La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 ottobre 2015

Nobel per la pace alla forza viva del Quartetto tunisino

di Giuliana Sgrena
«Il mio primo pen­siero va ai mar­tiri della rivo­lu­zione, a Cho­kri Belhaid, Moha­med Brahmi e a tutte le vit­time del ter­ro­ri­smo. Siamo fieri che i nostri sforzi siano stati rico­no­sciuti, sono gli sforzi del Quar­tetto e di tutto il popolo tuni­sino», que­sta la rea­zione imme­diata di Ali Zed­dini dell’Esecutivo della Lega tuni­sina per i diritti dell’uomo alla noti­zia del Pre­mio Nobel per la pace.
Il pre­mio al Quar­tetto tuni­sino va per­sino al di là delle moti­va­zioni degli asse­gna­tari di Oslo «per il suo con­tri­buto deci­sivo nella costru­zione di una demo­cra­zia plu­ra­li­stica dopo la rivo­lu­zione cosid­detta dei «gel­so­mini» del 2011». Per i tuni­sini è un pre­mio alla loro rivo­lu­zione, ai ten­ta­tivi di sal­varne di obiet­tivi nono­stante tutti gli osta­coli. Tra le rivolte arabe quella tuni­sina è stata infatti l’unica a intra­pren­dere una strada per la tran­si­zione alla demo­cra­zia e a resi­stere in una regione infuo­cata: dalla Libia alla Siria pas­sando per la Pale­stina. Sono ormai lon­tani i tempi in cui il pre­mio per la pace veniva asse­gnato ad Ara­fat e Rabin (1994) per un accordo che non ha mai por­tato a una solu­zione di quel con­flitto. Anzi. La Tuni­sia è però un’altra sto­ria, anche se non è stata rispar­miata dagli attac­chi ter­ro­ri­stici. Pro­prio alla vigi­lia del pre­mio Ridha Char­fed­dine, depu­tato di Nidaa Tou­nes (il par­tito laico di cen­tro), è sfug­gito mira­co­lo­sa­mente a un attentato.
Il ruolo del Quar­tetto – com­po­sto dall’Unione gene­rale tuni­sina del lavoro (Ugtt), dall’Unione tuni­sina dell’Industria, del Com­mer­cio e dell’Artigianato (Utica), dalla Lega tuni­sina dei diritti dell’uomo (Ltdh) e dall’Ordine nazio­nale degli avvo­cati –, for­mato nell’estate del 2013 in un clima di forti ten­sioni poli­ti­che, è stato deci­sivo per evi­tare che il paese pre­ci­pi­tasse in una guerra civile.
La troika, al potere dal dicem­bre 2011, aveva per­duto ogni legit­ti­mità a causa del suo mal­go­verno e dei con­ti­nui abusi di potere. Com­po­sta dagli isla­mi­sti di Ennah­dha, che ave­vano vinto le ele­zioni e che gui­da­vano il governo, dai laici del Con­gresso per la repub­blica (pre­si­denza della repub­blica) e da Etta­ka­tol (pre­si­denza dell’assemblea costi­tuente), aveva un anno di tempo per varare una nuova costi­tu­zione. Ma i lavori della costi­tuente non avan­za­vano e la troika non voleva lasciare il potere. La crisi eco­no­mica e poli­tica era pre­ci­pi­tata dopo gli assas­sini dei lea­der della sini­stra (Cho­kri e Brahmi) e aveva spinto i tuni­sini a scen­dere in piazza con sit-in davanti all’Assemblea costi­tuente durati set­ti­mane. Alla fine la costi­tuente sospen­deva i lavori. Gli isla­mi­sti si erano orga­niz­zati per scon­trarsi con l’opposizione laica, dotan­dosi della Lega per la pro­te­zione della rivo­lu­zione (che con la rivo­lu­zione non aveva nulla a che vedere), brac­cio armato di Ennahdha.
Per far fronte a que­sta situa­zione si era for­mato il Quar­tetto, con un ruolo impor­tante del sin­da­cato già punto di rife­ri­mento nella rivo­lu­zione. L’obiettivo: sosti­tuire il governo della troika con uno tec­nico per arri­vare alle ele­zioni e nel frat­tempo acce­le­rare l’elaborazione della costi­tu­zione. Il Quar­tetto aveva pre­pa­rato una road map ma il pre­mier isla­mi­sta Ali Larayedh e il pre­si­dente Mar­zouki hanno ter­gi­ver­sato per set­ti­mane, poi forse è stato l’effetto Egitto (dove l’esercito aveva preso il potere) a farli cedere e in dicem­bre è stato nomi­nato il governo di tran­si­zione gui­dato da Mehdi Jomaa.
Gli isla­mi­sti hanno dovuto cedere le loro posi­zioni anche all’interno dell’Assemblea costi­tuente dove vole­vano imporre alcuni prin­cipi della sha­ria (la legge cora­nica) e soprat­tutto rico­no­scere i diritti delle donne solo com­ple­men­tari a quelli dell’uomo. Que­sti ten­ta­tivi sono stati bat­tuti e la costi­tu­zione è stata final­mente varata (gen­naio 2014).
Il com­pito del Quar­tetto si è con­cluso con le ele­zioni nell’autunno del 2014: il 25 otto­bre le poli­ti­che hanno visto la vit­to­ria di un par­tito laico, Nidaa Tou­nes, seguito da Ennah­dha, men­tre gli alleati della troika sono pra­ti­ca­mente scom­parsi. Alle pre­si­den­ziali il pre­si­dente uscente Mon­cef Mar­zouki (appog­giato dagli isla­mi­sti) ha perso il bal­lot­tag­gio (22 dicem­bre) vinto dal lea­der di Nidaa Tou­nes, Beji Caid Essebsi. Quello che non aveva fatto il Quar­tetto l’hanno decre­tato le urne.
Il pre­mio Nobel per la pace è un rico­no­sci­mento a orga­niz­za­zioni della società civile, per usare una defi­ni­zione abu­sata, o alle forze vive della società, per uti­liz­zare un ter­mine più tuni­sino, che subito hanno voluto esten­derlo a tutti i tuni­sini, a tutte quelle forze che con­ti­nuano a lot­tare per la demo­cra­zia e per i diritti di uomini e donne. E devono fare i conti con attac­chi ter­ro­ri­stici che mirano a sov­ver­tire la fra­gile demo­cra­zia, minac­ciata anche da quelle forze, come Ennah­dha, che si rifiu­tano di rico­no­scere il carat­tere repub­bli­cano dello stato tuni­sino.
Forse con il Nobel i demo­cra­tici tuni­sini si sen­ti­ranno un po’ meno soli.

Fonte: il manifesto 

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