensi dei droni in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, che si basano su informazioni sistematicamente carenti dei servizi e su stupefacenti imprecisioni nell’identificare i bersagli. Queste rivelazioni non fanno che confermare ulteriormente ciò che molti di noi già sapevano riguardo all’agghiacciante fallimento, all’incessante inganno e alla letalità criminale del programma statunitense dei droni.
Ma è ancor peggio. L’esecuzione negligente e la distorsione pubblica sono una cosa. Se gli Stati Uniti si affidassero effettivamente a una tecnologia e strategia militare sperimentate per sconfiggere i terroristi e “mantenere gli Stati Uniti al sicuro”, nonostante intoppi e perdite di vite innocenti, c’è chi potrebbe giustificare tale costo.
Ma ciò che è forse più insidioso di tutto è il fatto che molti studi da molto tempo disponibili ai pianificatori militari hanno dimostrato in modo decisivo che l’uso di droni armati negli sforzi contro-insurrezionali e antiterrorismo è sia inefficace, sia controproducente. Di più ancora: i precedenti storici e la ricerca recente mostrano con grande chiarezza che la strategia di “decapitazione” che muove tale uso di droni – l’assassinio di bersagli di elevato valore – è stata essa stessa infruttuosa e controproducente nello sconfiggere organizzazioni insurrezionali o terroristiche.
Dunque i guerrieri dei droni sanno da sempre che non avrebbe funzionato: che i droni assassini e le liste delle persone da uccidere avrebbero massacrato migliaia di civili ma non avrebbero sconfitto i terroristi. Sanno questo in modo conclusivo da decenni di esperienza militare da volumi di studi di ricerca. Tuttavia continuano comunque a farlo, ancor più estesamente, ancor più irrazionalmente. Perché? Perché possono farlo (e perché non hanno un Piano B).

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I droni armati sono stati in realtà proposti dall’esercito statunitense nel 2000, prima dell’11 settembre, come mezzo sia per individuare sia per uccidere, con lo stesso velivolo, il bersaglio di elevato valore Numero Uno, Osama Bin Laden. A questo fine droni di sorveglianza Predator sono stati dotati di missili Hellfire ancora disponibili dalla Guerra del Golfo. Il nome “Hellfire”, un acronimo per “missile aviolanciato spara-e-scorda” [heliborne-launched fire-and-forget missile; l’espressione ‘spara-e-scorda’ indica il fatto che il missile, una volta lanciato, è programmato per colpire autonomamente il bersaglio – n.d.t.] era in origine designato come “missile guidato anti blindato (AGM)”, e in qualche modo è ora reimpiegato per uccisioni di precisione di individui a distanza o, come lo ha definito un articolo dell’aviazione militare, “testata in fronte”.
Questi droni armati sono sempre stati usati da allora come arma preferita in operazioni statunitensi in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa. Oggi, date tutte le controversie morali e legali che ne circondano l’utilizzo, alcuni hanno cominciato a chiedersi se questi droni armati siano stati efficaci nello sconfiggere i terroristi. Come ha chiesto recentemente il giornalista del Los Angeles Times Doyle McManus: “Stiamo vincendo la guerra dei droni?”
E’ difficile saperlo, poiché, come spiega un recente rapporto della task force del Centro Stimson sulla politica statunitense dei droni, “dopo più di 10 anni di utilizzo, il programma statunitense dei droni resta così avvolto di segretezza che non disponiamo di informazioni sufficienti per fare una valutazione ragionata della sua efficacia … Senza una chiara comprensione della strategia, degli obiettivi del programma dei droni e dei metri utilizzati per la valutazione … gli esperti … non sono in grado di fare valutazioni informate riguardo all’efficacia del programma”.
Il Rapporto Stimson ha osservato che “il 23 maggio 2013 il presidente Obama ha tenuto un importante discorso all’Università della Difesa Nazionale in cui … ha promesso di continuare il difficile compito di assicurare che l’uso di UAV [unmanned air vehicles = velivoli privi di equipaggio – n.d.t.] letali sia … strategicamente solido”. Gli autori del Rapporto raccomandano che il governo USA conduca una valutazione approfondita dell’impatto degli attacchi UAV contro organizzazioni terroristiche, con riguardo alle capacità, alle minacce attualmente poste, al morale e al reclutamento, nonché al loro impatto sull’opinione pubblica, ai contenziosi e alla politica della difesa”. Non ci si aspetta che ne emerga nulla presto.
Il presidente Obama ha, in effetti, offerto un metro circa l’efficacia dei droni in un importante discorso del 2014: “Le nostre azioni dovrebbero superare un semplice test: non dobbiamo creare più nemici di quanti ne cancelliamo dal campo di battaglia”. Pur se una definizione non robusta di vittoria, anche in base a questo metro, considerato il crescente numero di nuove reclute di al-Qaeda, dell’ISIS e di altri gruppi, apparirebbe che la strategia statunitense sia stata decisamente inefficace. Ma poiché non ci sono cifre chiare da parte dell’amministrazione Obama circa i nemici uccisi e le nuove reclute create, questa misura di efficacia è decisamente di nessun aiuto.
I precedenti storici e una consolidata dottrina militare, tuttavia, offrono una visione della potenziale efficacia della guerra dei droni di Obama. Quello che segue è un breve campione di conclusioni ricavate da studiosi di ricerca, sia all’interno sia fuori dall’esercito, che hanno esaminato i precedenti storici e le evidenze militari. Questi studiosi concordano tutti sul fatto che gli attacchi dei droni sono inutili per sconfiggere la contro-insurrezione [? – così nell’originale – n.d.t.] e per l’antiterrorismo, ma tutti ammettono anche che l’esercito statunitense continuerà comunque ad affidarsi a essi come “il solo gioco in città”.
James A. Russell, un ricercatore del Dipartimento degli Affari della Sicurezza Nazionale presso la Scuola di Specializzazione della Marina, conclude nel suo articolo “The False Promise of Aerial Policing” [La falsa promessa del controllo aereo] che “l’idea del controllo aereo è pericolosa e profondamente carente; tuttavia è divenuta misteriosamente una panacea per gli stati che cercano di applicare la forza nell’era moderna. Il controllo aereo è un castello di carte ideologico e strategico costruito su fondamenta traballanti … rappresenta il trionfo della tattica sulla strategia, rivoltando sottosopra verità fondamentali sulla natura della guerra”.
Il controllo aereo è emerso da teorie di potenza aerea che affermavano che l’aereo aveva rivoluzionato la guerra rendendo inutile che gli eserciti si scontrassero sul terreno e si distruggessero a vicenda. Invece, si sosteneva, gli eserciti di un avversario, i suoi mezzi per scatenare la guerra e persino la sua volontà di combattere potevano essere distrutti dall’aria mediante bombardamenti strategici. La conduzione di questa guerra di attacchi, si sosteneva, riduceva le operazioni e la guerra a un problema ingegneristico di identificare e colpire bersagli.
La Seconda Guerra Mondiale fu un grande laboratorio per mettere alla prova queste idee, con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che cercarono di forzare la Germania alla sottomissione mediante bombardamenti strategici. Le lezioni della guerra quanto ai bombardamenti aerei, tuttavia, finirono ignorate. I bombardieri alleati mancarono la maggior parte di ciò contro cui erano diretti, non cancellarono i mezzi della Germania per condurre la guerra e non convinsero i tedeschi a rinunciare alla lotta.
La mitologia dei sostenitori della potenza aerea durò per tutta la guerra del Vietnam, nonostante un altro fallimento della forza aerea nel conseguire effetti strategici. Più di recente, le forze speciali statunitensi si sono date a creare una metodologia di attacco agli insorti che aveva le proprie radici nell’approccio ingegneristico impiegato dai sostenitori della potenza aerea. Della metodologia di attacco si sono impossessati avidamente gli entusiasti della potenza aerea per assassinare sospetti terroristi in giro per il mondo con la nuova generazione di robot aerei degli Stati Uniti.
La ritirata strategica degli Stati Uniti dall’Iraq e dall’Afghanistan dopo 15 anni è un monumento al fallimento delle … tattiche intelligenti di cui si erano fatti campioni i promotori della contro-insurrezione e dei loro precisi metodi di attacco. Tuttavia la reazione degli Stati Uniti a questo fallimento strategico è consistita nel raddoppiare gli sforzi, inondando di più soldi e maggiori responsabilità le Forze Speciali e organizzazioni similari che non avevano ottenuto alcun effetto strategico positivo in battaglia negli ultimi 15 anni.
James Igoe Walsh, dell’Istituto di Studi Strategici dell’Accademia Bellica dell’Esercito, ha scritto un esteso articolo intitolato “L’efficacia degli attacchi dei droni nelle campagne anti-insurrezione e antiterrorismo”.
Egli conclude che “… i droni, al massimo, sono un debole sostituto delle operazioni contro-insurrezionali tradizionali. Anche se i droni hanno la capacità di punire organizzazioni di insorti e di fungere da loro deterrente, da soli non contribuiscono in modi diretti e significativi allo stabilimento di un’efficace autorità statale, cosa che … richiede vasti numeri di forze sul campo e di civili che forniscano servizi alla popolazione locale e ne ricavino informazioni”.
I gruppi attaccati dai droni operano in aree in cui gli Stati Uniti e il governo nazionale [locale] non possono o non vogliono impegnarsi “sul terreno” in vasti numeri. I droni sono più utili precisamente in tali aree, poiché consentono agli Stati Uniti di proiettare forza quando essi e il governo nazionale hanno poche altre scelte.
Ma l’assenza di uomini sul campo rende più difficile raccogliere informazioni dalla popolazione sulle attività di gruppi militanti da poter utilizzare per indirizzare attacchi dei droni. Spazi non governati possono anche consentire a gruppi armati di proliferare e di formare alleanze complesse e di breve durata che sono difficili da comprendere per gli estranei, aumentando la sfida di attaccare solo militanti che si oppongono agli Stati Uniti. I droni, dunque, sono della massima utilità per l’antiterrorismo precisamente in quegli scenari in cui le sfide dell’antiterrorismo sono massime e la capacità di raccogliere informazioni è la più scarsa. Questo significa che l’asticella per l’uso dei droni per contrastare il terrorismo è posta parecchio in alto… L’evidenza dalla campagna più sostenuta basato sugli attacchi dei droni per scoraggiare e punire organizzazioni insurrezionali in Pakistan suggerisce che questa tecnologia ha una capacità limitata di conseguire tali obiettivi. Nonostante questi limiti, la tecnologia dei droni pare avere molte probabilità di diffondersi all’interno delle forze armate statunitensi, delle forze armate di altri paesi e persino delle organizzazioni insurrezionali.
Il filosofo e storico Gregoire Chamayou, nel suo libro A Theory of the Drone, cita un editoriale d’apertura del 2009 di David Kilcullen, influente consulente dell’esercito statunitense sulla contro-insurrezione, che sollecitava una moratoria degli attacchi dei droni in Pakistan. Kilcullen li considerava pericolosamente controproducenti, gettando la popolazione nelle braccia degli estremisti. Kilcullen tracciava un parallelo tra l’attuale programma dei droni e i famosi fallimenti delle precedenti campagne di bombardamento aereo francesi e britanniche in Algeria e in Pakistan. Egli si opponeva anche al feticismo tecnologico dell’uso dei droni che “mostra ogni caratteristica di una tattica – o, più accuratamente, di un pezzo di tecnologia – che sostituisce una strategia”.
Gregoire nota che “gli strateghi dell’aviazione sono ben consapevoli delle obiezioni che i teorici [della contro-insurrezione] non mancano mai di sollevare … che quella che è presentata come una nuova strategia è già stata messa alla prova, con esiti considerevolmente disastrosi”. Egli cita nella dottrina militare il “truismo che la COIN [contro-insurrezione] riguarda gli uomini sul terreno e che la forza aerea è controproducente”.
Gregoire osserva: “La caccia all’uomo mediante i droni rappresenta il trionfo … dell’antiterrorismo sulla contro-insurrezione. In base a questa logica il conto totale delle vittime e una lista di trofei di caccia prendono il posto di una valutazione strategica degli effetti politici della violenza armata. I successi divengono statistiche”. Non importa che gli attacchi dei droni moltiplichino nuovi nemici. Il piano strategico della contro-insurrezione mediante i droni pare oggi consistere nel fatto che una flotta di droni assassini sia capace di eliminare tutte le nuove reclute non appena sono create: “Non appena una testa si alza, tagliatela”, in uno schema di sradicamento continuo. Questa valutazione coincide con la conclusione del rapporto Stimson che “la disponibilità di UAV letali ha alimentato un approccio “whack-a-mole”* all’antiterrorismo”. [*letteralmente “schiaccia la talpa”, riferimento a un vecchio gioco in cui si guadagnavano punti colpendo con un martello delle talpe meccaniche che venivano fatte spuntare casualmente dietro uno schermo; anche quasi assonante con ‘guacamole’, la nota salsa messicana – n.d.t.]
La fonte rivelatrice dei Documenti dei Droni conclude: “I militari sono agevolmente in grado di adattarsi al cambiamento, ma non amano fermare qualcosa che sentono rendere più facile la loro vita, o che vada a loro vantaggio. E questo, ai loro occhi, è un modo molto rapido e pulito di fare le cose. E’ un modo molto agile, efficiente di condurre la guerra, senza commettere gli errori delle massicce invasioni di terra in Iraq e in Afghanistan … ma a questo punto sono diventati così dipendenti da questa macchina, da questo modo di fare le cose, che sembra stia diventando sempre più difficile distoglierli da essa quanto più è loro consentito di agire in questo modo”.

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In aggiunta alla ricerca sugli assassinii dei droni, alcuni studiosi hanno indagato la strategia alla base degli attacchi statunitensi con i droni, cioè la strategia di “decapitazione” (il nostro modo di decapitare il nemico). Questa strategia presuppone che l’assassinio di capi e di altri protagonisti chiave – i cosiddetti “bersagli di elevato valore” (HVT) – all’interno di un gruppo terroristico o insorgente alla fine sconfiggerà il gruppo stesso.
Gli studiosi, tuttavia, arrivano alla conclusione opposta.
Il ricercatore della RAND, Patrick B. Johnston, nel suo articolo “La decapitazione funziona? Valutazione dell’efficacia dell’attacco alla dirigenza nelle campagne contro-insurrezionali”, osserva:
“Indipendentemente dal fatto che l’avversario di un governo sia uno stato, un’organizzazione terroristica o un’insurrezione guerrigliera, l’opinione degli studiosi è che gli attacchi di elevato valore sono, al meglio, inefficaci e, al peggio, controproducenti … I dati mostrano anche in modo conclusivo che uccidere o catturare capi normalmente non è la soluzione ottimale, poiché i governi hanno una probabilità del solo 25% maggiore di sconfiggere insurrezioni dopo la riuscita rimozione dei capi di vertice degli insorti”.
Nella sua revisione della letteratura relativa “L’ABC dell’HVT: lezioni chiave dalle campagne di attacchi di elevato valore contro insorti e terroristi”, Matt Frankel della Brooking Institution conclude:
“L’implicazione finale per gli Stati Uniti è che è vitale che qualsiasi campagna HVT abbia luogo come parte di una strategia più vasta, non semplicemente come fine a sé stessa. Gli attacchi remoti e i raid mirati devono essere combinati con operazioni più vaste, sia militari sia non militari, per conseguire il massimo dell’efficacia.
Gli Stati Uniti incontreranno grosse difficoltà nell’utilizzare con successo campagne HVT, poiché esse opereranno sempre come una forza terza. Se gli obiettivi del governo ospite e della forza terza divergono, ci sono scarse possibilità di successo.
E’ chiaro che fintanto che al-Qaeda resta una forza globale, le operazioni HVT patrocinate dagli USA proseguiranno. Ma se gli Stati Uniti continueranno a condurre operazioni HVT in un vuoto … continueranno a essere condannati al fallimento.”
La docente di Affari Internazionali Jenna Jordan conclude nel suo articolo “Perché i gruppi terroristici sopravvivono agli attacchi di decapitazione”:
“La messa nel mirino di capi terroristi affiliati ad al-Qaeda è la pietra angolare della politica antiterrorismo statunitense dal 2001 … Attaccare al-Qaeda probabilmente non produrrà un declino organizzativo o un degrado a lungo termine [poiché] la sua organizzazione burocratica e il sostegno delle comunità le hanno consentito di sopportare frequenti attacchi alla sua dirigenza”.
Tuttavia, ella mette in guardia, “Indipendentemente dall’efficacia e dal potenziale di conseguenze avverse della loro strategia di decapitazione, gli Stati Uniti probabilmente continueranno ad attaccare i capi di al-Qaeda poiché i decisori della politica statunitense considerano di per sé un successo l’uccisione di obiettivi di elevato valore”.
Conclusione
La pubblicazione quest’anno dei Documenti dei Droni rivela che l’amministrazione Obama, l’esercito USA e la CIA hanno sempre mentito riguardo al programma di assassinii mediante droni, ai suoi obiettivi e alle vittime civili. Questi documenti denunciano anche l’osceno disprezzo per le vite umane che pervade l’intera operazione, mentre i guerrieri dei droni perseguono i loro sogni tecnologici. “In tutta la storia umana”, ci ricorda il Rapporto Stimson, “la capacità di proiettare forza attraverso grandi distanze è stata una capacità militare fortemente ricercata … e dall’alba della meccanizzazione, i militari hanno cercato di sostituire le persone con le macchine”. In questo contesto i droni sono il Grail profano. I Documenti dei Droni rivelano che nella loro iniziativa questi dottori Stranamore sono stati ben consapevoli degli orrendi costi umani della loro impresa e che di ciò non poteva fregar loro di meno.
Ciò che ho cercato di mostrare qui è qualcosa di più: che queste canaglie militari hanno anche sempre saputo che la loro tecnologia dei droni e la loro strategia di attacco sono militarmente un fallimento. Non potevano non essere consapevoli dalla storia e dalla dottrina militare che questi approcci non hanno assolutamente alcuna possibilità di sconfiggere gruppi terroristici e di mantenere sicuri gli Stati Uniti. Devono sapere che in realtà è vero il contrario, che la loro impresa nefasta non fa che metterci tutti ancor più in pericolo. E tuttavia continueranno ancor più sfacciatamente nella loro follia dei droni, su questo concordano tutti gli studiosi, fino a quando non troveremo un modo per fermarli.

Riferimenti

Recommendations and Report of the Stimson Center Task Force on US Drone Policy, Second Edition. Research Director: Rachel Stohl, April 2015 http://www.stimson.org/images/uploads/research-pdfs/task_force_report_FINAL_WEB_062414.pd

Rachel Stohl, “Just how effective is the US drone program anyway?”


Doyle McManus, “Are we winning the drone war?” Los Angeles Times, April 24, 2015

Patrick B. Johnston, “Does Decapitation Work? Assessing the Effectiveness of Leadership Targeting in Counterinsurgency Campaigns,”International Security, 36(4):47-79, 2012

Frankel, Matt(2011) ‘The ABCs of HVT: Key Lessons from High Value Targeting Campaigns Against Insurgents and Terrorists’, Studies in Conflict & Terrorism, 34: 1, 17 — 3

Jenna Jordan , “Why Terrorist Groups Survive Decapitation Strikes,” International Security, Vol. 38, No. 4 (Spring 2014), pp. 7–38,

Gregoire Chamayou, A Theory of the Drone, The New Press, 2015

Richard Whittle, Predator: The Secret Origins of the Drone Revolution. Henry Holt & Co., 2014

Andrew Cockburn, Kill Chain: The Rise of the High-Tech Assassins, Henry Holt & Co., 2015

Jeremy Scahill et al., The Drone Papers. https://theintercept.com/drone-papers

Da Z Net Italy- Lo spirito della Resistenza è vivo
Originale: Worldbeyondwar.org
Traduzione di Giuseppe Volpe
©2015 ZNet Italy- Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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