La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 ottobre 2015

Una disfatta lunga trent'anni

di Alberto Burgio 
Ci siamo final­mente. Mar­tedì il Senato in grande spol­vero voterà senza colpo ferire la pro­pria tra­sfor­ma­zione in una nuova Camera delle Cor­po­ra­zioni. Napo­li­tano, Ver­dini e Barani, padri costi­tuenti, rac­co­glie­ranno meri­tati onori. La legi­sla­tura vivrà una gior­nata pal­pi­tante. Ma se ci si potrà com­muo­vere, dirsi sor­presi invece no, non sarebbe sen­sato. Che si sarebbe arri­vati a que­sto punto si era capito già l’anno scorso, quando il ddl Boschi comin­ciò la navi­ga­zione tra i due rami del par­la­mento meno legit­timo della sto­ria repubblicana.
A rigore il governo avrebbe dovuto veder­sela con l’agguerrita oppo­si­zione ber­lu­sco­niana, quindi subire le con­di­zioni poste dalle mino­ranze interne dello stesso Pd. Ma entrambi gli osta­coli si rive­la­rono ben pre­sto incon­si­stenti. Ancor prima di con­qui­stare palazzo Chigi Renzi si era accor­dato con Ber­lu­sconi sulle «riforme» da varare insieme. Ver­dini aveva con­vinto il cava­liere che quel gio­vane demo­cri­stiano era un conto in banca, la pen­sava allo stesso modo sulla Rina­scita demo­cra­tica del paese, quindi per­ché non soste­nerne l’impresa, tanto più che avrebbe messo al bando la vec­chia guar­dia rossa del Pd?

Sessantamila studenti contro lo storytelling di Renzi

di Roberto Ciccarelli 
Occu­pa­zioni, flash-mob al Miur, al mini­stero dell’economia e a palazzo Chigi, blitz con petardi e fumo­geni in filiali ban­ca­rie e agen­zie di lavoro inte­ri­nali come Man­po­wer a Napoli, pre­sidi e incon­tri al mini­stero dell’Istruzione. E poi 90 cor­tei con 5 mila stu­denti a Roma, due­mila a Bari, mille a Milano e altret­tanti a Palermo, tra gli altri. Ieri l’autunno di piombo della scuola gover­nata dagli algo­ritmi che deci­dono le sorti di un docente men­tre le prove Invalsi per­fe­zio­nano la valu­ta­zione della vita pro­dut­tiva degli stu­denti si è acceso all’improvviso. Ses­san­ta­mila stu­denti hanno mani­fe­stato con­tro la riforma della scuola, il Jobs Act, le poli­ti­che migra­to­rie della «For­tezza Europa» e il diritto allo stu­dio azzop­pato (ancora) dalla riforma dell’Isee.
Non è man­cato il rife­ri­mento ai pre­cari della scuola esclusi dalle assun­zioni di Renzi, pur avendo matu­rato il diritto. Una mobi­li­ta­zione «sociale» che ha cer­cato un’interlocuzione con i movi­menti esi­stenti: il «No Ombrina» con­tro le tri­vel­la­zioni dello «Sblocca Ita­lia», il 14 otto­bre a Roma, ricor­dano i col­let­tivi auto­nomi napo­le­tani «Kaos». Gli stu­denti non vogliono sen­tirsi soli e sono alla ricerca di con­nes­sioni. Ieri hanno schie­rato numeri impo­nenti, e non scon­tati, dopo giorni di silen­zio dei mag­giori sin­da­cati della scuola impe­gnati a discu­tere se, come o quando fare uno scio­pero gene­rale (Uni­co­bas lo farà il 23 otto­bre, i Cobas il 13 novem­bre, men­tre sono pre­vi­ste mobi­li­ta­zioni il 24 otto­bre).

Stop Ttip, senza se e senza ma

di Marco Bersani
Men­tre leg­gete que­ste righe, oltre 500.000 per­sone stanno sfi­lando per le strade di Ber­lino per chie­dere un deciso stop al Ttip, il trat­tato di libero scam­bio, che, da oltre due anni, Stati Uniti e Unione Euro­pea stanno nego­ziando nelle segrete stanze. La mani­fe­sta­zione di Ber­lino inau­gura una set­ti­mana di mobi­li­ta­zioni in tutte le città d’Europa, accom­pa­gnate dalla con­se­gna all’Unione euro­pea di oltre 3,2 milioni di firme di cittadini.
Si apre una fase deci­siva per quello che si pro­fila come il più grande trat­tato di libero scam­bio del pia­neta, non­ché il nuovo qua­dro legi­sla­tivo glo­bale, cui tutti, volenti o nolenti, dovranno conformarsi.
La pres­sione delle mul­ti­na­zio­nali e dei governi spinge per­ché si arrivi ad una bozza di accordo prima che negli Stati Uniti inizi la cam­pa­gna elet­to­rale delle pre­si­den­ziali (pre­vi­ste nel novem­bre 2016), e la recente appro­va­zione dell’omologo nego­ziato sul ver­sante Paci­fico (TPP) ha gal­va­niz­zato le truppe di quanti vogliono tra­sfor­mare lo stato di diritto in stato di mer­cato e rea­liz­zare l’utopia delle mul­ti­na­zio­nali: unico faro della vita eco­no­mica, poli­tica e sociale devono essere i pro­fitti, cui vanno sacri­fi­cati tutti i diritti del lavoro e sociali, i ser­vizi pub­blici, i beni comuni e la democrazia.

L’Italia dei Tornado cancella la diplomazia

di Francesco Martone
Il semi-scoop, poi ridi­men­sio­nato, sull’eventuale uso dei Tor­nado ita­liani di stanza in Kuwait per bom­bar­dare Daesh (Isis) in Iraq sol­leva que­stioni cru­ciali. Cer­ta­mente è impe­ra­tivo richia­mare il governo ai suoi doveri isti­tu­zio­nali di coin­vol­gere il Par­la­mento in deci­sioni più che sen­si­bili per la poli­tica estera del paese.
Ormai è un dato di fatto, certo da con­tra­stare poli­ti­ca­mente, che le deci­sioni di poli­tica estera «hard», ossia sull’uso della forza mili­tare, siano sot­tratte al Par­la­mento che si limita ad aval­lare deci­sioni già prese. O a sot­to­stare ad inter­pre­ta­zioni discu­ti­bili sulla legit­ti­mità poli­tica della deci­sione in que­stione: basti pen­sare a come il governo ha deciso sul l’invio di armi ai pesh­merga ira­cheni, e sulla rela­tiva riso­lu­zione delle Com­mis­sioni Esteri e Difesa riu­nite nell’ estate 2014, di avviare l’ esca­la­tion con l’invio di Tor­nado e drone da ricognizione.

Il vero record italiano è la caduta degli investimenti

di Riccardo Sanna
Il 3 ottobre il Centro studi di Confindustria ha pubblicato una nota dal titolo “In Italia salari reali aumentati più della produttività e al lavoro una percentuale record del Pil”, in cui si afferma che “il reddito da lavoro è l’unico ad aver tenuto durante la crisi, mentre tutte le altre forme di guadagno hanno subito pesanti diminuzioni”. Non servono argomenti statistici per confutare tale affermazione. Tuttavia, può essere utile cogliere questa occasione per mettere meglio a fuoco l’analisi sulla cosiddetta distribuzione primaria (o funzionale) del reddito nazionale che forma il Pil, tra capitale e lavoro.
Prima di tutto occorre precisare che l’analisi va svolta scomponendo il valore aggiunto al costo dei fattori (non ai prezzi base), cioè al lordo dei contributi, ma al netto delle imposte sui prodotti e sulle produzioni, in modo da evidenziare la remunerazione dei fattori produttivi. È necessario, poi, sottolineare che l’osservazione dell’andamento della quota distributiva del lavoro (e, specularmente, del capitale) deve essere realizzata sultotale dei settori dell’economia nazionale, in ragione delle importanti differenze inter e intra settoriali e, soprattutto, di un approccio macroeconomico.

Agorà dell’acqua e dei beni comuni – Roma, 7-8 Novembre 2015

Durante gli ultimi 4 anni abbiamo visto cambiare 4 governi, di diverse sfumature, ma pur sempre tendente al grigio. Il grigio che in questo paese, come nel resto d’Europa, sta a rappresentare un muro che divide la società, da una parte le grandi aziende, i mercati finanziari ed istituti bancari, dall’altra la cittadinanza.
All’interno di questa divisione continua a rimanere evidente come le istituzioni, italiane e europee, svolgano diligentemente i compiti che vengono loro assegnati attraverso le politiche di austerità che si traducono in tagli al welfare e ai diritti, in cessione al mercato di servizi pubblici, risorse naturali e beni comuni.
In questi anni, come movimento dell’acqua, abbiamo combattuto quotidianamente per affermare il diritto all’acqua pubblica, avendo la massima attenzione al ciclo integrato di questo bene.

Salvate il soldato Marino

di Angelo d’Orsi
Un caso di banditismo politico unito a uno straordinario esempio di insipienza politica: ecco il “caso Marino”. Sarà da scrivere, con calma e sulla base di informazioni certe, la vicenda a suo modo esemplare di questo chirurgo tentato dalla politica, paracadutato nella capitale, prima come senatore della Repubblica (imposto, chissà perché, in Piemonte), quindi, a mandato in corso, come primo cittadino della capitale. Una parte del PD lo sostenne, contro l’altra parte, quella che stava prendendo però il potere guidato dal disinvolto Matteo, ormai in fase di irresistibile ascesa. 
E ben presto costui scopre che Marino è ingovernabile: innanzi tutto non è un renziano, e in secondo luogo perché è una sorta di Forrest Gump, che vive in una condizione di separatezza dalla realtà. Ha un mondo suo, Ignazio Marino, e, pur essendo uomo, a mia conoscenza, e impressione, di specchiata onestà, in quanto primo cittadino della prima città italiana, della ex capitale dell’Impero Romano, della capitale del cattolicesimo, della capitale mondiale delle opere d’arte, e così via, il buon Ignazio perde la testa, o detto altrimenti comincia a montarsela, preso da una specie di delirio di onnipotenza.

Intanto, a Milano

di Giuseppe Civati
Com’era abbondantemente prevedibile, e con un ritardo che ha dell’incredibile, pare che tutti si siano resi conto di un’ovvietà (nota peraltro fin dal 2011, quando dopo la stagione della partecipazione, a fine anno iniziò quella delle larghe intese): lo schema Pisapia non esiste più. Per di più Pisapia non si ricandida (lo ha detto mesi fa). Quindi non c’è il modello e non c’è più nemmeno il nome che lo aveva ispirato che tanto aveva fatto sognare, per Milano e per il livello nazionale (senza alcuna conseguenza, perché come si è detto le cose sono andate a finire in modo completamente diverso).
Il partito della nazione celebra le primarie: anzi, forse celebra le primarie. Intanto sono in corso le premiarie, ovvero le consultazioni del premier, che cerca un nome più altisonante per chiudere la partita, un po’ come sta facendo a Roma.

Renzi, Verdini e la fine delle ideologie

di Peppe De Cristofaro
La fine delle ideologie, la politica post-ideologica. È questo il ritornello che con ritmo sempre più incalzante sentiamo ripetere da molti politici e giornalisti, nella convinzione che questo sia il senso ultimo della modernità, dell'essere contemporanei, in sintonia con il presente e con l'elettorato. E con la conseguenza, quasi fisiologica, che il superamento delle ideologie sia il passepartout per rendere digeribile e onorevole qualsiasi scelta e decisione, anche la più improponibile.
Si può discutere a lungo, ovviamente, sul valore che oggi può avere una parola come "Sinistra", ma poi al di là dei nomi le differenze ritornano evidenti nelle decisioni che ciascuno prende e le distanze restano intatte fra chi vuole, ad esempio, una politica estera improntata all'interventismo o al pacifismo, fra chi vorrebbe più tasse sulle rendite e chi preferisce colpire all'infinito il mondo del lavoro, fra chi vede nell'immigrazione una risorsa e chi li vuole "tutti a casa", fra chi confonde il Parlamento con un mercato e chi come Pietro Ingrao ha visto nella coerenza e nella trasparenza dei comportamenti il presupposto imprescindibile di dignità civica e politica.

La libertà da cani e la città di sotto

Le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma, seppur condizionate dalla clausola dei venti giorni che ricorda più un tentativo estremo di patteggiamento che un punto di forza, pongono questioni che vanno ben oltre la rappresentazione semplicistica e istantanea che circola maggioritaria sui grandi media in questi giorni. Non si tratta né di indignarsi per 60 euro al giorno di pasti consumati, né di cascare nella rappresentazione del sindaco ingenuo-ma-onesto, fregato da non meglio specificati poteri forti.
Bisogna invece guardare le radici di questa situazione, dell'ingovernabilità di Roma e dello svuotamento delle sue istituzioni rappresentative. Il crollo di Marino, ma anche la sua assunzione quasi casuale a sindaco della Capitale, è l'ennesima dimostrazione che il potere politico è debole, asfittico, incapace di agire. Il governo di una città collassa senza l'appoggio dei poteri forti, in mancanza del sostegno dei media, in assenza del ruolo profondamente biopolitico dell'intermediazione sociale parassitaria svolta da Carminati e Buzzi.

Le armi spuntate contro le unioni civili

di Chiara Saraceno 
Il ricorso all’utero in affitto è l’aspetto più controverso e più carico di problemi morali, sociali ed anche legali delle possibilità offerte dalle tecniche di riproduzione assistita. Interroga non tanto sulle capacità genitoriali dei committenti aspiranti genitori, quanto sui rapporti di potere in cui avviene (difficile che una donna senza problemi economici e con buone opportunità di vita presti il proprio corpo e tempo a produrre figli per altri) e sulla possibile mercificazione dei bambini.
E’ proibito nella maggioranza dei paesi dell’Unione Europea, inclusi quelli che riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E’ consentito invece in altri paesi, tra cui alcuni dell’Est Europeo, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, sia alle coppie – dello stesso sesso o di sesso diverso - sia ai singoli. E’ quindi considerato una questione separata dal riconoscimento delle unioni civili o del matrimonio per le persone omosessuali.

Il vescovo anti trivelle che cerca casa ai migranti

Intervista a don Ciccio Savino di Claudio Dionesalvi
«Dalla parte degli scar­tati, dei rifiuti della società». È abi­tuato a par­lare chiaro e a cam­mi­nare in basso il nuovo vescovo di Cas­sano Ionio, in pro­vin­cia di Cosenza, una delle dio­cesi più anti­che d’Italia. Vie­tato chia­marlo «Eccel­lenza». Lui è Don Cic­cio Savino, suc­ces­sore e con­ti­nua­tore di quel Nun­zio Galan­tino, attuale segre­ta­rio della Cei, che per aver pre­di­cato l’accoglienza ai migranti sta facendo tanto arrab­biare il leghi­sta Sal­vini. Don Cic­cio ha impie­gato pochis­simo tempo per farsi amare dai fedeli della piana di Sibari.
Straor­di­na­ria l’empatia che si è creata tra lui e i non cre­denti, soprat­tutto con le asso­cia­zioni ambien­ta­li­ste e quelle impe­gnate nel sociale. Il vescovo Savino si è schie­rato subito con­tro il pro­getto di tri­vel­la­zioni petro­li­fere nello Jonio. Dopo aver aperto un costrut­tivo dia­logo con la Rete Asso­cia­zioni Siba­ri­tide e Pol­lino in Auto­tu­tela, ha radu­nato tutti i sin­daci del com­pren­so­rio. Insieme hanno riba­dito che il ter­ri­to­rio è uno dei più pro­dut­tivi del Mez­zo­giorno e può con­tare su ben altre risorse, come l’agricoltura e il turi­smo.

Una scuola fuori classe

di Andrea Sola
Il degrado crescente della vita scolastica
I motivi di tensione e disagio nella scuola sono decisamente in crescita. Il peggioramento delle condizioni strutturali (sovraffollamento delle classi, instabilità cronica del corpo insegnante, complessivo senso di insicurezza ambientale e precarietà economica). La difficoltà di valorizzare la presenza crescente di alunni provenienti da contesti culturali diversissimi che da risorsa culturale e civile diventano fattori di disgregazione ed ostacolo all’andamento della vita collettiva nelle classi. La progressiva iperburocratizzazione di tutti gli aspetti della conduzione delle pratiche didattiche (legislazioni sempre più severe, riduzione degli spazi di iniziativa e movimento all’interno della scuola e di scambio con l’esterno) e l’invadenza sempre più accentuata di una mentalità classificatoria e valutativa. Lo svuotamento di tutte le forme di controllo democratico e diretto della conduzione scolastica da parte dei suoi effettivi protagonisti ed una sempre più crescente centralizzazione nelle mani dei dirigenti. La rimozione da parte degli organi rappresentativi del personale scolastico dell’interesse per la dimensione del rapporto educativo, limitandosi a riportare tutto il problema in termini puramente economicistici (i tagli agli investimenti, la lotta al precariato, i fondi alle scuole private, ecc) che, pure sacrosanti, non possono spiegare la vera natura della crisi del sistema, che ha una valenza che investe la concezione stessa del rapporto educativo e formativo.

Il velo alzato sul mondo dei morlock

di Benedetto Vecchi 
L’inferno degli ate­lier della pro­du­zione non è neces­sa­ria­mente un luogo dove ci sono forni accesi, rumori assor­danti, caldo insop­por­ta­bile e dove gli umani sono ridotti a bestie. Il lavoro può essere infatti svolto in ambienti lindi dove viene dif­fusa musica rilas­sante e pia­ce­vole; oppure in case dove la sovrap­po­si­zione tra vita e lavoro è la regola e non l’eccezione. L’immagine più forte del lavoro non è data certo da «Tempi moderni» di Char­lie Cha­plin. L’omino con baf­fetti, cap­pello e bastone risuc­chiato negli ingra­naggi delle mac­chine rap­pre­senta con lie­vità l’orrore della catena di mon­tag­gio. Strappa un sor­riso di fronte la disu­ma­nità dell’organizzazione scien­ti­fica del lavoro. Ma la rap­pre­sen­ta­zione del lavoro non è viene più nep­pure dalla folla rab­biosa di Metro­po­lis di Fritz Lang. Sono due film dove è pre­sente l’imprevisto dell’insubordinazione, della rivolta. Ma in tempi di pre­ca­rietà dif­fusa, occorre leg­gere le pagine o far scor­rere i foto­grammi del film tratto dal libro di Her­bert George Wells La mac­china del tempo per avere la misura di come è cam­biato il lavoro.

L’“intellettuale collettivo”. Da Gramsci al mondo attuale

di Alexander Höbel
Quello dell’intellettuale collettivo è un tema classico dell’elaborazione gramsciana, e in parte si collega a quella estrema attenzione al terreno della formazione e dell’approfondimento, al lavoro culturale organizzato, tipica della sua impostazione. Per Gramsci, cioè, come già era stato per Gobetti, “la cultura è organizzazione”, e agendo sulla formazione della coscienza di singoli e masse ha ricadute decisive sul piano politico1.
Già nel dicembre 1917, dinanzi alla proposta di una “Associazione di cultura” emersa nella sezione torinese del Partito socialista, Gramsci osservava: “Una delle più gravi lacune dell’attività nostra è questa: noi aspettiamo l’attualità per discutere dei problemi e per fissare le direttive della nostra azione”, il che fa sì che non tutti si impadroniscano “dei termini esatti delle questioni”, cosa che provoca “sbandamenti”, disorientamento, “beghe interne”. Non esiste cioè “quella preparazione di lunga mano che dà la prontezza di deliberare in qualsiasi momento”, perché chiari sono i presupposti teorici della decisione politica.

L’inevitabile e violento declino della civiltà del capitale

di Riccardo Frola
Appena richiuso Exit di Tomasz Konicz (Stampa alter­na­tiva, pp. 158, euro 14) , il let­tore ha la sen­sa­zione per­tur­bante di essersi risve­gliato in un mondo estra­neo e ostile. Il crollo della società del lavoro, gli obi­tori di El Sal­va­dor e Gua­te­mala, «in cui si ammuc­chiano a doz­zine» i cada­veri dei ragaz­zini uccisi dalle maras, il «Levia­tano ritor­nato allo stato sel­vag­gio» descritti da Konicz, ren­dono di colpo espli­cito ciò che nella quo­ti­dia­nità occi­den­tale sem­brava ancora nasco­sto fra le righe.
Tomasz Konicz è un pub­bli­ci­sta di lin­gua tede­sca, e uno dei pochi autori rima­sti, dopo la morte di Robert Kurz, in grado di fon­dere risul­tati teo­rici rag­giunti dalla «cri­tica del valore» (una cor­rente nata alla fine degli anni Ottanta sulla rivi­sta Kri­sis), con un’analisi ori­gi­nale dell’attuale dis­se­sto finan­zia­rio e poli­tico.

La Rivoluzione digitale e la Transizione possibile

di Francesco Tupone
L’innovazione tecnologica ha pervaso e permeato tutta la società in cui viviamo: non è solo la telecomunicazione, la connettività, il flusso di informazioni, la memorizzazione dei dati e la loro aggregazione, è cambiata la modalità produttiva e la natura dei beni prodotti, l’organizzazione del lavoro, la socialità, il rapporto tra le persone ormai sempre più mediato dal digitale, lo scambio culturale, l’accesso alla conoscenza, il consumo e la fruizione dei beni e dei servizi.
La tecnologia digitale ha modificato, e modificherà in maniera sempre più accelerata la nostra esistenza, trasformando la nostra stessa percezione e visione del mondo.
Internet, la rete, il digitale hanno aperto spazi di libertà, impensabili fino a decenni fa, sono state rese possibili grandi opere, frutto della cooperazione e della condivisione di migliaia e migliaia di uomini e donne, come il software libero, Linux e il progetto GNU; come Wikipedia, la più grande raccolta del sapere dell’Umanità, ma anche WikiLeaks il portale dove vengono raccolti e resi pubblici documenti coperti da segreto, per garantire la trasparenza come garanzia di giustizia, libertà e democrazia.

Incursioni in un mondo in perenne transizione

di Benedetto Vecchi
Sei parole chiave per acce­dere alla com­pren­sione del reale. Non alla sua tota­lità, sia ben chiaro, bensì agli aspetti con­trad­dit­tori, meglio ambi­va­lenti di un mondo che appare, sostiene la reto­rica domi­nante, inin­tel­li­gi­bile, per­ché segnato da una eterna tran­si­zione verso un «nuovo» sem­pre annun­ciato ma mai dav­vero dive­nuto realtà. La rivi­sta «Alfa­beta 2» non vuole quindi offrire una inter­pre­ta­zione tota­liz­zante del mondo, ma si pro­pone, appunto, di sce­gliere campi tema­tici dove con­vi­vono istanze di libertà, ma anche dispo­si­tivi — vec­chi e nuovi — di oppres­sione. Per que­sto ha scelto sei verbi decli­nati all’infinito per fare incur­sioni in campi dove si mesco­lano, oltre alla cop­pia libertà e oppres­sione, anche la ten­sione tra sin­go­lare e col­let­tivo. «Amare, Spen­dere, Gio­care, Com­bat­tere, Usare e Creare» sono que­sti i lemmi scelti dalla rivi­sta che andranno a scan­dire sei pun­tate tele­vi­sive che occu­pe­ranno una parte del palin­se­sto serale del canale Rai 5 tra­smesso sul digi­tale ter­re­ste (l’inizio è pre­vi­sto per dome­nica 11 otto­bre, alle 22.30). Le tra­smis­sioni tele­vi­sive saranno con­dotte da Andrea Cor­tel­lessa, cri­tico let­te­ra­rio e uno degli agit prop di «Alfa­beta 2», ma vedranno la par­te­ci­pa­zione di gran parte della reda­zione della rivi­sta, da Nanni Bale­strini a Maria Teresa Car­bone, Nico­las Mar­tino che inter­vi­ste­ranno filo­sofi, scrit­tori, poeti, gior­na­li­sti che hanno affron­tato, ognuno dal pro­prio osser­va­to­rio, il tema della puntata.

La libertà radicale al setaccio di Giulio Giorello

di Andrea Comincini
«L’uomo libero a nes­suna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una medi­ta­zione non della morte, ma della vita». Il pen­siero è di Spi­noza, ma riflette lo spi­rito con cui Giu­lio Gio­rello, nel suo recente sag­gioLa libertà (Bol­lati Borin­ghieri, pp. 175, euro 11), affronta una delle dimen­sioni fon­da­men­tali dell’essere umano, annun­ciata dal titolo. Senza libertà, ovvero privi delle tre forme prin­ci­pali in cui si può ana­liz­zare (Free­dom, Liberty e Enfran­chi­se­ment: libertà, indi­pen­denza, eman­ci­pa­zione), non solo il sin­golo, ma è l’intera società a sof­frire. Davanti agli attac­chi degli «entu­sia­sti di Dio», dei fana­tici taglia gole e di chiun­que voglia imporre il pro­prio credo agli altri, la lotta per l’emancipazione sem­bra essere una impro­ro­ga­bile neces­sità per garan­tire un futuro all’umanità, o per rea­liz­zarla. Que­sta la bat­ta­glia dell’irlandese Bobby Sands, per esem­pio, che si lasciò morire in car­cere per riven­di­care i pro­pri diritti poli­tici, o del sin­da­ca­li­sta J. Con­nolly, pen­sa­tore e lea­der di un paese, l’Irlanda, dove fu fuci­lato seduto su una sedia, per­ché non riu­sciva più a stare in piedi.

In viaggio alla ricerca del tempo perduto

di Mauro Trotta
È pos­si­bile par­lare del Ses­san­totto, e in par­ti­co­lare del Mag­gio fran­cese, a distanza di tanti anni, resti­tuen­done appieno la com­ples­sità e il sapore più vero, senza alcuna reto­rica, senza pre­giu­dizi, evi­tando sia l’esaltazione fine a se stessa sia la deni­gra­zione pre­con­cetta? Al di là di saggi, inchie­ste, reper­tori di docu­menti più o meno validi e riu­sciti, dovrebbe essere l’arte a far­sene carico, pro­du­cendo opere in grado di resti­tuire l’atmosfera e l’essenza di quel periodo. In campo cine­ma­to­gra­fico regi­sti come Ber­nardo Ber­to­lucci con The Drea­mers e Phi­lippe Gar­rel con Les amants régu­liers si sono fatti carico magi­stral­mente di tale com­pito, decli­nando l’argomento in modo ori­gi­nale e secondo la pro­pria visione per­so­nale, ma riu­scendo a comu­ni­care, allo stesso tempo, quello che una volta si sarebbe defi­nito lo Zeit­geist, ovvero lo «Spi­rito del Tempo».
In campo let­te­ra­rio c’è un libro, uscito in Fran­cia nel 2002, defi­nito non a caso da «Le Monde» «il più impor­tante romanzo sul Ses­san­totto e sul Mag­gio Fran­cese», che ha final­mente tro­vato la strada, gra­zie alle Edi­zioni Cli­chy, per arri­vare anche in Ita­lia.

L’antifascismo risorgimentale di Leone Ginzburg

di Danilo Breschi
L’8 gennaio del 1934 Leone Ginzburg rifiutò di giurare fedeltà al fascismo. Decretato nell’agosto del 1931 ed entrato in vigore nell’ottobre di quell’anno, l’obbligo ai professori universitari di prestare giuramento di fedeltà non solo alla “patria”, come recitava un regolamento generale del 1924, ma anche al “regime fascista” fu respinto soltanto da tredici professori ordinari di università statali che, così facendo, persero cattedra, stipendio e pensione. Tredici su milletrecento. Ginzburg non è ancora professore di ruolo, ma libero docente di letteratura russa presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Ha soltanto venticinque anni.
Al fiero rifiuto seguirono per Ginzburg due anni di carcere. Un precoce combattente della Resistenza, che non imbraccerà mai le armi, risultando tuttavia uno fra i più integerrimi e tenaci avversari del regime. Collaborò alla fondazione della casa editrice Einaudi e cominciò a organizzare la dissidenza nel mondo intellettuale torinese già prima dell’arresto, riprendendo tale attività subito dopo la scarcerazione.

La paura. De Roberto e la guerra

di Gabriele Pedullà
Mai raccolte tutte assieme vivente l’autore, le novelle belliche di De Roberto costituiscono un corpus quanto mai disomogeneo dal punto di vista della qualità letteraria. Accanto a due racconti chiaramente molto deboli (Due morti e Il trofeo), ce ne sono almeno altri due di assoluto valore, come La posta e La retata (quest’ultimo probabilmente ispirato, nel suo revanscismo comico, a certi scritti brevi di Maupassant sulla guerra franco-prussiana come Compare Milon, Il duello o I prigionieri). Tra le novelle di De Roberto una però svetta nettamente su tutte le altre, La paura: senza dubbio uno dei vertici del racconto italiano dell’intero XX secolo.
Per quanto possa sembrare contro-intuitivo e persino paradossale (e tanto più in un tempo come il nostro, che illimitata fiducia ripone nello statuto privilegiato del testimone), l’essenza profonda del primo conflitto mondiale sembra non essersi mai rivelata come in queste pagine, scritte – senza mai abbandonare la Sicilia – da uno narratore che a quell’altezza in molti ormai consideravano un nobile relitto del secolo passato. Possibile che il romanziere che non ha mai assistito a una singola battaglia sia riuscito a cogliere la natura della guerra meglio dei tanti poeti-soldati che tra il 1915 e il 1918 avevano passato le loro giornate in trincea, facendo esperienza diretta, sulla propria pelle, della violenza senza precedenti delle nuove tecnologie belliche? Si stenta a crederlo, eppure è così: come per Omero e i poeti epici del mito, anche nel caso di De Roberto la perdita della visione sembra essere stata compensata con una speciale visionarietà che gli ha consentito si trascendere il mero dato di cronaca e di calarsi alla radice stessa dell’evento bellico.

Si è rotta la globalizzazione

di Federico Rampini
Con le antenne sensibili di chi fa campagna elettorale, Hillary Clinton ha capito che la globalizzazione perde colpi. Suo marito Bill da presidente firmò il “padre” di tutti gli accordi libero scambio, il Nafta che creò un mercato unico tra Usa, Canada e Messico. Oggi Hillary boccia l’analogo trattato che Barack Obama ha concordato coi paesi dell’Asia-Pacifico: «Non va ratificato», dice la candidata aprendo la prima seria frattura con l’attuale presidente. Lo stesso dice Donald Trump, in testa ai sondaggi tra i repubblicani. In campagna elettorale, è vero, il populismo piace e il protezionismo porta voti. Ma stavolta c’è dietro un cambiamento profondo che investe l’intera economia mondiale. La globalizzazione si è inceppata.
Lo si capisce mettendo insieme questi tre fenomeni. Primo, il Fondo monetario al vertice di Lima annuncia che il mondo è in una recessione analoga al 2009, se misuriamo tutti i Pil in dollari anziché in monete nazionali (cosa che ha un senso, soprattutto per i paesi emergenti che vivono di esportazioni in dollari). Secondo: lo stesso Fmi rileva che il commercio mondiale non cresce più; ed era proprio l’espansione degli scambi il tratto distintivo della globalizzazione.

L’eresia di Corbyn, repubblicano e no nuke

di Leonardo Clausi
Mai come nel caso del neoe­letto lea­der del Labour Party, Jeremy Cor­byn, si era inver­tita la pira­mide gerar­chica all’interno di un par­tito di oppo­si­zione, con la base che ha spet­ta­co­lar­mente scip­pato il timone alla diri­genza. E le con­se­guenze sono dirom­penti, sia per le riper­cus­sioni negli equi­li­bri interni al par­tito e nella pro­pa­ganda dei con­ser­va­tori – il cui con­gresso, tenu­tosi a Man­che­ster, si è appena con­cluso — che per via dell’ormai ben nota ere­sia cor­by­niana su due car­dini dello sta­tus quo politico-istituzionale del paese: gli arma­menti nucleari e la monar­chia.
Un’eresia, quella del segre­ta­rio, per­fet­ta­mente fami­liare e con­di­visa dalle frange mili­tanti e socia­li­ste che ne hanno resa pos­si­bile la mira­bo­lante vit­to­ria e pro­prio per que­sto altret­tanto invisa e impre­sen­ta­bile per la mag­gio­ranza dei depu­tati cen­tri­sti, ter­ro­riz­zati da un futuro di plu­ri­de­cen­nale mar­gi­na­lità per il partito.

Giro elettorale in Europa, centrale la questione dei migranti

di Guido Caldiron
Frau Mer­kel ora indossa il velo isla­mico nei mani­fe­sti della destra xeno­foba che, pas­sata l’onda di emo­zione che aveva accolto le sue aper­ture nei con­fronti di migranti e rifu­giati, torna a sof­fiare sulle paure e le inquie­tu­dini dei tede­schi, tor­nando ad urlare gli stessi slo­gan di odio che ave­vano domi­nato la scena euro­pea prima che il corpo del pic­colo Aylan venisse resti­tuito da quel mare attra­verso il quale aveva cer­cato invano una nuova vita.
È ancora pre­sto per dire se i tanti gesti di acco­glienza che si regi­strano oggi in Europa lasce­ranno il campo al ritorno degli impre­di­tori poli­tici dell’intolleranza, anche se qual­che segnale in que­sta dire­zione sem­bra già emer­gere. Per avere piena con­ferma di come stiano le cose, si potrà guar­dare ad alcuni impor­tanti test elet­to­rali pre­vi­sti fin dai pros­simi giorni.

Pacifisti del mondo svegliatevi: non avete altro da perdere che la vostra sfiducia!

di Patrick Boylan
La reazione alla notizia di Corsera e la successiva controreazione del governo sono state immediate: grida di scandalo da più parti seguite dal dietrofront del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dei suoi ministri. “Si tratta solo di un’ipotesi”, hanno rassicurato in coro sia Pinotti che il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni; “Sottoporremo senz’altro la questione al Parlamento prima di decidere definitivamente qualsiasi cosa.”
Quindi Carter lascerà la Capitale oggi sicuramente a mani vuote. Grazie all’anonimo “Chelsea (Bradley) Manning” italiano che svelò la tresca, il governo Renzi fallisce il tentativo di replicare il colpo di mano che il governo di Mario Monti realizzò invece nel luglio del 2012. Infatti, Monti e l’allora Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola riuscirono ad autorizzare alla chetichella – e sempre in barba alla Costituzione italiana – l’impiego bellico dei caccia tricolore che erano stati inviati in Afghanistan in precedenza per i soli compiti di ricognizione. E i parlamentari, con poche eccezioni, scelsero di sonnecchiare.

I palestinesi combattono per la loro sopravvivenza

di Amira Hass
Questa è una guerra. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, forte del mandato del popolo, ha chiesto d’intensificare le operazioni belliche. Se già in tempi tranquilli Netanyahu non ascolta i messaggi di conciliazione del presidente palestinese Abu Mazen, perché dovrebbe farlo adesso?
Netanyahu ha intensificato la guerra soprattutto a Gerusalemme Est, autorizzando punizioni collettive. Questo mostra il successo della strategia israeliana: disconnettere Gerusalemme dal resto dei territori palestinesi e sfruttare l’assenza di una leadership palestinese a Gerusalemme Est e la debolezza del governo a Ramallah, che ora sta cercando di arginare questa tendenza.

Accogliere i rifugiati non è carità, ma un dovere e un’opportunità

L’Europa sta diventando la destinazione della più grande popolazione di rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale. È ormai innegabile il fatto che un enorme numero di persone spinte a fuggire dai loro paesi, vittime di guerra, conflitti civili, genocidi, persecuzioni politiche e religiose, estrema povertà o cambiamenti climatici, sia tra le questioni politiche e umane internazionali che condizioneranno gli equilibri globali per i prossimi anni. La crudele realtà degli innumerevoli tragici naufragi avvenuti ai confini dell’Europa – senza contare i lunghi e pericolosi tentativi di entrare in Europa attraverso i paesi del sud-est mediterraneo – e la lotta disperata per la vita hanno infine obbligato i leader dell’UE ad occuparsi del problema.
– L’UE deve finalmente assumere la responsabilità dell’accogliere e ricollocare i rifugiati, intraprendendo azioni concrete per il loro arrivo, con grande attenzione ai loro diritti e alle loro condizioni legali, nello spirito della Convenzione di Ginevra per i rifugiati e i richiedenti asilo, rispondendo ogni nozione di dumping sociale.

Le narrazioni di Obama

di Mauro Poggi
Gli Stati Uniti accusano la Russia di attaccare i ribelli moderati anziché le milizie dello Stato Islamico. Il New York Times del 30 settembrescrive, citando ufficiali americani, che “gli attacchi non erano diretti contro lo Stato Islamico ma contro gruppi di opposizione che combattono il regime di Bashar al-Assad, a cui Putin ha assicurato il proprio appoggio. Le forze aeree russe hanno bombardato i sobborghi a nord di Homs, dove la presenza dei militanti dell’ISIS è scarsa o nulla”. Cita inoltre un comandante ribelle, tale Saleh: ” Siamo in prima linea contro l’esercito di Bashar al-Assad. Siamo ribelli moderati e non abbiamo alcuna affiliazione con l’ISIS. L’ISIS è almeno a 100 chilometri lontano da qui”.
Lo scorso maggio il Dipartimento della Difesa USA aveva dato il via a un programma di addestramento dei ribelli moderati siriani, da usare come truppe locali sul terreno sia contro lo Stato islamico che contro Bashar al-Assad. Il programma prevedeva l’addestramento di 5.400 ribelli all’anno.

Né rifugiati, né migranti

di Raúl Zibechi
Nel seminario “Il pensiero critico di fronte all’idra capitalista”, realizzato lo scorso maggio dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), il subcomandante insurgente Galeano ha spiegato che nei prossimi decenni fino al 40 per cento della popolazione mondiale sarà formato da lavoratori migranti, vale a dire circa tre miliardi di persone, “senza lavoro, senza terra, senza patria, [che andranno] vagando da un posto all’altro”. Intere zone verranno distrutte e spopolate per poter essere ristrutturate e ricostruite dal capitale.
Non tutti né tutte attraverseranno le frontiere. Una gran parte sono migranti interni. “Indigeni e contadini si stanno trasformando in migranti senza lasciare la loro terra d’origine”, ha detto Galeano nel seminario citato. Tutto indica che né i muri né i controlli, e neppure la minaccia di morte, saranno sufficienti a fermare tanti milioni [di persone].

La risposta cinese alla crisi mondiale del 2008

di Pasquale Cicalese
Allo scoppio della crisi mondiale del 2008, la Cina si trovava in una situazione fiscale favorevole, con surplus di bilancio. In risposta alla crisi mondiale la dirigenza cinese attuava una politica fiscale espansiva data da un piano infrastrutturale di 600 miliardi di dollari, finalizzato alla costruzione di ferrovie, autostrade e porti e avente come fine lo sviluppo della logistica e, da qui, l’aumento della produttività totale dei fattori produttivi, che cresceva a due cifre. Tale politica fiscale espansiva trascinava l’aumento del commercio mondiale, soprattutto dei paesi emergenti con l’import di materie prime. A livello fiscale il piano infrastrutturale era accompagnato da una politica di reflazione salariale, cioè aumento dei salari medi annui del 12%, per stimolare la domanda interna. A livello monetario si notava invece una politica restrittiva tesa a parare l’enorme aumento di liquidità della Federal Reserve. Tale politica si attuava con un aumento dei tassi di interesse e soprattutto con un aumento della riserva obbligatoria delle banche, portata al 21%. Ciò portò ad una progressiva rivalutazione dello yuan che, nel giro di 6 anni, aveva avuto un apprezzamento reale di circa il 45%. Dunque, da una parte abbiamo politica fiscale espansiva, dall’altra politica monetaria restrittiva. In Occidente si è fatto l’opposto, con i risultati che conosciamo.

Ascoltate i siriani: gli sciacalli dei media e il racconto delle persone

di Ramzy Baroud
Immaginate la guerra civile siriana dal punto di vista di comuni siriani che provengano da vari contesti. E’ estremamente probabile che offrano una prospettiva diversa e che abbiano aspettative completamente differenti rispetto alla maggior parte dei soggetti coinvolti.
Una persona che risiede Idlib, un abitante del villaggio di Deraa, una casalinga, un’ insegnante, un’infermiera oppure un ex prigioniero disoccupato di qualsiasi altro posto in Siria definirebbero il loro rapporto con la guerra usando una terminologia e una conoscenza che è parzialmente o interamente opposta ai resoconti trasmessi dalla CNN, da Al-Jazeera, da Russia Today, dalla BBC, da Press TV, e da qualsiasi piattaforma televisiva disponibile che si interessa degli esiti della guerra.
Questi media personalizzano i loro servizi e, quando è necessario – come spesso accade –orientano il loro il focus in modi che comunicano le loro agende editoriali già designate e che, prevedibilmente, sono spesso collegate alle più ampie agende politiche dei loro rispettivi governi.

WikiLeaks svela l'assalto del Tpp alla salute e alla libertà della rete

di Stefania Maurizi
E' un accordo commerciale monstre che riguarda il 40 percento dell'economia mondiale. Si chiama “Trans-Pacific Partnership” (Tpp). Per cinque anni, a partire dal 2010, lo hanno negoziato in segreto dodici potenze, che vanno dagli Stati Uniti al Giappone, e le trattative si sono chiuse solo questa settimana, con l'approvazione finale di un testo che si preannuncia di circa mille e cinquecento pagine, ma che ad oggi nessuno conosce con esattezza, perché è un documento riservato.
Oggi, però, l'organizzazione di Julian Assange mette a segno un colpaccio, pubblicando in esclusiva con “l'Espresso” e con un team di giornali internazionali, tra cui il quotidiano tedesco “Sueddeutsche Zeitung”, il capitolo del Tpp più controverso in assoluto (disponibilequi ): quello sulla proprietà intellettuale, che ridisegna l'accesso ai farmaci, alla ricerca scientifica, ai brevetti, al software, alla musica e ai libri. Il file riservato pubblicato oggi da WikiLeaks è di sessanta pagine, porta la data del 5 ottobre 2015 e contiene quindi il testo finale, frutto di cinque anni di trattative, perché ormai le negoziazioni sono chiuse e l'accordo tra le parti è raggiunto.

La filosofia della pace

di Franco Astengo
La comunità internazionale si trova davvero di fronte all’interrogativo “principe” dello scegliere tra la pace e la guerra?
Sarà la guerra il punto di saldatura della fase contraddistinta dalla competizione globalizzata e dal riemergere del contrasto tra potenze dopo il periodo post-blocchi caratterizzato dalla presenza (e dall’arroganza bellica) di un solo “gendarme del mondo”?
Un “gendarme” che dopo aver appiccato il fuoco in aree strategiche soprattutto per l’approvvigionamento di energia per un modello economico super-vorace e in via di trasformazione nel senso della crescita dei meccanismi di finanziarizzazione ha completamente fallito la linea della “esportazione della democrazia” attraverso i carri armati.
Da quel momento sono cresciuti gli squilibri, esaltata la risposta terroristica trasformatasi addirittura in ricerca di spazio vitale per l’espressione politica dei fondamentalismi, rinnovate ambizioni coloniali da parte di medie potenze.

Migranti, il nuovo proletariato

di Gad Lerner
E se avessero ragione loro? Se avesse ragione chi denuncia il potenziale minaccioso insito nella moltitudine di persone disposte a rischiare tutto pur di lasciare il paese in cui sono nate, e cercare altrove una vita migliore? Non ho certo cambiato idea sull’insulsa velleità di tamponare o deviare il flusso dei migranti erigendo recinti di filo spinato. Né potrò mai sopportare gli argomenti di denigrazione xenofoba, con cui si cerca giustificazione morale al loro respingimento.
È innegabile, però, che la figura sociale e la dimensione esistenziale del migrante stanno assumendo, nel XXI secolo, una centralità destinata a scuotere le fondamenta degli stati e del sistema economico vigente. Usando una terminologia d’altri tempi, il migrante è il nuovo proletario che non ha altro da perdere che le proprie catene. Senza bisogno di replicare l’assunto marxiano della “classe generale” che liberando sé stessa libererà l’umanità intera –francamente, oggi non pare questa la prospettiva – resta difficile sfuggire a questa evocazione. Quella che ci aspetta non sarà lotta di classe. Piuttosto che le aggregazioni sociali, peseranno semmai le diaspore organizzate, ma ugualmente stiamo cominciando a vivere il fronteggiarsi diretto fra categorie umane portatrici di interessi molto difficili da armonizzare.

Come Goldman Sachs ha guadagnato sul debito greco

di Robert B. Reich
Le banche di investimento hanno fatto milioni aiutando a nascondere la vera dimensione del debito, e nel mentre lo hanno quasi raddoppiato.
La crisi greca del debito ci offre un'altra chiara immagine del potere di persuasione e di saccheggio di Wall Street, sebbene la famosa strada della finanza non compaia nelle cronache.
La crisi fu peggiorata anni fa da un accordo fatto con Goldman Sachs, progettato dall'attuale Amministratore Delegato di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein. Blankfein e la sua squadra di Goldman Sachs aiutarono la Grecia a nascondere la vera dimensione del suo debito, e nel mentre lo hanno quasi raddoppiato. E proprio come nella crisi dei subprime statunitensi, attuale piaga di molte città americane, il prestito predatorio di Wall Street ha giocato un ruolo importante quanto scarsamente riconosciuto.

La follia sociale

di Sarantis Thanopoulos
Dell’autore dell’ennesima strage avve­nuta in un col­lege ame­ri­cano, si sa poco. Si pre­sen­tava come un con­ser­va­tore repub­bli­cano, spi­ri­tuale ma non reli­gioso, cri­ti­cava il con­su­mi­smo, aveva un rap­porto mor­boso con la madre sepa­rata dal marito e non aveva mai avuto una ragazza. Nes­suno di que­sti fatti, preso in con­si­de­ra­zione in pre­ce­denza, avrebbe per­messo di pre­ve­dere e pre­ve­nire il suo gesto, anche se l’aver indi­cato tra i suoi hobby l’uccidere gli “zombi”, getta un po’ di luce, a poste­riori, sul mec­ca­ni­smo della sua azione.
I repub­bli­cani si sono aggrap­pati alla malat­tia men­tale, pro­te­stando per i pazzi lasciati girare libe­ra­mente tra la gente nor­male. Pen­sano che gli autori di que­ste stragi siano malati men­tali gene­ti­ca­mente pre­de­ter­mi­nati, per nulla col­le­gati al disa­gio sociale. Il loro agire sarebbe faci­li­tato dall’eccesso di tol­le­ranza nei con­fronti della devianza e solo inse­gnanti adde­strati all’uso delle armi potreb­bero fermarli.

L’ipocrisia della Nato sui bombardamenti russi in Siria

di Gwynne Dyer
I bombardamenti russi in Siria vanno avanti ormai da una settimana e la cosa non piace agli Stati Uniti e ad altri paesi della Nato, che già da un anno sono impegnati militarmente sullo stesso terreno. I russi, dicono, non stanno bombardando le persone giuste, uccidono i civili, sono spietati, pericolosi, semplicemente malvagi.
Lo scorso fine settimana la Nato ha messo in guardia contro “l’estremo pericolo derivante da un comportamento così irresponsabile”, e ha intimato alla Russia di interrompere le operazioni. Quando un aereo russo ha sconfinato in Turchia per qualche minuto, il segretario di stato americano John Kerry ha dichiarato che i turchi avrebbero avuto tutto il diritto di abbatterlo.
Il tempo era cattivo, l’obiettivo era vicino al confine e i russi si sono scusati, eppure il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha affermato che l’incursione “non sembra un incidente”. E quindi da cosa sarebbe stata motivata? Forse i piloti russi si annoiano e fanno a gara per vedere chi riesce a rimanere nello spazio aereo turco il più a lungo possibile senza essere abbattuto?

Nobel per la pace alla forza viva del Quartetto tunisino

di Giuliana Sgrena
«Il mio primo pen­siero va ai mar­tiri della rivo­lu­zione, a Cho­kri Belhaid, Moha­med Brahmi e a tutte le vit­time del ter­ro­ri­smo. Siamo fieri che i nostri sforzi siano stati rico­no­sciuti, sono gli sforzi del Quar­tetto e di tutto il popolo tuni­sino», que­sta la rea­zione imme­diata di Ali Zed­dini dell’Esecutivo della Lega tuni­sina per i diritti dell’uomo alla noti­zia del Pre­mio Nobel per la pace.
Il pre­mio al Quar­tetto tuni­sino va per­sino al di là delle moti­va­zioni degli asse­gna­tari di Oslo «per il suo con­tri­buto deci­sivo nella costru­zione di una demo­cra­zia plu­ra­li­stica dopo la rivo­lu­zione cosid­detta dei «gel­so­mini» del 2011». Per i tuni­sini è un pre­mio alla loro rivo­lu­zione, ai ten­ta­tivi di sal­varne di obiet­tivi nono­stante tutti gli osta­coli. Tra le rivolte arabe quella tuni­sina è stata infatti l’unica a intra­pren­dere una strada per la tran­si­zione alla demo­cra­zia e a resi­stere in una regione infuo­cata: dalla Libia alla Siria pas­sando per la Pale­stina. Sono ormai lon­tani i tempi in cui il pre­mio per la pace veniva asse­gnato ad Ara­fat e Rabin (1994) per un accordo che non ha mai por­tato a una solu­zione di quel con­flitto. Anzi. La Tuni­sia è però un’altra sto­ria, anche se non è stata rispar­miata dagli attac­chi ter­ro­ri­stici. Pro­prio alla vigi­lia del pre­mio Ridha Char­fed­dine, depu­tato di Nidaa Tou­nes (il par­tito laico di cen­tro), è sfug­gito mira­co­lo­sa­mente a un attentato.

La «marcia dei popoli liberi» per Askapena

di Davide Angelilli
Il 12 otto­bre, pro­prio nella ricor­renza dello sbarco in Ame­rica di Colombo, in Spa­gna è festa nazio­nale. Come ricorda l’intellettuale San­tiago Alba Rico, il dodici otto­bre non rap­pre­senta sola­mente l’inizio della Con­qui­sta. Fino al 1958, la ricor­renza fu occa­sione per cele­brare il «Giorno della Razza», più tardi diven­tato «Giorno della Ispa­nità», sola­mente dal 1987, invece, il nome uffi­ciale della gior­nata è «Festa nazio­nale di Spa­gna». Oltre ad essere una pro­vo­ca­zione nei con­fronti degli indi­geni ame­ri­cani, infatti, la data sim­bo­leg­gia la cac­ciata dalla peni­sola ibe­rica degli ebrei e dei mori­scos (gruppo reli­gioso musul­mano) e, in gene­rale, la costru­zione della Spa­gna come nazione e come Impero.
Un pro­getto che si fonda sull’espansione ter­ri­to­riale, ma anche sulla sop­pres­sione della dis­si­denza interna, e sup­pone l’inevitabile repres­sione delle comu­nità nazio­nali, come la basca e la cata­lana, che abi­tano all’interno dello stesso Stato. La pro­ble­ma­tica nazio­nale, o meglio della sovra­nità popo­lare delle comu­nità nazio­nali è tut­tora deter­mi­nante nel vivace pano­rama poli­tico che si muove nello Stato spa­gnolo. In una recente inter­vi­sta, Arnaldo Otegi (il lea­der della sini­stra indi­pen­den­ti­sta basca ancora in car­cere) ha giu­sta­mente notato come, a dif­fe­renza dell’indipendenza scoz­zese che non pro­vo­che­rebbe grandi scosse sull’idea di nazione inglese, per lo Stato spa­gnolo, il rico­no­sci­mento del suo carat­tere plu­ri­na­zio­nale signi­fi­che­rebbe una forte crisi d’identità.

Il ritorno della Willkommenskultur in Germania?

di Antonio Sanguinetti
Non c'è alcun dubbio il governo Merkel ha sorpreso tutti. La rottura manifesta del regolamento di Dublino è stata una mossa certamente inattesa, ma non si può considerare un inedito assoluto. Le scelte adottate dalla Germania nelle scorse settimana possono collocarsi all'interno di un linea politica molto forte nella vecchia repubblica federale, la cosiddetta Willkommenskultur, ovvero la cultura dell'accoglienza verso i richiedenti asilo sancita dall'articolo 16 della legge fondamentale e che ne ha fatto uno dei paesi più generosi verso i rifugiati. Dunque, per capire il fenomeno di oggi nella sua interezza, occorre risalire al passato, rintracciare le analogie tra l'attualità dei siriani che premono ai confini e i precedenti dei trasferimenti degli sfollati e dei rifugiati verso i länder occidentali. In due precise epoche si è manifestato un afflusso simile di profughi, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale e successivamente nelle fasi a cavallo della riunificazione. L'accoglienza per la Germania dell'ovest voleva dire principalmente tre cose, primo il rispetto dei diritti universali dell'uomo dopo la catastrofe del nazismo, secondo una politica estera antisovietica che puntava ad attrarre con leggi generose chi abbandonava i paesi dell'est e infine una strategia economica per reclutare manodopera altamente qualificata a costi bassi. Ma procediamo con ordine.

Bernie Sanders contro il disastroso Tpp

di Lauren McCauley
Lunedì, in una affannosa corsa dell’ultimo minuto, i leader di Stati Uniti e di altri 11 paesi che si affacciano sul Pacifico hanno annunciato di aver raggiunto un accordo commerciale strepitoso. Un accordo che, secondo quanto dicono i critici, tra i quali anche il candidato alla presidenza degli Stati Uniti Bernie Sanders, comporterà drastici tagli alle normative e alle tutele di consumatori e lavoratori, e i cui impatti si faranno sentire in tutto il mondo.
L’accordo, conosciuto come Trans Pacific Partnership (o TPP), che finirebbe per legare insieme ben il 40 per cento dell’economia mondiale, è stato negoziato in segreto per quasi 8 anni. Anche se i dettagli del compromesso non erano ancora stati resi noti lunedì, i critici hanno commentato che, piccoli dettagli a parte, nel suo insieme questo accordo commerciale globale rappresenterà certamente una manna per il potere delle multinazionali.
“Il TPP è un affare per le grandi imprese,” ha detto Nick Dearden, direttore della sezione britannica di Global Justice Now.

venerdì 9 ottobre 2015

Creare partecipazione a sinistra, nella complessità politica italiana

Intervista a Luciana Castellina di Nicolò Ollino
Ieri sera ho avuto l’onore di conoscere Luciana Castellina e di condividere con lei una bella serata assieme a tanti compagni e compagne parlando di temi attuali e di trascorsi storici determinanti ancora oggi, di buone pratiche per la Sinistra da rifare, di futuro."
– Cara Luciana, partiamo da un paio di riflessioni sulla figura di Pietro Ingrao, compagno verso cui tutti, in particolare noi giovani, abbiamo e avremo un enorme debito di riconoscenza per l’eredità che ci lascia in termini di elaborazione teorica e di pratica politica quotidiana.
Raccontami il ricordo più significativo che conservi di lui, e dimmi che cosa trasmette come insegnamento a chi in questa fase storica sta provando a costruire una sinistra di popolo, di massa, di alternativa.

Un'agenda per la sinistra (non solo per Corbyn)

di Mariana Mazzucato
Sette economisti (fra cui Joseph Stiglitz, Thomas Piketty e la sottoscritta) hanno accettato di fare da consulenti economici per Jeremy Corbyn, il nuovo leader del Partito laburista britannico. Mi auguro che il nostro scopo comune sia aiutare il Labour a creare una politica economica fondata sugli investimenti, inclusiva e sostenibile. Metteremo sul tavolo idee diverse, ma voglio proporvi le mie considerazioni riguardo alle politiche progressiste di cui il Regno Unito e il resto del mondo hanno bisogno oggi.
Quando il Partito laburista ha perso le elezioni, lo scorso maggio, in tanti, anche esponenti del Governo ombra, gli hanno contestato di non aver saputo interloquire con i «creatori di ricchezza», cioè la comunità imprenditoriale. Che le imprese creino ricchezza è evidente.
MA anche i lavoratori, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile creano ricchezza, promuovendo crescita e produttività nel lungo termine.