La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 19 settembre 2015

Restare sul ring. Per tenere aperta la via all’alternativa

di Luciana Castellina
Non sono greca e per­ciò dome­nica non voto. Tan­to­meno sono auto­riz­zata a sug­ge­rire ai greci come votare. Ma non me la sento nem­meno di dire che que­sta mia asten­sione deriva dal fatto che i loro sono affari che non mi riguar­dano. Se un anno fa in tanti ci siamo ritro­vati a soste­nere (o meglio a costruire) una lista che si è chia­mata l’«altra Europa con Tsi­pras» non è stato per via di una stra­va­ganza moda­iola, per­chè Siryza stava vin­cendo e noi in Ita­lia no. E’ stato per­chè abbiamo capito che la par­tita che Ale­xis stava ingag­giando con i mostri dell’euro capi­ta­li­smo era anche la nostra partita.
Per que­sto oggi, almeno vir­tual­mente, votiamo anche noi. Come andrà a finire la vicenda greca riguarda tutti gli euro­pei. Per­ché il governo di Syriza ha aperto, final­mente, un con­ten­zioso di carat­tere gene­rale su cosa debba e cosa non debba essere l’Unione Euro­pea, una que­stione che è desti­nata a segnare il nostro futuro e dun­que tutti ci coinvolge. Fino al luglio scorso su quale fosse la nostra parte poli­tica non ci sono stati dubbi. È facile quando le cose si svi­lup­pano in modo lineare. Pur­troppo, però, non accade quasi mai. Non è acca­duto nep­pure in que­sto caso.

La democrazia dell'indifferenza

di Nadia Urbinati
Oscar Wilde diceva che «il problema del socialismo è che impegna troppe serate ». L’accusa di far perdere tempo ai cittadini occupandoli di politica troppi giorni all’anno era ancora più calzante per la democrazia, anche per questo tradizionalmente poco apprezzata. A giudicare da quel che registriamo nelle nostre società, il problema della panpolitica sembra definitivamente risolto. La situazione è anzi rovesciata: la democrazia non interessa più così intensamente, e la politica occupa pochissimo del tempo dei cittadini, lasciandoli anzi progressivamente più indifferenti. La fine della democrazia dei partiti ha completato il ciclo dell’interesse per la politica e sancito l’età del disimpegno. L’indifferenza verso la politica è oggi l’emozione più popolarmente estesa, ha scritto Peter Mair nel suo ultimo libro, Ruling the Void (“Governare il vuoto”).
La democrazia dei partiti è passata. I partiti persistono, benché siano sconnessi dalla società larga, protagonisti di battaglie che sempre più spesso mirano a rafforzare il loro potere istituzionale.

‘Cambia la Grecia, cambia l’Europa’ non era realistico. Ma sosteniamo ancora Tsipras

di Paolo Ferrero
La vittoria di Syriza e l’elezione di Alexis Tsipras a primo ministro greco hanno suscitato molte aspettative e speranze in tutta Europa. La stessa vittoria dei NO nel referendum del 5 luglio scorso aveva rafforzato questa speranza. La sottoscrizione del diktat imposto dall’Unione Europea ha quindi rappresentato una forte delusione e le divisioni nate in Syriza in seguito a quella firma costituiscono un ulteriore fattore di sconcerto e disorientamento.
Riteniamo sbagliato addossare a Tsipras e a Syriza la responsabilità di questa situazione. Il diktat dell’Unione Europea ha segnalato in modo brutale quali sono gli attuali rapporti di forza tra le classi a livello europeo. La responsabilità principale di questa situazione non può certo essere addossata sulle spalle di chi più di tutti ha provato a rovesciare le politiche di austerità. La responsabilità di questa situazione ricade sulle nostre spalle – sulle spalle delle sinistre e del movimento operaio di tutta Europa – e ci obbliga ad un salto di qualità nella costruzione di un movimento di lotta italiano ed europeo contro le politiche neoliberiste e questa Unione Europea a trazione tedesca.

Tsipras, il vero rottamatore. Senza di lui non avremmo avuto Podemos e Corbyn

di Curzio Maltese 
Il coro della stampa internazionale, che negli ultimi anni non ha indovinato mai una previsione, ha appena sfornato una sicura profezia sulle elezioni in Gran Bretagna del 2020: il trionfo dei conservatori di David Cameron e l'epocale sconfitta del Labour di Jeremy Corbyn, troppo di sinistra. Vedremo. Fino a qualche mese fa i profeti non sapevano neppure chi diavolo fosse Corbyn e nessuno di loro ne avrebbe immaginato il successo alle primarie.
Gli stessi esperti di politica europea dibattono ora della crisi di Podemos, in vista delle elezioni di dicembre in Spagna sceso dal primo al secondo o terzo posto. Una strana crisi per un partito che un anno e mezzo fa non esisteva e oggi è stimato intorno al venti per cento dei voti, dopo aver scardinato da solo un sistema bipartitico che durava dalla fine del franchismo e costretto il Psoe a cambiare leader e linea politica. Una crisi che alla sinistra radicale italiana o francese piacerebbe molto poter vivere un giorno.

Settant'anni e non sentirli

di Marco Travaglio
Lo sapevate? “Questa riforma è attesa da 70 anni”. L’ha detto Matteo Renzi, che non sembra ma è il presidente del Consiglio e il segretario del Pd, parlando della legge costituzionale in conferenza stampa con il premier lussemburghese Xavier Bettel, che immaginiamo interessatissimo al tema. E l’aveva già detto sempre ieri Maria Elena Boschi, che non sembra ma è il ministro delle Riforme istituzionali, in una spassosa intervista al Corriere: “Sono 70 anni che stiamo aspettando la fine del bicameralismo paritario”.
Chissà quali libri hanno letto o quali sostanze hanno assunto i due somari che tengono in ostaggio la Costituzione, per farsi l’idea che 70 anni fa, cioè nel 1945, subito dopo la Liberazione dal nazifascismo e dalla guerra civile, gli italiani scendessero in strada scandendo slogan contro il bicameralismo paritario e contro il resto della Costituzione due anni prima che questa fosse scritta. Forse non guasterebbe la lettura di un manuale di storia, anche in formato Bignami, o qualche seduta in una comunità di recupero, per insegnare ai due padri ricostituenti qualche rudimento di cultura generale, utilissimo per colmare le loro lacune e risparmiare loro altre scemenze.

Se in Parlamento dire “orango” non è considerato un insulto razzista

di Chiara Saraceno
I parlamentari hanno diritto di rivolgere insulti razzisti a singoli o a interi gruppi? Hanno diritto a non essere oggetto di nessun tipo di censura, anche quando utilizzano un linguaggio che suscita disprezzo e odio nei confronti di altri, spesso non in grado di difendersi?
Due decisioni prese rispettivamente dal Parlamento e dalla presidenza del Consiglio nelle ultime settimane sembrano dire che è così, che la libertà di parola, nel caso dei parlamentari, può sconfinare ben oltre il buon gusto e la buona educazione, fino ad includere gli insulti razzisti più intollerabili e la sollecitazione all’odio. La prima è di due giorni fa. I senatori a larga maggioranza hanno negato l’autorizzazione a procedere contro Calderoli per insulti razziali nei confronti dell’allora ministra Kyenge — sulla sua pagina Facebook le aveva dato dell’orango — derubricandoli a “semplice” diffamazione, come se l’insulto non avesse a che fare proprio con l’identificazione razziale di Kyenge.

La nuova emigrazione italiana: caratteristiche, portata, esagerazioni

di Enrico Pugliese
1. Premessa
Da un po’ di tempo si parla della ripresa della emigrazione dall’Italia. Qualche dato comincia a documentare questa novità ma ancora si sa poco dell’entità e delle caratteristiche del fenomeno. Poco sappiamo ancora di chi parte e da dove, delle destinazioni principali e della composizione sociale (di classe si sarebbe detto una volta) del nuovo flusso. E poco sappiamo del modello migratorio prevalente e in particolare della tendenza alla stabilizzazione o meno di questa ripresa.
Eppure è chiaro ed evidente che la ripresa c’è. A occhio e croce – e sulla base di qualche dato – si può dire che si tratta di un fenomeno di portata inferiore a quella solitamente attribuitagli, ma anche di in fenomeno di portata superiore a quella registrata dai dati statistici nazionali. Questa ripresa può far pensare a un nuovo ciclo nelle migrazioni riguardanti l’Italia del dopoguerra, dopo la grande esperienza delle migrazioni intra-europee tra la fine degli anni quaranta e la metà degli anni settanta e il successivo declino della emigrazione in concomitanza dell’affermarsi del fenomeno della immigrazione straniera.
E’ difficile dire se si tratta di un fenomeno, almeno in prospettiva, di massa – il che giustificherebbe la tesi di un nuovo ciclo – o se, pur trattandosi effettivamente di un fenomeno nuovo magari destinato anche a durare, esso non ha, e probabilmente non avrà, né la portata né l’impatto per i paesi di provenienza pari a quello della esperienza precedente.

Per migliorare la scuola non servono scorciatoie

di Christian Raimo
Il dibattito sulla scuola rischia sempre di alimentare due retoriche contrapposte: una, quella dell’innovazione come panacea di tutti mali, dei tablet in classe, dei prof 2.0, dei test Invalsi come unico metro di misura dell’esistente; e l’altra, quella dello studio come si affrontava una volta, della missione salvifica degli insegnanti, degli studenti svogliati e distanti da riavvicinare alla conoscenza.
Da una parte c’è un gruppo di persone che potremmo chiamare “prestazionali”, quelle che vivono con un’ansia da risultati mescolata al feticismo della tecnologia, che insieme danno vita a un perverso pedagogismo, sempre in cerca di una presunta misurabilità dei metodi educativi.

Acqua sotto attacco

di Marco Bersani
Ad oltre quat­tro anni dalla vit­to­ria refe­ren­da­ria sull’acqua, con­ti­nua senza sosta l’indifferenza gover­na­tiva verso quella straor­di­na­ria espe­rienza di demo­cra­zia diretta e pro­se­guono con per­vi­ca­cia i ten­ta­tivi di con­se­gnarne la gestione ai grandi inte­ressi finanziari.
Come se non bastasse il com­bi­nato dispo­sto nor­ma­tivo dello scorso anno, che fra Sblocca Ita­lia (che ha san­cito la gestione unica all’interno degli Ato), l’azione delle Regioni (volta ad accor­pare le gestioni verso un unico Ato regio­nale) e la legge di sta­bi­lità (che incen­tiva la ven­dita dei ser­vizi pub­blici locali per­met­tendo ai Comuni di spen­dere, fuori dal patto di sta­bi­lità, le somme rica­vate), il Governo Renzi si appre­sta a dare l’affondo finale con la pros­sima legge di stabilità.
Evi­den­te­mente e nono­stante le faci­li­ta­zioni, i mec­ca­ni­smi di pri­va­tiz­za­zione con­ti­nuano a non avere vita facile, gra­zie alla resi­stenza che il movi­mento per l’acqua con­ti­nua a pra­ti­care in tutti i ter­ri­tori.
Ed ecco allora in campo l’ulteriore mossa: con la pros­sima legge di sta­bi­lità verrà intro­dotto un tetto al numero delle par­te­ci­pate in mano agli enti locali e soprat­tutto verrà intro­dotto un limite alla quota pub­blica nel capi­tale sociale delle stesse.

La cultura innanzitutto

di Arianna Di Genova
«Non più cul­tura in ostag­gio dei sin­da­cati», cin­guetta Renzi. «La misura è colma», fa eco Fran­ce­schini. Anche il sin­daco della capi­tale, Igna­zio Marino, sem­bra su di giri: «è uno sfre­gio per il nostro paese», tuona. Fran­ce­schini e Renzi si spal­leg­giano, e men­tre si pro­fes­sano pala­dini del Colos­seo, chiuso per due ore a causa di un’assemblea sin­da­cale già annun­ciata, nei fatti dichia­rano guerra al patri­mo­nio stesso. Per­ché per tenere aperti musei e siti archeo­lo­gici, ren­den­doli quel pre­zioso biglietto da visita che in realtà sono per natu­rale dna, biso­gne­rebbe prima di tutto soste­nerli, trat­tarli dav­vero come beni comuni. Ma quella man­ciata di ore «rubate» ai turi­sti ha tenuto in scacco i vari pro­clami di Renzi&Co sulla cul­tura, dive­nuta una for­mi­da­bile mac­china per spre­mere con­senso. Ha lace­rato una maschera assai comoda da indos­sare, tra­vol­gendo un argo­mento così ama­bil­mente «social». Il ritardo di aper­tura dell’Anfiteatro Fla­vio è rim­bal­zato in rete, un fiume in piena che ha rotto gli argini: i più sma­li­ziati hanno trat­tato la noti­zia con iro­nia, altri con disap­punto, dif­fu­sa­mente il «disa­gio» ha pre­stato il fianco a una deni­gra­zione dei lavo­ra­tori, aiz­zata soprat­tutto dal governo. 

Colti si nasce?

di Tania Careddu
Educativa ed economica: due povertà che si alimentano reciprocamente. Carenza di risorse economiche, uguale a disuguaglianze di opportunità educative. Va da sé (o quasi) che bambini nati in contesti socio-economici disagiati possano essere vittime di povertà cognitiva. E così un terzo dei minori di quindici anni che vive in famiglie con un basso livello socio-economico non raggiunge le competenze minime in matematica e lettura, rispetto a meno del 10 per cento dei coetanei cresciuti in contesti famigliari con uno status socio-economico più elevato.
Che, odioso a dirsi, fa la differenza anche sulle possibilità di fruire di diversi stimoli ricreativi e culturali. Perché, essere poveri in Italia significa, anche, non avere l’opportunità di diventare grandi attraverso lo sport, il contatto con la bellezza e la cultura: il 64 per cento dei bambini è in condizioni di deprivazione ricreativo-culturale.

Otto referendum e un paradosso


 
di Carlo Clericetti
Mancano solo una decina di giorni alla scadenza della raccolta firme per gli 8 referendum proposti da Possibile, il movimento fondato da Pippo Civati dopo il suo abbandono del Pd. Le firme devono essere consegnate alla Corte di Cassazione entro il 30 settembre per poter votare nel maggio prossimo, altrimenti si andrebbe al 2017. Due quesiti per ognuno di quattro temi sensibili: lavoro, ambiente, riforma elettorale, scuola. Per sapere con più precisione quali sono i quesiti e che cosa si vuole ottenere basta andare sul sito allestito per questo scopo. Si tratta comunque di temi su cui tutte le varie componenti della sinistra, comprese quelle rimaste nel Pd, hanno fatto grandi battaglie dentro e fuori dal Parlamento, in qualche caso anche annunciando l'intenzione di proporre referendum abrogativi.

Un Manifesto per la sinistra e l'umanesimo sociale

di Simone Oggionni e Paolo Ercolani
C'è un aspetto sostanziale che differenzia la destra dalla sinistra. Su di un piano generale, la prima tende a rappresentare istanze istintive che, per così dire, appaiono spontanee e naturali nell'ordine delle cose: paura o astio per il diverso, individualismo, razzismo, competizione, profitto, visione gerarchica del genere umano, esclusione.
La sinistra, invece, costruisce e promuove idee e progetti attraverso una disarticolazione razionale del disordine e una progettazione altrettanto razionale di un universo differente. Per questo si definisce in relazione a valori come uguaglianza, cooperazione, solidarietà, tensione verso il cambiamento, inclusione delle diversità, emancipazione dei più deboli e degli oppressi.
Decretare la fine delle ideologie, e con essa il superamento della dicotomia destra/sinistra, ha determinato in questi ultimi anni due effetti.

Gender chi? Oggi a Roma si va a scuola di differenze


di Roberto Ciccarelli
Uno spet­tro si aggira per l’Italia. Lo chia­mano «ideo­lo­gia del gen­der» ed è la favola dell’«uomo nero» ai tempi di wha­tsapp, il sistema di mes­sag­gi­stica dove cir­co­lano mes­saggi che inten­dono ter­ro­riz­zare i geni­tori con­tro i pro­getti di edu­ca­zione alla cono­scenza dei generi, dell’affettività, della ses­sua­lità nelle scuole. È il com­plotto del momento, cal­zato per­fet­ta­mente per la comu­ni­ca­zione dei social net­work che col­tiva il falso, lo tra­sforma nel vero­si­mile e facen­dolo fer­men­tare nel magma delle pas­sioni tri­sti o delle pro­ie­zioni ango­sciose più infon­date.
Si dice che pro­muova la mastur­ba­zione infan­tile, l’omosessualità, distrugga la «fami­glia natu­rale» e arrivi a minac­ciare addi­rit­tura l’umanità, non diver­sa­mente da altre ideo­lo­gie giu­di­cate nefa­ste. Ieri alcune strade della Capi­tale sono state tap­pez­zate con mani­fe­sti abu­sivi con­tro le fami­glie omo­ses­suali e la pro­po­sta di legge Cirinnà che pre­vede la cosid­detta «ste­p­child adop­tion». In set­ti­mana la mini­stra dell’Istruzione Ste­fa­nia Gian­nini è stata costretta a riba­dire che nella ren­ziana «Buona scuola» non esi­stono tracce di tali dis­so­lu­tezze apo­ca­lit­ti­che e ha annun­ciato azioni legali con­tro que­sta «truffa cul­tu­rale» da parte del Miur.

No, papa Francesco, preferisco restare tentatrice

di Ilaria Bonaccorsi
Il serpente aveva detto ad Eva che la conseguenza del mangiare i frutti dell’albero proibito sarebbe stata l’ «apertura degli occhi» e il diventare «come Dio» (o «come una divinità»), cioè in grado di discernere il bene dal male.
Il resto della storia la conoscete. Il morso, la caduta, la mortalità. Il peccato originale. La donna tentatrice, “porta del male” addirittura. Male inteso come capacità di discernere? Come apertura degli occhi? Come lascivia? Comunque secoli di roghi. Io li ho studiati tutti, dalle prime herbarie, donne medico nelle campagne dei secoli alto medievali che dispensavano cure, per aiutare la vita e la morte alleviandone i dolori, alle streghe dei secoli basso medievali bruciate nelle piazze dell’Inquisizione. Le stesse donne a cui la Chiesa tolse il “patentino” di curatrici. Perché quelle cure, quella conoscenza o anche solo quella prassi era opera del demonio, era male e non bene. Il dolore, la morte, la vita erano un dono di Dio. E nessuna poteva interferire.

L’economia mondiale vista dalla cantina di casa mia

di Sergio Caserta
Mia moglie ha recuperato due grandi buste di oggetti depositati in cantina che non abbiamo mai, o quasi mai, usato in ventinove anni di vita familiare. Sorpresa, abbiamo recuperatopentole, servizi di piatti, una friggitrice, vassoi di vetrolavorato in simil cristallo, qualche oggetto artistico. E’ il terzo repulisti che facciamo dopo aver letto che raccolgono materiale per allestire alloggi per i migranti.
Ci siamo guardati negli occhi e abbiamo condiviso la necessità e l’opportunità di contribuire. Abbiamo alleggerito gli scaffali dove c’erano ammucchiati servizi di bicchieri e tazze e una pazzesca quantità di oliere e saliere, ciotole per la prima colazione. Se decidiamo di passare ai vestiti e al settore coperte e lenzuola, la pesca sarà ancora più lucrosa.

Trivelle, nove Regioni verso un referendum per dire no

Trivelle, nove Regioni verso un referendum per dire no
di Raffaele Lupoli
Un referendum di iniziativa regionale per dire no alle estrazioni petrolifere nei mari italiani. Sono nove le Regioni che oggi si sono impegnate ad approvare in tempi brevi una delibera per promuovere l’abrogazione della parte di Sblocca Italia che dà il via libera alle trivelle.
Riuniti alla Fiera del Levante di Bari, i presidenti di Puglia, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Marche e Molise – cui si sono associate a distanza Sardegna, Sicilia e Veneto (che ha manifestato interesse annunciando che se ne discuterà in consiglio il 25) – hanno annunciato le date in cui approveranno in consiglio regionale le delibere contenenti i quesiti.
Comincia domani la Basilicata, seguita da martedì 22 da Abruzzo, Marche Molise, Puglia e Sardegna.

Cgil: “Subito in piazza per le pensioni”

di Antonio Sciotto
Non c’è una­ni­mità nella Cgil sulla via da intra­pren­dere per aumen­tare la demo­cra­zia interna: il “modello Camusso” è pas­sato con ampia mag­gio­ranza, ma c’è il no di Mau­ri­zio Lan­dini, della Fiom e dell’area Demo­cra­zia e Lavoro (D&L) gui­data da Gianni Rinal­dini e Nicola Nico­losi. Intanto la Cgil alza il tiro nei con­fronti del governo: Susanna Camusso, con­clu­dendo la Con­fe­renza di orga­niz­za­zione all’Auditorium di Roma, ha chie­sto a Cisl e Uil di avviare «subito una mobi­li­ta­zione sulle pen­sioni, per­ché deve essere — ha detto — la nostra prio­rità nella legge di Stabilità».
«La prio­rità deve essere una e una sola: le pen­sioni», ha ripe­tuto Camusso dal palco: «Per poter dare un futuro a tanti gio­vani che altri­menti non pos­sono entrare nel mondo del lavoro, e per chi si è tro­vato improv­vi­sa­mente a dover rima­nere molti anni di più a svol­gere un’occupazione di fatica».

Pace e cooperazione, l’unica via della Ue

di Ignazio Masulli
I risul­tati della riu­nione dei mini­stri degli Interni dell’Unione euro­pea tenu­tasi il 14 scorso segnano un ulte­riore arre­tra­mento di fronte al ria­cu­tiz­zarsi del feno­meno di pro­fu­ghi e migranti. La logica di assurda difesa e chiu­sura mani­fe­state, in varia misura, dai paesi mem­bri e dalle isti­tu­zioni dell’Unione nei mesi scorsi sem­bra­vano aver cono­sciuto una svolta e per­sino nuove dispo­ni­bi­lità all’accoglienza per effetto di imma­gini e dati par­ti­co­lar­mente dram­ma­tici dif­fusi dai media agli inizi del mese. Ma ora sem­bra tutto già rientrato.
L’unica rispo­sta che con­ti­nua a far ben spe­rare è quella venuta da cit­ta­dini, ini­zia­tive auto-organizzate e asso­cia­zioni in vari paesi e che hanno fatto emer­gere sen­ti­menti di soli­da­rietà verso i rifu­giati affatto diversi da quelli di paura e xeno­fo­bia che con­ti­nuano ad essere inco­rag­giati e sfrut­tati nel modo più spre­giu­di­cato. Ma per­ché un tale muta­mento della coscienza col­let­tiva metta radici e diventi abba­stanza forte da eser­ci­tare una pres­sione effi­cace su governi e isti­tu­zioni dell’Ue biso­gna che maturi una piena con­sa­pe­vo­lezza delle pro­por­zioni del feno­meno e delle sue cause principali.

Tsipras: «Vinceremo, per una nuova Grecia»

di Teodoro Andreadi Synghellakis
In una piazza Syn­tagma gre­mita, Ale­xis Tsi­pras ha chie­sto un nuovo, forte, man­dato popo­lare, per poter difen­dere gli inte­ressi del popolo greco. Ai gio­vani, ai dipen­denti pub­blici e pri­vati, agli agri­col­tori, il lea­der della sini­stra greca ha chie­sto: «Di chi vi fidate, chi si bat­terà con forza per voi, Syriza o la destra? Non certo chi non ha voluto aprire per quat­tro anni la lista Fal­ciani, chi non vuole bat­tere la cor­ru­zione, chi non ha nes­suna inten­zione di lot­tare». Un Ale­xis Tsi­pras molto ener­gico, con la cami­cia bianca aperta e ovvia­mente senza cra­vatta, ha ricor­dato che il suo governo si è bat­tuto per sette mesi come un leone, con­tro le oli­gar­chie euro­pee che hanno difeso l’austerità e che la Gre­cia, con la sua dignità, è diven­tata un punto di rife­ri­mento per tutta l’Europa.
«La sini­stra non abban­dona il campo della lotta, si rialza e com­batte, pronta anche a spor­carsi le mani, anche a san­gui­nare, per garan­tire al nostro popolo un futuro», ha sot­to­li­neato il lea­der della Coa­li­zione della Sini­stra Radi­cale greca.

Il voto ai tempi del capital control

Intervista a Marika Frangakis di Sara Farolfi
“La firma del memorandum è stata una sconfitta, chi sostiene il contrario mente, ma la guerra non è finita e ora bisogna guardare avanti, alla prossima battaglia”. Come andrà è difficile da prevedere, molto dipende dal risultato che uscirà dalle urne greche domenica. Economista molto vicina a Syriza, membro del direttivo dell’Istituto Nicos Poulantzas e del coordinamento dell’EuroMemorandum Group, Marika Frangakis ha vissuto l’esperienza dei 5 mesi di governo sulla prima linea, membro del team di consiglieri economici del vicepresidente Dragasakis. La incontriamo a Roma, dove è arrivata per partecipare a una giornata di approfondimento sulla Grecia organizzata alla Camera da Le Belle Bandiere.
La Grecia va al voto di nuovo sotto il capital control, può spiegarci che cosa significa?
"Il capital control è stato introdotto il 28 giugno scorso e si è reso necessario quando la Bce ha deciso di interrompere i prestiti alle banche greche. Per una economia come quella greca, basata sostanzialmente sul cash - basti pensare che prima del capital control appena il 5 per cento del denaro circolava tramite carte di credito o strumenti simili – questo ha creato un enorme problema di liquidità.

Corbyn, il populista

di Nicola Melloni
Come già detto da alcuni dei più acuti commentatori, la schiacciante affermazione di Corbyn va collocata in un più ampio movimento europeo di rinascita a sinistra. Le forme di questa onda di sinistra sono diverse – un movimento anti-casta in Spagna, la crescita della sinistra radicale in Grecia, il ritorno alle origine più propriamente laburiste nel Regno Unito. C’è però un denominatore comune tra tutte queste esperienze – la rivolta popolare contro l’oligarchia strisciante che caratterizza questa fase decadente del capitalismo occidentale.
Se in altri paesi questo trend si è sviluppato con la creazione di nuove formazioni politiche (o col successo di partiti precedentemente marginali), a Londra si assiste ad un fenomeno diverso – lo scontro aperto tra militanti del Labour e nomenclatura. Si tratta del dato più rilevante di questa consultazione popolare. Il voto ha visto trionfare il nuovo segretario mentre tanto Brown che, soprattutto, Blair, hanno combattuto strenuamente contro la candidatura di Corbyn.

Klavdianos: “Perché dare una seconda chance a Syriza”

Intervista a Pavlos Klavdianos di Steven Forti
Membro storico di “Epohi”, settimanale della sinistra greca fondato nell’ormai lontano 1989, Pavlos Klavdianos è in prima linea da mezzo secolo. Nato nel 1946, membro della Gioventù Lambrakis – creata da Mikis Theodorakis dopo l’omicidio di Gregoris Lambrakis a Salonicco nel 1963 –, Klavdianos ha preso parte fin dai primi giorni alla resistenza contro la dittatura dei colonnelli. Arrestato e torturato, ha passato in carcere più di cinque anni. Schieratosi con il Partito Comunista dell’Interno nella scissione del 1968, ha aderito alla corrente di Sinistra Rinnovatrice, vicina a Ingrao, e in seguito all’AKOA (Sinistra Comunista Ecologista e Rinnovatrice). È stato uno dei fondatori di Syriza, facendo parte per alcuni anni anche della sua segreteria. Nel congresso costituente del partito è stato eletto nel Comitato Centrale.
Secondo lei, quali sono i possibili scenari dopo le elezioni di domenica?
"L’obiettivo di Syriza è quello di conquistare la maggioranza del parlamento, in modo da poter mantenere la stessa coalizione di governo con i Greci Indipendenti e i Verdi. Non si tratta di arroganza.

Contro l’economia di guerra targata Nato

di Comitato No Nato Napoli
Le contraddizioni causate dal dominio capitalistico ancora una volta stanno producendo crisi economica, rafforzamento della competizione tra le grandi potenze, aggressioni dirette ed indirette ai popoli dei Paesi più deboli e rafforzamento del militarismo. Ancora una volta si stanno creando le condizioni per un nuovo conflitto mondiale che tutte le classi dirigenti dicono di non volere ma che rafforzano ogni giorno di più con le loro scelte economiche, politiche e militari.
Le potenze occidentali, con capofila gli Usa, per quanto in competizione anche tra di loro, perseguono al momento una politica unitaria nei confronti delle potenze emergenti di Russia e Cina ma soprattutto nella manomissione e aggressione verso i Paesi più deboli. Di tale politica unitaria la Nato è il dispositivo principale: uno strumento di convergenza e di coordinamento degli interessi dominanti dell’imperialismo euro-atlantico, uno strumento offensivo al servizio delle mire espansionistiche ed interventistiche delle grandi potenze occidentali, a scala planetaria, che tanti disastri stanno provocando in giro per il mondo.

Sociologia del calcio globale

di Francesco Giacomantonio
Il calcio, come lo sport in generale, nelle società occidentali complesse, è venuto configurandosi progressivamente, dai decenni iniziali del Novecento in poi, come uno degli ambiti più influenti dell’industria culturale dello svago, volti a intrattenere, divertire e anche occupare le masse. La dimensione socio-politica del calcio è, quindi, un aspetto ormai acclarato e l’idea che esso, come tutti gli sport, sia da considerarsi solo un gioco, immune da logiche di potere, economiche e implicazioni di altro genere, può essere sostenuta solo assumendo una posizione più o meno inconsapevolmente ingenua. Dunque, a ben guardare, soprattutto nell’età globale, l’evoluzione del calcio, non costituisce un qualcosa di a sé stante e resta un fenomeno esemplificativo di più generali mutazioni della società in cui viviamo. In tempi recenti, le continue vicende legate a scandali su scommesse, partite truccate, gestioni economiche fallimentari, forme di corruzione, sino a episodi di razzismo e violenza e cadute di stile di svariato genere, mostrano inequivocabilmente una condizione di abbassamento morale e culturale. Questo genere di episodi, peraltro, sembrano avere tendenza a moltiplicarsi esponenzialmente, mentre, parallelamente, si accresce la connotazione puramente mediatica del calcio.

Il grande coraggio di Alexis deve essere premiato nella urne

di Carla Cantone
In questa Europa che viviamo mi sembra molto importate la situazione in Grecia. Deve vincere il buon senso e deve vincere chi vuole mantenere il paese dentro l’Europa con dignità, grande rispetto e la società in piedi. Il popolo greco è consapevole di questo. Non voglio fare pubblicità per nessuno, rispettando l’autonomia del sindacato, però penso che il grande coraggio di Alexis deve essere premiato alle urne. Per tutti noi che crediamo alla democrazia, la giustizia sociale e la solidarietà sarà molto importante. 
Il sindacato italiano crede molto nella costruzione di un sindacato europeo, però non è solo l’Italia che crede in un sindacato europeo. Mi pare che tutte le organizzazioni affiliate alla Confederazione dei Sindacati Europei (CES) e tutte i sindacati delle categorie della CES si rendono conto che c’è bisogno di un sindacato europeo. Anche di più perché le scelte di politica sociale, economica e finanziaria passano dall’Unione Europea.

Erdogan balla coi lupi (grigi). La minaccia dei nazionalisti turchi

di Sakine K. 
Qualche giorno fa Repubblica, in un "memorabile" reportage da una Turchia in fiamme, diffondeva l'immagine di alcuni manifestanti turchi “che protestavano contro le violenze dei ribelli curdi”.
Al di là della scarsa qualità giornalistica del servizio, altri dettagli potevano attirare l'attenzione del lettore un po' più esperto delle operazioni di disinformazione di cui la testata spesso si è resa responsabile. In una foto infatti si distinguevano alcuni uomini con delle bandiere simili a quella turca ma non proprio identiche (tre mezzelune su sfondo rosso invece della nota grande mezza luna) e facevano tutti uno strano gesto, unendo il pollice di una mano con il dito medio e anulare e mantenendo il mignolo e l'indice tesi quasi in una versione “orientale” del celebre gesto scaramantico italiano delle corna. I galantuomini rappresentati nella foto, si chiamano Lupi Grigi e sono un'organizzazione estremista e nazionalista più volte accusata di terrorismo. Quello strano gesto è il loro saluto ed è assimilabile al saluto nazista o fascista in Europa. Repubblica purtroppo, in un eccesso di ecumenismo pacifista, ha dimenticato di scrivere lo slogan con cui erano scesi in piazza in quella giornata, solo ovviamente dopo aver dato fuoco a diverse sedi del partito di sinistra HDP in giro per la Turchia: “basta interventi militari, vogliamo il genocidio dei curdi”.

La svolta del Labour

di Elettra Deiana
L’elezione di Jeremy Corbyn a segretario del Labour ha mandato letteralmente ai matti l’establishment blairiano, suscitando l’immediato pollice verso del 90% dei 232 parlamentari laburisti. Tutto ciò era scontato, così come scontata – o prevedibile – era la campagna di delegittimazione del nuovo leader, che si è scatenata subito dopo la sua inattesa vittoria. E’ l’ortodossia neoliberista in chiave blairiana che viene messa in discussione, non nei dibatti accademici tra economisti ma per un’irruzione di popolo sulla scena. Questo è quello che all’improvviso è successo in Inghilterra. E Corbyn viene accusato di tutto: esponente di altri tempi, un conservatore di lunga data – ahi, ahi, le parole sempre più indistinte, di cui si nutre la nostra epoca, così semanticamente frullata! – un nostalgico, votato alla sconfitta elettorale e, soprattutto – si insiste da tutte le parti – un personaggio del tutto incongruo a misurarsi con la questione del governo. Il premier conservatore Cameron lo ha definito senza mezzi termini “un rischio per la sicurezza nazionale” – Dio salvi la Regina! – e Tony Blair, che ai suoi tempi piegò il Labour alle ragioni dell’ortodossia neoliberista, durante la campagna per l’elezione del nuovo segretario, ha invitato chi “aveva nel cuore” di votare Corbyn a sottoporsi a un trapianto dell’organo.

Gli altri messaggi di Bergoglio

di Geraldina Colotti
«Il peg­gior nemico è l’ipocrisia». Papa Ber­go­glio ha rispo­sto così a quanti gli hanno chie­sto un mes­sag­gio forte durante un con­ve­gno sul clima. E ha rice­vuto anche il plauso di quelli che il Van­gelo chia­me­rebbe «sepol­cri imbiancati».
La sua Enci­clica — Lau­dato si’, ispi­rata al Can­tico delle Crea­ture — sug­ge­ri­sce infatti una denun­cia forte delle asim­me­trie sociali e inter­na­zio­nali, delle guerre e delle grandi imprese mul­ti­na­zio­nali: temi poco pra­ti­cati nelle ricette impo­ste alle «demo­cra­zie della disil­lu­sione». Una denun­cia che, durante il recente viag­gio in Ame­rica latina, Ber­go­glio ha messo al dia­pa­son dei movi­menti e dei pre­si­denti che scom­met­tono su una nuova indi­pen­denza lati­noa­me­ri­cana (la Patria grande di Simon Boli­var): nei toni del «socia­li­smo indi­ge­ni­sta» di Mora­les in Boli­via, in quelli della «revo­lu­cion ciu­da­dana» di Cor­rea in Ecuador.
Per quelli del «socia­li­smo boli­va­riano» dell’operaio Maduro in Vene­zuela, la cosa si com­plica un poco: per­ché le gerar­chie eccle­sia­sti­che, che hanno soste­nuto i colpi di stato e il lati­fondo, restano legate ai gruppi di potere modello Fmi e al loro cat­to­li­ce­simo con­ser­va­tore, osteg­giano la chiesa di base e i suoi preti «boli­va­riani».

La pace come formazione di coscienza e antimilitarismo coerente

Intervista a Rudolf Bauer di Milena Rampoldi
Abbiamo intervistato Rudolf Bauer sulla sua iniziativa “conferenza contro la guerra” (Antikriegskonferenz). In un’epoca martorizzata dalla guerra e dalla violenza, noi continuiamo a credere in una pace che può essere riconquistata giorno dopo giorno mediante una presa di coscienza. Dobbiamo opporci alla propaganda militarista e questo lo possiamo solo fare come esseri umani. Infatti il soldato inizia dove finisce l’uomo. Informazioni sul Prof. Dr. Bauer le trovate qui: http://www.rudolph-bauer.de.
La conferenza contro la guerra del 2015 si è tenuta il 5 settembre a Brema. Ulteriori informazioni le trovate sul sito dell’iniziativa: http://antikriegskonferenz.de/?page_id=347
Qual è l’obiettivo principale dell’iniziativa della conferenza contro la guerra?
"L’obiettivo consiste nel dar voce alla maggioranza della popolazione tedesca, che prende una posizione scettica o di rifiuto nei confronti delle operazioni militari dell’esercito federale tedesco nelle guerre all’estero. È fondamentale fornire ulteriori argomentazioni a queste persone per potersi opporre al militarismo irresponsabile ma purtroppo dominante nel mondo della politica, dell’economia e dei media.

Europa blindata. Il blocco dell’Est adotta la linea dura

Europa blindata. Il blocco dell’Est adotta la linea dura
di Tiziana Barillà

Da quando si è affollata, la balkan route, la strada percorsa dai profughi attraverso i Balcani, è diventata scenario di detenzioni arbitrarie e respingimenti violenti, gas lacrimogeni e manganellate. Muri e leggi repressive. La frontiera Est d’Europa, è evidente, sta adottando la linea dura. Una linea documentata da Amnesty international in un lungo e dettagliato rapporto, che mette in fila le violazioni dei diritti umani di quello che l’Ong definisce un percorso “certainly not safe”.
Muro dopo muro, è la costruzione di una neoCortina di ferro quella a cui assistiamo. Anche la Croazia nella notte tra il 17 e il 18 settembre, ha di fatto chiuso 7 valichi di frontiera su 8 con la Serbia – eppure il premier Zoran Milanovic aveva rassicurato: «Per ora non impediremo a nessuno di entrare in Croazia ma neanche di uscire dal Paese». Resta aperto alla circolazione un solo valico, quello di Bajakovo.

Vecchie e nuove priorità di Putin nella guerra di Siria

di Mauro De Bonis
Il presidente della Russia Vladimir Putin il 28 settembre parlerà alla 70ª assemblea generale delle Nazioni Unite, dieci anni dopo l’ultima volta.
Un lasso di tempo in cui la storia dei rapporti tra Mosca e l’Occidente si è arricchita di nuovi tragici capitoli. Dalla guerra russo-ossetino-georgiana alla rivolta di Kiev e conseguente guerra nell’Est dell’Ucraina. In mezzo, il catastrofico conflitto che sta ancora insanguinando la Siria, e che vede la Russia al fianco del presidente Bashar al-Asad e l’Occidente schierato con l’opposizione. Entrambe le parti in lotta contro le milizie dello Stato Islamico (Is).
Proprio di questo comune interesse nella lotta al terrorismo è probabile che il presidente Putin torni a parlare a New York, ribadendo la sua proposta per la creazione di una ampia coalizione che veda Mosca e Washington – più i rispettivi alleati e gli attori regionali – uniti per scongiurare definitivamente il pericolo jihadista rappresentato dall’Is.

Profughi: Europa chiusa per fallimento

di Stefano Galieni 
La riunione recente del Consiglio dei ministri dell’Interno U.E. fotografa in pieno il livello di difficoltà, di contraddizioni e di inadeguatezza con cui un continente intero si sta ponendo di fronte alla gravissima crisi umanitaria che sta portando centinaia di migliaia di persone alla fuga dai Paesi in guerra. Proviamo a evidenziarne in sintesi alcuni aspetti.
Doveva essere ampliato, seppur in maniera insufficiente, il numero di persone a cui trovare una condizione di accoglienza diffusa nei 28 Stati membri. Egoismi nazionali, incapacità di esercitare le necessarie pressioni, hanno fatto si che questa decisione venga rimandata ad ottobre. Nel frattempo la Germania e l’Austria stanno facendo entrare profughi siriani ma innalzando i controlli alle frontiere e obbligando Italia e Grecia a dotarsi di strumenti per rendere più facile il rimpatrio di coloro non ritenuto degno di protezione.

L'onda nera che appesta l'Europa

di Fabrizio Casari 
Un altro muro, a completare la recinzione della fortezza ariana nella sua versione magiara, sembra dipingere con pennellate di vergogna l’ultimo quadro del Vecchio Continente. Qui non si tratta più di politiche inclusive o esclusive nei confronti dei migranti, nemmeno di governance obbligata per quanto difficile. Si tratta di una concezione xenofoba che sull'identità religiosa e su una (presunta) identità etnica costruisce un programma pericoloso per la convivenza europea.
L’odio razziale che la sottocultura del fascista Orban eleva a linea politica, apre interrogativi non più rinviabili nel seno europeo. L’Europa che ci viene proposta nella sua rappresentazione giuridica e politica, ovvero l’Unione Europea, non è certo uno spettacolo che scalda i cuori.

Dai centri sociali al campo di Roszke in Ungheria: «La sinistra deve fare di più»

Intervista a Detjon Begai di Donatella Coccoli
Il suo nome significa “mare nostro” – i genitori divisi dal mar Adriatico lo chiamarono così – e Detjon Begai, attivista del centro sociale Labàs di Bologna ne va particolarmente fiero. Lo ha anche detto all’assemblea di Coalizione sociale domenica 13 settembre focalizzando l’attenzione – più di altri – su un tema su cui la sinistra, ha sottolineato, «non ha una narrazione forte»: i migranti e la situazione storica che l’Europa sta vivendo. Tra l’altro, quando ha parlato era appena tornato da un viaggio, insieme a due compagni dei centri sociali, nell’Ungheria dei fili spinati e delle migliaia di siriani in fuga. Dove già si preannunciava la violenza di queste ultime ore. A Detjon, studente di Giurisprudenza a Bologna nato 24 anni fa in Albania e arrivato a 10 mesi in Italia chiediamo di raccontare le sue impressioni sul viaggio in Ungheria ma soprattutto una riflessione su come la sinistra si pone rispetto al problema dei flussi migratori così impetuosi e carichi di responsabilità da parte di tutta l’Europa.
Cominciamo dal viaggio in Ungheria. Com’è che siete partiti?

L’America di Francesco

di Luca Kocci
Quello che comin­cerà sabato è il viag­gio più impor­tante di papa Fran­ce­sco dall’inizio del pon­ti­fi­cato. Per i Paesi che visi­terà, Cuba e Stati uniti. Per i poli­tici che incon­trerà, Raul, Fidel Castro e Obama. Per i discorsi che terrà, al Con­gresso Usa e all’Onu. Per il momento sto­rico in cui avviene, dal punto di vista sia poli­tico — riav­vi­ci­na­mento fra Usa e Cuba, favo­rito anche dalla media­zione vati­cana, ele­zioni pre­si­den­ziali sta­tu­ni­tensi, con­flitto in Siria, migranti -, sia eccle­siale, con la fase finale del Sinodo dei vescovi sulla fami­glia (4–25 otto­bre) – da cui si capirà real­mente in che dire­zione andrà la Chiesa di Fran­ce­sco –, pre­ce­duta dall’incontro mon­diale delle fami­glie, a Phi­la­del­phia, dove Ber­go­glio inter­verrà, anti­ci­pando i temi sino­dali e, forse, dando qual­che indi­ca­zione che potrebbe con­di­zio­nare il dibat­tito.
Per tutte que­ste ragioni la visita si pre­senta fitta di appun­ta­menti e densa di signi­fi­cati. Dal Vati­cano, Guz­mán Car­rí­quiry, numero due della Pon­ti­fi­cia com­mis­sione per l’America latina, pre­cisa che il viag­gio del papa non è di natura «poli­tica» ma «pasto­rale e mis­sio­na­rio».

Contro Mosca e per Israele, gli Usa pronti a cancellare intere nazioni come Iraq e Siria

Intervista ad Alberto Negri di Mara Carro
Dopo oltre 300mila vittime, sette milioni di sfollati e migliaia di rifugiati che partono per l’Europa alla ricerca di un futuro migliore, la guerra siriana è ormai entrata nel suo quinto anno. La situazione sul campo continua a segnare uno stallo che sembra senza uscita eppure, in queste settimane, qualcosa sembra si stia muovendo. Ne parliamo con Alberto Negri, inviato de Il Sole 24 Ore e testimone sul campo di tutte le guerre degli ultimi 30 anni.
Attraverso una lucida analisi degli obiettivi statunitensi in Medio Oriente, degli interessi finanziari esercitati dalle monarchie del Golfo in Occidente e una severa critica alle “guerre senza senso” degli ultimi anni, Negri fornisce le coordinate per orientarsi in questa “guerra per procura tra le potenze regionali cui hanno contribuito attivamente anche gli americani” e gli europei.
L’offerta del Cremlino di costituire un coalizione internazionale contro lo Stato Islamico è stata, forse troppo precipitosamente, respinta dall’Occidente che, allo stato attuale dei fatti, non sembra avere ancora una strategia.

Ungheria, le 5 domande scomode per Ban Ki-moon

di Augusto Rubei
Le immagini degli scontri con la polizia al confine serbo-ungherese hanno sollevato l’indignazione di molti, anche del segretario generale dell’Onu: "Sono rimasto scioccato – ha detto - a vedere come vengono trattati rifugiati e migranti”.
Vero, sono rimasto scioccato anch’io quando ho visto alcuni agenti della polizia ungherese tirare qualche panino in mezzo a una folla di siriani affamati, manco fossero bestie. Però Ban Ki-moon dovrebbe essere un tantino più accorto quando si erge a difensore della giustizia sociale. Se avessi modo di incontrarlo glielo farei capire a modo mio, con queste domande:
1) Gentile Segretario, si è detto scioccato per la repressione dei migranti siriani messa in atto dalle forze ungheresi. La scioccò allo stesso modo l’elezione dell’Arabia Saudita a stato membro del Consiglio Onu per i diritti umani nel 2013? Perché, in quel frangente, non mostrò alcuna indignazione nel merito?

Che cosa porta i migranti ad andarsene e che cosa si deve fare


di W.T. Whitney
I migranti stanno abbandonando il Medio Oriente e l’Africa e stanno inondando l’Europa. Altri lasciano l’America Centrale e il Messico per gli Stati Uniti. Le crisi umanitarie sono sulla soglia del nostro paese e dell’Europa. Il panico regna in Europa per le orde di stranieri che arrivano. I volontari e le Nazioni Unite si sono mobilitati. Alcuni governi europei forniscono servizi sociali, trasporti, alloggi e cibo. Per i migranti, l’espulsione e la detenzione incombono come un pericolo. I media dominanti si concentrano sui problemi immediati dei profughi, sulle barriere lungo la loro strada, e sulle difficoltà dei governi a far fronte alla situazione.
Si potrebbe pensare, a questo punto, che la ragione dovrebbe insistere su nuovi modi di pensiero per fissare le cose. Per esempio: perché le persone se ne vanno? Si potrebbero scoprire le ragioni, fissarle e mettere fine al disastro. Potrebbe iniziare la consapevolezza che quel subbuglio in Europa e negli Stati Uniti rappresenti dei sintomi, e che i palliativi non bastano. La soluzione sta nel curare la malattia. Le vittime lo sanno in base alla loro esperienza. Vivono allo scopo di sopravvivere; le loro vite sono a gran rischio. Questa è la malattia che richiede una cura. Che cosa la causa?

Sabra e Chatila, un popolo profugo

di Maurizio Musolino
Tren­ta­tré anni sono pas­sati dalla strage di Sabra e Sha­tila e da allora ogni anno si rin­nova la catarsi di un ricordo che è anche un guar­darsi indie­tro, verso la pro­pria sto­ria fatta di scon­fitte e spe­ranze, e un cer­care in quel dram­ma­tico evento le ragioni per andare avanti alla ricerca di un futuro dif­fi­cile da indi­vi­duare. Oggi come allora, infatti, si cerca di negare al popolo di Pale­stina il pre­sente; ieri con la mat­tanza messa in atto dai falan­gi­sti alleati di Israele e oggi attra­verso l’assenza di diritti e ves­sa­zioni di ogni tipo, disper­den­doli nel mondo per can­cel­larne la memo­ria e la pos­si­bi­lità di futuro.
«Mio nonno era un pale­sti­nese e abi­tava in Gali­lea, poi venne la guerra, bru­cia­rono i nostri vil­laggi. Ci rifu­giammo prima in Libano, poi a Dama­sco. Da allora la mia fami­glia divenne pale­sti­nese rifu­giata in Siria. Io sono nata a Yar­muk, non ho mai capito bene cosa ero: pale­sti­nese, ma anche siriana… Non potevo negare le mie ori­gini, la Pale­stina, ma la Siria era il paese che aveva accolto la mia fami­glia e io ci vivevo bene.

La nuova via della seta

di Riccardo Barlaam
Per una curiosa coincidenza della storia, appena qualche ora prima dell’arrivo di Barack Obama in Kenya, per il suo recente viaggio in terra d’Africa – ennesimo, ma vano tentativo di un presidente americano di rilanciare le relazioni commerciali tra Usa e quel continente – la formica operaia Cina annunciava un prestito di 12 milioni di dollari proprio al Kenya per la realizzazione di infrastrutture. Nel prestito sono compresi anche i soldi per il restauro dello stadio di Karasani, lo stesso che ha fatto da palcoscenico, a Nairobi, alla visita di Obama, il quale da quel prato ha lanciato il suo anatema contro la corruzione, madre di tutti i mali africani.
Nonostante le tante attese legate all’elezione del primo presidente afroamericano, Obama, nel suo primo mandato, non si è visto o quasi in Africa. Troppo occupato a fare i conti con la crisi economica internazionale, con il terrorismo, con l’uscita da Iraq e Afghanistan. Nel 2009, la Cina ha sorpassato gli Stati Uniti per volume di scambi commerciali con l’Africa.

venerdì 18 settembre 2015

Un conflitto oltre le frontiere


di Étienne Balibar
Men­tre i mini­stri dei ven­totto paesi Ue non sono riu­sciti a met­tersi d’accordo sull’attuazione del piano di ripar­ti­zione pro­po­sto dalla Com­mis­sione euro­pea, è senza dub­bio arri­vato il momento di ren­dersi conto dell’entità dell’avvenimento sto­rico a cui deve far fronte la «comu­nità» delle nazioni euro­pee, e delle con­trad­di­zioni che que­sto avve­ni­mento ha messo in luce. Esten­dendo a tutta l’Europa il pro­no­stico che la Can­cel­liera Angela Mer­kel ha for­mu­lato — «que­sti avve­ni­menti cam­bie­ranno il nostro paese» — biso­gna dire: cam­bie­ranno l’Europa. Ma in che senso? Non abbiamo ancora la rispo­sta. Stiamo entrando in una zona di flut­tua­zioni bru­tali, dove dovremo dar prova di luci­dità e determinazione.
Quello che sta avve­nendo è un allar­ga­mento dell’Unione e della stessa costru­zione euro­pea. Ma, a dif­fe­renza dei pre­ce­denti allar­ga­menti, que­sto è impo­sto dagli avve­ni­menti nel qua­dro di uno «stato d’emergenza» e non c’è una­ni­mità. Più che per gli allar­ga­menti del pas­sato, quindi, andrà incon­tro a dif­fi­coltà e pro­vo­cherà scon­tri poli­tici. Soprat­tutto, que­sto allar­ga­mento è para­dos­sale, per­ché non è ter­ri­to­riale ma demo­gra­fico: ciò che «entra in Europa» in que­sto momento non sono nuovi stati, ma uomini, donne e bam­bini. Sono dei cit­ta­dini euro­pei vir­tuali.

Uniti, aperti e lontani dal Pd


di Curzio Maltese
C’è tanta vita a sini­stra, ma non c’è una poli­tica. La que­stione posta da Norma Ran­geri natu­ral­mente non riguarda sol­tanto l’Italia. La sini­stra è in crisi in tutta Europa. La straor­di­na­ria ope­ra­zione di ege­mo­nia cul­tu­rale lan­ciata oltre trent’anni fa dal libe­ri­smo ha rag­giunto oggi il mas­simo grado di suc­cesso. L’obiettivo dell’Europa a guida Mer­kel è demo­lire la costru­zione del wel­fare e di con­se­guenza ridurre all’irrilevanza la social demo­cra­zia euro­pea, ed è esat­ta­mente quanto sta acca­dendo, con la col­la­bo­ra­zione dei lea­der socia­li­sti, sor­pren­dente e per­fino entu­sia­stica, come nel caso del nostro Renzi.
Le poche forze che hanno cer­cato di ere­di­tare la rap­pre­sen­tanza sociale abban­do­nata dai socia­li­sti, come Syriza, Pode­mos, Sinn Fein o la Linke, sono cir­con­date e asse­diate da un sistema poli­tico che ormai gra­vita sull’asse di una perenne grande coa­li­zione, e attac­cate con vio­lenta astu­zia da un sistema media­tico mai nella sto­ria così ben con­trol­lato dai poteri domi­nanti. In Ita­lia, spesso labo­ra­to­rio del peg­gio in poli­tica, il pro­cesso è andato oltre. Oggi la con­tesa poli­tica da noi si svolge all’essenza fra varie forme di popu­li­smo di destra.

L'ortodossia ha fallito: l'Europa ha bisogno di una nuovo corso economico e sociale


di Jeremy Corbyn
David Cameron sta attraversando tutta l'Europa, apparentemente senza aver alcuna idea di cosa voglia raggiungere con la sua tanto sbandierata rinegoziazione da imporre con un referendum nel 2016 o 2017. Se il primo ministro pensa di poter indebolire i diritti dei lavoratori che si aspettano una buona disponibilità del'Europa per tenerci nella UE, egli sta facendo un grande errore.
Il supporto di David Cameron a un disegno di legge che indebolirebbe i sindacati e il taglio dei crediti d'imposta deciso questa settimana mostrano che i diritti del lavoro sono sotto attacco. È lecito immaginare che i molti diritti fondati sulla tradizione legislativa europea, inerenti le ferie pagate, la protezione, l'orario e la sicurezza nei luoghi di lavoro, il miglioramento di maternità e paternità, siano effettivamente in pericolo.
C'è una sensazione largamente condivisa che l'Europa sia un qualcosa che somiglia ad un club esclusivo, piuttosto che a un forum democratico per il progresso sociale.

Vinca Syriza: oggi la battaglia si fa metro per metro

Intervista a Rossana Rossanda di Argiris Panagopoulos
Syriza deve vincere domenica prossima le elezioni e Tsipras deve formare un governo per applicare la politica del partito per combattere il neoliberismo metro per metro, ha detto ad “Avgi” Rossana Rossanda, considerando che la Sinistra non è stata capace di articolare dal 1989 e dopo una voce in Europa perché non ha discusso mai sul serio e in modo esaustivo cosa è successo con il crollo dei socialismo reale e del modello keynesiano, che sostanzialmente avevano come punto di riferimento la socialdemocrazia ed altre forze. 
Rossana Rossanda era una partigiana, ha assunto su indicazione di Togliatti l’incarico di responsabile per la Cultura nel PCI, era tra i fondatori del giornale “Il Manifesto”, con Magri, Pintor, Parlato, Castellina ed altri, e ha sostenuto una nuova relazione del comunismo con le libertà politiche e individuali. Ha seguito le vicende della sinistra greca e più in generale della sinistra europea e guarda a Syriza, a Podemos e al nuovo Partito Laburista di Corbyn per la creazione di un'idea diversa per l’Europa.
Syriza e Tsipras hanno “tradito”? È importante che Syriza vinca le elezioni di domenica?

All’ombra dei nostri vessilli non ritroveremo la credibilità


di Claudio Grassi
Norma Ran­geri ha pro­mosso un impor­tante dibat­tito a par­tire da una sug­ge­stione: «C’è vita a sini­stra?» A giu­di­care dal numero di sigle, par­titi e asso­cia­zioni esi­stenti ver­rebbe da rispon­dere che ce n’è anche troppa ed invece pro­prio que­sta fram­men­ta­zione, della quale in qual­che misura siamo tutti respon­sa­bili, non è altro che la foto­gra­fia del fal­li­mento. Spe­riamo che la posi­tiva acce­le­ra­zione che sem­bra essere stata impressa ad un pro­cesso di riu­ni­fi­ca­zione, pro­se­gua con deter­mi­na­zione. Noi cer­ta­mente lavo­re­remo in quella dire­zione.
Que­sta con­di­zione della sini­stra ita­liana è un caso quasi unico nel pano­rama inter­na­zio­nale. Ci sono sicu­ra­mente limiti sog­get­tivi e ragioni ogget­tive che con­tri­bui­scono a ren­derci inac­ces­si­bile un vastis­simo spa­zio poli­tico poten­ziale a sini­stra del Pd. La fase costi­tuente che sem­bra final­mente aprirsi non potrà igno­rare quei limiti. Dovremo essere aperti, inclu­sivi e capaci di discu­tere senza rete, né tabù, di con­te­nuti, refe­renti sociali e modelli orga­niz­za­tivi di un sog­getto poli­tico della sini­stra nel nostro paese.

Sindacati, perché la categoria di corpo intermedio è fuorviante

di Michele Prospero
Nell’ultimo numero del “Mulino” (n. 4 del 2015) è apparso un articolo di Stefano Zan, dal titolo “La crisi dei corpi intermedi”, che è opportuno riprendere come base di una discussione. Il punto di vista dello scritto è critico sul sindacato e, nel complesso, il saggio pare consenziente verso l’azione del governo che ne contesta alla radice le funzioni. Ma non è certo questo atteggiamento simpatetico dell’autore verso l’esecutivo che conta rimarcare o contestare. È invece il criterio definitorio adottato, quello dei corpi intermedi, che pare suscettibile di una valutazione critica.
Se il sindacato viene rubricato, dal punto di vista concettuale, come un corpo intermedio, è quasi naturale, come conseguenza analitica del postulato, che esso finisca per configurarsi come un’organica parte di mezzo che, a seconda dei punti di vista, ostacola o coadiuva in maniera sussidiaria il cammino del potere.

Cgil, il rebus della democrazia

di Antonio Sciotto
È un momento molto com­pli­cato, deli­cato, per la Cgil: attac­cata dal governo e dal ren­zi­smo, scre­di­tata dalle cam­pa­gne di diversi gior­nali, non accet­tata spesso tra i nuovi lavo­ra­tori, che non capi­scono a cosa possa ser­vire un sin­da­cato. Solo il 4% dei suoi 5,6 milioni di iscritti è pre­ca­rio, ati­pico o in par­tita Iva, men­tre una buona metà resta com­po­sta da pen­sio­nati: si deve ten­tare una radi­cale tra­sfor­ma­zione, o si rischia di soc­com­bere, per­ché il pre­mier, Sal­vini, Grillo o le imprese non fanno pri­gio­nieri. Con la Con­fe­renza di Orga­niz­za­zione aperta ieri all’Auditorium di Roma, e che si con­clu­derà oggi, si tenta il colpo di coda: aumen­tare la par­te­ci­pa­zione e la demo­cra­zia interna per ridare vita alle strut­ture, ma il «modello Camusso» è stato già con­te­stato dal lea­der Fiom Mau­ri­zio Lan­dini, che chiede una discus­sione più lunga e approfondita.
 La segre­ta­ria gene­rale Susanna Camusso par­lerà oggi, men­tre a spie­gare il nuovo modello di sin­da­cato pro­po­sto dalla segre­te­ria con­fe­de­rale ieri è stato il respon­sa­bile dell’Organizzazione, Nino Baseotto.

Francesco, pericoloso «femminista»

di Bia Sarasini
Ieri per defi­nirsi papa Fran­ce­sco ha usato una parola proi­bita e quasi temuta, in ambito eccle­siale: «Per­do­na­temi se sono un po’ fem­mi­ni­sta». Par­lava a brac­cio a un’udienza ai gio­vani con­sa­crati, e voleva rin­gra­ziare «la testi­mo­nianza delle donne con­sa­crate».
Due giorni fa invece, nel con­clu­dere una set­ti­mana dedi­cata alla fami­glia, ha demo­lito un mito tenace, Eva e il suo ser­pente che cor­rom­pono Adamo, l’uomo: «Esi­stono molti luo­ghi comuni, alcuni anche offen­sivi, sulla donna ten­ta­trice» ha detto nell’omelia.
In pas­sato aveva già par­lato della «brutta figura che ha fatto Adamo, quando Dio gli ha detto: ’Ma per­ché hai man­giato il frutto dell’albero?’ E lui: ’La donna me l’ha dato’». Ma c’è un orien­ta­mento, una dire­zione, o meglio un’intenzione in tutte le parole che dall’inizio del suo pon­ti­fi­cato papa Ber­go­glio ha dedi­cato alle donne?
In verità non è facile orien­tarsi, e que­sto è sor­pren­dente, in un pon­te­fice che mostra una straor­di­na­ria chia­rezza di pre­di­ca­zione, di pasto­rale e di politica.

La Carta riscritta al calciomercato

di Andrea Colombo
Nell’aula del Senato rim­bom­bano discorsi colmi d’idealità: demo­cra­zia, diritto di rap­pre­sen­tanza, Cal­de­roli chiama espli­ci­ta­mente in causa il rischio di un fasci­smo masche­rato. Ma sulla soglia di quell’aula, la musica cam­bia e di quanto bene o male possa fare la Carta rivi­si­tata da Renzi non parla più nes­suno. Lo sanno tutti che i voti non si con­qui­stano con­vin­cendo. Inu­tile per­dere tempo e pren­dersi in giro: qui la sola parola che conta, e che ripe­tono tutti, è «cal­cio­mer­cato». Vince e scrive la Costi­tu­zione chi più ha da offrire e meglio sa cir­cuire. La cop­pia Renzi-Verdini non la batte nessuno.
Anche per­ché non ha rivali. Sil­vio Ber­lu­sconi non faci­li­terà il lavo­retto all’ex socio, non ordi­nerà alle sue resi­due ma ancora cospi­cue truppe di andarsi a bere un cap­puc­cino nel momento topico del voto. Ma nem­meno gli ren­derà più ardua la fac­cenda. Fosse l’instancabile uomo del 2007, quello pronto a tutto e lar­ghis­simo di manica pur di far cadere Romano Prodi, per Renzi non ci sarebbe spe­ranza. Ma la linea di Ber­lu­sconi è un’altra: «Non ade­rire né sabo­tare». Signi­fica che alla fiera di palazzo Madama c’è un solo acqui­rente. Gli va di lusso.